Rivista di Diritto SocietarioISSN 1972-9243 / EISSN 2421-7166
G. Giappichelli Editore

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I covenants finanziari. Note introduttive (di Ugo Patroni Griffi  )


  
SOMMARIO:

1. - 2. - 3. - 4. - 5. - 6. - 7. - 8. - 9. - NOTE


1.

Con il termine financial covenants si indicano talune clausole accessorie dei contratti di finanziamento sviluppatesi nella prassi contrattuale nordamericana, e che hanno assunto – al pari di altri ben noti istituti contrattuali quali il leasing, il factoring o il franchising – natura di modello circolante propagatosi ben oltre il paese di origine, e l’area giuridica di common law, ed approdato di recente anche nel nostro Paese. Il che conferma la natura consuetudinaria del diritto commerciale che trova – anche in epoca di sovrabbondante produzione legislativa, quale è la nostra – fertile humus nella prassi commerciale; prassi che il legislatore si limita, talvolta, a trasporre in regole di diritto aventi portata generale. Con una metafora affascinante si è detto che la vita (sociale, economica, e commerciale) scorre nonostante la rigidità dei testi legislativi e dalla corteccia della legge spuntano sempre nuovi virgulti. Il legislatore li pota quando gli sembrano contrari all’ordine pubblico, ma li conserva, li consacra, li codifica quando li reputa conformi all’interesse generale. D’al­tronde è questa, appunto, la funzione del legislatore [1].  


2.

Prodotto, dunque, genuino della prassi commerciale i covenants, tradiscono intelligentemente il rationale economico che ne è alla base. E che è ben illustrato nel fondamentale saggio di Jensen & Meckling (1976) [2]. Tali autori, per primi, approfondivano l’immanente conflitto di interessi tra chi eroga credito all’impresa sociale e i soci della medesima. Il capitale di debito è, sovente, remunerato modestamente e in misura fissa. L’interesse del finanziatore è dunque quello di ottenere il rimborso del capitale investito e la remunerazione promessa, alla scadenza concordata. Pertanto il finanziatore si auspica una gestione conservativa dell’impresa sociale, che non metta a repentaglio l’obiettivo innanzi ricordato. Inoltre, ma non meno importante circostanza, l’erogazione del credito e la misura della remunerazione del capitale di debito sono determinate sulla base di circostanze di fatto (ad esempio la sussistenza nel patrimonio aziendale di taluni cespiti agevolmente liquidabili, l’esercizio di una determinata attività d’impresa, il rapporto tra mezzi propri e mezzi altrui nel finanziamento dell’attività …) che, col tempo, potrebbero mutare. La remunerazione del capitale di rischio, invece, non è determinata ex ante. E dipende integralmente dal successo dell’attività di impresa. I soci quindi hanno interesse acché la società colga gli affari più remunerativi offerti dal mercato, anche se rischiosi. Potendo le eventuali perdite generate da un affare essere agevolmente assorbite nel corso dell’attività sociale, che si proietta naturalmente in un arco temporale potenzialmente infinito [3]. I covenants finanziari, dunque, assolvono alla principale funzione di proteggere il finanziatore contro i comportamenti opportunistici dei soci [4]; di «congelare» insomma il profilo di rischio dell’impresa sociale. E di permettere al finanziatore, al mutare del profilo di rischio: di disinvestire rapidamente; ovvero di adeguare la remunerazione del capitale investito all’incre­mentato rischio di default. I covenants, tuttavia, permettono anche di soddisfare l’interesse dell’impresa a ridurre il costo dell’eterofinanziamento [5], riducendo lo spread sul tasso d’inte­resse di [continua ..]


3.

I covenants, dunque, sono clausole inserite nei contratti di finanziamento. La dottrina distingue i loan covenants dai debt covenants. Le prime sono clausole accessorie del contratto di mutuo, mentre le seconde sono clausole accessorie del contratto di finanziamento obbligazionario. La distinzione non va però eccessivamente enfatizzata, in quanto la prassi mostra la sostanziale coincidenza delle clausole contrattuali inserite nelle due categorie di covenants [8]. La dottrina economico/finanziaria ha proposto numerose classificazioni delle clausole tipiche dei financial covenants: in base all’oggetto della clausola (investimenti e produzione, dividendi, finanziamenti e trasparenza [9]); al parametro di riferimento (indici di bilancio/obblighi della società [10]); alla funzione svolta dalla clausola in una lettura in chiave di law and economics (riduzione del conflitto tra azionisti/finanziatori ovvero del conflitto tra amministratori/finanziatori [11]). La dottrina giuridica ha invece proposto una più semplice scomposizione delle clausole tipiche in due categorie [12]: clausole «finanziarie», volte alla conservazione del patrimonio sociale; clausole «legali», che assicurano una tutela solo mediata del patrimonio netto. Tale classificazione, mentre è accettabile per i debt covenants, non appare sufficiente a ricomprendere le più frequenti clausole dei loan covenants. Per cui è preferibile una classificazione che tenga conto tanto della funzione della clausola, quanto del suo oggetto. E quindi le clausole dei covenants possono essere allocate, ad avviso di chi scrive, in quattro categorie: a)covenantsche impongono all’impresa comportamenti efficienti ai fini della conservazione del patrimonio netto; b)covenantsdi bilancio; c)covenantsche pongono a condizione del default il comportamento di terzi; d)covenants


4.

La maggior parte delle clausole tipiche dei covenants rientra, intuitivamente, nella prima categoria. Gli obblighi imposti all’impresa possono essere sia affermativi, sia negativi. Quest’ultimi, come vedremo, possono sul piano sistematico essere ricompresi tra le «garanzie negative», istituto ben noto alla dottrina sia di common law (negative-pledges), che tedesca (Negativklausel) [13]. Tra i covenants più diffusi nella passi si segnalano quelli aventi ad oggetto i seguenti obblighi: a) Proseguire l’esercizio dell’attività di impresa in essere al momento del finanziamento. Talecovenantpuò alternativamente essere declinato nella forma di garanzia negativa come divieto di modificare, anche di fatto, l’oggetto dell’attività di impresa. In genere il covenant com­prende anche il solo ampliamento dell’oggetto sociale. La ragione della clausola è lapalissiana. Il mutamento dell’oggetto sociale o comunque la diversificazione dell’attività rispetto a quella esercita al momento del finanziamento può interferire con il profilo di rischio dell’im­presa. Questo covenant può essere costruito anche come vincolo all’operatività dell’impresa (obbligo di operare solo al dettaglio, all’ingrosso, ecc.), al fine di contenere l’impresa nell’at­tività in cui storicamente si è mostrata più competitiva [14]. b) Gestire correttamente l’impresa. Adempiendo regolarmente alle obbligazioni assunte nei confronti del finanziatore e di terzi, alle obbligazioni fiscali e tributarie, assicurando congruamente il patrimonio aziendale, ecc. Anche in questo caso da una gestione «corretta» è da attendersi un contenimento del rischio del finanziatore. L’impresa, infatti, in questo modo affronta il solo rischio del mercato, calcolato dal finanziatore al momento della concessione del prestito, ed evita i rischi esterni all’attività caratteristica (penali e sanzioni per violazioni di legge, ecc.). c) Concedere la medesima garanzia eventualmente fornita ad altri (c.d.pari passu). A tutela della piramide creditoria stabilita al momento del finanziamento, riconoscendo al finanziatore il diritto al ripristino «dellapar condicio violata con la concessione di garanzie a [continua ..]


5.

I covenants di bilancio sono, intuitivamente, quelli che ancorano l’obbligo del debitore al rispetto di dati e rapporti di bilancio. Si tratta di formule sintetiche che – prevedendo l’impli­cito rispetto di taluni obblighi comportamentali già esaminati, specie ai fini del contenimento dell’indebitamento – consentono al finanziatore di accertare agevolmente l’ina­dem­pimento. Tra questi si segnalano: a) Obbligo di mantenere un importo minimo di netto patrimoniale contabile (minimum net worth). Ilcovenantsrisponde all’esigenza, fortemente avvertita in ordinamenti che non prevedono l’obbligo di dotare l’impresa sociale di un capitale minimo, che il finanziamento dell’im­presa non riposi integralmente sul capitale di credito, ma sia – seppur in parte – assicurato anche dal capitale di rischio. E non solo perché il netto patrimoniale permette alla società di assorbire eventuali perdite, dovute alle contingenze del mercato, e quindi superare eventuali periodi di stagnazione. Ma soprattutto perché, in una prospettiva di law and economics, il capitale di rischio svolge un ruolo determinante quale argine alla naturale propensione al rischio dei soci [22]. Inoltre il netto patrimoniale svolge l’importante funzione di segnalare l’eventuale declino concorrenziale dell’impresa, per cui ad un costante abbattimento nel corso di più esercizi sociali di tale valore segue quasi immancabilmente l’insolvenza dell’impresa. Di qui l’interesse del finanziatore a disinvestire prima che sia troppo tardi. b) L’obbligo di mantenere un determinato rapporto tra Ebitda e Ebta (utile prima degli interessi, tassazione, deprezzamenti e ammortamenti/utile prima della tassazione, dei deprezzamenti e degli ammortamenti), rapporto oneri finanziari/fatturato, rapporto indebitamento totale/capitale netto, ecc.[23].  


6.

I covenants che hanno a parametro il comportamento di terzi sono prevalentemente due: a) La dichiarazione didefaultda parte di terzi creditori dell’impresa. Tale covenant determina un effetto «domino», di qui il nome attribuitogli dalla prassi: cross-default. Il covenant consente di (o comunque tende a) allocare l’attività di monitoraggio sull’impresa tra i vari finanziatori della medesima. Tuttavia l’efficienza della clausola è molto discussa, in quanto può determinare l’insolvenza del debitore anche in caso di inadempimenti marginali (i cui effetti la gestione caratteristica è tendenzialmente, nel medio periodo, capace di assorbire). Ove inserita, l’operatività viene usualmente mitigata attraverso la previsione di un importo minimo dell’ina­dempimento nei confronti di finanziatori terzi che possa determinare il cross-default; b) peggioramento del giudizio emesso dalle agenzie dirating. Si tratta tuttavia di una clausola molto discutibile, essendo ildefault legato alla stima, opinabile, di un soggetto privato [24].  


7.

Covenants che prescrivono obblighi di disclosure. Sono quelli che obbligano il debitore a comunicare al finanziatore l’intenzione di compiere determinate operazioni (vendite significative di beni sociali, operazioni straordinarie, operazioni con parti correlate, ecc.), ovvero che impongono di trasmettere documenti contabili non di generale accessibilità, rapporti specifici sull’andamento dell’impresa e sulla sua situazione patrimoniale, economico e finanziaria. Frequentemente la clausola è costruita in termini molto ampi, e attribuisce al finanziatore il diritto di ottenere dal debitore tutte le informazioni e i documenti contabili ragionevolmente necessari per il monitoraggio del rischio di credito [25].


8.

 Le conseguenze dell’inadempimento paiono articolate nella prassi. Il default potrà infatti determinare la risoluzione di diritto del contratto (clausola risolutiva espressa o condizione risolutiva ai sensi degli artt. 1456 e 1353 c.c.), ovvero – come più spesso avviene – comporterà la semplice decadenza dal beneficio del termine. Il rimedio potrebbe però essere eccessivo, e controproducente per il finanziatore. Infatti, specie in presenza di clausole di cross-default, lo si è già anticipato, potrebbe determinare l’insolvenza del debitore. Pertanto la prassi ha mostrato la propensione a graduare le conseguenze dell’inadempimento in proporzione alla sua gravità. Molto diffusa è, a riguardo, la clausola che ad un inadempimento di minore importanza fa conseguire un aumento del tasso d’interesse. D’altronde la soluzione è economicamente efficiente. L’ina­dempi­mento, infatti, si accompagna ad un incremento del rischio creditizio, che è riflesso nel tasso di interesse. Inoltre svolge una funzione «pedagogica» nei confronti dei cosiddetti «cattivi pagatori», spingendoli ad adempiere tempestivamente alle scadenze contrattuali. I mutuatari richiedono, invece, spesso (e i manuali di negotiation invitano i loro consulenti ad insistere in tal senso) l’inserimento di un termine di grazia per l’adempimento dal verificarsi della condizione, ovvero per l’espressa previsione della diffida ad adempiere da parte del finanziatore, e condizionano l’applicazione di sanzioni contrattuali alla infruttuosa scadenza del termine per l’adempimento in essa fissato.  


9.

come è facile dedurre dalla sintesi innanzi riportata delle consuetudini – hanno per principale effetto quello di limitare l’autonomia imprenditoriale del debitore. Per questa ragione la pratica americana sconsiglia, nell’interesse tanto del finanziatore, quanto dell’im­prenditore, di utilizzare acriticamente moduli o formulari. Si è detto che i covenants non sono un abito prêt-à-porter, ma un vestito sartoriale. Il covenant deve essere funzionale allo scopo previsto, senza per questo limitare le possibilità di sviluppo dell’impresa. Dacché la possibile conseguenza è che da strumento per la conservazione della garanzia patrimoniale, sia causa o comunque acceleri l’insolvenza. Inoltre, si è detto, le tecniche redazionali più raffinate evitano di far automaticamente conseguire all’inadempimento la risoluzione del contratto, ovvero la decadenza del debitore dal beneficio del termine. Al contempo le clausole maggiormente intrusive nell’au­to­nomia dell’imprenditore vengono opportunamente «tarate», in modo da sterilizzarne l’applica­zione in presenza di inadempimenti temporanei, dovuti a circostanze eccezionali. La proporzionalità del rimedio assolve, inoltre, ad un’altra funzione. La prassi nordamericana segnala infatti il rischio di abusi da parte del finanziatore. Il quale potrebbe dichiarare il default del debitore al solo fine di poter disinvestire, e profittare di occasioni più favorevoli di investimento. Tipica situazione è quella di un finanziamento a tasso fisso, e del successivo innalzamento dei tassi di interesse praticati sul mercato. La banca ha un evidente interesse al rimborso anticipato del capitale, al fine di poterlo impiegare più proficuamente. Inoltre una eccessiva ingerenza del finanziatore nella gestione dell’impresa può esporlo a responsabilità da direzione e coordinamento (2497 c.c. ss.) [26]. Una possibilità nulla affatto teorica. Insomma i covenants spingono la banca ed il cliente ad un inedito confronto. Alla ricerca di condizioni contrattuali eque. Ed in quanto tali efficienti. Il che sarebbe, almeno nel nostro paese, una importante novità nelle relazioni banca/cliente.  


NOTE
Fascicolo 3 - 2009