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L’art. 34 del decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5, regola un modello di arbitrato che trova applicazione per tutte le società commerciali, ivi comprese le società di persone.
È, altresì, da ritenere che la norma prevede un istituto che si aggiunge ma non si sostituisce a quello tradizionale previsto e regolamentato dal codice di procedura civile agli artt. 806 e segg., per cui è lasciato alle società, nell’esplicazione della propria autonomia contrattuale, di scegliere il tipo da adottare nella risoluzione delle controversie sociali.
Pertanto nella redazione delle clausole compromissorie si ritiene opportuno che il notaio, dopo avere indagato le volontà delle parti, faccia riferimento alle norme che sovrintendono alla tipologia di arbitrato scelto dalle parti.
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1. La fattispecie ed il quesito - 2. La soluzione - 3. La motivazione: l'ambito di applicabilità - 4. Segue: la compatibilità del nuovo arbitrato con quello di diritto comune - 5. Clausole suggerite - NOTE
Il 1° gennaio 2004 è entrata in vigore la riforma del diritto societario con i decreti legislativi nn. 5 e 6 del 17 gennaio 2003. In particolare il decreto legislativo n. 5, che ha disegnato nuove norme per il processo societario, ha introdotto particolari disposizioni in tema di arbitrato, alla luce della previsione contenuta all’art. 12, comma 3, della legge delega 3 ottobre 2001, n. 366, che aveva espressamente previsto “la possibilità che gli statuti delle società commerciali contengano clausole compromissorie, anche in deroga agli artt. 806 e 808 del codice di procedura civile, per tutte o alcune tra le controversie societarie di cui al comma 1”. In precedenza l’arbitrato societario non conosceva una propria autonoma disciplina. Tuttavia la clausola compromissoria era molto spesso presente all’interno degli statuti societari indipendentemente dal tipo giuridico di società prescelto: con essa era rimessa alla cognizione degli arbitri, rituali o irrituali, la definizione di determinate contese sorte fra le società ed i soci. Il comma 2 dell’art. 34 ha introdotto una nuova disciplina laddove prevede che la clausola compromissoria statutaria debba prevedere numero e modalità di nomina degli arbitri, conferendo in ogni caso, a pena di nullità, il potere di nomina di tutti gli arbitri ad un soggetto estraneo alla società. Ove tale soggetto non provveda, la nomina deve essere richiesta al Presidente del Tribunale del luogo in cui vi è la sede legale della società. È stata introdotta, dunque, una modalità di designazione degli arbitri chiamati a dirimere una controversia in materia societaria totalmente innovativa per il nostro sistema, sottraendola alle parti contendenti ed affidandola in via del tutto inderogabile ad un terzo, che assume il ruolo di filtro neutrale tra le parti e gli arbitri. Si è preferito improntare il nuovo sistema al rafforzamento dell’imparzialità e dell’indipendenza degli arbitri sacrificando l’autonomia, il principio della libera partecipazione delle parti alla nomina dei componenti del collegio arbitrale. La nuova normativa, tuttavia, contrariamente all’ottica di esemplificazione delle controversie commerciali che il legislatore intendeva incentivare e potenziare, ha aumentato i dubbi dello scenario interpretativo ponendo una serie di [continua ..]
a) Quanto al primo quesito la dottrina prevalente è concorde nel ritenere certamente comprese nella norma sia le società di capitali che le società di persone. Il riferimento all’atto costitutivo deve essere, poi, inteso in senso ampio, comprensivo, quindi, anche dello statuto sociale e non esclusivamente come “momento costitutivo della società”. Lo statuto che com’è noto, contiene le norme relative al funzionamento delle società, pur potendo formare oggetto di atto separato, deve infatti essere considerato parte integrante dello stesso atto costitutivo. Ciò si ritiene sufficiente per impedire ogni interpretazione in chiave restrittiva del dettato normativo, dovendosene, al contrario, preferire una lettura ampia [4]. b) Con riferimento al secondo, si ritiene di poter sostenere l’opinione, al momento prevalente, di quella dottrina e della più recente giurisprudenza di merito secondo cui la disciplina dell’arbitrato societario, così come regolamentato dal titolo V del d.lgs. n. 5/2003, si affianchi alla disciplina di diritto comune (art. 806 e segg. c.p.c.), non sostituendo quest’ultima, bensì aggiungendosi ad essa: non vi sarebbe alcuna esclusività del nuovo modello, né sarebbero riscontrabili indici testuali in tal senso. Da ciò deriverebbe la validità ed efficacia delle clausole compromissorie contenute in statuti o atti costitutivi risalenti a data anteriore all’entrata in vigore del citato decreto legislativo.
Circa l’ambito di applicabilità, l’art. 34 del d.lgs. n. 5/2003 prevede e disciplina la possibilità di inserimento delle clausole arbitrali negli atti costitutivi di tutte le società, senza distinzione di tipo, con l’unica eccezione per le società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio. A questo si aggiunga che, per espressa previsione normativa contenuta all’art. 1 del decreto in parola, l’ambito di applicazione della nuova disciplina del processo societario, si estende a tutti “i rapporti societari, ivi compresi quelli concernente le società di fatto, l’accertamento, la costituzione, la modificazione o l’estinzione di un rapporto societario, le azioni di responsabilità da chiunque promosse contro gli organi amministrativi e di controllo, i liquidatori e i direttori generali delle società, delle mutue assicuratrici e delle società cooperative”. Ciò ha fatto ritenere a quella parte della dottrina [5] e della giurisprudenza [6], che hanno affrontato in maniera esplicita il problema, che la nuova disciplina processuale trova applicazione anche alle società di persone e, quindi, le sue disposizioni vanno ad incidere non soltanto sui tipi societari oggetto dell’intervento riformatore nell’ambito delle società di capitali e cooperative, ma su tutti i tipi previsti dal nostro codice civile. E non solo: da alcuni si è ritenuto [7] che avendo voluto estendere l’ambito di applicazione della nuova disciplina a tutte le società, il legislatore delegato abbia compreso tra queste anche le società semplici, salvo che si sollevi una questione di legittimità costituzionale per eccesso di delega. Ma è sicuramente prevalente l’opinione di chi ritiene che la dizione legislativa debba essere intesa in senso restrittivo, limitando l’applicazione della nuova disciplina arbitrale alle sole società commerciali, alla luce della previsione contenuta all’art. 12, comma 3, della legge delega n. 366 del 2001. [8]
La questione si inserisce nel panorama dottrinale e giurisprudenziale sviluppatosi all’indomani dell’entrata in vigore della c. d. riforma del diritto e del processo societario all’interno del quale non sono mancate voci assai discordanti tra loro soprattutto in ragione del fatto che sia le nuove norme sia la relazione illustrativa al d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 5 non brillano certo per chiarezza. Un primo orientamento ritiene il nuovo arbitrato societario un modello esclusivo. Se è indiscutibile che in seguito al d.lgs. n. 5/2003 coesistano due discipline dell’arbitrato, quella generale del codice di rito e quella speciale della riforma, è altrettanto vero che però ciò non implica una libertà di scelta circa la disciplina da applicare. In base a tale orientamento, quindi, l’unico arbitrato “societario” (nei limiti di quanto previsto dall’art. 34 del d.lgs. n. 5/2003) che può essere validamente presente negli statuti delle società costituite precedentemente e successivamente al 1° gennaio 2004 sarebbe quello che prevede la nomina del collegio arbitrale riservata a un soggetto “estraneo” alla società. Di qui la nullità dell’intera clausola compromissoria che non riservasse (com’è invece nella prassi statutaria) la nomina dell’organo giudicante ad un soggetto estraneo alla società [9]. Le ragioni addotte a sostegno della tesi della nullità radicale trarrebbero fondamento in primo luogo dalla lettera dell’art. 34, comma 2°, del d.lgs. n. 5/2003 [10]. In secondo luogo dalla la relazione ministeriale al d.lgs. n. 5/2003 che ha precisato come il testo normativo contribuisca alla “creazione di una nuova species arbitrale che si sviluppa senza pretesa di sostituire il modello codicistico … comprendendo numerose opzioni di rango processuale … che appaiono assolutamente funzionali alla promozione della cultura dell’arbitrato endosocietario”. Ciò non significa però che si può scegliere, in materia societaria, tra l’una e l’altra species, tra l’uno e l’altro sistema di nomina, bensì che in ogni singolo nuovo arbitrato vi è la compresenza di un doppio strato normativo: un primo generale, costituito dalla disciplina comune codicistica e un secondo speciale che si aggiunge a [continua ..]
In considerazione dell’orientamento suggerito, al solo scopo di fornire una compiuta documentazione, l’Osservatorio ritiene di poter suggerire i seguenti modelli di clausole compromissorie ove risulta esplicitata la normativa di riferimento: a) Clausola ex articolo 34 d.lgs. n. 5/2003 “In conformità al disposto dell’art. 34 del D.Lgs. n. 5/2003 volendo fruire della particolare disciplina procedimentale del c.d. ‘arbitrato endosocietario’, le controversie che potessero insorgere fra la Società ed i soci, gli amministratori ed i liquidatori, nonché fra i singoli soci, in dipendenza del presente atto, ad eccezione di quelle che in genere non possono costituire oggetto di clausola compromissoria, saranno risolte da un Collegio Arbitrale composto di tanti membri quante sono le parti in contesa più uno, e comunque in numero dispari, nominati dal Presidente del Tribunale ove ha sede la Società. Gliarbitri così nominati designeranno il Presidente del collegio arbitrale. La sede del collegio arbitrale sarà presso il domicilio del Presidente del collegio arbitrale. Il collegio arbitrale dovrà decidere entro centoventi (120) giorni dalla nomina, ‘ex bono et aequo’ e senza formalità di procedura, salvo quanto disposto dall’art. 36. Il collegio arbitrale determinerà anche come ripartire le spese dell’arbitrato tra le parti. Per quanto non previsto, si applicano le disposizioni del decreto legislativo 17 gennaio 2003 n. 5. La soppressione ovvero le modifiche della presente clausola compromissoria devono essere approvate con delibera dei soci con la maggioranza di almeno i due terzi del capitale sociale”. b) Clausola di diritto comune ex artt. 806 e segg. c.p.c. “Le parti espressamente convengono di utilizzare la procedura di arbitrato di diritto comune disciplinata dagli artt. 806 e segg. c.p.c. e pertanto qualunque controversia sorgesse tra i soci o tra di essi e la società in merito all’interpretazione e all’applicazione delle norme del presente atto, sarà devoluta a un Collegio Arbitrale composto di tre arbitri, i primi due nominati uno da ciascuna parte in causa e il terzo dai primi due o, in caso di disaccordo, dal “Presidente del Tribunale o Presidente della Camera di Commercio ove ha sede la Società” che provvederà per la parte [continua ..]