Rivista di Diritto SocietarioISSN 1972-9243 / EISSN 2421-7166
G. Giappichelli Editore

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Covenants finanziari: rischio d'impresa e responsabilità gestionali (di Daniele U. Santosuosso  )


SOMMARIO:

1. I covenants. Tipologie. Funzioni. La ripartizione negoziata del rischio d’impresa tra debitore-imprenditore e creditore. Funzione informativa e strumento di monito­raggio - 2. La rilevanza dei covenants negli accordi di ristrutturazione. Accordi meramente negoziali e accordi tipici di diritto fallimentare. L'accordo come atto gestionale. Organi di gestione e responsabilità - 3. Rilevanza del ruolo degli organi di gestione. Le speciali attitudini della 'gestione vincolata'. Effetti sull’interesse sociale e sugli interessi legati all’impresa - 4. La valutazione della diligenza professionale e la business judgment rule. La giurisprudenza. Il sindacato giudiziario sulle modalità del procedere. Omissione delle cautele e verifiche che la diligenza impone - 5. La diligenza professionale in presenza di covenants. I rimedi previsti dall’or­di­namento. Il nuovo art. 2392 c.c. Il rischio d’impresa calcolato e circostanziato. - 6. I punti deboli della business judgment rule. Conflitto di interessi e mala fede dell'amministratore infedele. Considerazioni de jure condendo per rivisitare la regola in generale. Il dato positivo: l'errore gestionale nella gestione 'sotto covenants' e la maggiore scusabilità nel rispetto dei vincoli - NOTE


1. I covenants. Tipologie. Funzioni. La ripartizione negoziata del rischio d’impresa tra debitore-imprenditore e creditore. Funzione informativa e strumento di monito­raggio

Il tema dei covenants finanziari e delle loro implicazioni sul rischio d’im­pre­sa e sulle responsabilità gestionali, sempre più rilevante nella prassi commerciale e da tempo all’at­tenzione delle scienze economiche aziendali, appare piuttosto inesplorato dalla dottrina giu­ridica. Per una sia pur sintetica semplificazione classificatoria del fenomeno dal punto di vista finanziario e negoziale può muoversi dal significato generale di covenant, come l’impegno del debitore di rispettare, nel corso del rapporto obbligatorio, alcuni vincoli, spesso significati da determinati parametri. In tale ambito può essere utile individuare tre tipologie di patti [1]: (i) covenants finanziari su rapporti finanziari di impresa (di debito – da mutuo o da obbligazione societaria –, di equity, di «quasi equity»): allorché per esempio venga pattuito che la garanzia offerta a fronte di un certo finanziamento, anche in termini di investimento nell’equity, oppure il fatturato o i valori di bilancio della società che riceve il finanziamento (indebitamento di netto patrimoniale contabile per esempio, investimenti, patrimonio) non debbano scendere al di sotto di certi valori; o ancora, in negativo, si convenga di limitare o non aumentare l’esposizione debitoria; (ii) covenants non finanziari su rapporti finanziari d’impresa: così i negative pledge, come divieto di concedere garanzie reali sui propri beni a terzi senza averle offerte preventivamente al finanziatore o di compiere operazioni di leaseback; l’obbligazione pari passu, per la parità di trattamento, nelle garanzie, del finanziatore rispetto agli altri finanziatori; la ownership clause, che si traduce nell’impegno a non modificare la compagine societaria salvo il pre­ventivo assenso del finanziatore [2], il divieto di non modificare l’oggetto sociale e in genere di porre in essere operazioni straordinarie; obblighi di compliance (in particolare per quanto riguarda le obbligazioni fiscali e tributarie); l’obbligo di non distribuire utili tra i soci; (iii) covenants finanziari su rapporti non finanziari di impresa, per esempio regolati dal diritto di famiglia [3]. Con riferimento alle fattispecie di primo e secondo tipo l’impegno del debitore a rispettare [continua ..]


2. La rilevanza dei covenants negli accordi di ristrutturazione. Accordi meramente negoziali e accordi tipici di diritto fallimentare. L'accordo come atto gestionale. Organi di gestione e responsabilità

I covenants rappresentano uno strumento utilizzato anche in quegli accordi di ristrutturazione tra debitore e creditori, atipici (o meramente negoziali) o regolati dalle leggi fallimentari (nel nostro ordinamento all’art. 182-bis legge fall.). La pratica conosce accordi dal più ampio contenuto, con la possibilità di prevedere che l’attività d’im­presa societaria continui in capo al debitore o venga affidata a un terzo. In questi casi si dà spesso adito a ristrutturazioni societarie e di gruppo, e con nuove obbligazioni (appunto fi­nan­zia­menti, che possono essere decisi anche successivamente, la c.d. «nuova finanza»), dilazioni di pagamento, l’assunzione del debito da parte di un terzo, eventualmente una società di gruppo [8]. In tutti i casi si tratta di accordi contrattuali tra debitore e creditore di natura e dal contenuto, per il debitore-impresa, anche gestionale (nella formazione e perfezionamento e nella esecuzione). Per gli organi amministrativi e di controllo valgono quindi i principi generali sul rispetto della diligenza professionale, gestionale e di vigilanza, sia all’atto della propo­sizione dell’accordo, che deve essere appunto ragionevole sul piano gestionale, sia nella fase attuativa. Nelle ipotesi di finanziatore influente, il rapporto con la società finanziata può nascere da o divenire di direzione e coordinamento, con i relativi obblighi e responsabilità (2497 ss. c.c.) [9]. Per gli accordi tipici di cui all’art. 182-bis legge fall. tale responsabilità degli organi sociali, giova precisare, non è esclusa dalla positiva relazione del professionista (richiesta dal 1° comma), che suggella sul piano della idoneità a soddisfare i creditori estranei un accordo negoziale (in principio insindacabile) preventivamente già formato tra debitore e creditori – e qui di nota la differenza con i piani di risanamento di cui all’art. 67, 3° comma, lett. b), dove l’esperto ha un ruolo e responsabilità maggiori sulla fattibilità tecnica del piano –; né dall’omo­logazione del giudice, che in quanto giudizio volontario di conformità si limita ad un sindacato di legalità (sull’esistenza dei presupposti soggettivi ed oggettivi) ma senza penetrare il merito delle [continua ..]


3. Rilevanza del ruolo degli organi di gestione. Le speciali attitudini della 'gestione vincolata'. Effetti sull’interesse sociale e sugli interessi legati all’impresa

Si com­prende, nell’ordine di idee tracciato, la rilevanza del ruolo dei gestori (e di riflesso degli organi di controllo) dell’azienda, e dei profili di responsabilità in tutte quelle ipotesi in cui il rispetto dei vincoli e parametri dipende dall’attività gestionale (in senso stretto o come pro­posta di deliberazioni assembleari), come avviene nella prima tipologia sopra illustrata e, per alcune fattispecie negoziali (così per i negative pledge e pari passu) nella seconda. Di fronte alle peculiarità della fenomenologia finanziaria negoziale invero anche l’attività gestionale assume speciali attitudini. Quando i patti esterni guidano l’attività, imponendo coor­dinate vincolate alla direzione gestionale, può divenire – a maggior ragione quando il finan­ziamento assume carattere fondamentale se non vitale per la società – logicamente meno ampia la discrezionalità degli amministratori sia sui criteri gestionali sia nel compimento delle scelte medesime. I vincoli all’agire gestionale hanno riflessi sullo stesso interesse sociale, che assume in concreto diversa portata nella relazione e nella consistenza degli interessi che di esso sono componenti o con cui si rapporta. In concreto gli obiettivi che i gestori si pongono possono essere fissati in funzione dei limiti pattizi ed in questo senso, di volta in volta, si determinano i confini e la misura dell’interesse sociale.    


4. La valutazione della diligenza professionale e la business judgment rule. La giurisprudenza. Il sindacato giudiziario sulle modalità del procedere. Omissione delle cautele e verifiche che la diligenza impone

Va da sé che le possibili ricadute sul piano della disciplina attinente alla gestione societaria, ed in particolare alla responsabilità degli am­ministratori, sono determinate dal peculiare atteggiarsi del criterio della diligenza pro­fes­sionale. Tradizionalmente, negli ordinamenti giuridici liberali, nella considerazione di un canone di comportamento ancorato all’impresa e tuttavia non coincidente con la perizia, l’errore di previsione e di valutazione e quindi di gestione è stato progressivamente assunto come errore in via di principio scusabile: il premio o la condanna sono solo economici, non giuridico-patri­moniali, se si vuole tutelare l’impresa come bene fondamentale della società [11]. Alla base di questa impostazione vi è la centralità dell’impresa, e del rischio come causa di una im­prevedibilità dei risultati, normal­mente difficile da calcolare con esattezza. Un primo corollario, proprio anche delle giurisdizioni anglosassoni, è dato dalla nota regola della astensione (la business judgment rule) [12], ossia l’insindacabilità da parte del giudice del merito delle scelte gestionali (lato sensu anche quelle del socio di controllo o che esercita la direzione e coordinamento), atteso che il giudice si sostituirebbe ex post e secundum eventum a valutazioni che ex ante possono apparire ben diverse, meno rischiose, su operazioni impren­ditoriali cui è comunque connessa, naturalmente, l’assunzione di un rischio e quindi l’even­tualità che possano avere esito negativo. Così si è espresso un orientamento giurisprudenziale, che di recente ha avuto tra i suoi più autorevoli esponenti il Tribunale di Milano [13], per il quale il merito delle decisioni gestorie, tranne che per le ipotesi che si presentino del tutto illogiche o dissennate, non può essere censurato dall’autorità giudiziaria, il cui giudizio quindi mai potrebbe investire le scelte di gestione (o le modalità o le circostanze di tali scelte, che sono campo della discrezionalità del­l’imprenditore), ma solo l’omissione delle cautele, verifiche e informazioni preventive nor­mal­mente richieste per una scelta di quel tipo in quelle circostanze e in quelle condizioni (l’o­missione quindi di regole [continua ..]


5. La diligenza professionale in presenza di covenants. I rimedi previsti dall’or­di­namento. Il nuovo art. 2392 c.c. Il rischio d’impresa calcolato e circostanziato.

Si può chiedere se una gestione vincolata da una pattuizione di covenant possa mutare la prospettiva ora descritta. Non sembra dubbio infatti che la funzione di riparti­zione del rischi d’impresa e quindi di riduzione del rischio per il finanziatore possa incidere sul rapporto tra attività gestionale e responsabilità. Il criterio della diligenza degli amministratori appare infatti concretarsi in standard di capacità da un lato di più elevata accortezza al fine di non violare i covenants, dall’altro meno creativi: in questo senso logicamente la soglia oltre la quale l’atto non è più scusabile si abbassa (con una maggiore responsabilizzazione del gestore dunque) se si contravviene agli obblighi del patto, attesa la maggiore facilità per l’amministratore di prevedere e calcolare le specifiche con­se­guenze del suo atto, rapportando gli eventi dedotti nel patto, (così l’aggra­vamento delle condizioni o la risoluzione del finanziamento), alla situazione economico-finanziaria della società. Di fronte a queste fattispecie i rimedi offerti dal nostro ordinamento per una corretta re­sponsabilizzazione dell’amministratore non sembrano inadeguati. La professionalità del ca­none di comportamento degli amministratori è stata consacrata, come noto, nel nuovo art. 2392 c.c. a seguito della riforma del 2003, scomparendo ogni riferimento alla diligenza del man­datario per far posto alla «diligenza richiesta dalla natura dell’incarico» e dalle «specifiche competenze» degli amministratori. Dalla norma più chiaramente si desume anche che il pa­rametro generale dell’attività gestionale ed il suo grado di diligenza appaiono stringenti, in quanto tarati non a misura di un generale ed astratto rischio di impresa ma in relazione alla specifica impresa e dei suoi profili di rischio. Il che non comporta – in questo senso espressamente la relazione alla riforma – «che gli amministratori debbano necessariamente essere periti in contabilità, in materia finanziaria, e in ogni settore della gestione e dell’amministrazione dell’impresa sociale, ma significa che le loro scelte devono essere informate e meditate, basate sulle rispettive conoscenze e frutto di un rischio calcolato, e non di irresponsabile o negligente [continua ..]


6. I punti deboli della business judgment rule. Conflitto di interessi e mala fede dell'amministratore infedele. Considerazioni de jure condendo per rivisitare la regola in generale. Il dato positivo: l'errore gestionale nella gestione 'sotto covenants' e la maggiore scusabilità nel rispetto dei vincoli

Se dal sistema si ricavano dunque norme adattabili alle nuove pratiche finanziarie, per dare ulteriori risposte alle esigenze di tutela degli interessi danneggiati dall’attività gestionale si può ancora interrogare sui criteri di valutazione giudiziale ed in particolare sulla business judgment rule. La stessa regola peraltro, dalla mo­tivazione delle decisioni (anche delle corti statunitensi), non sembra così rigida come appare dalle affermazioni di principio, compiendo il giudice una certa penetrazione nell’ordine degli interessi contrapposti per valutare la condotta dell’amministratore ed attribuire responsabilità altrimenti non sanzionabili [18], soprattutto (e senza ipocrisie) nelle ipotesi di conflitto di interessi e di malafede dell’amministratore infedele [19]. In tal direzione ci rendiamo conto che, fuori dai casi di conflitto di interessi e di inten­zionalità di nuocere, per consentire al giudice una maggiore sensibilità con valutazioni tecnico-gestionali del caso concreto si potrebbe utilmente accedere ad un terreno di proposte de jure condendo, soprattutto alla luce di quella dottrina convinta che la riforma, nell’aumentare la procedimentalizzazione della gestione non soltanto a livello informativo abbia confermato (se non rafforzato) la regola dell’astensione del giudice [20]. Non crediamo che la regola dell’astensione riemerga con la stessa portata, o forse si potrebbe dire che anche prima della riforma poteva essere oggetto di rivisitazione interpretativa alla luce, come detto, delle stesse argomentazioni giurisprudenziali. Ma il punto richiederebbe altro approfondimento. Qui mette conto osservare che l’esigenza di individuare – per de­limitare la discrezionalità giudiziale – standard di diligenza, può suggerire che nella gestione “pattiziamente vincolata” l’errore derivante dalla violazione del patto contenente i vincoli può diventare meno scusabile della gestione “libera”, per la presenza di un obbligo degli ammi­nistratori dal contenuto specifico per il quale, come recentemente statuito anche dalla giu­risprudenza, la diligenza viene diversamente in rilievo: essa rappresenta la stessa misura del­l’impegno richiesto e può essere esclusa solo se l’inadempimento è stato de­terminato dalla impossibilità [continua ..]


NOTE
Fascicolo 3 - 2009