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La responsabilità della banca nell'esercizio del controllo in forza di covenants finanziari
Roberto Pennisi
Sommario:
1. Premessa - 2. Il controllo da vincoli contrattuali - 3. Il covenant come vincolo contrattuale dal quale scaturisce la posizione di controllo - 4. L'attività di direzione e coordinamento - 5. La violazione dei principi di corretta gestione - 6. Considerazioni conclusive - NOTE
1. Premessa
Il problema della disciplina da applicare alle ipotesi in cui ad una banca, che abbia concesso credito ad una società, siano conferiti, e/o di fatto questa eserciti, poteri di direzione non è nuovo. La dottrina più attenta si era posta questo problema in relazione a fattispecie nelle quali un creditore, sfruttando la propria posizione di forza nei confronti della società finanziata, si ingerisca nella gestione di quest’ultima [1]. Il fenomeno si manifesta anche nelle ipotesi in cui la banca intervenga con una linea di credito in soccorso di una impresa in crisi e nella convenzione, che per ciò viene stipulata, tra l’altro si pattuisca l’attribuzione alla banca di poteri di direzione. Si tratta talvolta del potere di designare uomini graditi per le più importanti cariche sociali e/o manageriali, oppure dell’attribuzione alla banca di compiti direttivi specifici, o ancora della previsione di poteri di indirizzo, di autorizzazione o di veto [2] . La questione è stata talvolta inquadrata nella problematica dell’amministratore di fatto [3]. Altre volte si è ritenuto più appropriato parlare di influenza dominante, derivante da particolari vincoli contrattuali [4], almeno nelle ipotesi in cui la relazione sia stabile e duratura e non sia limitata a specifici settori dell’attività della società [5]. Fino alla riforma i termini del dibattito [continua ..]
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2. Il controllo da vincoli contrattuali
È opinione largamente diffusa che il controllo da particolari vincoli contrattuali possa essere definito come una situazione nella quale il rapporto contrattuale con la società controllante ponga la società controllata in uno stato di dipendenza economica o comunque instauri una relazione economica essenziale per la prosecuzione dell’attività della società controllata [15]. Per cui la società controllante acquisisce una posizione di potere, non necessariamente derivante in via diretta dalle clausole contrattuali, ma appunto dalla posizione di preminenza in cui si trova, che le consente in fatto l’esercizio di potere ulteriore rispetto a quello attribuitole dal contratto [16]. C’è poi una certa uniformità di vedute circa la necessità che il vincolo sia stabile e duraturo [17]. Secondo la tesi, che a me pare preferibile, non sarebbe comunque sufficiente una mera dipendenza economica ma occorrerebbe che la società controllante abbia la possibilità di influire sull’attività della controllata e di indirizzarne quindi le scelte gestorie [18]. Gli esempi che vengono usualmente fatti sono i contratti di: franchising, licenza di brevetto e di know-how [19], agenzia, commissione, somministrazione [20], o ancora un accordo con il quale una società assuma il compito di commercializzare l’intera produzione di [continua ..]
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3. Il covenant come vincolo contrattuale dal quale scaturisce la posizione di controllo
Se si definiscono in linea generale i covenants come quelle «protezioni» contrattuali che le banche impongono, per tenere sotto controllo le vicende patrimoniali delle imprese debitrici, al fine di poter esigere tempestivamente ed efficacemente l’immediato rimborso del prestito concesso [28], appare evidente come questo tipo di accordi possa integrare la fattispecie di controllo, qualora ovviamente preveda clausole del tipo indicato. E ciò in quanto lo scopo dei vincoli, che mediante il covenant vengono imposti alla società debitrice è tipicamente quello di impedire ai manager dell’impresa finanziata di effettuare operazioni, che porterebbero a un peggioramento della situazione finanziaria dell’impresa stessa, con la conseguenza che il debito potrebbe non essere rimborsato nei modi e nei tempi stabiliti. In sostanza, i covenants sono il mezzo che i finanziatori adottano per tutelare il proprio investimento, impedendo che inopportune manovre dei manager minino la capacità dell’impresa di ripagare il debito da essa contratto [29]. Sono state proposte diverse classificazioni di covenants [30]. Ai fini che qui interessano potrebbe essere utile distinguerli a seconda che contengano clausole che fissano obblighi predeterminati in maniera precisa (ad es. Il divieto di pagare dividendi oltre un certo ammontare prestabilito); ovvero contengano (o contengano [continua ..]
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4. L'attività di direzione e coordinamento
Occorre a questo punto chiedersi in quali ipotesi la banca, in posizione di controllo in virtù del covenant, agisca: a) «esercitando attività di direzione e coordinamento» e b) «nell’interesse imprenditoriale proprio od altrui». Allorché si sia instaurata la situazione di controllo, sarà necessario, perché si realizzi la fattispecie di cui all’art. 2497 c.c., che tale situazione si concretizzi nell’esercizio dell’attività di direzione e coordinamento [32]. La dottrina a quel che risulta non si è particolarmente soffermata sul significato da dare alla locuzione «esercitando attività di direzione e coordinamento» contenuta nell’art. 2497 c.c. Questo elemento delimita la fattispecie, nella maniera in cui dottrina e giurisprudenza da tempo ed anche prima della riforma hanno sostenuto: non è sufficiente che ci sia il controllo ma è altresì necessario che questa situazione potenziale si concretizzi nell’esercizio dell’attività di direzione. Ciò trova conferma anche nell’art. 2497-sexies c.c., che detta il criterio presuntivo per l’accertamento dell’esercizio dell’attività di direzione e nel successivo art. 2497-septies c.c., che ancora una volta fa riferimento all’esercizio di tale attività. Si tratta certamente di un elemento di difficile [continua ..]
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5. La violazione dei principi di corretta gestione
La disciplina dell’art. 2497 c.c. sarà poi applicabile in conseguenza della violazione dei principi di corretta gestione che causi un danno. Anche l’individuazione del significato della espressione «principi di corretta gestione» non è facile. La dottrina sino ad oggi ha dato solo qualche indicazione di massima. La locuzione sembra alludere al comportamento cui il buon imprenditore si attiene allorché gestisce la propria impresa. In linea generale, è affermazione condivisa che l’interesse imprenditoriale, e quindi in quanto tale dell’impresa, sia l’interesse alla produzione ed allo scambio di beni e servizi, che è sicuramente il passaggio obbligato e necessario ai fini della realizzazione dell’interesse ulteriore (e secondo alcuni eventuale) del conseguimento di un profitto. Il fine dell’impresa societaria è quindi quello di conseguire profitti e distribuirli [44]. Essendo queste finalità continue nel tempo, «professionali» [45] quindi, la società, come ogni impresa, si caratterizza per il fatto di essere dotata di una propria strategia di sopravvivenza ed eventualmente di crescita [46]. Se è vero quindi che uno di questi principi è costituito dal perseguimento della redditività, l’ipotesi nella quale non si persegua il fine di lucro di cui all’art. 2247 c.c. sarà qualificabile appunto [continua ..]
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6. Considerazioni conclusive
In conclusione è necessario fare alcune considerazioni ulteriori. La prima considerazione è di carattere generale. Il controllo da particolari vincoli contrattuali è sempre stata una figura problematica, sia come fattispecie che come disciplina. Con le nuove norme lo diviene ancor di più. L’art. 2497 c.c. prevede la legittimazione dei singoli soci ed in questo modo consente di corrispondere direttamente alle minoranze, il risarcimento per il pregiudizio subito alla redditività ed al valore della partecipazione, esentando la società che dirige dal ripianare l’intero pregiudizio al patrimonio della società diretta. Esso è stato evidentemente pensato per ipotesi di attività di direzione basata su di un controllo interno. L’applicazione di esso ad ipotesi di controllo esterno non è perciò stesso esclusa (almeno così mi pare) ma, nel valutare se siano necessari adattamenti, molto lavoro aspetta gli interpreti, che non potranno, prevedo, valersi dell’aiuto di una casistica cospicua. Ancora, il capo IX comprende, oltre alla norma sulla responsabilità, una serie di altre norme, la cui applicazione scatta allorché si sia in presenza di un’attività di direzione. Accertato l’esercizio di questa attività, saranno applicabili gli obblighi di disclosure (2497-ter c.c. obbligo di motivazione delle decisioni; [continua ..]
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NOTE