Rivista di Diritto SocietarioISSN 1972-9243 / EISSN 2421-7166
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Sistema monistico e tecniche di revoca dei sindaci (nota a Trib. Napoli, ord., 25 luglio 2006) (di Paolo Ghionni)


TRIBUNALE DI NAPOLI (ordinanza) 25 luglio 2006 – Frallicciardi Presidente – Pezzullo Relatore.

Società per azioni – Delibera di modifica del sistema di amministrazione da tradizionale a monistico – Conseguente soppressione del collegio sindacale – Annullabilità per eccesso di potere, nonché per incompletezza dell’ordine del giorno contenente la semplice indicazione della modifica dello statuto – Legittimazione attiva dei singoli membri del collegio sindacale

(Artt. 2380, 2° comma, 2400, 2° comma, 2366, 1° comma, e 2377, 2° comma, c.c.)

La delibera con cui si modifica il modello di amministrazione della società da tradizionale a monistico, adottata al solo scopo di revocare i sindaci, è annullabile per eccesso di potere, oltre che per irregolarità dell’avviso di convocazione, ove questo contenga, tra gli argomenti da trattare, semplicemente la modifica dello statuto e non anche del sistema di amministrazione. La legittimazione all’impugnativa spetta pure al singolo sindaco individualmente (1).

(Omissis). I reclamanti lamentano, in particolare, che l’assemblea della società N.L.G. s.p.a. del 13.2.2006, convocata sul seguente ordine del giorno Parte straordinaria: 1) “Modifica dello statuto della società” e Parte ordinaria: 1) “Relazione del Presidente della società sull’attività svolta dal Consiglio e delibere conseguenti”; 2) “Dimissioni dei componenti del Consiglio di Amministrazione e nomina dei nuovi componenti”; 3) “Rinnovo del Collegio Sindacale” (cfr. raccomandata di convocazione del 27.01.06) deliberava – quanto alla parte straordinaria – non solo di prendere atto della necessaria caducazione e sostituzione ex lege delle disposizioni statutarie divenute incompatibili a seguito dell’introduzione della riforma del diritto societario (d.lgs. 6/2003, come modificato da1 d.lgs. 37/2004 e art. 223 bis disp. att. c.c.), di fissare la durata della società al 31.12.2050, ma di adottare pure immediatamente, in deroga a quanto previsto dall’art. 2380 c.c., il sistema di amministrazione monistico di cui agli artt. 2409 sexiesdecies c.c., in virtù del quale l’amministrazione ed il controllo della società sono esercitati rispettivamente dal consiglio di amministrazione e da un comitato costituito al suo interno, nonché deliberava – quanto alla parte ordinaria – di nominare i nuovi membri del Consiglio di Amministrazione ed i membri del Comitato per il Controllo sulla Gestione dando atto con riguardo all’ultimo capo dell’ordine del giorno, che a seguito dell’approvazione del nuovo testo di statuto sociale, il Collegio Sindacale risulta decaduto e non necessita il suo rinnovo.

I reclamanti deducono che tale delibera sarebbe: 1) nulla a) per frode alla legge, traducendosi essa in un tipico caso di revoca ingiustificata dei sindaci, mascherata con una non necessaria modifica statutaria e l’iter seguito dagli azionisti della società si è tradotto in una violazione di una norma imperativa che presiede alla sostituzione dei sindaci, quale è quella dell’art. 2400, 2° comma, c.c., secondo cui i sindaci possono essere revocati solo per giusta causa e la deliberazione di revoca deve essere approvata con decreto del Tribunale, sentito l’interessato. Tale norma di fatto è stata aggirata semplicemente cambiando il sistema di controllo della società: b) per oggetto illecito in esso ricompresa anche l’ipotesi di illiceità del contenuto intrinseco della deliberazione, ricorrendo tale ipotesi tutte le volte in cui il contenuto del deliberato si ponga in contrasto con una norma imperativa che tocca l’interesse generale al corretto funzionamento della società (nel caso in esame appunto revoca dall’incarico senza giusta causa operata attraverso il cambiamento del sistema di gestione); 2) invalida per eccesso di potere, atteso che nell’assumere tale delibera i soci della N.L.G. hanno agito violando i canoni di correttezza e buona fede che devono presiedere alla gestione dei rapporti societari, compiendo un abuso o eccesso di potere, strumentalizzando il passaggio da un sistema di amministrazione e controllo tradizionale a quello monistico, al fine di liberarsi della presenza dei sindaci in carica; 3) annullabile in quanto tra gli argomenti posti all’ordine del giorno non figurava la “presa d’atto” della decadenza del Collegio Sindacale bensì il rinnovo del collego sindacale; 4) inefficace, atteso che l’inesistenza dello giusta causa di revoca rappresenta non un semplice fatto costitutivo di un obbligo risarcitorio pure sussistente, ma elemento che impedisce alla revoca di produrre i propri effetti tipici.

Sulla base di tali considerazioni i reclamanti hanno evidenziato come il provvedimento del giudice di prime cure non si presenti condivisibile in quanto pur riconoscendo che il mutamento del sistema di governance ex art. 2380 c.c. “potrebbe essere utilizzato artificiosamente dal pacchetto di maggioranza della società per rimuovere la funzione di controllo o indurre un cambiamento nei suoi attori”, inspiegabilmente dà atto successivamente “che il rimedio contro tali abusi non può essere di natura preventiva, bensì di carattere successivo, consistente nell’impugnativa della delibera di governance” per violazione dei canoni di correttezza e buona fede ovvero per abuso ed eccesso di potere laddove esattamente questo hanno fatto gli attori impugnando le delibere medesime per violazione dei canoni di correttezza e buona fede e/o per abuso o eccesso di potere.

Da tanto consegue, quindi, che il provvedimento reclamato va riformato e va conseguentemente disposta l’im­me­diata sospensione delle delibere impugnate.

DEDUZIONI DELLA RECLAMATA

La reclamata si è riportata a tutte le deduzioni già effettuate con la memoria difensiva nel procedimento per la sospensiva delle delibera, nonché alla comparsa di costituzione nel giudizio di merito e segnatamente ha dedotto: che l’istanza di sospensione non può accompagnare una pretesa risarcitoria; che non può essere richiesta la sospensiva delle delibere che abbiano già avuto integrale esecuzione; che ai sensi dell’art. 2378 c.c., legittimati alla richiesta di sospensiva della delibera sono esclusivamente i soci; che non si ravvisa nella fattispecie in esame alcun profilo di illiceità della delibera; che, ove sussistenti i vizi di cui sarebbe affetta la delibera in questione, essi andrebbero ricondotti nell’alveo della annullabilità, con la conseguenza che i sindaci sarebbero privi di legittimazione, riconosciuta dalla legge al solo Collegio Sindacale, e con specifico riguardo all’abuso di potere, legittimati sarebbero esclusivamente i soci di minoranza, laddove nel caso in esame i soci assenti alla delibera alcunché di contrario hanno manifestato; che anche con riguardo alla necessità dell’ordine del giorno, quest’ultimo è ispirato da un’esigenza di tutela dei soci ed alcuno dei soci ha lamentato alcunché.

VALUTAZIONI DEL COLLEGIO

Il reclamo è fondato. Ed invero per quanto concerne le specifiche deduzioni della società reclamata, non risultando dedotto alcunché di nuovo o di diverso rispetto a quanto valutato dal giudice di prime cure, vanno integralmente richiamate in questa sede, perché del tutto condivisibili, le valutazioni operate nel provvedimento impugnato circa: 1) la preordinazione della domanda cautelare a quella di merito relativa alla declaratoria di invalidità della delibera, ove il riferimento al risarcimento del danno costituisce solo un corollario; 2) la sussistenza della legittimazione attiva dei reclamanti singolarmente, in qualità di sindaci sino alle delibere del 13.2.2006 della società N.L.G., ad impugnare le delibere stesse, con le quali è stato appunto soppresso il Collegio Sindacale; 3) la legittimazione dei reclamanti, anche nel caso in cui si contesti l’eccesso di potere nell’ado­zione della delibera impugnata, risultando quest’ultima impugnabile, non solo dai soci di minoranza ma da chiunque subisca un danno da una delibera affetta da tale vizio.

Tanto premesso si osserva che non sussiste controversia tra le parti – risultando, peraltro, la circostanza documentalmente dimostrata attraverso la produzione del verbale della delibera assembleare del 13.2.2006 – che l’as­sem­blea della società N.L.G. in data 13.2006 deliberava e prendeva atto dell’impossibilità – per effetto della scelta del nuovo sistema di amministrazione – di rinnovare il collegio sindacale.

Si osserva, altresì, che deve essere immediatamente sgom­brato il campo dal dubbio che in qualche modo i reclamanti abbiano inteso dedurre in principale la ricorrenza nel caso in esame dell’ipotesi di cui all’art. 2400 c.c. (dubbio questo ingenerato dalla motivazione del provvedimento reclamato nel quale si legge “che la fattispecie concreta posta all’esame dello stesso non rientri nella ipotesi disciplinata dall’art. 2400, 2° comma, c.c. non trattandosi di una revoca, visto che la cessazione dalla carica dei sindaci costituisce conseguenza inevitabile dovuta all’attuazione di una modifica statutaria” ed ancora “il rimedio, contro tali abusi, non può essere di natura preventiva – l’approva­zione del Tribunale ex art. 2400, comma 2°, c.c. – bensì di carattere successivo e consistente, soprattutto, nell’impu­gnativa della delibera di cambiamento del sistema di governance per violazione dei canoni di correttezza e buona fede, ovvero secondo la ricostruzione prevalente in giurisprudenza per abuso o eccesso di potere”), atteso che la domanda di merito principale è appunto quella di “dichiarare nulla, annullabile e comunque invalida ed inefficace le deliberazioni adottate dall’assemblea straordinaria e ordinaria della N.L.G. del 13 febbraio 2006, per i motivi tutti dl cui al presente atto”.

Tanto precisato si osserva che nel caso in esame sussiste il fumus boni iuris, indispensabile per l’adozione del provvedimento invocato (la sospensione delle delibere assembleari prevista dall’art. 2378 c.c. rientra tra le misure cautelati richiamate dall’art. 669 quaterdecies c.p.c. e può, di conseguenza, trovare applicazione esclusivamente ove sussistano al contempo i presupposti del “fumus boni iuris” e del “periculum in mora”), – in relazione alla domanda di annullabilità delle delibere assembleari del 13.2.2006 della società N.L.G. s.p.a. In particolare appare ravvisabile l’annullabilità della delibera sia sotto il profilo dell’eccesso od abuso di potere sia sotto quello della inesatta, incompleta od omessa informazione assembleare in merito alle delibere da adottare.

Per entrambi tali profili, innanzitutto, la giurisprudenza, come detto, riconosce la legittimazione attiva all’impu­gnazione ai singoli sindaci sebbene l’art. 2377/2 c.c. faccia specifico riferimento al collegio sindacale, sicché anche qualora si controverta di omessa o inesatta informazione dell’assemblea, ovvero di eccesso o abuso di potere va riconosciuta ai predetti la legittimazione ad impugnare e a richiedere la sospensiva ex art. 2378/3 c.c. non ravvisandosi motivi per diversificare le due ipotesi.

Con riguardo, in particolare, a1 profilo dell’eccesso od abuso di potere, nello stesso provvedimento reclamato si ritiene sussistente un’ipotesi di violazione dei canoni di correttezza e buona fede, ovvero di abuso od eccesso di potere. Ed effettivamente, nel caso in esame, sussistono precisi indici sintomatici del fatto che attraverso il mutamento del sistema di amministrazione, la società N.L.G. intendeva di fatto determinare la cessazione delle funzioni dei sindaci. Ciò appare agevolmente ricavabile dalla circostanza che nelle discussioni prodromiche all’assemblea del 13.2.2006 non sia mai stata prospettata l’opportunità del passaggio da una gestione tradizionale a quella monistica, nonché dal generico riferimento contenuto nella parte straordinaria dell’ordine del giorno dell’assemblea alla modifica allo statuto della società, senza alcun accenno al possibile mutamento del sistema di amministrazione e la previsione, nel contempo, del rinnovo del Collegio Sindacale, a dimostrazione del fatto che prima dell’assemblea non vi era alcuna volontà di mutare in concreto sistema e che tale strada si è aperta solo all’esito del rifiuto dei Sindaci di dimettersi. In tale contesto, se è pur vero che del tutto legittima si presenta, in linea generale, la possibilità per l’assemblea di deliberare il passaggio al sistema monistico essendo tale possibilità normativamente prevista, tuttavia regole di trasparenza, buona fede e correttezza impongono che tale mutamento sia chiaramente individuabile nell’intenzione dei soci e non strumentalmente finalizzato alla soppressione di fatto del Collegio Sindacale, al fine di non incorrere nelle maglie dell’art. 2400 c.c. Nel caso in esame, pertanto, in considerazione dei predetti indici, la delibera impugnata appare essere frutto di un’attività diretta appunto a ledere i diritti dei sindaci, così come peraltro era stato già evidenziato dal Giudice di prime cure.

Si ravvisa inoltre il fumus boni iuris in relazione al profilo dell’annullabilità della delibera per violazione dell’art. 2366/1 c.c., il quale contempla che l’avviso di convocazione dell’assemblea deve contenere, tra l’altro, l’indicazione delle materie da trattare. Orbene, se l’indicazione nell’or­di­ne del giorno delle materie da trattare può essere anche sintetica secondo quanto affermato ripetutamente dalla S.C., tuttavia essa deve essere chiara e non ambigua in modo tale da non sorprendere la buona fede degli assenti e consentire una adeguata discussione. Nel caso in esame, invece, l’avviso di convocazione dell’assemblea del 13.2.2006 appare caratterizzato da un’ambiguità di fondo e si è tradotto quindi in un incompleto e/o inesatto elenco delle “materie da trattare”.

Tanto precisato, sotto il profilo del fumus e delle ipotesi di annullabilità ravvisabili nella delibera reclamata, si osserva che ricorre nella fattispecie in esame anche il requisito del periculum in mora, tenuto conto del fatto che ove non si sospendesse la delibera in questione i reclamanti vedrebbero irrimediabilmente compromessa la possibilità di espletare le loro funzioni, in attesa della definizione del giudizio di merito, stante la maturazione del termine di scadenza del loro mandato.

Alla luce di tutto quanto esposto, pertanto, in accoglimento del reclamo, dispone sospendersi le delibere del­l’as­semblea ordinaria e straordinaria del 13.2.2006 della società N.L.G.

Le spese del presente procedimento saranno regolate con la sentenza che definirà il giudizio di merito. (Omissis).

 

(1) Sistema monistico e tecniche di revoca dei sindaci

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SOMMARIO:

1. Il caso e la normativa di riferimento - 2. I precedenti giurisprudenziali - 3. Il commento e le posizioni della dottrina - 4. (Segue). Modifica del sistema di amministrazione della società e conseguente soppressione del collegio sindacale tra revoca e cessazione anticipata - 5. (Segue). La ricostruzione dottrinaria del­l'abuso di maggioranza e la sua configurabilità nel caso di specie - 6. (Segue). Vizi relativi all'ordine del giorno - 7. (Segue). La legittimazione all'impugna­tiva delle delibere annullabili da parte del collegio sindacale - 8. Valutazioni di sintesi - NOTE


1. Il caso e la normativa di riferimento

L’assemblea di una s.p.a. viene convocata con avviso contenente il seguente ordine del giorno: modifica dello statuto della società, in parte straordinaria; e rinnovo del collegio sindacale, in parte ordinaria. Riunitasi l’assemblea, viene deliberato non solo l’adeguamento dello statuto ed, in particolare, di tutte quelle previsioni incompatibili con le nuove norme introdotte dalla riforma del diritto societario, ma anche il cambiamento del sistema di gestione della società con effetto immediato. L’assemblea delibera a favore dell’adozione del modello monistico ex art. 2409-sexiesdecies c.c. e, di conseguenza, viene dichiarato decaduto il collegio sindacale, senza che sia necessario procedere al rinnovo del medesimo (come pure previsto all’ordine del giorno), poiché trattasi di organo non previsto dal nuovo sistema di amministrazione. In particolare, interessa rilevare che la decisione di modifica del modello di gestione, salvo che la deliberazione disponga altrimenti, ha effetto alla data dell’assemblea convocata per l’ap­pro­vazione del bilancio relativo all’esercizio successivo (art. 2380, 2° comma, c.c.). In sede di reclamo avverso il provvedimento di rigetto dell’invalidità della delibera in questione, i sindaci richiedono nuovamente che sia dichiarata nulla, annullabile e comunque invalida ed inefficace tale deliberazione. Il tribunale ritiene fondata la domanda di annullabilità sia sotto il profilo dell’eccesso od abuso di potere che quanto all’inesatta, incompleta od omessa informazione in merito alla decisione da adottare. Nello specifico, si ritiene configurabile l’abuso o eccesso di potere sul piano dell’assunzione della delibera in violazione dei canoni di correttezza e buona fede. A giudizio del Collegio vi sono precisi indici sintomatici a dimostrazione dell’intento della società di determinare di fatto la cessazione delle funzioni dei sindaci. Al riguardo, si evidenzia come non fosse mai stata prospettata l’ipotesi di un mutamento del sistema di gestione e come l’ordine del giorno fosse formulato proprio in maniera tale da nascondere sino all’ultimo la volontà di introdurre il sistema monistico. Da una parte, infatti, l’ordine del giorno faceva un riferimento generico al cambiamento dello statuto, senza indicare alcuna modifica circa le modalità di gestione [continua ..]


2. I precedenti giurisprudenziali

Il caso specifico dell’adozione di delibere di modifica del sistema di amministrazione volte all’aggira­mento della disposizione che impone la revoca dei sindaci (solo) per giusta causa rappresenta una novità, poiché i sistemi alternativi di amministrazione sono di recente introduzione. Anzi, sotto tale profilo, può immaginarsi che l’escamotage della revoca dei sindaci in assenza di giusta causa possa essere attuato, analogamente, con l’adozione del modello dualistico in luogo di quello tradizionale [3]. Nondimeno, sono già note alla prassi altre tecniche di revoca dei sindaci senza passare per l’approvazione giudiziale, né giungere alla più grave conseguenza della totale soppressione dell’organo. Si pensi alla delibera del­l’azione di responsabilità nei loro confronti, adottata con il voto favorevole dei soci che rappresentano almeno un quinto del capitale sociale; l’ap­pro­vazio­ne comporta la revoca automatica degli stessi ai sensi del combinato disposto degli artt. 2407, 3° comma, c.c. e 2393, 5° comma, c.c. [4]. I precedenti giurisprudenziali che si sono pronunciati al riguardo non hanno ritenuto invalida la delibera, ammettendo solo il diritto al risarcimento dei danni in capo ai sindaci [5]. Corposa è la giurisprudenza in materia di delibere annullabili per abuso di maggioranza. Rinviando a quanto si dirà più avanti circa il fondamento giuridico dell’eccesso di potere, qui è sufficiente affermare che l’orientamento più recente delle pronunce di legittimità e di merito riconduce l’inva­lidità della delibera alla violazione dei canoni di correttezza e buona fede e non più alla deviazione della causa dal contratto sociale, ovvero alla figura pubblicistica del­l’ec­ces­so di potere [6]. È in ogni caso ricorrente il rilievo della necessità dell’elemento del danno ai fini dell’annullabilità, quale che sia la tesi sul fondamento dell’abuso di potere. È costante, infatti, l’opinione in base alla quale l’an­nullabilità non può scattare sic et simpliciter da una violazione dei principi di correttezza e buona fede, poiché è pur sempre necessario che la delibera risulti arbitrariamente o fraudolentemente preordinata dai soci di [continua ..]


3. Il commento e le posizioni della dottrina

Il Tribunale ritiene che siano due i motivi di invalidità della decisione de qua: l’abuso di potere in relazione alla delibera di modifica del sistema di gestione della società da tradizionale a monistico, adottata al solo scopo di privarsi del collegio sindacale; e l’incompletezza o, comunque, l’inesattezza dell’av­vi­so di convocazione dell’assemblea, in quanto non contenente, tra le materie da trattare, l’indicazione del mutamento del modello di amministrazione. Relativamente ad entrambi viene escluso che si tratti di vizi comportanti la nullità, poiché non riconducibili all’art. 2379 c.c. [17]. Quanto al primo dei due, ossia alla c.d. revoca tacita dei sindaci si ritiene che vi sia abuso di potere, ossia una causa di annullabilità della delibera per non conformità alla legge ed, in particolare, per violazione dei principi di correttezza e buona fede. Nondimeno, tale soluzione non è proprio del tutto appagante agli occhi dell’interprete, perché se si arriva a dimostrare che la delibera è stata presa al solo scopo di far cessare le funzioni del collegio sindacale, aggirando la necessità della giusta causa ai fini della revoca (art. 2400, 2° comma, c.c.), si tratterebbe di un caso di fraus legi [18]. Siffatta ipotesi limite rende, tuttavia, alquanto ardua la dimostrazione sul piano probatorio; e, respingendo qualsivoglia tentativo o tentazione di parlare al riguardo di inesistenza, la fattispecie non sembra essere riconducibile ad alcuno dei casi di nullità – tassativamente – previsti dal legislatore [19]. A prescindere dalla necessità dell’approvazione del Tribunale ex art. 2400, 2° comma, c.c., l’ipotesi meno peregrina potrebbe essere quella di considerare la delibera de qua nulla per illiceità dell’oggetto, ma significherebbe cadere in facili errori [20]. Se oggetto della decisione fosse quello della revoca dei sindaci tout court e fosse assente la giusta causa, si avrebbe una delibera nulla per illiceità dell’oggetto, o meglio per illiceità del contenuto, in virtù della contrarietà con il precetto imperativo di cui all’art. 2400, 2° comma, c.c. [21]. La delibera avrebbe, infatti, oggetto lecito (revoca dei sindaci), ma contenuto illecito (revoca dei sindaci in assenza di una giusta causa), non [continua ..]


4. (Segue). Modifica del sistema di amministrazione della società e conseguente soppressione del collegio sindacale tra revoca e cessazione anticipata

Non è per nulla pacifico, in dottrina, che la delibera di variazione del sistema di amministrazione durante societate comporti una vera e propria revoca, con conseguente necessità di applicare l’art. 2400, 2° comma, c.c. Si parla, al riguardo, di decadenza, seppur in termini dubitativi [23]; ovvero di cessazione anticipata, argomentando, essenzialmente, dalla diversità di funzioni degli organi sociali nei vari sistemi di amministrazione e controllo [24]. A sostegno di siffatta opinione, parte della dottrina pone anche alcune pronunce della giurisprudenza francese, ove si ritiene che la revoca dei componenti del directoire in seguito all’introduzione del consiglio di amministrazione ed alla eliminazione del sistema dualistico non possa equipararsi ad una révocation sans juste motif, ma debba, piuttosto, considerarsi come una soppressione del posto, dovuta alla cessazione delle loro funzioni [25]. È opportuno chiarire che appare difficilmente sostenibile che si tratti di una decadenza in senso tecnico. Le ipotesi di decadenza sono indicate dal legislatore (art. 2399 c.c.) e si ricollegano ad una serie di requisiti soggettivi, nonché di inadempimenti (c.d. decadenza sanzionatoria) che investono la persona del sindaco e non ad eventi determinati dalle decisioni assunte dalla società, quali il cambiamento del sistema di gestione [26]. Né pare rilevante, ai fini del discorso, obiettare che, con la riforma, è possibile prevedere cause statutarie di decadenza. Attraverso tale innovazione è, infatti, possibile richiedere che i sindaci siano in possesso di ulteriori requisiti; peraltro, a condizione che siano più stringenti di quelli già contemplati dal legislatore [27]. Sicché appare difficile sostenere che la decadenza possa essere connessa anche a circostanze del tutto indipendenti dal comportamento inadempiente dei sindaci, come pure dal possesso in capo a costoro di specificate capacità. Se, pertanto, non ci si trova dinanzi ad un’ipotesi di decadenza, allora non può che trattarsi di una causa di revoca, con la particolarità che non è espressa, bensì tacita, implicita [28]. Ciò sembra costituire immediata conseguenza del fatto che il legislatore disciplina dettagliatamente i casi in cui il sindaco può cessare; ed impedisce la revocabilità dello stesso ad nutum, [continua ..]


5. (Segue). La ricostruzione dottrinaria del­l'abuso di maggioranza e la sua configurabilità nel caso di specie

In via generale, la dottrina è sempre stata sensibile all’esigenza di protezione delle minoranze ed ha perciò concordemente ammesso l’ipotesi dell’annul­la­bilità delle delibere per eccesso di potere. Quanto al fondamento dell’invalidità vi sono però delle visioni contrastanti [34]. Appaiono al riguardo superate le tesi che lo individuano nel vizio della causa del contratto sociale, ovvero nella figura dell’eccesso di potere presente nel diritto pubblico [35]. In tempi più e meno recenti, invece, è stata proposta da più parti l’ipotesi della riconducibilità della fattispecie in questione all’art. 2373 c.c., cioè al conflitto di interessi del socio [36]. Nello specifico, si è ritenuto di poter ricondurre all’art. 2373 c.c. un generico divieto di perseguire interessi in contrasto con quello della società, cosicché anche l’ipotesi dell’azionista o degli azionisti di maggioranza che non versino in una situazione di conflitto, ma che esercitino il voto in danno di uno o più soci sarebbe in contrasto con l’art. 2373 c.c. [37]. Decisamente maggioritaria è però un’altra ricostruzione che si rifà ai principi generali dell’or­dina­mento. Si tratta della tesi che individua nella violazione dei canoni di correttezza e buona fede il fondamento giuridico dell’annullabilità delle delibere assembleari per abuso di potere [38]. In quest’ottica, medesimo è il fondamento del divieto, sia che si tratta di abuso della maggioranza che della minoranza [39]. L’esercizio del diritto di voto è, infatti, esecuzione del contratto di società, cui sono applicabili le clausole generali previste dal nostro ordinamento di correttezza (art. 1175 c.c.) e buona fede (art. 1375 c.c.) nell’esecuzione del contratto [40]. Né può farsi a meno di rilevare che, in via generale, in queste medesime clausole la dottrina civilistica individua, pur non senza contrasti, il fondamento della fattispecie del­l’abu­so del diritto [41]. Sostanzialmente analoga è la posizione di chi valorizza il dato testuale dell’art. 2377, 1° comma, c.c., affermando che l’ordinamento pone un principio positivo di adeguamento del procedimento deliberativo a regole legali o [continua ..]


6. (Segue). Vizi relativi all'ordine del giorno

Diversamente dall’abuso di potere, appare certamente fonte di invalidità della delibera in questione l’irregolarità dell’avviso di convocazione. Come già accennato, il Tribunale ritiene che si tratti di una causa di annullabilità e non di nullità. Sul punto la decisione dei giudici napoletani appare condivisibile; ma non può farsi a meno di effettuare qualche considerazione, poiché non appare pacifico, in via teorica, escludere a priori che il vizio possa essere fonte di nullità. È insegnamento dottrinario antico ed autorevole quello secondo il quale l’indicazione, nell’avviso di convocazione dell’assemblea, dell’elenco delle materie da trattare ha la duplice funzione di rendere edotti i soci circa gli argomenti sui quali essi dovranno deliberare, per consentire la loro partecipazione alla riunione con la preparazione e l’infor­ma­zione necessarie; e di evitare che sia sorpresa la buona fede degli azionisti assenti a seguito di deliberazioni su materie non incluse nell’ordine del giorno [55]. Le funzioni così individuate sono pacificamente riconosciute anche oggi sia in dottrina che in giurisprudenza [56]. In base all’art. 2379, 3° comma, c.c., non si considera nulla, per mancanza della convocazione, la delibera dell’assemblea riunitasi sulla base di un avviso di convocazione irregolare, ma che, fra gli altri requisiti richiesti dalla norma per non provocare la nullità, consenta a coloro che hanno diritto di intervenire di essere preventivamente avvertiti della convocazione e della data dell’assemblea. Nella prospettiva del legislatore, pertanto, non è fonte di nullità la convocazione tramite avviso non contenente all’or­dine del giorno, tra gli argomenti da trattare, quello su cui l’assemblea successivamente delibera. Viceversa, da ciò si ricava a contrario, che se gli azionisti con diritto di intervento in assemblea non sono preventivamente avvertiti della convocazione e della data della riunione, la relativa deliberazione è affetta da nullità. Si pensi al socio che non è messo in condizione di prendere parte all’assemblea, poiché, ad esempio, la riunione gli viene comunicata con mezz’ora d’anticipo; in questo caso, la relativa delibera è affetta dal più grave regime di invalidità [continua ..]


7. (Segue). La legittimazione all'impugna­tiva delle delibere annullabili da parte del collegio sindacale

Infine, è ora possibile effettuare alcune osservazioni circa il potere-dovere dei sindaci di adire l’au­to­rità giudiziaria allo scopo di far dichiarare l’invali­dità delle deliberazioni assembleari. Il problema si pone logicamente dopo aver accertato, come correttamente concluso anche dal Tribunale, che nel caso de quo non ci si trovi di fronte ad un caso di nullità, in cui la legittimazione all’impugnativa spetta a chiunque vi abbia interesse. La dottrina sembra alquanto decisa nel ritenere, alla luce del nuovo diritto societario, che il potere di chiedere l’annullamento delle delibere da parte dei sindaci spetti esclusivamente all’organo e non al sin­golo membro, valorizzando il rinnovato dato testuale (art. 2377, 2° comma, c.c.) e, di conseguenza, la differenza rispetto alla passata disciplina che faceva riferimento ai sindaci tout court [63]. In realtà, la tesi della legittimazione collegiale è stata già ampiamente sostenuta in passato, argomentando dalla circostanza che la decisione di impugnare o meno la delibera viziata richiede una valutazione comparata in termini di vantaggi e svantaggi in relazione al perseguimento del­l’in­teresse sociale, cosicché è necessaria una ponderazione dell’intero organo [64]. A conferma viene posta, altresì, la convinzione secondo la quale i compiti attribuiti ai sindaci sono, in via di principio, collegiali [65]. Diffusamente seguita, prima della riforma del diritto societario, era però anche l’opinione contraria sulla base del dato normativo che attribuiva la legittimazione ai sindaci [66]. Per alcuni Autori era ed è però possibile ammettere, in via di eccezione, la legittimazione individuale nel caso di delibera lesiva degli interessi personali dei componenti dell’organo di controllo [67]. Non può farsi a meno di rilevare che, in una simile circostanza, pare più coerente riconoscere al singolo il diritto ad agire per ottenere il risarcimento dei danni, conformemente al principio dettato in relazione al socio danneggiato dalla decisione invalida, ma privo della percentuale necessaria ai fini del­l’impugnazione (art. 2377, 4° comma, c.c.) [68]. Uno dei motivi ispiratori della riforma del diritto societario è, infatti, costituito da una forte riduzione della tutela reale – [continua ..]


8. Valutazioni di sintesi

In definitiva, vi è più di un dubbio sulla configurazione dell’annullabilità per eccesso di potere nel caso de quo, in virtù dell’assenza dell’elemento del danno nei termini precedentemente indicati. Nondimeno, al di là di questo rilievo, vi è anche un altro problema – non ultimo in ordine di importanza – che sembra opporsi ad una simile ricostruzione. Non è dato conoscere con certezza se, nel caso concreto, i sindaci fossero scaduti, ma tanto parrebbe ricavarsi dall’ordine del giorno che contiene, tra gli altri argomenti da trattare, il rinnovo del collegio sindacale. Di conseguenza, nessun problema si verrebbe a determinare in relazione alla necessità di procedere alla loro revoca; né vi sarebbe alcun danno nei confronti degli stessi. Se, infatti, il legislatore intende tutelare l’indipen­denza dei sindaci attraverso l’irrevocabilità se non per giusta causa, ciò non implica, come pare evidente, alcun obbligo di mantenere in vita, quale organo di controllo, il collegio sindacale, nel momento in cui i relativi componenti sono scaduti dalla carica. In un caso del genere, la società è assolutamente libera, alla stregua di quanto accade in sede di costituzione, di scegliere il sistema di amministrazione che considera più congeniale alle proprie esigenze organizzative. Né tale libertà di scelta viene meno durante societate: come detto, infatti, prevale in dottrina l’opi­nio­ne secondo la quale nel passaggio dal sistema tradizionale a quello monistico, l’art. 2400, 2° comma, c.c. è inapplicabile, salva l’ipotesi della frode. Con ciò non si vuole negare che vi sia stata violazione degli artt. 1175 e 1375 c.c., bensì si vuole sostenere che l’inosservanza degli obblighi di correttezza e buona fede non sembra rilevante quanto alla configurazione dell’abuso di maggioranza. Siffatta violazione pare, tuttavia, sussistente – come correttamente affermato dal Tribunale di Napoli – ed, altresì, rilevante; ma esclusivamente ai fini dell’altra causa di invalidità della decisone de qua, ossia quella relativa all’ir­re­golarità dell’avviso di convocazione. Qualora si condividesse questa impostazione, sarebbe, di conseguenza, davvero arduo acconsentire alla tesi della legittimazione [continua ..]


NOTE