Rivista di Diritto SocietarioISSN 1972-9243 / EISSN 2421-7166
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La neutralità della fusione rispetto al divieto statutario di trasferimento delle partecipazioni sociali (nota a Trib. Milano, ord., 17 ottobre 2008) (di Mauro Cannavò)


TRIBUNALE DI MILANO, 17 ottobre 2008 (ord.) – Fiecconi Giudice – Olicar s.p.a. (Avv. Allora Abbondi) c. Vimercate Salute s.p.a. (Avv. Giammarrusto)

Società – Fusione – Circolazione delle partecipazioni – Clausola di prelazione

(Art. 2504-bis c.c.)

Il legislatore, novellando il disposto dell’art. 2504-bis c.c. in tema di effetti della fusione, ha evidenziato con chiarezza terminologica inequivocabile come l’elemento della continuità caratterizzi tutte le operazioni straordinarie, senza che sia possibile riscontrare, sul piano giuridico, alcuna frattura che possa indurre a ravvisare un fenomeno successorio. Ragionando alla luce della normativa vigente, è evidente come la fusione della società rappresenti una vicenda che nulla ha a che fare con la successione ad un soggetto estinto e non è diretta alla definizione dei rapporti sociali, né al relativo loro trasferimento. In virtù di quanto sopra affermato, con riguardo alle operazioni di fusione ogni riferimento al fenomeno di trasferimento o di successione di partecipazioni risulta fuorviante (1).

(omissis)

Il tribunale, a scioglimento della riserva assunta in data 14.10.2008, osserva quanto segue: La società ricorrente è socia di una società per azioni di progetto (Vimercate Salute s.p.a.) costituita ai sensi dell’articolo 37 quinquies della legge 109/94, ora art. 156 del decreto legislativo 163-2006, della quale detiene una quota del 7% del capitale sociale. Riferisce di aver concorso in modo determinante alla formazione dei requisiti di qualificazione richiesti nel bando di concorso per l’aggiudicazione di un appalto pubblico indetto ai fini della realizzazione del nuovo complesso ospedaliero di Vimercate. Sostiene di avere deciso, durante l’esecuzione del contratto stipulato con la stazione appaltante dalla società di progetto, di fondersi per incorporazione nella sua azionista unica (srl) la quale, in seguito alla fusione per incorporazione, si è trasformata in società per azioni e ha mutato la propria denominazione sociale assumendo l’attuale denominazione di Olicar S.p.A, con delibere ritualmente pubblicate nei registri delle imprese. Assume altresì che l’intervenuta fusione veniva comunicata alla società di progetto al fine di ottenere la relativa annotazione al libro soci e che quest’ultima, in persona dei suoi amministratori, si rifiutava di espletare detta formalità di rito, avendo ritenuto di dover invece dare impulso alla procedura di prelazione prevista dallo statuto nel caso di trasferimenti di azioni sul presupposto che fosse stato correttamente esercitato il diritto di prelazione di acquisto della quota della società incorporata comunicato dagli altri soci della società. La società ricorrente si duole di non aver potuto così partecipare all’assemblea dei soci indetta per l’approvazione del bilancio di esercizio chiuso al 31 dicembre 2007 e pertanto chiede tutela in via d’urgenza dei propri diritti di socio ex articolo 700 c.p.c., ritenendo che non vi siano i presupposti per l’esercizio del diritto di prelazione. In particolare chiede al tribunale che venga ordinato alla società di progetto di provvedere all’immediata iscrizione al libro soci della società risultante dalla fusione, subentrata in tutti i rapporti giuridici già facenti capo alla società incorporata. A supporto della sua tesi, la ricorrente richiama quanto disposto dall’articolo 116 del codice dei contratti pubblici, in forza del quale le operazioni di fusione non hanno efficacia invalidante il contratto di appalto se in capo al nuovo soggetto permangono i requisiti per la qualificazione: in particolare afferma di avere mantenuto detti requisiti e le garanzie fideiussorie prestate, posto che la fusione per incorporazione ha determinato un rafforzamento finanziario della società incorporata.

La società resistente, costituitasi in giudizio, esclude ogni rilevanza di quanto indicato nelle norme che regolano i contratti di appalto nel caso concreto, poiché il riconoscimento tout court delle operazioni di fusione contrasterebbe con il contenuto delle clausole statutarie che limitano nella fase di esecuzione dell’appalto la circolazione delle partecipazioni. Detto effetto sarebbe infatti impedito da quanto espresso nell’articolo 8 dello statuto della società, in base al quale 1) ai sensi dell’articolo 37 quinquies comma 1 ter della legge 109-1994, le imprese che hanno concorso a formare i requisiti di qualificazione non possono trasferire le loro azioni se non a seguito dell’emissione del certificato di collaudo da parte della stazione appaltante... 2) nei casi in cui sia consentito alienare le azioni ai sensi del precedente comma, la cessione delle azioni è subordinata al rispetto delle prescrizioni in tema di circolazione poste dall’articolo 2355 c.c., all’esercizio del diritto di prelazione da parte dei soci e al gradimento del consiglio di amministrazione così come indicato dalle successive disposizioni 3) ai fini dello statuto è considerato trasferimento qualsiasi negozio in forza del quale derivi il mutamento della titolarità delle azioni o di diritti di opzione sulle azioni, ivi compreso il trasferimento che intervenga nell’ambito di cessione o conferimento di azienda, fusione e scissione. La resistente si oppone all’iscrizione sul libro soci ritenendo, da un lato, che la società ricorrente non rientri tra le imprese che hanno concorso a formare i requisiti di qualificazione per l’aggiudicazione dell’appalto e che, pertanto, per lei non valga divieto assoluto di alienazione e, dal­l’altro, che la società ricorrente abbia operato il trasferimento della sua partecipazione alla società incorporante in violazione del diritto di prelazione, previsto nello statuto nel caso in cui la circolazione sia consentita. Sostiene inoltre che il comportamento tenuto dalla socia si ponga in aperta violazione delle disposizioni di cui all’art. 6.2 del contratto di concessione, stipulato con la stazione appaltante, nella parte in cui esso prevede, in caso di trasferimento delle partecipazioni della società di progetto, la preventiva comunicazione per iscritto al concedente almeno 30 giorni prima della data prevista per il trasferimento, nonché l’espresso assenso del concedente al trasferimento comunicato. Deduce infine che la fusione ha determinato un’evidente discrasia in relazione al contratto di finanziamento stipulato con la stazione appaltante con previsione di garanzia a carico di ciascun socio ed avente ad oggetto l’intero capitale sociale, essendo intervenuta la fusione senza alcuna preventiva informativa alla società di progetto e agli istituti finanziatori e in carenza di predisposizione di quei meccanismi di adeguamento e di subentro previsti dal contratto di finanziamento e dagli accordi ad esso collegati proprio al fine di evitare una riduzione delle garanzie.

Parte ricorrente, di contro, ritiene di dover essere annoverata tra le imprese che hanno concorso a integrare i requisiti di qualificazione per l’aggiudicazione del contratto di appalto e, pertanto, di poter usufruire della deroga al divieto di trasferimento prevista in caso di fusione, ricavabile dal richiamo della norma generale che regola i contratti pubblici di appalto, contenuto nell’art. 8.1. Il giudice alla luce di quanto sopra dedotto in fatto in diritto osserva quanto segue. La fattispecie in esame deve essere considerata alla luce di quanto disposto dal novellato articolo 2504 bis c.c., nel quale si stabilisce che “la società che risulta dalla fusione o quella incorporante assume i diritti e gli obblighi delle società partecipanti alla fusione, proseguendo in tutti i loro rapporti, anche processuali, anteriori alla fusione”. Il legislatore, novellando il vecchio disposto in tema di fusione, ha evidenziato, con chiarezza terminologica inequivocabile, l’elemento della continuità che segna in modo costante tutte le operazioni straordinarie – fusione, scissione e trasformazione – e che lega, senza soluzione di continuità, il soggetto di diritto che vi partecipa dal suo stadio iniziale a quello di metamorfosi finale, senza che sia possibile riscontrare, sul piano giuridico, alcuna frattura che possa indurre l’interprete a ravvisare un fenomeno successorio, come è avvenuto in passato in forza della vecchia disposizione che menzionava l’effetto estintivo della fusione sulla società incorporata.

Già solo ragionando alla luce della normativa vigente si rende evidente come la fusione della società, al pari della trasformazione, rappresenta una vicenda che nulla ha a che fare con la successione ad un soggetto estinto e non è diretta alla definizione dei rapporti sociali, né al relativo loro trasferimento, quanto piuttosto alla prosecuzione degli stessi sotto una diversa organizzazione e forma, l’incor­porata sopravvivendo in tutti i rapporti nella società incorporante o in quella risultante dalla fusione. Questo assunto, per quanto riguarda gli effetti processuali, è stato direttamente ripreso dalle Sezioni Unite della Cassazione, nella sentenza n. 2637/2006, con la quale si è definitivamente sancito che la fusione fra società non comporta l’estinzione di un soggetto e la correlativa creazione di un diverso soggetto, ma si risolve in una vicenda meramente evolutiva-modificativa dello stesso soggetto, che conserva la propria identità, e non determina pertanto la perdita della capacità processuale della società incorporata né, quindi l’interru­zione del processo ai sensi dell’articolo 300 c.p.c.

Non trattandosi più quindi di una vicenda successoria, il richiamo ai divieti di trasferimento o alle limitazioni di trasferimento delle azioni in conseguenza della fusione contenuto nella clausola statutaria non può concettualmente essere applicato al caso in cui la società detentrice delle azioni si sia trasformata o sia stata incorporata. Infatti, come in conseguenza della fusione non vi è formazione di un nuovo contratto sociale, non vi può neppure essere alcun trasferimento della qualità di socio al suo interno, perché ciascun socio conserva la qualità di parte del contratto e dell’organizzazione così unificata; né, a maggior ragione, può esservi trasferimento di beni dalle società partecipanti al progetto di fusione a quella risultante dalla fusione, ma solo la conservazione della proprietà di essi in capo al soggetto unificato e trasformato. Si ritiene pertanto che la lettura della norma statutaria che impone il divieto di circolazione delle azioni anche in caso di fusione debba essere interpretato e applicato alla luce dei principi sopra enunciati, i quali non possono portare ad applicazioni che tradiscono in radice i principi affermati in tema di fenomeni di trasformazione dell’organizzazione societaria. Un’interpre­ta­zione diversa, come quella proposta dalla resistente che vede nella fusione un fenomeno successorio che darebbe adito all’esercizio dei diritti di prelazione dei soci sulle partecipazioni “trasferite” nella nuova società, porterebbe alla conseguenza assurda di dovere ritenere estinto un socio tuttora vivente sotto altra forma e di dover riconoscere diritti di acquisizione della sua quota pur in assenza di un negozio di trasferimento. Né si può ritenere che affermando questo principio si arrivi a snaturare lo spirito della norma statutaria di mantenere coeso il gruppo di soci partecipanti alla gara di appalto per tutta la durata dell’ap­pal­to, poiché di fatto i soci della società di progetto si trovano oggi a dovere interloquire con lo stesso soggetto di allora, anche se geneticamente modificato.

Alla luce di quanto sopra osservato si ritiene, con i limiti di ogni valutazione svolta in fase di cognizione sommaria dei fatti di causa, che la clausola statutaria richiamata a sostegno degli argomenti difensivi della resistente non possa validamente regolare il caso di specie, sul presupposto che ogni riferimento al fenomeno di trasferimento o di successione di partecipazioni risulta fuorviante con riguardo alla fusione operata. La società di progetto, infatti, ha nella sua compagine lo stesso socio (società) che ha preso parte alla gara di appalto e che, pur avendo cambiato organizzazione e forma, afferma di avere mantenuto i medesimi requisiti di qualificazione e garanzie. La normativa sugli appalti pubblici non impedisce in generale le cessioni di azienda e gli atti di trasformazione, fusione e scissione relativi ai soggetti esecutori di contratti, con la sola condizione che vengano mantenuti i requisiti di qualificazione previsti dal contratto. Dovendosi pertanto prendere atto che la ricorrente, da un lato, assume di avere rafforzato con la fusione la propria situazione finanziaria, mentre la resistente, dall’altro, afferma che la società ricorrente non fa parte della schiera dei soci che hanno contribuito in maniera determinante all’aggiudicazione dell’appalto, deve ritenersi che, anche solo considerando questi due assunti, la fusione operata non sia in grado di arrecare alcun potenziale pregiudizio alla società di progetto ai fini del mantenimento degli impegni di cui al contratto di appalto.

In pari modo, le richieste di rinegoziazione delle garanzie prestate, avanzate in relazione all’esercizio del diritto di prelazione da parte di alcuni soci, non possono essere prese in considerazione ai fini della valutazione del possibile pregiudizio per l’impresa concessionaria dell’appalto, poiché le garanzie richieste sono correlate alla prelazione che non è stata correttamente esercitata, non sussistendo l’ipo­tesi di trasferimento di partecipazioni all’interno della com­pagine sociale.

Il pregiudizio lamentato dalla ricorrente, già in parte concretizzatosi al tempo in cui le è stato impedito di partecipare all’assemblea di approvazione del bilancio, è invece rilevante e attuale perché intacca i suoi diritti di socio e la possibilità di esercizio dei correlati poteri di amministrazione e di disposizione delle partecipazioni detenute, che rischierebbero altrimenti di essere ingiustificatamente “riscattate” dagli altri soci.

In conclusione, poiché non è sorto alcun valido diritto prelazionario sulle azioni della società ricorrente in capo agli azionisti della società di progetto a termini di statuto, né vi è prova della perdita delle garanzie prestate alla stazione appaltante da parte della società incorporante, l’opposizione frapposta dagli amministratori della società all’annotazione sul libro soci della nuova denominazione della società appare priva di fondamento e fonte di grave pregiudizio per la ricorrente che merita di ricevere la tutela richiesta.

Rilevato che si tratta di ricorso cautelare societario ante causam, rispetto al quale l’art. 669 septies, 3 comma, c.p.c. prescrive al giudice, di provvedere definitivamente sulle spese del procedimento cautelare, la condanna alle spese legali della parte resistente consegue alla sua soccombenza in questa fase.

P.Q.M.

in accoglimento del ricorso, ordina alla società di Vimercate Salute S.p.A., in persona del legale rappresentante, di provvedere all’immediata iscrizione al libro soci della ricorrente Olicar S.p.A.; condanna la parte resistente alla diffusione delle spese di lite in favore di parte ricorrente è che si liquidano in euro 8.000,00, di cui euro 900,00 per esborsi ed euro 1.500,00 per diritti. Si comunichi.
Milano,17/10/2008

Il Giudice
dott. FRANCESCA FIECCONI

 

(1) La neutralità della fusione rispetto al divieto statutario di trasferimento delle partecipazioni sociali

  
SOMMARIO:

1. Il caso - 2. La normativa di riferimento - 3. L'ordinanza del Tribunale di Milano: l’effetto meramente evolutivo-modifi­cativo della fusione e la sua inidoneità ad integrare la nozione di trasferimento delle partecipazioni sociali - 4. I precedenti dottrinali e giurisprudenziali sulla natura giuridica della fusione - 5. La disciplina degli effetti della fusione dopo la riforma - 6. I limiti convenzionali al trasferimento delle partecipazioni sociali: la clausola di prelazione - 7. I riflessi delle diverse teorie sulla natura giuridica della fusione sul divieto statutario di trasferimento delle partecipazioni sociali - NOTE


1. Il caso

La società per azioni ricorrente – socia di una s.p.a. a progetto costituita ai sensi dell’art. 37-quin­quies, legge 11 febbraio 1994, n. 109, ora art. 156, d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163 – deliberava di fondersi per incorporazione nella società a responsabilità limitata che la possedeva interamente, dando vita ad una società per azioni. Gli amministratori della società di progetto, informati dalla ricorrente dell’intervenuta fusione ai fini della annotazione nel registro dei soci, rifiutavano il compimento di tale formalità, ritenendo che la fusione fosse avvenuta in violazione delle clausole statutarie che limitavano la circolazione delle partecipazioni della propria società. Nello statuto della società di progetto, infatti, si prevedeva il generale divieto di trasferimento delle azioni, derogabile soltanto al ricorrere di determinate condizioni, segnatamente individuate nel rispetto delle prescrizioni in tema di circolazione delle azioni contenute nell’art. 2355 c.c., nonché nell’esercizio del diritto di prelazione da parte dei soci. A tal fine, il contratto sociale forniva una dettagliata definizione di trasferimento delle azioni, che comprendeva qualsiasi negozio in forza del quale derivasse il mutamento della titolarità delle azioni o dei diritti di opzione sulle azioni, ivi comprendendo anche le operazioni di cessione o conferimento di azienda, fusione e scissione. In virtù di tale previsione statutaria, pertanto, gli amministratori della società di progetto – ritenendo che la fusione fosse intervenuta in spregio della clausola di prelazione – rifiutavano l’iscrizione della società incorporante nel libro dei soci e decidevano di dare impulso alla procedura di prelazione prevista dallo statuto in caso di trasferimento di azioni. Investito della questione, il Tribunale di Milano – giudicando insussistenti le argomentazioni difensive sostenute dalla società resistente – ha ordinato a quest’ultima di procedere all’iscrizione della società attrice nel proprio libro dei soci, altresì condannandola al pagamento delle spese di lite.


2. La normativa di riferimento

A fondamento delle statuizioni contenute nell’or­dinanza in commento, il Tribunale di Milano ha richiamato l’art. 2504-bis c.c., come modificato dal d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, di riforma del diritto societario [1]. Il 1° comma della previgente versione di tale norma, nel disciplinare gli effetti della fusione, prevedeva che la società derivante dalla fusione o quella incorporante assumesse i diritti e gli obblighi delle società estinte. A seguito della riforma del 2003, il legislatore – nell’intento di uniformare l’ordinamento societario nazionale ai vincoli imposti dalla terza direttiva comunitaria [2] – ha eliminato ogni riferimento alle società estinte, sancendo la regola per cui la società risultante dalla fusione o quella incorporante assuma i diritti e gli obblighi delle società partecipanti alla fusione. Sempre il 1° comma dell’art. 2504-bis c.c., conclude imponendo la prosecuzione – da parte del­l’en­tità societaria risultante dalla fusione – di tutti i rapporti, anche processuali, di pertinenza delle società partecipanti all’operazione nel periodo antecedente la fusione stessa. I temi oggetto dell’analisi, dunque, sono rappresentati, da un lato, dalle diverse teorie relative alla natura giuridica della fusione (quella della fusione come fenomeno estintivo-successorio e quella che, invece, ravvisa in tale operazione straordinaria una vicenda meramente modificativa, volta cioè al rafforzamento patrimoniale della società incorporata) e, dall’altro, dai limiti convenzionali al trasferimento delle partecipazioni sociali, con particolare riguardo alla clausola di prelazione [3].


3. L'ordinanza del Tribunale di Milano: l’effetto meramente evolutivo-modifi­cativo della fusione e la sua inidoneità ad integrare la nozione di trasferimento delle partecipazioni sociali

Con riguardo alla natura giuridica della fusione, il Tribunale – muovendo dalla citata riformulazione dell’art. 2504-bis c.c. e facendo leva sulla sostituzione della locuzione «società estinta» con «società partecipanti alla fusione» – ha ritenuto che il legislatore della riforma abbia evidenziato «con chiarezza terminologica inequivocabile» l’elemento della continuità che segna in modo costante tutte le operazioni straordinarie e che lega il soggetto di diritto che vi partecipa, dal suo stadio iniziale a quello di «metamorfosi finale». Condivisibilmente, quindi – e come si avrà modo di approfondire meglio nel prosieguo – il Giudice milanese attribuisce alla fusione un effetto meramente evolutivo – modificativo, confermando che, anche in caso di fusione per incorporazione, non è possibile individuare sul piano giuridico alcuna frattura che possa indurre l’interprete a ravvisare un fenomeno successorio, com’è invece avvenuto in passato in forza della previgente versione dell’art. 2504-bis c.c., che menzionava l’effetto estintivo della fusione sulla società incorporata. Il Tribunale, a sostegno della propria interpretazione, richiama quanto recentemente stabilito dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione [4], le quali, con riguardo agli effetti processuali della fusione, hanno definitivamente sancito che la fusione fra società non comporta l’estinzione di un soggetto e la correlativa creazione di una diversa entità societaria, ma si risolve in una vicenda meramente evolutiva – modificativa dello stesso soggetto, che conserva la propria identità. Conclusa la riflessione sulla natura giuridica della fusione, l’ordinanza in commento affronta quindi la questione dell’eventuale sopravvivenza di un effetto traslativo delle partecipazioni sociali come conseguenza dell’operazione, al fine di valutare la sussistenza in capo ai soci del diritto ad esercitare la prelazione sulle azioni. In proposito, il Tribunale aderendo alla teoria che ricollega alla fusione un effetto meramente modificativo e, ribadendo che a tale operazione non consegue quindi alcun effetto successorio, sostiene che il richiamo al divieto di trasferimento o alle limitazioni al trasferimento delle partecipazioni sociali in caso di fusione, contenuto nella clausola [continua ..]


4. I precedenti dottrinali e giurisprudenziali sulla natura giuridica della fusione

Sotto l’imperio della previgente formulazione del­l’art. 2504-bis, 1° comma, c.c. – che, come detto, espressamente prevedeva l’estinzione delle società partecipanti alla fusione – l’interpretazione prevalente, sia in dottrina [5], che in giurisprudenza [6], attribuiva alla fusione un effetto estintivo - successorio. Tale tradizionale indirizzo – storicamente riconducibile all’abrogato Codice di Commercio del 1882, il quale annoverava la fusione tra le cause di scioglimento della società – riteneva che l’operazione com­portasse la sostituzione della nuova società (o del­l’incorporante) alle società che si fondevano (ovvero alle incorporate) con una duplice conseguenza: da un lato, l’estinzione delle società partecipanti alla fusione e, dall’altro, la successione della nuova società (o dell’incorporante) nei rapporti giuridici facenti capo ad esse. Sebbene i sostenitori di tale ricostruzione fossero pressoché unanimi nel ritenere che la successione avvenisse a titolo universale [7], vale a dire nella complessiva situazione giuridica delle società estinte, non si registrava la medesima uniformità di vedute in merito alla natura di tale titolo. Da un lato, infatti, la giurisprudenza consolidata [8], aderendo alla c.d. teoria antropomorfica della persona giuridica, propendeva per la sussistenza di una successione universale mortis causa: a mente della giurisprudenza, infatti, il primo effetto della fusione sarebbe stato quello di estinguere la società, determinando così un evento assimilabile alla morte della persona fisica, cui sarebbe conseguito il trasferimento dei patrimoni nella società risultante dall’opera­zione. Secondo più recente giurisprudenza [9], inoltre, tale circostanza «postula[va] la sussistenza di un soggetto risultante o incorporante, che rappresenta il nuovo centro di imputazione o di legittimazione dei rapporti giuridici già riguardanti i soggetti fusi o incorporati, con la conseguente confusione dei rispettivi patrimoni delle società preesistenti». Dall’altro lato, la dottrina maggioritaria [10] e altra parte della giurisprudenza [11] ritenevano, invece, che l’effetto estintivo non precedesse, ma seguisse, la successione disposta con il [continua ..]


5. La disciplina degli effetti della fusione dopo la riforma

In occasione della riforma del 2003 [20], il legislatore ha mostrato di aver radicalmente mutato la predetta posizione, offrendo oggi un valido sostegno, quanto meno testuale, alle critiche sulla teoria del­l’effetto estintivo - successorio della fusione. La sostituzione, nel testo dell’attuale art. 2504-bis c.c., del riferimento alle «società estinte» con l’at­tua­le anodina espressione «società partecipanti alla fusione» – intervenuta, tra l’altro, nonostante il diverso orientamento espresso dal legislatore comunitario in sede di redazione della disciplina sullo Statuto della Società Europea [21] – sembra, infatti, privare la teoria tradizionale del proprio fondamento letterale, ponendo le basi per superare definitivamente gli indirizzi legati all’effetto estintivo della società. In proposito, vi è chi ha sostenuto come l’estinzione delle società coinvolte nella fusione (letteralmente disposta dall’art. 2504-bis c.c.) già prima della riforma si sarebbe dovuta qualificare come «estinzione meramente formale»; secondo tale lettura, infatti, se è vero che «sul piano formale dei soggetti di diritto, la fusione comporta l’inutilità dei plurimi centri di imputazione e, quindi, la disattivazione dei meccanismi funzionali di taluna (o di tutte) le società partecipanti alla fusione», è altrettanto vero come «l’estinzione è […] un effetto che, pur logicamente ineludibile (in quanto deve realizzarsi l’unità rispetto alla preesistente pluralità) ha tuttavia valenza squisitamente formale» [22]. Nella dottrina successiva alla riforma, la tesi contraria all’estinzione delle società partecipanti alla fusione, con la conseguente successione di un nuovo ente nelle posizioni giuridiche facenti capo alle prime, risulta comunque dominante. In particolare, infatti, si è affermato come da sempre «nelle fusioni non “muore” nessuna delle società coinvolte, né nasce alcun neonato societario, ma si ha solo una profonda modificazione delle società coinvolte che continuano la loro vita diversamente» [23] e, pertanto, «l’effetto estintivo è di puro “accompagnamento” di una più complessiva [continua ..]


6. I limiti convenzionali al trasferimento delle partecipazioni sociali: la clausola di prelazione

La scelta della tesi cui si intende aderire in merito alla natura giuridica della fusione influenza in modo determinante la risoluzione delle questioni connesse agli effetti di tale operazione societaria, ivi inclusa quella, posta all’esame del Tribunale di Milano, relativa all’idoneità della fusione ad integrare il concetto di trasferimento delle partecipazioni sociali, presupposto necessario per l’esercizio del diritto di prelazione sulle partecipazioni sociali. Sovente, infatti, gli statuti societari – al fine di limitare la circolazione e il trasferimento delle partecipazioni sociali – prevedono l’obbligo per i soci, che intendono alienare le proprie quote, di offrirle preventivamente agli altri partecipanti al capitale, i quali potranno acquistarle alle medesime condizioni concordate con i terzi. Allo scopo di rendere maggiormente effettiva tale previsione, i contratti sociali generalmente prevedono una nozione estremamente ampia di trasferimento, all’interno della quale vengono fatte confluire – oltre ai tradizionali istituti ad effetto traslativo, come la compravendita, la donazione, la permuta, il conferimento in società, la costituzione di rendita o la datio in solutum – anche le operazioni di cessione o conferimento d’azienda, la scissione e, appunto, la fusione. Prima della riforma del diritto societario, la fattispecie relativa ai limiti convenzionali al trasferimento e, in senso più ampio, alla circolazione delle partecipazioni sociali era in gran parte assestata su conclusioni generalmente (seppur non unanimemente) condivise [30]. In proposito, infatti, si riteneva che nel diritto delle società per azioni vigesse il principio della libera trasferibilità delle partecipazioni azionarie [31]; principio che l’autonomia dei privati avrebbe potuto variamente comprimere – intervenendo sullo statuto, ovvero ricorrendo a pattuizioni di carattere parasociale – ma non anche sopprimere [32]. Si riteneva [33], infatti, che l’ordinamento considerasse la trasferibilità delle partecipazioni «quale elemento tipico inderogabile e irrinunciabile della società per azioni», posto «a contropartita del minor potere dell’azionista» in seno all’organizzazione. Con la riforma del diritto societario del 2003, il legislatore ha espressamente riconosciuto [continua ..]


7. I riflessi delle diverse teorie sulla natura giuridica della fusione sul divieto statutario di trasferimento delle partecipazioni sociali

Sulla base delle considerazioni fin qui svolte, tanto con riguardo alle diverse e contrapposte teorie sulla natura giuridica della fusione, quanto in relazione alle conseguenze della violazione dei limiti alla trasferibilità delle partecipazioni sociali, è possibile comprendere come la scelta statutaria di annoverare anche le operazioni di fusione tra le cause di trasferimento delle partecipazioni sociali rappresenti un’op­zione evidentemente legata alla tradizionale teoria dell’effetto estintivo-successorio. Come detto, infatti, tale interpretazione presuppone che la fusione realizzi una vicenda assimilabile ad una successione mortis causa, idonea a comportare il trasferimento delle partecipazioni sociali eventualmente detenute dalla società incorporante in spregio del diritto di prelazione. Al contrario, optando per l’adesione alla più moderna teoria dell’effetto meramente modificativo della fusione, si giunge – come è giunto il Tribunale di Milano nell’ordinanza in commento – ad una conclusione di segno diametralmente opposto. Sul presupposto che la fusione realizzi una mera concentrazione di due o più organismi produttivi, al fine di rafforzare l’attività economica nella forma unitaria, essa dovrebbe essere considerata come un evento del tutto ininfluente e giuridicamente neutro rispetto ai divieti statutari di trasferimento delle partecipazioni sociali, non residuando in capo ai soci alcun diritto di attivare la procedura di prelazione. Tale ultima ricostruzione, accolta con favore dal Tribunale di Milano, appare confermata anche dal­l’au­torevole dottrina che ha ravvisato nella fusione una «appropriazione per assimilazione»: «aprendosi lo statuto (o il contratto) di società per disciplinare (oltre ai propri rapporti, altresì) i rapporti delle altre società partecipanti alla fusione si realizza un fenomeno di reciproca “appropriazione” che incide sui rapporti. A tale vicenda, quindi, non corrispondebbe neppure una “alienazione” perché anche la società incorporanda, nel decidere (e poi attuare) la fusione, non intende trasferire (cioè alienare) alcunché, bensì si limita a modificare il proprio statuto (o contratto) per disciplinare una variazione della propria organizzazione nella prospettiva intesa a [continua ..]


NOTE
Fascicolo 3 - 2009