Rivista di Diritto SocietarioISSN 1972-9243 / EISSN 2421-7166
G. Giappichelli Editore

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Sez. I – Osservatorio sulla corporate governance - Gli amministratori indipendenti nei codici di autodisciplina europei (a cura di Duccio Regoli) (di Duccio Regoli)


La Rivista intende ospitare un osservatorio sui temi di maggior interesse della corporate governance nelle fonti primarie e secondarie, nei codici di autodisciplina e nelle best practices nazionali e internazionali, pubblicando brevi rassegne su specifici temi con l’indicazione delle principali fonti di riferimento e una selezione della bibliografia nazionale e straniera sul tema affrontato.

In questo primo numero il tema è quello degli amministratori indipendenti nei principali codici di autodisciplina europei applicabili a società quotate.

 

SOMMARIO:

1. Nomina e rappresentatività degli amministratori indipendenti - 2. Il requisito dell’indipendenza - 3. Organizzazione degli amministratori indipendenti - NOTE


1. Nomina e rappresentatività degli amministratori indipendenti

A prescindere dalle ipotesi in cui la nomina di componenti indipendenti nel­l’organo gestorio è resa obbligatoria da specifiche disposizioni di legge (come nel caso del sistema monistico, previsto nel diritto italiano), il tema della presenza (e del numero) degli amministratori indipendenti può essere affrontato secondo una duplice prospettiva: (i) quella che determina la quota di amministratori indipendenti in relazione agli altri amministratori, esecutivi e non, e (ii) quella che calcola la stessa quota in funzione dell’assetto della compagine sociale. Con riferimento a questo secondo criterio, se si esclude l’eccezione rappresentata dalle regole di autodisciplina elaborate in Spagna [3] – che raccomandano una proporzione tra consiglieri dominicali (espressione di azionisti individuali o coalizzati cui fanno capo partecipazioni di rilievo) e consiglieri indipendenti che rifletta quella esistente tra l’ali­quota di capitale rappresentata dai consiglieri dominicali e il resto del capitale – la soluzione di raccomandare una presenza di amministratori indipendenti proporzionale al­l’azio­nariato diffuso non risulta seguita da alcun codice di autodisciplina europeo. Alcuni codici, senza stabilire coefficienti di proporzionalità, si limitano tutt’al più a riconoscere che le proposte per la nomina degli amministratori indipendenti possano provenire tanto dagli azionisti di minoranza quanto dagli azionisti di controllo, purché nel contesto di un «corretto esercizio dei diritti di nomina» [4]; altri, più velatamente, come nel caso del Code Belge de gouvernement d’entre­prise, stabiliscono che la disciplina in materia di proposte di nomina alla carica di amministratore «s’applique également aux propositions de nomination émanant d’action­naires», attribuendo implicitamente il diritto di nomina sia alla minoranza sia alla maggioranza [5]. Decisamente più frequente risulta invece il rilievo attribuito all’altro criterio, che talvolta trova attuazione con la raccomandazione di un numero minimo di indipendenti, altre volte si propone con soluzioni più articolate ispirate al principio di un equo bilanciamento della quota degli amministratori indipendenti rispetto agli altri componenti del consiglio. Al riguardo, le soluzioni raccomandate [continua ..]


2. Il requisito dell’indipendenza

Nonostante gli ordinamenti giuridici europei adottino differenti modelli di governance, la gran parte dei codici enfatizza l’esigenza che l’organo deputato all’esercizio della supervisione e del monitoraggio sulla gestione sia sufficientemente separato dal management e che, a tale scopo, sia composto da soggetti «indipendenti». Sebbene dal­l’as­setto complessivo delle previsioni autodisciplinari possa desumersi la condivisione di un concetto generale di indipendenza sostanzialmente corrispondente alla «libertà di giudizio», le definizioni – e modulazioni – di tale concetto variano poi significativamente da codice a codice. L’assenza, allo stato, di un approccio unitario al tema definitorio si riflette nella divergenza delle soluzioni adottate e raggiunge la propria manifestazione più evidente nella scelta di rimettere in ultima istanza al consiglio di amministrazione la definizione (e l’accertamento) dell’in­di­pendenza [13]. Ed è probabilmente anche in considerazione di tale circostanza che in alcuni codici la «libertà di giudizio» viene genericamente riferita a tutti gli amministratori: il consiglio – sia esso di amministrazione ovvero di sorveglianza – deve essere in grado di esercitare nel suo complesso un giudizio obiettivo e indipendente sugli affari sociali e, proprio in tale ottica, dovrebbe considerare l’opportunità di destinare un numero sufficiente di amministratori non esecutivi e indipendenti alla determinazione delle decisioni nelle quali possano emergere possibili conflitti di interessi [14]. Se si esaminano le diverse soluzioni adottate in assenza di un approccio uniforme, si nota che alcuni codici, quali il Combined Code, hanno optato per una precisa elencazione dei requisiti di indipendenza, pur limitandosi, nello spirito della regola del comply or explain a suggerirne – e non a imporne – l’ado­zione [15]. Altri, come ad esempio i Principes du gouvernement d’entreprise francesi hanno elaborato (art. 8) una clausola generale di indipendenza, accompagnandola tuttavia ad una serie di parametri per stabilire se tale requisito possa o meno ravvisarsi in concreto. Peculiare è poi l’espe­rienza tedesca, dove il Deutscher Corporate Governance Kodex, al contrario, non contiene alcuna [continua ..]


3. Organizzazione degli amministratori indipendenti

L’efficiente esercizio delle funzioni di monitoraggio tipicamente associate alla carica di amministratore indipendente, diretta a scoraggiare o, comunque, a rilevare e censurare comportamenti opportunistici degli amministratori esecutivi, presuppone che gli indipendenti siano concretamente messi nelle condizioni di poter operare: in altri termini, occorre prevedere strumenti atti ad assicurare un’efficiente organizzazione degli amministratori indipendenti. Del resto l’autonomia «organizzativa» dei centri di controllo sulla gestione trova già un suo esplicito riconoscimento nelle norme autoregolamentari che raccomandano l’ado­zio­ne di comitati interni al consiglio di amministrazione, con funzioni non solo di carattere consultivo, ma anche di tipo istruttorio in relazione a materie particolarmente soggette al rischio di conflitti di interessi. Al riguardo tutti i codici di autodisciplina tendono ormai a concepire questi comitati come forme organizzative, composte prevalentemente da amministratori indipendenti, preposte alla sorveglianza delle aree e/o decisioni più a rischio (nomine, retribuzione e controllo interno). Pressoché tutti i codici evidenziano la necessaria presenza nei comitati di amministratori non esecutivi e indipendenti, salvo poi sperimentare soluzioni diversificate in ordine al loro numero e alla loro proporzione: così, mentre il Combined Code prevede in linea generale che il comitato remunerazione e l’audit committee siano composti da almeno tre amministratori non esecutivi e indipendenti [19], il codice di Borsa Italiana si limita a suggerire che in via di principio i comitati siano composti in maggioranza da amministratori indipendenti – salva l’ipotesi del comitato per il controllo interno, che deve essere formato esclusivamente da amministratori indipendenti qualora il soggetto che controlla l’emittente sia a sua volta una società quotata [20] – mentre altri codici stabiliscono differenti proporzioni [21]. Secondo il nuovo codice spagnolo, i tre comitati devono essere formati esclusivamente da amministratori externos (senza distinzione, quindi, tra dominicales ed independientes), in un numero minimo di tre e il presidente di ciascuno di essi deve essere senz’altro indipendente [22]; il Livro Branco sobre Corporate Governance em Portugal del [continua ..]


NOTE
Fascicolo 1 - 2007