Rivista di Diritto SocietarioISSN 1972-9243 / EISSN 2421-7166
G. Giappichelli Editore

indietro

stampa articolo indice fascicolo leggi articolo leggi fascicolo


Poteri dell´organo amministrativo in caso di sequestro preventivo penale sui beni aziendali (nota a Trib. Cosenza, 13 giugno 2007) (di Gabriele Nuzzo)


TRIBUNALE DI COSENZA, 13 giugno 2007 – Di Pede Presidente – Lupo c. Mimax s.r.l.

Società di capitali – Sequestro dell’intero compendio aziendale – Funzioni amministrative dell’organo gestorio – Permanenza.

(Artt. 2366, 2367, 2379, 2379-ter c.c.; artt. 290, 308 c.p.p.)

Anche in caso di sequestro dell’intero complesso aziendale di una società, il potere gestorio continua ad essere affidato all’organo amministrativo, non risolvendosi tale attività nella sola amministrazione dei beni aziendali (1).

Società a responsabilità limitata – Convocazione dell’assemblea – Applicazione analogica dell’art. 2367 c.c. – Ammissibilità.

(Artt. 2367, 2475, 2476, 2479, 2479-bis c.c.; artt. 290, 308 c.p.p.)

L’art. 2367, comma 2, c.c deve ritenersi applicabile in via analogica anche nelle società a responsabilità limitata. Pertanto, in caso di rifiuto ingiustificato da parte dell’organo amministrativo, i soci sono legittimati a richiedere al tribunale la convocazione dell’assemblea (2).

Omissis

II ricorso depositato da X, socio della Alfa s.r.l., deve essere qualificato quale azione ex art. 2367 c.c., in quanto deve ritenersi applicabile in via analogica il disposto di tale norma anche alle società a responsabilità limitata.

A seguito della riforma della disciplina della materia societaria, ed in particolare delle s.r.l., si sono venuti a creare dei vuoti normativi nei casi in cui le società costituite ante riforma non abbiano adeguato i propri statuti alle nuove norme codicistiche, anche derogabili, in quanto la disciplina legislativa di queste società lascia ampio spazio alla volontà dei soci ed alle disposizioni degli statuti per regolare la vita delle società stesse. Nel caso, però, delle vecchie società, i cui statuti si limitavano a previsioni in deroga alla disciplina legale, rimandando a questa per le regole non espressamente previste, necessariamente si crea un vuoto di disciplina in ipotesi rilevanti per la vita della società stessa. Uno di questi casi è l’ipotesi di omessa convocazione dell’assemblea e di mancanza di amministratore, in quanto l’unica azione a disposizione del socio residuata è quella di responsabilità sociale, del tutto inadeguata a dare una risposta rapida ed efficace nei casi di impossibilità di esercizio della volontà sociale, specie su temi essenziali quali la approvazione del bilancio o la nomina dell’amministratore.

Prima di ricorrere alla tutela atipica, si deve rilevare che sussiste, nella disciplina della società per azioni, un rimedio tipico che è quello predisposto dall’art. 2367 c.c., la cui applicazione analogica appare preferibile, sussistendo una stessa ratio e non rilevandosi nella ipotesi tipica disciplinata dalla norma la differente impostazione del tipo societario, tenuto conto che si tratta di un rimedio alla inerzia degli amministratori, situazione di fatto che si prospetta identica sia nei presupposti che nelle conseguenze in entrambi i tipi societari (vedi Appello Napoli 20 maggio 2005, decr. n. 208)

Non si condivide, invece, l’impostazione che ritiene inapplicabile la norma, perché non tiene conto del fatto che una possibilità per i soci di chiedere la convocazione dell’assemblea è già prevista nelle s.r.l. espressamente nel caso di cui all’art. 2487 c.c., e che la mancata previsione di parallela disposizione nei casi diversi dalla messa in liquidazione della società non può essere considerata come intenzionale esclusione del potere del socio di ovviare all’inerzia degli amministratori. In questo caso, infatti, si dovrebbe ritenere applicabile il rimedio atipico di cui all’art. 700 c.p.c., che trova però ostacolo nell’individua­zione dell’azione di merito da proporre. Se, infatti, non è applicabile il disposto dell’art. 2367 c.c., il socio, anche detentore di una quota qualificata, non potrebbe mai chiedere la convocazione dell’assemblea, non esistendo una norma che gliene riconosca il diritto, neanche in via ordinaria, ma dovrebbe limitarsi ad esercitare l’azione di responsabilità nei confronti dell’amministratore, legale o di fatto. Osserva, inoltre, il collegio che a seguito del sequestro preventivo penale delle quote dell’amministratore Y e del sequestro preventivo penale della azienda della società, con assegnazione e di compiti di amministrazione e gestione ai custodi giudiziari, la società non era rimasta priva di amministratore. Difatti, l’amministratore unico della società, Y, era stato colpito da provvedimento interdittivo del 15.7.2004, comportante il divieto temporaneo di esercizio dell’attività di impresa o di uffici direttivi di persone giuridiche o imprese. Tale provvedimento, non risultante dalle registrazioni presso il registro delle imprese, ha durata di due mesi, visto il combinato disposto degli artt. 290 e 308 c.p.p., e non risulta che sia mai stato reiterato. Di conseguenza, una volta esaurita l’efficacia della misura cautelare interdittiva, la capacità di Y allo svolgimento del suo ruolo di amministratore unico della ALFA s.r.l. si è ripristinata. Nelle more non risulta che i soci si siano riuniti ed abbiano revocato l’amministratore, né che lo statuto sociale prevede la decadenza dalla carica nel caso di interdizione temporanea, né nel caso di custodia cautelare in carcere.

Non può essere condivisa, invece, l’impostazione dei custodi ed amministratori della azienda della società e delle quote di Y. Difatti, la finalità del sequestro preventivo è quella di impedire che, con i beni strumentali dell’impresa, vengano commessi i reati per i quali si procede, e la stessa finalità sorregge il sequestro delle quote. L’esclusione del­l’in­dagato dal suo ruolo di amministratore, invece, si raggiunge mediante la misura interdittiva che era stata applicata. Proprio da tale misura, oltre che dall’esame delle disposizioni che disciplinano il sequestro preventivo, si ricava che dal sequestro delle quote societarie e della azienda non deriva la sostituzione dell’amministratore indagato. Di fatti, il provvedimento interdittivo del Tribunale della Libertà di Catanzaro, che ha sostituito la misura della custodia cautelare in carcere con quella del divieto temporaneo di esercizio della attività d’impresa, mostra che sia il G.I.P. sia il collegio del Riesame avevano applicato una misura aggiuntiva e personale, oltre a quella reale, per impedire a Y di amministrare la società. Inoltre, è pacifico nella giurisprudenza penale, che il sequestro non può avere ad oggetto una società, che è soggetto di diritto, ma solo dei beni, quali l’azienda e le quote. Nel caso dell’imprenditore individuale, infatti, non vi è dubbio che il sequestro riguarda l’azienda, non l’impresa, e che il titolare della impresa rimane l’imprenditore, mentre i beni e l’attività economica sono amministrati dai custodi giudiziari. Questo perché la amministrazione di beni produttivi e l’esercizio di una impresa restano del tutto distinti, e non potrebbe essere altrimenti, non potendo il sequestro privare l’imprenditore della sua capacità di agire in veste professionale. Infatti, il provvedimento del G.I.P. ha provveduto al sequestro dell’azienda, di società e di imprese anche individuali facenti capo a Y, e non al sequestro delle imprese.

Si tratta della distinzione tra misura reale, che colpisce i beni utilizzati per la commissione del reato, sottraendoli alla disponibilità dell’indagato (nel caso della azienda mediante la gestione dei beni da parte di amministratori giudiziari, nel caso delle quote, mediante trasferimento del diritto di voto ordinario ai custodi) e la misura personale, di interdizione dall’esercizio della impresa, che gli impedisce di continuare la sua attività imprenditoriale.

Nel caso di specie, dunque, risultano tuttora esistenti il sequestro delle quote ed il sequestro dei beni aziendali della ALFA che chiaramente i custodi ed amministratori giudiziari amministrano in base alle direttive del giudice penale, mentre la società ed il suo amministratore Y non sono compromessi dai provvedimenti suddetti, se non per il fatto che non possono utilizzare l’azienda civilisticamente intesa. La vita della società, pur risolvendosi in misura assolutamente prevalente nell’amministrazione dell’azienda, non si riduce a questo, rimanendo in capo all’amministra­tore dei minimali poteri residui, quali quello di convocare l’assemblea dei soci.

Il ricorso, dunque, in presenza di un amministratore unico mai revocato o decaduto, deve essere dichiarato inammissibile, non avendo il ricorrente asserito o dimostrato di aver preventivamente richiesto, ai sensi dell’art. 2367 c.c., all’amministratore la convocazione dell’assemblea della società e che questi non vi abbia provveduto.

La questione sulla quota di capitale sociale detenuta dal ricorrente ai fini della applicabilità dell’art. 2367 c.c. rimane pertanto assorbita.

Ricorrono giusti motivi, tenuto conto delle difficoltà interpretative e del rilievo d’ufficio della ragione di inammissibilità del ricorso, per compensare le spese di lite.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e compensa le spese del presente procedimento.

 

(1) Poteri dell’organo amministrativo in caso di sequestro preventivo penale sui beni aziendali

(1) Il provvedimento il Tribunale di Cosenza affronta, tra le altre, la questione relativa ai poteri che spettano all’organo amministrativo di una società nel caso in cui tutti i beni aziendali siano stati sottoposti a sequestro preventivo penale. Il caso all’esame del Tribunale – per il quale non si riscontrano precedenti giurisprudenziali – può essere così brevemente sintetizzato. In seguito all’avvio di un procedimento penale, venivano sottoposti a sequestro preventivo penale anche i beni aziendali della s.r.l. e l’ammi­nistratore veniva colpito da una misura cautelare interdittiva che comportava il divieto dell’esercizio dell’attività di impresa o di uffici direttivi di persone giuridiche o imprese. Quest’ultima misura cautelare, che ai sensi del combinato disposto degli artt. 290 e 308 c.p.p. non può essere protratta oltre i due mesi, non veniva reiterata dal Tribunale penale: con la conseguenza che, pur permanendo la misura cautelare reale sui beni aziendali della s.r.l., l’ammi­nistratore unico – nel frattempo non revocato – era tornato a ricoprire la sua carica. Nel decidere su un ricorso presentato da un socio della società, volto ad ottenere la convocazione dell’as­semblea su impulso dell’au­torità giudiziaria, il Tribunale calabrese afferma che, pur in presenza di una misura cautelare che colpisce tutti i beni aziendali privando la società della loro disponibilità, il potere di gestione spetta comunque all’organo amministrativo: ciò poiché – afferma il Tribunale – «la vita della società, pur risolvendosi in misura assolutamente prevalente nell’amministrazione dell’azienda, non si riduce a questo, rimanendo in capo all’ammini­stratore dei minimali poteri residui, quale quello di convocare l’assemblea».

Le argomentazioni su cui si fonda sul punto la motivazione della sentenza sono sostanzialmente condivisibili. È convinzione diffusa in dottrina che nella funzione amministrativa sono ricompresi non solo il potere di deliberare sugli atti di gestione dell’im­presa (o potere gestorio in senso stretto), ma anche quello di promuovere l’attività deliberativa dell’as­semblea, di dare esecuzione alle deliberazioni dei soci, nonché di manifestare la volontà sociale nei rapporti con i terzi e di agire in nome e per conto della società [1].

Orbene, è agevole osservare come non tutti i poteri (ed i corrispettivi obblighi) che spettano agli amministratori di società necessitino della materiale disponibilità dei beni aziendali. Così potranno essere svolte, praticamente nella loro interezza, le funzioni che la legge attribuisce agli organi delegati, vale a dire la cura dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile della società (art. 2381, 5° comma); dovranno essere adempiuti gli obblighi legati alla tutela dell’in­tegrità del capitale, alla redazione del progetto di bilancio (art. 2423) e dei progetti di fusione (art. 2501-ter) e di scissione (art. 2506-bis), alla convocazione dell’assemblea (art. 2366), al­l’ese­­cuzione delle delibere assembleari ed alla tenuta delle scritture contabili obbligatorie e dei libri sociali. Ma anche nell’ambito del potere di gestione in senso stretto, pur non avendo la materiale disponibilità dei beni aziendali, gli amministratori potranno procedere (nelle s.p.a.) al­l’emissione delle obbligazioni (art. 2410) e dovranno adempiere agli obblighi legati alle competenze loro assegnate dallo statuto.

Tale ricostruzione è peraltro supportata da una parte della dottrina [2], la quale ha affrontato la questione dell’indivi­dua­zione dei poteri che residuano in capo agli organi di una società dopo che la stessa sia assoggettata ad una procedura concorsuale e, dunque, dopo che sia stata spossessata e privata della materiale disponibilità del suo patrimonio. Come è stato efficacemente rilevato, lo spossessamento della società dal proprio patrimonio, pur avendo certamente come effetto la compressione dei poteri degli organi societari, non ne comporta la totale perdita, se non nei limiti di quelli per il cui esercizio si postula la disponibilità del patrimonio. Ne deriva che anche quando la società sia privata della disponibilità del proprio patrimonio, restano in capo agli amministratori i poteri di gestione della società come ente, quale quello di convocare l’assemblea [3].

[G. N.]

 

(2) Brevi note in tema di convocazione dell’assemblea di s.r.l.: una analisi tipologica

SOMMARIO:

1. Il caso - 2. Impostazione della questione - 3. Il presunto vuoto normativo in tema di legittimazione attiva alla convocazione dell'assemblea delle s.r.l. - 4. Le posizioni di dottrina e giurisprudenza - 5. Critica alle impostazioni maggiormente condivise - 6. Sintesi dei risultati. Necessità di una distinzione tipologica - NOTE


1. Il caso

In una società a responsabilità limitata, il cui complesso aziendale era stato sottoposto a sequestro preventivo penale ed il cui amministratore unico era stato colpito da provvedimento interdittivo comportante il divieto temporaneo di esercitare l’attività di impresa o di ricoprire cariche direttive in società o imprese, un socio ricorre al Tribunale per ottenere la convocazione dell’assemblea. Il Tribunale, dopo aver rilevato che, una volta cessato il divieto temporaneo di ricoprire cariche direttive, in mancanza di revoca da parte del­l’assemblea, la capacità dell’am­ministratore di svolgere il proprio ufficio viene ripristinata, qualifica il ricorso quale azione ex art. 2367 c.c., affrontando preliminarmente la questione se tale norma sia applicabile (in via diretta o analogica) alle società a responsabilità limitata. I giudici calabresi risolvono la questione in senso positivo [4], osservando che là dove gli statuti di società costituite prima della riforma facciano ampio rinvio alla disciplina legale (ritenuta oggi meno completa che in passato), «si crea un vuoto di disciplina in ipotesi rilevanti» come quella di «omessa convocazione dell’assemblea o di mancanza di amministratore». Secondo il Tribunale, se l’art. 2367 non fosse suscettibile di applicazione analogica alle s.r.l., «l’unica azione a disposizione del socio» sarebbe «quella di responsabilità sociale» ritenuta tuttavia «del tutto inadeguata a dare una risposta rapida ed efficace» in caso di omessa convocazione dell’assemblea.


2. Impostazione della questione

La indicata soluzione si basa dunque su un duplice presupposto. In primo luogo, che nella disciplina legale della s.r.l. riformata manchi una norma che regola il caso in cui l’organo amministrativo ometta di convocare l’assemblea; in secondo luogo, che sia legittimo colmare tale lacuna mediante applicazione analogica della norma – dettata per le società per azioni – contenuta nell’art. 2367, 2° comma, c.c. I suddetti presupposti e la conseguente soluzione, tuttavia, appaiono condivisibili solo in parte. Prima di affermare l’applicabilità analogica del­l’art. 2367, 2° comma alle s.r.l., pare opportuno verificare se la mancanza di una norma che attribuisca ai soci il diritto di rivolgersi al Tribunale per ottenere la convocazione dell’assemblea in caso di inerzia degli amministratori non possa trovare una giustificazione nell’ambito dello stesso modello legale delle s.r.l. [5]. L’in­terpretazione delle norme proprie di tale modello, infatti, deve avere anzitutto riguardo alle peculiarità del «tipo» ed eventuali lacune nel tessuto normativo devono essere, finché possibile, colmate attraverso l’applicazione analogica di norme interne alla stessa disciplina del tipo, seguendo un processo di «naturale autointegrazione» [6]. Le argomentazioni usate dal Tribunale di Cosenza, dunque, sarebbero corrette solo qualora si giungesse a ritenere che la disciplina del tipo non sia sufficiente ad integrare eventuali deficienze del testo normativo. Ad esse, peraltro, non sembra possa attribuirsi portata generale per tutte le s.r.l., dovendosi invece affrontare la questione differentemente in relazione alle varie possibili articolazioni della struttura organizzativa di cui, in deroga al modello legale di base, può essere dotata la società. E cioè almeno distinguendo tra società organizzate secondo il modello legale, società in cui è prevista (per legge o per atto costitutivo) la presenza del collegio sindacale e società alle quali l’atto costituivo ha conferito una struttura corporativa interna vicina a quella delle società per azioni.


3. Il presunto vuoto normativo in tema di legittimazione attiva alla convocazione dell'assemblea delle s.r.l.

Per provare la tenuta dell’iter argomentativo del Tribunale, va innanzitutto verificata la fondatezza del primo dei suoi presupposti logici. Invero, se è evidente l’assenza nella disciplina delle s.r.l. di una norma analoga a quella contenuta – per le s.p.a. – nel 2° comma dell’art. 2367, da ciò non deve necessariamente desumersi la presenza di un vuoto normativo. La mancanza della norma, nella specie, potrebbe essere giustificata dal fatto che gli interessi a tutela dei quali la stessa è posta in altra parte dell’ordina­men­to, in questo caso sono altrimenti tutelati. Ed in effetti, mentre nelle società per azioni la disciplina della convocazione dell’assemblea si caratterizza per un discreto grado di dettaglio, nelle s.r.l. essa non è particolarmente articolata. Qui il legislatore ha voluto incoraggiare l’esercizio da parte dei soci della propria autonomia nel redigere l’atto costitutivo, devolvendo la determinazione dei modi di convocazione dell’assemblea interamente alle norme contenute in quest’ultimo, con l’unico limite di garantire la tempestiva informazione sugli argomenti da trattare. Adoperando una tecnica ricorrente nella disciplina della s.r.l. riformata, è stata poi regolata l’ipotesi in cui i soci non abbiano previsto all’interno dell’atto costitutivo un’apposita disciplina: in questo caso è previsto unicamente che la convocazione deve essere effettuata mediante lettera raccomandata spedita ai soci almeno otto giorni prima dell’adu­nan­za nel domicilio risultante dal libro dei soci. La legge, dunque, a differenza di quanto accade per la s.p.a. (art. 2366), non individua espressamente chi sia legittimato attivamente alla convocazione dell’organo assembleare. Tuttavia non sembra possibile fornire una risposta alla questione dell’appli­ca­bilità analogica dell’art. 2367 alle s.r.l. se preliminarmente non si chiarisce chi sono i soggetti cui è riconosciuta dalla legge la legittimazione attiva alla convocazione dell’assemblea per le ipotesi in cui lo statuto non contenga una espressa previsione.


4. Le posizioni di dottrina e giurisprudenza

Una parte di coloro che si sono occupati della questione ha affermato che, in assenza di diversa disposizione statutaria, la legittimazione a convocare l’assemblea spetta esclusivamente agli amministratori [7]. Recentemente, altra parte della dottrina [8] ha anche sostenuto che nella s.r.l. sussisterebbe in capo ai soci una legittimazione a convocare l’assemblea concorrente con quella spettante all’organo amministrativo. Secondo tale impostazione, la norma contenuta nel 1° comma dell’art. 2479 c.c. – là dove prevede che «i soci decidono […] sugli argomenti che […] tanti soci che rappresentano almeno un terzo del capitale sociale sottopongono alla loro attenzione» – dovrebbe riconoscere ai titolari di una frazione del capitale pari ad un terzo un potere diretto di convocare l’assemblea e non già un semplice diritto ad ottenere da parte degli amministratori l’avvio del procedimento deliberativo [9]. Altri [10]hanno anche sostenuto che, in mancanza di espressa disposizione da parte dello statuto, il potere di convocare l’assemblea spetterebbe in via diretta anche al singolo socio ed al singolo amministratore, argomentando dal fatto che, in altre ipotesi (azione di responsabilità, controllo sulla gestione, ecc.), l’ordinamento ha riconosciuto al socio il diritto di agire individualmente.


5. Critica alle impostazioni maggiormente condivise

Analizzando le due impostazioni maggiormente condivise (competenza dell’organo amministrativo salva diversa disposizione dell’atto costitutivo e competenza concorrente dell’organo amministrativo e di tanti soci che rappresentano un terzo del capitale), nonostante lo sforzo dei loro sostenitori di addurre argomenti a favore dell’una e dell’altra, non sembra che si possa, sulla base del solo dato normativo, approdare ad una soluzione certa. 5.1. La competenza concorrente tra organo amministrativo ed assemblea: una ipotesi di Selbsthilferecht La posizione secondo cui, nel modello legale, vi sarebbe una competenza concorrente dell’organo am­ministrativo e di tanti soci che rappresentano un terzo del capitale a convocare l’assemblea, oltre a trovare riscontro in alcuni ordinamenti stranieri [11], sembra maggiormente coerente con il disegno della riforma delle società di capitali, la quale, con l’obiettivo di rispondere all’esigenza (espressa a più riprese nella legge delega) di apprestare un tipo societario caratterizzato dalla presenza di soci imprenditori che investono capitali in una società [12] «con l’intento di gestire personalmente l’impresa o comunque di influire direttamente sulla sua gestione» [13], ha dotato la s.r.l. di un modello legale caratterizzato da una struttura «capitalistica attenuata» [14], che si manifesta in particolare attraverso una riduzione della dialettica interorganica [15] – tipica delle società per azioni [16] – tra «investitori» e «gestori professionali del loro investimento» [17]. Al di là della coerenza sistematica, tuttavia, nessuno degli argomenti utilizzati da dottrina e giurisprudenza a supporto della citata posizione sembra del tutto decisivo. Non appare innanzitutto decisivo l’argomento sostenuto in giurisprudenza secondo cui, se tanti soci che rappresentano un terzo del capitale hanno il potere (unanimemente riconosciuto in dottrina [18]) di alterare il riparto statutario di competenze tra organo amministrativo e compagine sociale, non v’è ragione per ritenere che non possano avocare a sé anche la competenza a convocare l’assemblea [19]. A tale riguardo, la possibilità concessa dal 1° comma del­l’art. 2479 a tanti soci che [continua ..]


6. Sintesi dei risultati. Necessità di una distinzione tipologica

Dall’analisi finora svolta deriva un quadro particolarmente complesso. Se da un lato l’impianto sistematico complessivo delle s.r.l. riformate sembrerebbe legittimare opzioni interpretative orientate verso regole organizzative più snelle, dall’altro lato – a volte – il dato normativo letterale non permette – se l’espressione mi è consentita – di saltare al di là del fosso. L’impressione è che alcune scelte legislative risultano solo in parte coerenti dal punto di vista sistematico. Nel caso che ci occupa, in particolare, la scelta – che ritengo voluta – di non riprodurre nella disciplina delle s.r.l. la norma che riserva agli amministratori il potere di convocare l’assemblea, sebbene abbia lo scopo di consentire ai soci l’esercizio quanto più ampio possibile della propria autonomia negoziale nel regolare le modalità di convocazione dell’assemblea, determina conseguenze non indifferenti nel caso in cui lo statuto non abbia provveduto ad integrare la disciplina legale. Ciò tuttavia non può legittimare la scelta di applicare in via analogica le norme previste per le s.p.a., il cui modello organizzativo è oggi assai differente rispetto a quello di default delle s.r.l. [36]. Pertanto, mentre mi sembra possa ritenersi ammissibile l’ap­pli­ca­zione analogica alle s.r.l. (che non siano dotate di specifiche norme statutarie al riguardo) della disposizione contenuta nell’art. 2366, 1° comma, prima parte (secondo cui «l’assemblea è convocata dagli amministratori»), mi sembra invece che possa escludersi la possibilità di estendere analogicamente l’art. 2367, 2° comma ad una s.r.l. organizzata secondo il modello legale «puro». Infatti, l’intervento del Tribunale in una vicenda che tipicamente attiene all’assetto organizzativo interno della società non pare compatibile con la nuova disciplina delle s.r.l. dove l’intervento del tribunale è scomparso del tutto, se non nella residuale ipotesi prevista dall’art. 2487 c.c. (peraltro applicabile indistintamente a tutte le società di capitali). Ne deriva che, nell’ipotesi – che può, a dire il vero, presumersi infrequente – in cui lo statuto non contenga alcuna previsione, né specifica sulla competenza a [continua ..]


NOTE
Fascicolo 3 - 2009