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1. Perimetrazione del tema - 2. I 'coefficienti di personalizzazione' - 3. Alterazione statutaria della proporzionalità fra conferimento e partecipazione - 4. Alterazione statutaria della proporzionalità fra quota di partecipazione e diritti sociali: (i) i particolari diritti riguardanti l'amministrazione della società - 5. Alterazione statutaria della proporzionalità fra quota di partecipazione e diritti sociali: (ii) i particolari diritti riguardanti la distribuzione degli utili - 6. Alterazione statutaria della proporzionalità fra quota di partecipazione e diritti sociali: (iii) altri particolari diritti? 'Quote artigiane'? - 7. Alterazione parasociale della proporzionalità fra quota di partecipazione e diritti sociali
Occuparsi dei rapporti intercorrenti, de iure condito, fra disciplina della s.r.l. e legislazione sull’artigianato, stimola oggi ad interrogarsi più sulle novità (se ancora possono dirsi tali) derivanti dalla riforma della prima, che non sulle ragioni che a suo tempo portarono la seconda – piaccia o meno – a ritenere il tipo della s.r.l. (unipersonale prima e pluripersonale poi) appropriato per l’esercizio collettivo dell’impresa artigiana. Quel che piuttosto può interessare, almeno dal punto di vista empirico, è che verso una tale apertura il Mercato ha mostrato apprezzamento, se è vero che negli ultimi anni si è assistito ad un crescente utilizzo della s.r.l. per l’esercizio delle imprese artigiane. Se quindi c’è «domanda» verso la s.r.l. artigiana, può essere di qualche interesse evidenziare quali nuove opportunità di favorirne costituzione e persistenza offre la recente riforma del diritto societario. Questo essendo il senso delle seguenti riflessioni, occorre poi perimetrarne l’ambito. Parlando di «s.r.l. artigiana» non ci si riferirà qui ad una s.r.l. che meriti indiscutibilmente di essere qualificata «artigiana» ad ogni effetto di legge, e quindi anche e soprattutto per gli effetti che la giurisprudenza pratica ricollega al possesso dei requisiti costitutivi della piccola impresa artigiana in senso civilistico. Si parla soltanto, invece, di una s.r.l. che secondo la legge quadro sull’artigianato (legge 8 agosto 1985, n. 443, d’ora in avanti anche: «legge quadro») sia in condizione di accedere all’iscrizione nell’Albo delle imprese artigiane per beneficiare delle agevolazioni a cui tale iscrizione, costitutivamente, dà accesso. Inoltre – ed è altra avvertenza preliminare che serve a circoscrivere l’ambito del discorso – il tema qui trattato da una parte induce ad emarginare il tema della s.r.l. unipersonale, che non sembra coinvolgere direttamente il tema della personalizzazione della quota; e dall’altro consente di schivare l’analisi, per la verità tutt’altro che semplice, di quei requisiti di «artigianalità» che, secondo la legge quadro, hanno a che vedere con i fattori e le caratteristiche del processo produttivo, che come tali esistono e vanno accertati sul [continua ..]
Col tema dell’autonomia statutaria hanno invece a che vedere due altri requisiti espressamente previsti dal citato art. 5, 3° comma, legge quadro: la necessità che i soci che prestano il proprio prevalente lavoro nel processo produttivo (diciamo i «soci artigiani») detengano la «maggioranza del capitale sociale»; nonché poi «la maggioranza degli organi deliberanti della società». Certo, anche l’accertamento della sussistenza di tali requisiti dipenderà da un’indagine in fatto, qual è quella volta ad identificare, a monte, chi possa definirsi «socio artigiano». Ma è anche evidente che in tal caso una conclusione non potrà trarsi se non apprezzando la posizione che quei soci rivestono nella società a stregua delle disposizioni statutarie. In ogni caso, comunque, la circostanza che anche tali requisiti dipendano, oltre che da ciò che sta scritto nell’atto costitutivo, ancor prima dalla mutevole realtà extrastatutaria, conduce ad escludere (un po’ come per alcuni può ritenersi rispetto alla s.p.a. quotata) che la «s.r.l. artigiana» sia un tipo societario a sé stante, ben potendo una s.r.l. guadagnare, perdere e riguadagnare la qualifica di artigiana senza che il suo statuto necessiti della minima modifica. Il che comunque non esclude che l’autonomia statutaria possa sentire il bisogno di occuparsi di tali eventualità, per prevenirle o rimediarvi. In definitiva, quindi, occorrerà occuparsi essenzialmente – nella prospettiva dell’autonomia statutaria della s.r.l. artigiana – delle previsioni statutarie in grado di condizionare l’esserci o non dei requisiti che esigono la detenzione, da parte dei soci artigiani, della «maggioranza del capitale» e della «maggioranza degli organi sociali». Per restare nel campo dei «coefficienti di personalizzazione della quota», inoltre, la riflessione dovrà limitarsi a studiare come un tale condizionamento possa realizzarsi avvalendosi, principalmente, di due facoltà che la nuova disciplina della s.r.l. ha concesso all’autonomia statutaria nel conformare, «personalizzandola», la partecipazione del socio in deroga alle regole dispositive: la possibilità di riconoscere ai soci una quota di partecipazione non [continua ..]
Fra i traguardi maggiormente conclamati della riforma della s.r.l. e delle società di capitali in genere, v’è – come noto – la possibilità per l’atto costitutivo di prevedere che «le partecipazioni dei soci [siano] determinate in misura [non] proporzionale al conferimento». E ciò proprio allo scopo di far sì che le partecipazioni attribuite ai soci possano essere piuttosto proporzionate al valore convenzionalmente attribuito al contributo (anche d’opera) di ciascun socio al successo dell’affare sociale, anziché al valore imputabile al capitale sociale. A questo riguardo il principale interrogativo che può porsi rispetto alla s.r.l. artigiana concerne il requisito della detenzione della «maggioranza del capitale» da parte dei soci artigiani; e riguarda le ipotesi in cui essi abbiano complessivamente conferito meno di quanto serva a liberare la metà del capitale sociale, ottenendo però quote complessivamente superiori al 50%; ovvero, viceversa, abbiano conferito più di quanto serva a liberare la metà del capitale sociale, ma abbiano poi ottenuto quote complessivamente espressive di meno del 50%. Si tratta quindi di stabilire se il requisito della «maggioranza del capitale», oggi, debba concettualmente riferirsi alla «maggioranza dei conferimenti che hanno formato il capitale» ovvero alla «maggioranza delle quote attribuite». Se insomma, quando non ci sia proporzione, conti più l’investimento o il potere organizzativo che ne deriva. Non v’è dubbio che, letteralmente, l’espressione «detenzione della maggioranza del capitale» induca più a pensare all’assetto che deriva dal concluso atto costitutivo (e quindi alla maggioranza delle quote attribuite) che non alla vicenda attributiva che ne ha condizionato la conclusione (e quindi alla maggioranza dei conferimenti). Tuttavia qualche dubbio potrebbe legittimarsi per un paio di ragioni capaci di propiziare, funzionalmente, anche una diversa interpretazione: (i) essendo stato previsto il requisito dalla detenzione della «maggioranza del capitale» da parte dei soci artigiani in un momento (2001) in cui la quota attribuita ai soci era necessariamente proporzionata al conferimento, ed in cui l’obiettivo [continua ..]
Come che sia determinata la quota di partecipazione attribuita al socio (proporzionale o non, cioè, al conferimento effettuato) una sua «personalizzazione» è poi possibile – come noto – ad un secondo livello, riconoscendo a singoli soci «particolari» diritti sociali. Interessa poco, in questa sede, stabilire se l’attribuzione di questi particolari diritti rappresenti una vera a propria deroga al normale principio di proporzionalità stabilito fra quota e diritti sociali, ovvero se il principio possa ritenersi intatto considerando i particolari come contrattualmente riconosciuti – per così dire – «in aggiunta» alla quota, su un piano più individuale che corporativo; se insomma i diritti debbano considerarsi «dentro» o «fuori» la quota oggettivamente intesa (e quindi se siano suscettibili, o non, di circolare con essa). Interessa poco, dicevo, non perché si tratti di una questione di mero gusto ricostruttivo, ma perché è questione che concretamente emerge solo nell’ambito delle dinamiche circolatorie della quota, e non invece quando si tratti di stabilire la misura dei diritti sociali attualmente spettanti ai diversi soci secondo l’atto costitutivo. È su questo piano – statico – che piuttosto interessa verificare l’interazione fra i particolari diritti, e in special modo quelli «riguardanti l’amministrazione della società», e l’altro dei suaccennati requisiti al cui ricorrere la legge condiziona il riconoscimento della qualifica artigiana della società, e cioè la «detenzione della maggioranza degli organi deliberanti». (A) Quanto alla maggioranza nell’organo assembleare o, più in generale, nell’àmbito delle decisioni dei soci – come che esse siano adottate – ho già espresso prima – e lo ripeto ora pur senza dettagliata motivazione – la mia personale opinione secondo cui in nessun caso il principio di proporzionalità fra quota e diritto di voto sarebbe alterabile: sia perché mi pare inderogabile, almeno nel suo tenore, la disposizione (art. 2479, 5° comma, c.c.) che prevede che «ogni socio ha diritto di partecipare alle decisioni, e il suo voto vale in misura proporzionale alla sua partecipazione» (diversamente [continua ..]
Poco interessano invece, nella prospettiva del conseguimento o non della qualifica artigiana, i diritti particolari attribuibili a specifici soci in materia di «distribuzione degli utili». Posto però che, come detto in premessa, il senso di queste riflessioni è quello di indagare non solo le opportunità di conseguimento e mantenimento della qualifica artigiana di una s.r.l. ma, ancor più a monte, quelle che ne possano agevolare la costituzione, può qui valere segnalare una qualche opportunità insita nella possibilità di attribuire ai soci particolari diritti inerenti alla distribuzione degli utili. Ebbene, se è vero che il socio artigiano svolge la sua prevalente attività lavorativa nell’impresa della società cui partecipa, è anche vero – come noto – che egli avverte una particolare esigenza di stabilità della remunerazione dell’attività lavorativa prestata; e che quindi poter sovvenire a questa esigenza significa incoraggiare la stessa costituzione di imprese artigiane. È allora da ritenersi, in questa prospettiva, che fra i diritti particolari riguardanti la distribuzione degli utili possa ricomprendersi quello a percepire ad ogni esercizio (senza cioè che se ne possa rinviare la distribuzione) la propria parte di dividendi, o quantomeno una minima parte di essi. Può anche osservarsi, inoltre, che, assicurandosi così una certa stabilità della remunerazione dell’attività lavorativa del socio (che fiscalmente rappresenta reddito da partecipazione), anche dal punto di vista della tassazione dei redditi costui potrà meglio organizzare il suo rapporto con l’Erario. Ovviamente, poi, la percezione degli utili assicurata al socio artigiano potrebbe ben essere, oltre che regolarizzata nel tempo, anche incrementata rispetto a quanto gli toccherebbe in proporzione alla quota. Esclusa, per contrarietà a norme imperative, mi sembrerebbe invece la possibilità di garantire statutariamente al socio un dividendo «fisso» a prescindere da un utile distribuibile; e però non esclusa, viceversa, la possibilità di rendere comunque fissa, in via parasociale (anche riqualificando come tale, nella prospettiva dei rapporti contrattuali fra soci, una clausola statutaria come tale nulla), la sua remunerazione, [continua ..]
Al di là dei particolari diritti espressamente previsti dall’art. 2468, 2° comma, c.c., si prospetta poi la possibilità – a dire di alcuni – che la partecipazione sociale possa essere ulteriormente «arricchita» attribuendo a singoli soci «altri» diritti particolari; rispetto ai quali, quindi, quelli «nominati» rivelerebbero valenza meramente esemplificativa, ma non certo esclusiva, nella prospettiva di un’autonomia statutaria tanto ampia quanto può esserlo quella definita dal principio per cui «è tutto lecito quel che non è espressamente proibito». Il tema meriterebbe di per sé un’autonoma trattazione, che non può certo essere svolta in questa sede. Vale però la pena di segnalare di quali altri particolari diritti s’è talora parlato, per poi porre una questione più generale sulle quote così personalizzate. Si è parlato così della possibilità di prevedere particolari diritti di opzione su futuri aumenti di capitale, di diritti di prelazione o addirittura di riscatto sulle altrui quote. Non v’è dubbio che ammettendosi – come a me per vero parrebbe dubbio – tali ulteriori prerogative per i soli soci artigiani, la possibilità di assicurare, nel tempo, la conservazione dei requisiti di artigianalità, ne risulterebbe incrementata; ovvero compromessa, quando quei particolari diritti venissero attribuiti a soci di (mero) capitale. Anche la di là di ciò, poi, una qualche forma di personalizzazione della quota potrebbe derivare dall’attribuzione di un’espressa rilevanza statutaria dell’artigianalità del socio in funzione di vicende che potrebbero riguardare la sua quota. Ad esempio: specifiche cause di esclusione concernenti i soli soci artigiani; specifiche cause di recesso concernenti i soli soci artigiani. Ovvero, più in generale, il riconoscimento di particolari diritti – nominati o non – a tutti i soci artigiani. Non v’è dubbio che clausole del genere sfiorerebbero «pericolosamente» il divieto (almeno per chi lo ritiene tale) di configurare statutariamente categorie speciali di quote. Eppure, non è detto che lo infrangano necessariamente, nella misura in cui la [continua ..]