Sez. I – Osservatorio sulle società quotate
Sez. II – Osservatorio di diritto comparato
Sez. III – Osservatorio sugli ordinamenti stranieri
Sez. IV – Osservatorio sulla giurisprudenza del Tribunale di Milano, a cura di Matteo Bazzani, Paolo Flavio Mondini, Michele Mozzarelli e Amedeo Valzer
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1. Introduzione - 2. Assetti proprietari e controllo - 3. Classificazione dei sindacati azionari - 4. Distribuzione dei sindacati azionari - 5. L’influenza dei sindacati azionari - 6. Il controllo da sindacato - 7. Condivisione del controllo e dimensione economica - 8. Conclusioni - NOTE
1.1. Oggetto dell’indagine. – Nel presente studio si propone un indagine empirica sugli assetti proprietari delle società quotate italiane, per individuare situazioni di controllo individuale o congiunto, messi in relazione alla dimensione aziendale delle società, onde verificare l’interazione tra la struttura del controllo societario e le potenzialità economiche dell’impresa. L’indagine si soffermerà sui sindacati azionari, per valutarne la rilevanza nel contesto delle società quotate: analizzando il contenuto delle pattuizioni, si cercherà di mettere a fuoco l’incidenza di tali patti sugli assetti di controllo delle società stesse. L’analisi delle situazioni di controllo congiunto da sindacato azionario potrà fornire ulteriori indicazioni sulla correlazione tra controllo e dimensione economica. La ricerca intende sperimentare un nuovo approccio nello studio dei problemi applicativi del diritto societario, e avviare la necessaria riflessione sulla relativa impostazione metodologica. 1.2. Determinazione del campione e raccolta dei dati. – Il campione considerato comprende tutte le società per azioni quotate in borsa in Italia. Sono state incluse anche le società cooperative, ancorché la regola del voto capitario escluda una correlazione tra entità della partecipazione e controllo: si tratta per definizione di società a controllo diffuso. Al fine della determinazione dei dati relativi alla composizione dell’azionariato di ogni società, si è fatto ricorso alle comunicazioni obbligatorie alla Consob previste dall’art. 120 t.u.i.f.: sono state prese in considerazione cioè le partecipazioni rilevanti superiori al 2%, escluse le partecipazioni non dotate di diritto di voto, che non si ritengono influenti ai fini della determinazione degli assetti di controllo. La soglia di rilevanza delle partecipazioni fissata dal t.u.i.f. è ovviamente convenzionale, non potendosi escludere che partecipazioni di entità minore siano significative ai fini degli assetti di controllo. In via di prima approssimazione peraltro si è scelto di attenersi a tale indicatore, considerata la difficoltà di raccogliere ed elaborare i dati relativi alla totalità delle partecipazioni azionarie e al ruolo effettivamente svolto dagli azionisti minori nei processi [continua ..]
2.1. Prima classificazione degli assetti proprietari. – Si è proceduto in primo luogo all’analisi della struttura dell’azionariato delle società, per pervenire ad una classificazione in funzione degli assetti di controllo societario e della relativa stabilità. A tal fine si sono delineate cinque classi, corrispondenti ad altrettante situazioni tipiche: controllo riferibile ad un dato azionista di maggioranza, più o meno stabile, ovvero riferibile a più azionisti, più o meno contendibile. Le cinque classi di azionariato sono state definite come segue: 1. Nella prima classe si collocano quelle società in cui un azionista detiene una quota delle azioni dotate di diritto di voto superiore al 50% del totale; in tal caso si parla dicontrollo di diritto; si tratta del controllo stabile per eccellenza, poiché la posizione dell’azionista di maggioranza non è contendibile. 2. Nella seconda classe si collocano le società in cui il maggiore azionista detiene una percentuale di azioni dotate di diritto di voto compresa tra il 30% ed il 50% del totale, e superiore alla somma delle partecipazioni degli altri azionisti rilevanti,. In tal caso si può presumere che l’azionista di maggioranza relativa sia comunque in grado di esercitare un’influenza dominante sull’assemblea, considerato che gli altri azionisti di riferimento non riuscirebbero congiuntamente a superare la quota da lui posseduta. Ciò assumendo che il voto degli azionisti titolari di quote inferiori al 2% non abbia un ruolo significativo rispetto alla formazione delle maggioranze. Inoltre, essendo la quota dell’azionista di maggioranza superiore al 30%, risulterà estremamente oneroso il tentativo di contendergli la posizione di controllo da parte di un altro azionista o di più azionisti che agiscano di concerto, poiché questo comporterebbe, a carico di chi intraprenda la «scalata», il superamento della soglia del 30% e conseguentemente l’obbligo di effettuare un’offerta pubblica di acquisto sulla totalità delle azioni, ovvero la necessità di procedere mediante OPA preventiva sul 60% delle azioni stesse. Pertanto può parlarsi, in questa situazione, di controllo di fatto stabile [1]. Non è escluso che l’azionista di maggioranza, onde stabilizzare ulteriormente il controllo, [continua ..]
3.1. Le clausole dei patti parasociali. – Nella fase preliminare dello studio si è prestato attenzione alle singole disposizioni contenute nei patti parasociali; dall’esame di ogni singolo patto di sindacato, si è riscontrata la presenza di alcune clausole ricorrenti [2]. In questo modo è stato possibile fare una prima classificazione degli accordi tra i soci: 1. Patti relativi all’esercizio del diritto di voto. Rientrano in questa categoria innanzitutto gli accordi con clausole riguardanti la nomina delle cariche sociali, compresi quelli che riconoscono a taluno degli azionisti il diritto di designare i componenti dell’organo amministrativi o di controllo. In questa categoria sono compresi anche i patti che contengono altre clausole relative al voto in assemblea, con riguardo a specifiche deliberazioni (es.: operazioni straordinarie, operazioni sul capitale, azioni proprie, dividendi, compensi). 2. Patti relativi alla circolazione della azioni. Si tratta di accordi di varia portata, in generale incidenti sulla stabilità degli assetti proprietari:stand-still(impegno a non acquistare o vendere azioni né stipulare altri patti parasociali); prelazione; limiti all’acquisto o alla cessione di azioni; tag-along o diritto di co-vendita [3]; drag-along o obbligo di co-vendita [4]; accordi relativi ad un’eventuale o.p.a. 3. Altre pattuizioni.Sono state inserite in questo gruppo una serie di clausole che erano estranee sia alla circolazione delle azioni sia alla nomina degli organi sociali. Si riportano di seguito gli argomenti trattati più frequentemente: accordi strategici (es. relativi alla distribuzione dei prodotti); patti di non concorrenza; accordi sulla sottoscrizione di aumenti di capitale; accordi relativi a finanziamenti dei soci; patti relativi alla gestione di società controllate; 4. Inmolti dei patti esaminati si sono individuate clausole accessorie o «finali» di vario tenore. Oltre alle regole relative alla durata del patto, ricorrono spesso clausole compromissorie; clausole penali; previsioni relative ad «organi» del patto, ecc. Ai fini della presente indagine queste ultime clausole non sono state reputate autonomamente rilevanti. Conseguentemente, gli accordi rinvenuti nei patti parasociali comunicati sono stati suddivisi in tre macro classi; ogni classe al suo interno include clausole [continua ..]
Un’ulteriore analisi dei dati ha riguardato la distribuzione dei patti nelle società. A tal fine si è fatto ricorso alla suddivisione delle società in funzione della capitalizzazione e della struttura dell’azionariato. Ciò per verificare in che misura la presenza dei patti parasociali è correlabile alla dimensione e agli assetti proprietari. 4.1. Distribuzione per dimensione. – Sotto il profilo della dimensione economica dell’azienda, si è provveduto a raggruppare le società, in funzione della capitalizzazione di borsa, in tre classi: sotto i 100 milioni, tra i 100 e i 1.000 milioni, oltre i 1.000 milioni. Dalla figura 11 si può osservare come, suddividendo le società in base alla loro dimensione, la presenza dei patti parasociali si attesta tra il 32% e il 35% in tutti e tre le classi. La frequenza lievemente minore di patti parasociali nelle società di media dimensione non sembra possa considerarsi significativa. Figura 12 – Presenza dei patti parasociali nelle società suddivise per struttura dell’azionariato Da questa analisi è emerso, come ci si aspettava, una maggiore diffusione dei patti parasociali nelle società caratterizzate da un controllo condiviso (quarta e quinta classe). Notiamo infatti che nelle prime due classi (controllo di diritto e controllo di fatto stabile), nelle quali è presente un azionista dominante, le società con patti sono rispettivamente poco meno del 20% e poco meno del 25% del totale. Mentre presentano patti parasociali circa il 60% delle società delle ultime due classi (controllo condiviso stabile e instabile). Non è un caso che tra le società di queste ultime classi i patti di sindacato risultano così frequenti: gli azionisti rilevanti tendono infatti a stipulare accordi tra di loro per disincentivare eventuali scalate da parte di esterni e disciplinare l’esercizio del controllo congiunto sulla società. Il dato relativo alla terza classe (controllo di fatto instabile) può apparire anomalo, anche se si deve considerare l’esiguo numero delle società rientranti in questo gruppo, sicché le percentuali potrebbero non essere significative. Peraltro potrebbe ipotizzarsi che in una la situazione di «controllo di fatto instabile» il socio di maggioranza sia più incline a mantenere la [continua ..]
5.1. Patti maggioritari e minoritari; grado di influenza del patto parasociale Per approfondire l’indagine in merito all’influenza dei sindacati azionari e al «controllo da sindacato», si è ritenuto di restringere l’indagine ai soli sindacati di voto, includendo tutti i patti volti a determinare l’esito delle decisioni assembleari e in particolare la nomina degli organi sociali. Infatti i patti che riguardano solo la circolazione delle azioni non risultano idonei a modificare gli assetti di controllo nelle situazioni in cui vi è già un azionista che detiene una maggioranza precostituita e stabile, già al riparo da scalate ostili (salva, per la classe 2, l’ipotesi dell’OPA). Al più potrà darsi che il vincolo alla circolazione delle azioni, nelle società in cui il controllo di fatto è «instabile» (classe 3) abbia un certo effetto di stabilizzazione del controllo, rendendo più ardua la scalata [5]. Peraltro in astratto si potrebbe osservare che nelle società in cui nessuno detiene una partecipazione sufficiente ad esercitare individualmente il controllo (classi 4 e 5), un semplice sindacato di blocco determina già conseguenze significative in ordine alla condivisione del controllo [6]. Tuttavia non si sono, in concreto, riscontrati patti di questo genere nell’ambito delle società del campione. Si è già potuto constatare infatti che i patti di sindacato concernenti solo la circolazione delle azioni sono presenti in misura significativa solo nelle classi di azionariato 1, 2 e 3 (controllo di diritto e controllo di fatto individuale), mentre risultano trascurabili nelle classi 4 e 5 (controllo condiviso). I pochissimi patti di sindacato incidenti esclusivamente sulla circolazione delle azioni presenti nelle società di queste ultime due classi non risultano avere alcuna né finalità né effetto di stabilizzazione del controllo. Per poter comprendere se un patto risulta rilevante ai fini del controllo della società, bisogna innanzitutto domandarsi quali e quanti azionisti vi partecipano, ossia se i soci sindacati possano costituire una maggioranza o rafforzare posizioni maggioritarie preesistenti [7]. Pertanto, si è proceduto ad una ulteriore analisi dei patti, e, confrontata la percentuale di capitale sociale che partecipa al sindacato [continua ..]
Si cercherà ora di approfondire ed illustrare l’incidenza dei patti parasociali sul controllo: partendo dalla classificazione delle società basata solamente sulla struttura dell’azionariato, si tenterà di riproporre una classificazione per tipologia e stabilità del controllo che tenga conto degli effetti di un controllo da sindacato. 6.1. Assetti proprietari e stabilità del controllo da sindacato. – La Figura 16 ripropone la suddivisione delle società quotate in cinque classi, sulla base degli assetti proprietari. Per ciascuna delle classi sono evidenziate, nella tonalità di colore più scuro, le società nelle quali si incontrano sindacati azionari maggioritari aventi ad oggetto l’esercizio del voto, cioè un «sindacato di controllo» Nel grafico successivo (Figura 15), le società caratterizzate da un sindacato di controllo vengono riaggregate (in primo piano), suddividendole a seconda della stabilità del «controllo da sindacato»: nella classe A si collocano le società nelle quali il sindacato di controllo supera la soglia del 50%, nella classe B quelle in cui il sindacato supera il 30%, detenendo dunque un controllo stabile, nella classe C quelle in cui il sindacato, seppure maggioritario, non supera il 30% e dunque il controllo risulta più contendibile. Figura 15 – Estrapolazione e aggregazione delle tre classi di controllo da sindacatoIn particolare, notiamo che la classe A, in cui il controllo da sindacato è più stabile, superando la soglia del 50%, è costituita per la maggior parte da società provenienti dalle classi 1 e 4, e per una minor parte da società della classe 2. Questa prima classe rappresenta comunque la più numerosa e certamente la più significativa quanto all’incidenza del sindacato azionario sul controllo. Nella classe B, invece, rientrano principalmente società provenienti dal gruppo 4: come si è detto in queste società è forte la tendenza degli azionisti ad aggregarsi alla ricerca di una stabilizzazione del controllo che resta, comunque, condiviso. Nella classe C il numero di società è certamente inferiore rispetto alle prime due. Le poche società che sono state inserite in questa classe provengono per lo più dal gruppo 5 e 4, come era ovvio aspettarsi. Si [continua ..]
L’analisi che segue si propone di individuare le caratteristiche tipiche delle società per le quali il «controllo da sindacato» è risultato determinante ai fini della classificazione: si tratti di società inizialmente ascritte alle classi 1, 2 e 3 assumendo, sulla base degli assetti proprietari, un controllo individuale, nelle quali invece un sindacato di voto comporta una condivisione del controllo; ovvero delle società già ascritte alla classe 4, presumendo in base agli assetti proprietari un controllo condiviso stabile, e poi mantenute in questa classe o ricollocate nella classe 5 (controllo condiviso instabile) a seconda che risultasse o meno formalizzato un sindacato di controllo stabile; o infine di società che, in ragione della frammentazione dell’azionariato erano state ascritte alla classe 5, assumendo un controllo condiviso instabile, ma che invece, grazie ad un sindacato di controllo esteso a soci con partecipazione sotto la soglia del 2%, risultano soggette ad un controllo condiviso stabile. Il grafico che segue (Figura 20) prospetta un raffronto dimensionale tra le società nelle quali si è riscontrata la presenza di sindacati di controllo rilevanti e le altre società con analoga struttura dell’azionariato: per ognuna delle cinque classi inizialmente definite sulla base della struttura dell’azionariato è indicata la capitalizzazione massima, minima e media, e, in giallo, la capitalizzazione media delle società della stessa classe soggette a controllo da sindacato. Si nota che in tutte le classi la capitalizzazione media delle società con patti rilevanti è inferiore alla media generale. Figura 20 – Capitalizzazione media delle società con patti di sindacato rilevanti ai fini del controllo, raffronto con la capitalizzazione media, minima e massima della classe di originaria appartenenza per struttura dell’azionariato Per approfondire l’analisi si è costruito il diagramma di dispersione che segue (Figura 21), dove è illustrata nel dettaglio la collocazione, in termini di capitalizzazione, delle società soggette a «controllo da sindacato»: sono indicate tondo le società appartenenti a ciascuna delle cinque classi di azionariato inizialmente definite, nelle quali si è riscontrata la presenza di un sindacato rilevante ai fini del [continua ..]
L’indagine ha messo in luce alcuni tratti salienti dei patti parasociali nel contesto delle società quotate italiane. La diffusione del fenomeno è notevole e – come prevedibile – particolarmente significativa nelle società nelle quali la struttura dell’azionariato è tale da precludere l’esercizio di un’influenza dominante da parte di un singolo azionista, imponendosi dunque una condivisione del controllo. Il sindacato di voto risulta essere lo strumento predominante per la condivisione del controllo societario, consolidando maggioranze precostituite, talvolta allargate ad azionisti titolari di quote inferiori alla soglia delle partecipazioni rilevanti. D’altra parte, si è riscontrata con una frequenza non trascurabile la stipula di «sindacati di controllo» anche in società nelle quali è indubbiamente identificabile un socio di maggioranza in posizione di «controllo di diritto» o «di fatto». In questo senso, sembra significativo il ruolo assunto dai patti di sindacato come strumento di condivisione del controllo da parte dell’azionista di maggioranza; l’analisi dei dati lascia presumere che il patto di condivisione del controllo sia funzionale ad incentivare partecipazioni minoritarie che contribuiscono a potenziare la struttura finanziaria della società. In generale, si è potuto rilevare che i sindacati azionari di controllo assumono essenzialmente una funzione di regolazione della compartecipazione alla governance della società. In un solo caso, su oltre 120 patti esaminati, si può dire che il sindacato di voto serve a rafforzare una posizione di controllo individuale, assumendo un ruolo analogo a quello svolto da una holding di controllo [20]. Sul punto, è appena il caso di notare che l’indagine empirica smentisce drasticamente l’ipotesi sulla quale si è incentrato gran parte del dibattito sui sindacati azionari negli ultimi decenni del secolo scorso: l’assunta centralità della figura paradigmatica del «sindacato di voto deliberante a maggioranza», considerato quale strumento di accentramento del controllo in capo ad un singolo socio e quale mezzo per ottenere un’accentuata separazione tra «proprietà» e controllo. Peraltro, l’analisi degli effetti dei sindacati azionari sul [continua ..]