Rivista di Diritto SocietarioISSN 1972-9243 / EISSN 2421-7166
G. Giappichelli Editore

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Concordati di gruppi transfrontalieri e disciplina comunitaria delle procedure di insolvenza (di Alberto Mazzoni)


  

  
SOMMARIO:

1. Cenni introduttivi - 2. La nozione di centro degli interessi principali del debitore ('COMI') e la nozione di insolvenza nel sistema internazionalprivatistico del Regolamento Europeo 1346/2000 - 3. Il caso Eurofood e la continuità della prassi favorevole ai criteri sostanzialistici di localizzazione del COMI - 4. Un inedito caso italiano di concordato transfrontaliero di gruppo: peculiarità della fattispecie e considerazioni generali - 5. (Segue). Problemi in tema di trattamento di privilegi, garanzie e vincoli con effetto reale - 6. Un inedito caso italiano di amministrazione straordinaria congiunta di società controllante italiana e società controllata polacca - 7. Considerazioni conclusive - NOTE


1. Cenni introduttivi

Per inquadrare correttamente il tema sono necessarie alcune premesse. In primo luogo si deve tenere a mente che il Regolamento Europeo 1346/2000 sulle procedure di insolvenza (di seguito il “Regolamento”) [[1]] non mira a realizzare una disciplina sostanziale uniforme di tutto il diritto concorsuale all’interno dell’Unione Europea.All’opposto, il Regolamento opera con la logica e gli strumenti che sono tipici del diritto internazionale privato. In sintesi, esso enuncia preliminarmente norme sulla giurisdizione e, più precisamente, sul riparto della competenza giurisdizionale tra Stati Membri in presenza di certi presupposti; detta, poi, regole di conflitto per la determinazione della legge applicabile, desumendo in linea di principio tali regole da quelle sulla giurisdizione, salve soltanto alcune espresse eccezioni valevoli per alcune fattispecie particolari; prescrive, infine, criteri per il riconoscimento negli altri Stati Membri degli effetti di procedimenti aperti e/o di provvedimenti assunti in uno di essi.Ne deriva un quadro complessivo, in cui comune è soltanto la cornice dell’impianto o, se si preferisce, l’apparato contenitore che racchiude le regole del giuoco tra ordinamenti. Per il resto rimane intatta, in tutta la sua notevole varietà di presupposti e di discipline tanto procedurali quanto sostanziali, la gamma degli approcci e delle soluzioni che ciascuno Stato Membro si è dato e potrà darsi in futuro sul piano della regolamentazione in concreto delle situazioni di insolvenza (o assimilate all’insolvenza).In secondo luogo, il Regolamento, pur mirando per definizione ad applicarsi a situazioni connotate da internazionalità, circoscrive il proprio ambito di applicazione in termini assai restrittivi. In sostanza, esso prende in considerazione come situazione centrale e tipica da regolare una fattispecie che, pur essendo internazionale nel senso di non interamente domestica, non è, tra quelle internazionali ipotizzabili, né la più frequente né la più importante. Invero, mentre nell’esperienza concreta l’attività economica svolta attraverso le frontiere assume, il più delle volte e per gli investimenti di maggiori dimensioni, la forma organizzativa del gruppo di società, connotata dal binomio unità economica di direzione e pluralità giuridica delle distinte [continua ..]


2. La nozione di centro degli interessi principali del debitore ('COMI') e la nozione di insolvenza nel sistema internazionalprivatistico del Regolamento Europeo 1346/2000

Il primo anello della catena logica, che avvolge e tiene insieme il sistema internazionalprivatistico del Regolamento, è costituito dalla nozione di «centro degli interessi principali» del debitore, cui ormai è invalsa l’abitudine di riferirsi come COMI, adottando, cioè, l’acronimo della espressione inglese corrispondente «center of main interests». Ancorché la nozione di COMI sia la chiave di volta di tutta l’architettura logico-giuridica del Regolamento, il legislatore comunitario si è astenuto dal definirla in positivo e in modo espresso [[2]] ed ha preferito limitarsi a porre per essa presunzioni juris tantum di localizzazione. In particolare, nel caso di debitore persona giuridica, si presume fino a prova contraria che il COMI del debitore sia localizzato nello Stato in cui è fissata la sede statutaria (art. 3.1 del Regolamento). L’assenza di definizione del COMI, combinata con la presunzione di cui si è appena detto e caricata di incisività per effetto della rilevanza delle conseguenze che il Regolamento fa discendere dalle sua localizzazione in uno Stato Membro, dà luogo ad una miscela che è assai difficile da applicare e che è fonte non di rado di esiti difformi da quelli che ci si potrebbe attendere in applicazione dei principi. Invero, fra tutte le problematiche interpretative suscitate dal Regolamento, quella che ha per oggetto la nozione di COMI e la sua applicazione in ciascun caso di specie è di gran lunga la più importante, la più dibattuta e, in un certo senso, anche la più irriducibile a consolidarsi attorno a un modello di soluzione pacificamente condiviso. Giova, in primo luogo, ricordare che l’accertamento preliminare della localizzazione del COMI in uno Stato Membro è presupposto indispensabile per l’applicazione del Regolamento. Così, se il COMI del debitore è situato in Svizzera e al contempo il debitore ha sedi operative in Italia e in Francia, il Regolamento non si applica affatto e conseguentemente tanto l’ordinamento italiano quanto quello francese rimarranno liberi di valutare, ciascuno alla stregua delle proprie regole unilaterali o derivanti da trattati bilaterali in materia fallimentare, se (e, nell’affermativa, in che misura) esercitare la propria giurisdizione fallimentare in ordine a collegamenti con il [continua ..]


3. Il caso Eurofood e la continuità della prassi favorevole ai criteri sostanzialistici di localizzazione del COMI

 Il non giurista che si facesse convincere a ricostruire che cosa è avvenuto in Europa nei 10 anni che intercorrono dal varo del Regolamento ad oggi, concluderebbe che fino al maggio 2006 – cioè, fino alla celebre sentenza Eurofood [[5]] – l’inter­pre­tazione sostanzialistica del COMI è stata nettamente prevalente nella giurisprudenza pratica; per contro, dopo aver letto la sentenza del caso Eurofood, egli concluderebbe che l’evoluzione successiva non può che essere stata di segno opposto; riterrebbe, cioè, sicura e inevitabile l’inversione dell’orientamento e la prevalenza, alla data odierna, dell’interpretazione di stampo giuridico-formale. Anche se arcinoti, conviene brevemente richiamare i termini della questione decisa in Eurofood. La Corte di Giustizia è stata chiamata a decidere sulla contrapposizione tra due tesi: da una parte, la tesi del commissario straordinario di Parmalat, secondo cui Eurofood, società costituita in Irlanda al solo scopo di fungere da conduttore-collettore di fondi da raccogliere nel mercato internazionale e da impiegare a favore del gruppo, doveva essere considerata una mera propaggine della controllante Parmalat e, quindi, trattata o come una sua “dipendenza” (con disconoscimento della separatezza della sua personalità giuridica) ovvero come società puramente strumentale con COMI in Italia, in entrambi i casi con il risultato che doveva valutarsi come illegittima l’apertura in Irlanda di una procedura principale di insolvenza nei confronti di Eurofood a sé considerata; dall’altra parte, la tesi dei liquidatori nominati nel procedimento già pendente in Irlanda, secondo cui Eurofood era entità giuridicamente separata con un proprio COMI in Irlanda, sicché il procedimento aperto nei suoi confronti in quello Stato era da considerarsi procedimento principale, automaticamente beneficiario del riconoscimento dei suoi effetti in ogni altro Stato Membro. Nell’apprendere che la Corte di Giustizia ha accolto questa seconda tesi, il nostro ipotetico non giurista presumibilmente reagirebbe concludendo che Eurofood ha segnato la condanna a morte della concezione economica e sostanzialista del COMI e che, nel prosieguo, la regola tendenzialmente dominante nei casi di insolvenza di gruppo [continua ..]


4. Un inedito caso italiano di concordato transfrontaliero di gruppo: peculiarità della fattispecie e considerazioni generali

Il primo caso attiene ad una pluralità di procedure di concordato preventivo aperte presso il Tribunale di una città toscana e concernenti una società controllante italiana e tre controllate straniere, due operanti in Francia e la terza in Germania. Tutte le società – cioè, tanto la controllante italiana quanto le controllate straniere – erano operative ed esercitavano un’attività industriale nel settore cartario, ciascuna disponendo di uno stabilimento ubicato nello Stato di sede statutaria e ciascuna impiegando proprie maestranze di ogni livello (operai, quadri e dirigenti) e in numero consistente. Inoltre, ciascuna aveva ottenuto finanziamenti da banche locali, a fronte dei quali erano stati concessi, in alcuni casi, diritti reali di garanzia affini a quelli conosciuti dal diritto italiano, mentre in altri casi il credito della banca finanziatrice era assistito da speciali diritti o prerogative di cui era dubbia l’idoneità a costituire uno specifico diritto reale di garanzia ai sensi dell’art. 5 del Regolamento. Nel caso di specie, tutte le società del gruppo avevano fatto richiesta di ammissione al concordato preventivo di fronte al Tribunale della sede statutaria della capogruppo, sostenendo che tutte – e ciascuna a titolo individuale – avevano il proprio COMI nello stesso luogo in cui era localizzato quello della capogruppo ed avanzando una proposta congiunta e coordinata di concordato, ciascuna con cessione della propria azienda. Il Tribunale accolse tutte le istanze, espressamente motivando, con riferimento a quelle presentate dalle controllate estere, che nel caso di specie «la presunzione di coincidenza del centro degli interessi principali con la sede legale può ritenersi superata dai documenti versati in atti, dai quali emerge: l’accentramento presso la capogruppo delle principali funzioni gestionali; la centralizzazione delle scelte gestionali, delle trattative commerciali, della pianificazione relativa alla produzione, nonché delle decisioni relative agli acquisti principali; la gestione in parte condivisa del personale». Così, per effetto dell’accoglimento di tutte le istanze, furono aperte quattro parallele procedure italiane di concordato preventivo, in tre delle quali il debitore ammesso era una società incontrovertibilmente costituita all’estero e avente il suo oggetto sociale, [continua ..]


5. (Segue). Problemi in tema di trattamento di privilegi, garanzie e vincoli con effetto reale

Anche l’apertura di un procedimento non principale e meramente territoriale in uno Stato Membro diverso da quello in cui è stato aperto un procedimento principale suscita problemi interpretativi che, seppur probabilmente meno gravi sul piano della rilevanza pratica, non sono meno ardui dal punto di vista teorico-ricostruttivo di quelli concernenti l’apertura di un procedimento principale. Tralascio, in questo contesto, la disamina del significato da assegnare alla nozione di “dipendenza” – anch’essa nozione endocomunitaria e meritevole, come il COMI, di interpretazione autonoma. Tralascio, parimenti, la questione se il carattere obbligatoriamente liquidativo di un procedimento non principale sia da accertare alla stregua di criteri uniformi di diritto comunitario, ovvero alla stregua della legge nazionale dello Stato ove è localizzata la dipendenza (non senza accennare, comunque, che, per un verso, la distinzione tra liquidazione e riorganizzazione ha oggi, in qualunque contesto, contorni sempre meno precisi e che, per altro verso, una legge nazionale ben potrebbe valutare come liquidatorio anche un procedimento che si proponga istituzionalmente di salvare e ristrutturare un’azienda del debitore fin quando non siano maturate le condizioni per venderla in blocco nell’interesse dei creditori). Rimanendo nell’ambito dei problemi reali che sono sorti nel caso di specie sin qui evocato, il dato meritevole della più attenta considerazione è l’equilibrio precario che gli organi delle procedure sono riusciti a mantenere sino alla fine tra gli interessi favorevoli alla gestione coordinata delle stesse di fronte al Tribunale italiano e gli interessi di segno opposto, che sarebbero potuti emergere e avrebbero potuto prevalere, in favore dell’attivazione di procedimenti territoriali liquidativi in Francia e/o in Germania. Una prima, evidente, ragione che spiega perché, nel caso di specie, le procedure italiane, tra loro coordinate, non sono state disturbate dall’apertura di procedure non principali in Francia e in Germania è stata la ravvisata pratica preferibilità delle prime alle seconde. È intuitivo che per i lavoratori delle controllate straniere, ma anche per i fornitori delle stesse e più in generale per i creditori interessati alla continuità aziendale più che a un dividendo parafallimentare, sarà [continua ..]


6. Un inedito caso italiano di amministrazione straordinaria congiunta di società controllante italiana e società controllata polacca

L’altro caso inedito su cui mi propongo di riferire non riguarda, a rigore, una procedura di concordato, bensì un’amministrazione straordinaria. Anche l’amministrazione straordinaria, peraltro, rientra a pieno titolo tra le procedure utilizzabili, nel quadro del Regolamento, a fini di riorganizzazione o ristrutturazione transfrontaliera di gruppi e anche l’amministrazione straordinaria ben può chiudersi – e sovente si chiude – con un concordato, che nella sostanza conferma un piano di riorganizzazione. A rigore, anzi, l’amministrazione straordinaria è l’unica fra tutte le procedure italiane di regolazione dell’in­sol­venza che contiene una disciplina espressa e sufficientemente articolata, dedicata alle situazioni di insolvenza di gruppo. In questo senso, non è fuori luogo sottolineare che il nostro ordinamento, a differenza di quelli di molti altri Stati Membri, offre un modello aggiornato e specifico di regolazione dell’insolvenza di gruppo, cui ben potrebbero ispirarsi tanto le altre legislazioni nazionali, quanto la riforma del Regolamento, qualora venissero a cadere le remore che sinora hanno indotto il legislatore comunitario ad astenersi dal prendere in considerazione diretta la disciplina dell’insolvenza al livello dei gruppi. Nel caso di specie, la situazione di difficoltà colpiva una società italiana, con attività, stabilimenti e maestranze in Italia, e una società polacca, il cui capitale era detenuto al 100% dalla predetta società italiana e la cui attività, nonché stabilimenti e maestranze erano localizzate in Polonia. Negli atti difensivi e nelle decisioni di ammissione alla procedura non si dà rilievo (correttamente, a mio avviso) ad una ulteriore circostanza, che pure è menzionata nelle difese, cioè che il capitale della società italiana era totalitariamente detenuto da una “holding” pura polacca. Anche in questo caso il perno dell’iniziativa assunta per richiedere l’ammissione di entrambe le società all’amministrazione straordinaria ai sensi della legge 8 luglio 1999, n. 270 (“Legge Prodi”) è l’allegazione che il COMI di entrambe è in Italia. A questo fine, particolare rilevanza viene assegnata alla circostanza che gli stabilimenti aperti in Polonia dalla società polacca erano la [continua ..]


7. Considerazioni conclusive

Le conclusioni ricavabili dall’analisi sin qui svolta sono profondamente diverse a seconda che ci si ponga sul piano del dover essere voluto dalla legge ovvero sul piano dei risultati pratici che la legge produce; per dirla con il linguaggio dei giuristi statunitensi, a seconda che si guardi alla law in the books ovvero alla law in action. Per la law in the books, l’autonomia privata è per definizione priva del potere di incidere sulle scelte fatte dal legislatore europeo nel Regolamento: ciò vale tanto per le scelte in punto di foro, cioè con riguardo ai criteri di ripartizione della giurisdizione, quanto per le scelte in punto di legge, cioè con riguardo alle regole di conflitto relative alla legge applicabile (rectius, leggi applicabili) ai diversi procedimenti di insolvenza (principali e non), tutte connotate da imperatività e inderogabilità. È palese il senso di queste scelte: i valori e i principi su cui si fonda la regolazione dell’in­solvenza sono, almeno in astratto, radicalmente diversi da quelli riscontrabili nella maggior parte degli altri settori del così detto spazio giuridico comune europeo, per i quali valgono, invece, notoriamente orientamenti di segno opposto: fondati, cioè, sull’aperto riconoscimento della libertà di fissazione convenzionale del foro (proroga di competenza ai sensi dell’art. 17 della Convenzione di Bruxelles del 1968 e dell’art. 23 Regolamento CE 44/2001), come pure della libertà di scelta della legge applicabile (art. 3 Convenzione di Roma del 1980 e art. 3 Regolamento CE 593/2008). La law in action, tuttavia, si discosta non poco da ciò che dovrebbe accadere in base alla law in the books. È vero che ciò avviene senza che i privati e i giudici dichiarino apertamente un intento di disapplicazione dei principi posti dal Regolamento ed anzi rendendo loro lip hommage, cioè omaggio formale con le labbra o a parole. Tuttavia, la realtà è quella che è stata tratteggiata nell’esposizione che precede: al di là della eterogeneità e, non di rado, della scarsa cogenza giuridica delle ragioni addotte per attribuire rilevanza a certi asseriti fattori di localizzazione, balza agli occhi che la giurisprudenza pratica in diversi Stati Membri (e l’Italia non fa certo eccezione, come si è visto) [continua ..]


NOTE