Rivista di Diritto SocietarioISSN 1972-9243 / EISSN 2421-7166
G. Giappichelli Editore

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Le società in house nel quadro della nozione europea e nazionale di impresa di gruppo (di Chiara Garilli)


L’articolo si propone di ricostruire in chiave sistematica il concetto di “società in house” nell’ambito del quadro della nozione europea e nazionale di impresa di gruppo. Ricondurre la relazione in house ad un rapporto di gruppo tra due o più imprese dovrebbe comportare, in prima battuta, l’applicazione della cd. single economic entity doctrine e delle sue ricadute in ambito concorrenziale, fra le quali acquista particolare rilievo la potenziale imputazione delle sanzioni antitrust all’ente pubblico capogruppo per le infrazioni compiute dalle società eterodirette. Nell’ordinamento giuridico nazionale, inoltre, la sostanziale convergenza tra il tipo di controllo alla base dell’in house providing, il potere di condizionamento dell’impresa a capo della single economic entity (la cd. influenza determinante) e l’attività di direzione e coordinamento di cui agli artt. 2497 ss. c.c. consentirebbe di ritenere integrati anche i presupposti per l’applicazione di tale ultima disciplina per gli abusi imputabili all’ente pubblico capogruppo a danno di eventuali soci di minoranza e creditori della società in house.

Infine, la configurazione di un’unica impresa di gruppo permetterebbe di superare più agevolmente alcune delle obiezioni tradizionalmente mosse all’applicazione degli art. 2497 ss. c.c. alle relazioni “in house”, in ragione della presunta insussistenza di interessi economici e/o imprenditoriali in capo agli enti pubblici esercenti attività di direzione e coordinamento su società in house investite di servizi pubblici d’interesse economico.

“In-house providing” companies within the framework of the European and national notion of group of companies

This paper aims to interpret the concept of “in-house proving companies” – pursuant to Article 12, Dir. 2014/24/UE, Article 17, Dir. 2014/23/UE, and Article 28, Dir. 2014/25/UE – within the European and national legislative framework of the concept of “group of companies”. Bringing the “in-house providing” back to a group relationship between two or more companies should involve, in the first instance, the application of the so called “single economic entity doctrine”, as developed in the competition field mainly to impute fines to the parent company for the competition infringements committed by the controlled companies.

Furthermore, in the Italian legal system, the above mentioned theory should entail the substantial convergence between the control exercised by the public authority over the “in-house providing company”, the decisive influence underlying the concept of “single economic entity” and the management and coordination activity referred to in Article 2497 of the Italian civil Code. As a consequence, the State and the other public administrations could be considered responsible for the abuses carried out to the detriment of the minority shareholders and creditors of the “in-house providing company”.

Finally, the proposed conclusions would make it easier to overcome the theses that want to exclude the application of the Articles 2497 of the Italian civil Code to the in-house relationship due to the alleged lack of economic and/or entrepreneurial interests of public authorities exercising management and coordination activities of “in-house providing” companies.

SOMMARIO:

1. Le società in house nell’ordinamento europeo e nazionale: un tentativo di ricostruzione sistematica - 2. Le società in house nella prospettiva dell’impresa di gruppo: dalla single economic entity all’attività di direzione e coordinamento - 3. Controllo analogo e attività prevalente: le peculiarità del “gruppo in house” - 3.1. Segue: a) Natura giuridica dell’ente controllante e fonte del potere di controllo - 3.2. Segue: b) La partecipazione di soggetti privati al capitale della società in house - 3.3. Segue: c) La prevalenza dell’attività svolta nell’ambito dei compiti affidati dall’ente appaltante - 3.4. Segue: d) La problematica fattispecie del controllo analogo congiunto - 3.5. Segue: e) Società in house, società collegata e “gruppo economico”: sintetiche considerazioni - 4. La single economic entity doctrine e le sue ricadute sul “gruppo in house - 5. L’attività di direzione e coordinamento degli enti pubblici sulle società in house ex art. 2497 c.c. - NOTE


1. Le società in house nell’ordinamento europeo e nazionale: un tentativo di ricostruzione sistematica

La letteratura in materia di società in house è particolarmente vasta e abbraccia ormai parecchi decenni, essendo progredita di pari passo con la giurisprudenza comunitaria che ne ha precorso e accompagnato la codificazione, da ultimo avvenuta con le direttive europee in materia di appalti e concessioni del 2014[[1]]. In ambito nazionale, peraltro, il tema ha goduto di un rinnovato interesse a seguito dell’emanazione del Codice dei contratti pubblici (v. art. 5, d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50) e del Testo unico sulle società a partecipazione pubblica (v. soprattutto art. 2, lett. o, art. 4, comma 4, e art. 16, d.lgs. 19 agosto 2016, n. 175, qui di seguito anche “Tusp”), entrambi contenenti disposizioni dedicate alle società in house di tenore sostanzialmente analogo alle previsioni di matrice europea. La ricchezza ed ampiezza dei contributi scientifici in materia consente, in questa sede, di riepilogare sinteticamente i due requisiti unanimemente identificati alla stregua di condizioni necessarie e sufficienti per la qualificazione delle società in house [[2]], ovvero: (i) il cd. controllo analogo, da intendere come la capacità dell’ente pubblico di esercitare sulla società partecipata un controllo equivalente a quello attuato sui propri uffici [[3]]; e (ii) la prevalenza, tra le attività della società in house, di quella svolta nei confronti dell’ente pubblico controllante [[4]]. Talvolta menzionata quale autonomo requisito, talaltra alla stregua di un mero corollario del primo (i.e. il controllo analogo), è poi l’assenza di partecipazioni di capitale privato, in alcune più risalenti pronunce della Corte di giustizia addirittura interpretata come divieto di ingresso anche solo potenziale di soci privati nel capitale delle società in house [[5]]. Peraltro, la più recente normativa europea, recependo i principi emersi in sede giurisprudenziale, ha determinato una significativa evoluzione dei suddetti requisiti, esplicitamente menzionando la possibilità che il controllo analogo sia esercitato in modo indiretto, invertito, orizzontale e financo congiuntamente da una pluralità di enti pubblici, ed ammettendo altresì la partecipazione di soci privati alle società in house, ma solo se “prescritta” da disposizioni [continua ..]


2. Le società in house nella prospettiva dell’impresa di gruppo: dalla single economic entity all’attività di direzione e coordinamento

La nozione di impresa, come noto, non è stata codificata a livello normativo europeo, potendosi tuttavia ricavare da una ricca casistica, che, specie in ambito concorrenziale, ha contribuito all’emersione dei suoi tratti caratterizzanti [[23]]. Peraltro, alla stregua di molti altri concetti giuridici di derivazione comunitaria, anche quella europea di impresa è una nozione funzionale; essa, dunque, non conosce confini netti e precisi, essendo piuttosto strumentale all’applicazione di una determinata disciplina: in questa prospettiva, nell’ambito del diritto della concorrenza – terreno nel quale si è assistito al suo più fecondo sviluppo – essa non risente, in linea generale, dello status pubblico o privato dell’ente esercente l’attività, né delle forme di finanziamento del medesimo e/o delle finalità di svolgimento della stessa [[24]]. Uno stesso ente, peraltro, potrebbe essere qualificato come “impresa” nello svolgimento di talune attività e non di altre; e una medesima attività potrebbe rappresentare una “impresa” in talune circostanze e non in altre [[25]]. In estrema sintesi, alla luce di tale premessa, l’attività di impresa finisce con l’identificarsi nella produzione di beni e/o servizi rivolti ad un mercato [[26]]; e tale nozione, sviluppatasi ai fini dell’applicazione delle norme concorrenziali, ha finito con l’assumere sovente una portata più ampia e trasversale, almeno fintanto che rilevi la destinazione al mercato dell’attività economica, mostrando dunque significativi punti di convergenza anche con la normativa in materia di appalti, volta per l’appunto a garantire un buon funzionamento dei meccanismi competitivi, quantomeno nell’ottica ex ante di apertura del mercato. Coerente con tale impostazione è stata l’individuazione dell’impresa di gruppo (cd. single economic entity), caratterizzata dall’unità economico-funzionale dell’attività economica svolta da più soggetti formalmente distinti, ma sostanzialmente sottoposti ad un unico centro decisionale [[27]]. Nella prospettiva del gruppo di imprese, allora, la mancanza di sostanziale alterità soggettiva delle medesime deriva dall’influenza determinante esercitata dalla capogruppo sulle [continua ..]


3. Controllo analogo e attività prevalente: le peculiarità del “gruppo in house”

La prospettata riconduzione della relazione in house al concetto di gruppo di imprese non esclude che, in tale particolare ipotesi, quest’ultimo si arricchisca di ulteriori e specifiche caratteristiche, funzionali all’esenzione dalle gare pubbliche. In altri termini, la funzionalità caratteristica della nozione di impresa di gruppo fa sì che la stessa si atteggi in modo differente a seconda delle finalità legislative di volta in volta perseguite, tra le quali, in relazione al “gruppo in house”, viene in preminente rilievo quella di esenzione dalle gare pubbliche. Ciò non toglie che, anche a fronte di specifiche fattispecie, come quelle in esame, si possa individuare un nucleo definitorio comune a tutte le ipotesi di gruppo – i.e. l’esercizio concreto e continuativo dell’influenza determinante da parte dell’ente capogruppo sulle società eterodirette –, tale da consentire, seppur con estrema cautela, di esportare nel settore in esame soluzioni interpretative accolte in altri ambiti giuridici. Più nel dettaglio, la stretta interconnessione tra la relazione in house e le finalità di disapplicazione della disciplina, europea e nazionale, sulle gare pubbliche determina una particolare configurazione del “gruppo in house”, senza tuttavia alterarne il tratto essenziale di eterodirezione strategica, che finisce con l’accomunarlo – anche dal punto di vista delle principali conseguenze giuridiche – alle fattispecie della single economic entity e dell’attività di direzione e coordinamento. Non ci si può esimere, tuttavia, dal tentare di tracciare un quadro sintetico delle peculiarità di tale fattispecie, strettamente connesse alle esigenze sottese all’affidamento diretto.


3.1. Segue: a) Natura giuridica dell’ente controllante e fonte del potere di controllo

Innanzitutto, il controllo analogo deve essere esercitato da un’amministrazione aggiudicatrice o da un ente aggiudicatore o, tutt’al più, nel caso di controllo indiretto, da una differente persona giuridica – di diritto pubblico o privato – a sua volta qualificata come “in house”: il gruppo in house verticale, dunque, si caratterizza per la sussistenza di relazioni in house in ogni anello della catena, pur potendo tali anelli qualificarsi come enti pubblici o privati [[34]]. Si tratta di caratteristiche ovviamente imposte dalla finalità di consentire l’affidamento diretto di concessioni o appalti senza osservare l’obbligo della gara pubblica (in house providing), l’assenza delle quali, tuttavia, non pregiudica in linea generale l’individuazione di un gruppo di imprese, sempre che non vengano meno gli altri requisiti di tale nozione, ed in particolar modo l’esercizio in concreto dell’influenza determinante da parte dell’ente controllante in tutti i “gradini” del controllo [[35]]. Più incerto è stabilire se l’amministrazione debba, anche solo indirettamente, partecipare alla società in house: in effetti, tale requisito – probabilmente presupposto in modo implicito dal legislatore europeo, laddove, ad esempio, viene generalmente esclusa la presenza di soci privati nelle società in house (v. oltre) – non è esplicitamente menzionato dalle direttive [[36]], né dal Tusp, che, tuttavia, essendo dedicato alle società “a partecipazione pubblica”, non potrebbe che prendere in considerazione solo le società in house, direttamente o indirettamente, partecipate dall’ente pubblico (art. 1), escludendo le ipotesi di un controllo esercitato dall’esterno, ad esempio solo attraverso specifiche clausole contrattuali e/o statutarie [[37]]. Al di là della soluzione da adottare in linea di principio, probabilmente in generale non preclusiva (quantomeno a livello europeo) rispetto ad un controllo esterno da parte dell’ente appaltante, le forti limitazioni alla presenza di soci privati – queste sì imposte dal legislatore europeo e nazionale (v. oltre) – lo rende nella prassi estremamente improbabile [[38]]. Così che, quand’anche previsto da [continua ..]


3.2. Segue: b) La partecipazione di soggetti privati al capitale della società in house

Secondo quanto in precedenza già esposto, l’evoluzione normativa e giurisprudenziale della nozione di “controllo analogo” è stata caratterizzata da una progressiva potenziale apertura del capitale delle società in house alla partecipazione di soggetti privati (v. supra § 1). Tale partecipazione, in un primo tempo totalmente esclusa anche a livello meramente potenziale, è stata poi consentita quale astratta possibilità, e da ultimo ammessa anche in concreto, purché “prescritta da disposizioni legislative nazionali” e sempre che i soci privati non esercitino poteri di controllo o di veto che si traducano nell’esercizio di un’influenza determinante sulla persona giuridica controllata [[47]]. Mentre tale ultimo requisito è perfettamente coerente con la tesi circa la sussistenza di un gruppo di imprese a fondamento dell’eccezione dell’in house providing, la prescrizione di quote private da parte di disposizioni legislative nazionali – peraltro da taluni interpretata nel senso della necessità della presenza di soci privati in ragione di norme di natura impositiva [[48]] – finisce con l’introdurre un requisito più rigoroso di quello che sembrerebbe derivare dalla nozione di controllo analogo, stando alla quale sarebbe sufficiente escludere il potere di controllo del socio non pubblico (anche nella forma più lata del controllo congiunto e, dunque, dell’eventuale attribuzione al medesimo di poteri di veto). La ragione di tale intransigenza, comunque, va ricercata nelle finalità di tutela della concorrenza nel mercato alla base, più in generale, della rigorosa enucleazione dei requisiti delle società in house. L’affidamento diretto dei servizi pubblici attraverso l’in house providing rappresenta, infatti, una duplice eccezione rispetto ai generali principi di apertura e liberalizzazione del mercato: sotto un primo profilo, limita la concorrenza nel mercato, nella misura in cui attribuisce diritti esclusivi in favore di singole imprese; da altro complementare punto di vista, elimina la concorrenza per il mercato, rappresentando un’esenzione rispetto ai principi generali in materia di gare pubbliche. La presenza di soci privati nel capitale delle società destinatarie [continua ..]


3.3. Segue: c) La prevalenza dell’attività svolta nell’ambito dei compiti affidati dall’ente appaltante

Nella medesima prospettiva di tutela del meccanismo competitivo del mercato si ritiene debba essere letta la previsione europea, poi trasposta nella disciplina nazionale, secondo cui oltre l’ottanta per cento della attività della persona giuridica controllata deve essere effettuata nello svolgimento dei compiti ad essa affidati dall’amministrazione aggiudicatrice controllante (o da altre persone giuridiche controllate dalla stessa amministrazione aggiudicatrice) [[50]]. Se, infatti, la società in house potesse svolgere senza limiti altre attività in regime di “libero mercato”, evidentemente potrebbe beneficiare dei sussidi incrociati derivati dall’attività oggetto di affidamento diretto, così alterando il corretto gioco della concorrenza [[51]]. C’è da dire, tuttavia, che la norma da ultimo citata non sembra scongiurare del tutto tale pericolo, nella misura in cui la suddetta percentuale viene calcolata sulla base del fatturato medio nei tre anni anteriori all’aggiudicazione della concessione o dell’appalto: nulla esclude, dunque, che anche un’attività corrispondente “solo” al venti per cento di tale fatturato – magari non molto significativa nella prospettiva interna della società in house – possa consentire alla stessa di detenere un forte potere in mercati di dimensioni più modeste. È plausibile allora che le suddette finalità pro-competitive siano più efficacemente perseguite attraverso l’applicazione della disciplina sugli aiuti di Stato – espressamente richiamata dal Tusp (artt. 5, comma 2, e 21, comma 3-bis) – o, quantomeno, dall’applicazione congiunta di entrambe tali previsioni. Si segnala, infine, l’evoluzione giurisprudenziale che ha preceduto la codificazione della previsione in commento: inizialmente interpretata nel senso della prevalenza delle attività svolte in favore dell’ente pubblico committente, gradualmente (e opportunamente) tale requisito è stato esteso a tutte le attività svolte quali compiti affidati alla società in house nell’ambito dell’appalto o della concessione, così consentendo di prendere in considerazione, ai fini di tale requisito, anche l’offerta di beni e servizi a terzi. È evidente che, in tale seconda [continua ..]


3.4. Segue: d) La problematica fattispecie del controllo analogo congiunto

Il processo di progressiva estensione della nozione di controllo analogo è culminato con il riconoscimento del cd. controllo analogo congiunto, fattispecie dai contorni tutt’altro che netti, anche a causa dell’interpretazione che generalmente ne è stata data dalla giurisprudenza europea [[52]]. In effetti, secondo quanto si avrà modo di analizzare nel prosieguo, tale disciplina rappresenta un arduo rompicapo e, per quel che più ci interessa, sembrerebbe mettere in discussione le conclusioni cui si è ritenuto di giungere circa la configurazione dell’impresa di gruppo in house. Più nel dettaglio, la direttiva individua il controllo analogo congiunto adattando a tale fattispecie i medesimi requisiti dettati per il controllo analogo individuale, ovvero richiedendo: (i) l’esercizio congiunto da parte di una o più amministrazioni aggiudicatrici (o enti aggiudicatori) di un controllo analogo; (ii) che oltre l’80% dell’attività della società controllata sia effettuato nello svolgimento dei compiti ad essa affidati dalle amministrazioni aggiudicatrici o dagli enti aggiudicatori; (iii) che nella persona giuridica controllata non vi sia alcuna partecipazione di capitali privati diretti, ad eccezione di forme di partecipazione che non comportino controllo o potere di veto, prescritte dalle disposizioni legislative nazionali, e tali da non determinare l’esercizio di un’influenza determinante sulla persona giuridica controllata [[53]]. Interpretando, in particolare, il primo requisito sulla base delle soluzioni interpretative generalmente utilizzate in ambito europeo e nazionale con riferimento al controllo congiunto, si dovrebbe giungere alla conclusione secondo cui l’esercizio congiunto del controllo analogo si determinerebbe ogniqualvolta per l’assunzione delle decisioni strategiche e delle più importanti scelte per la vita della società controllata sia necessaria la volontà concorde della pluralità dei soci controllanti, eventualmente espressa anche nella forma negativa del mancato esercizio di poteri interdittivi [[54]]. Una simile conclusione, in effetti, non sembra testualmente smentita dal dato normativo, che, a tal fine, richiede che tali amministrazioni aggiudicatrici o enti aggiudicatori siano “in grado di esercitare congiuntamente un’influenza [continua ..]


3.5. Segue: e) Società in house, società collegata e “gruppo economico”: sintetiche considerazioni

La qualificazione del rapporto in house alla stregua di una relazione di gruppo tra l’amministrazione aggiudicatrice e la società o le società controllate impone alcune considerazioni conclusive circa i rapporti tra tale fattispecie e la nozione di gruppo economico, cui sono dedicati l’art. 13 della Dir. 2014/23 e l’art. 29 della Dir. 2014/25 [[67]]. Analogamente a quanto previsto per le società in house, anche le suddette norme – dettate con riferimento alle concessioni ed agli appalti nei cd. settori speciali – esentano dalla gara pubblica l’ente aggiudicatore che intenda procedere all’affidamento diretto di appalti o concessioni nei confronti di società ad esso “collegate”; così come la joint venture, composta esclusivamente da enti aggiudicatori, che intenda procedere ad un affidamento diretto nei confronti di un’impresa collegata a tali enti aggiudicatori (e viceversa) [[68]]. Anche in questo caso, si è ritenuto che la ratio di tale disciplina sia da rintracciare nell’appartenenza degli enti al medesimo gruppo economico, così da escludere una sostanziale differenza soggettiva tra persone giuridiche formalmente distinte [[69]]. Risulta allora sistematicamente poco coerente, ad opinione di chi scrive, la previsione di presupposti non totalmente coincidenti con quelli dettati per l’in house providing. Nelle intenzioni del legislatore europeo, in effetti, appare evidente la volontà di delineare il controllo sulle società in house alla stregua di un condizionamento più forte rispetto a quello esercitato nei confronti delle cd. società collegate [[70]] (rectius controllate) [[71]]: riguardo a queste ultime, infatti, viene fatto riferimento al concetto di “influenza dominante”, che, anche alla luce della richiamata direttiva sui conti consolidati, include il potenziale esercizio dei tradizionali poteri di condizionamento dell’assemblea, senza alcun riferimento all’ingerenza nell’attività di gestione strategica e/o operativa. Al contrario, per le società in house, la giurisprudenza europea e nazionale è unanime nel ritenere che le “normali” prerogative del socio di maggioranza non siano sufficienti ad integrare il controllo analogo, se non [continua ..]


4. La single economic entity doctrine e le sue ricadute sul “gruppo in house

Come noto, la nozione europea di “impresa di gruppo” – intesa quale “single economic entity” – si è rivelata funzionale, in ambito concorrenziale, all’esenzione infragruppo della disciplina sulle intese anticompetitive, nonché all’imputabilità delle sanzioni antitrust in capo alla capogruppo a fronte di condotte illecite delle società controllate [[75]]. Il presupposto giuridico per l’applicazione di tale disciplina è rappresentato dalla mancanza di autonomia decisionale della società eterodiretta, i cui amministratori finiscono con il subire, quantomeno a livello strategico, il condizionamento della politica decisionale dell’ente capogruppo. Come già affermato, tale presupposto sussiste anche con riferimento al rapporto tra la p.a. committente e la società in house, sempre che le stesse possano entrambe essere qualificate alla stregua di imprese (v. supra § 2). Tale ultimo aspetto, per la verità, potrebbe non essere pacifico a fronte di società in house, che – in quanto sottoposte al controllo di enti pubblici – potrebbero essere chiamate a svolgere attività prive dei requisiti minimi della pur ampia nozione europea di “impresa”. Ci si riferisce, in particolare, ad attività caratterizzate da finalità sociali, che astrattamente potrebbero rientrare nell’ambito dei Servizi di Interesse Generale (SIG), per la gestione dei quali ben potrebbe essere costituita una società in house ai sensi dell’attuale art. 4, comma 4, Tusp. Ebbene, stando all’orientamento della giurisprudenza europea, simili attività non configurano altrettante imprese, qualora siano svolte sulla base di principi solidaristici, ovvero nel caso in cui elargiscano prestazioni non commisurate ai contributi economici versati dagli utenti/contribuenti (es. erogazione di servizi sanitari a titolo gratuito; talune forme pensionistiche pubbliche, ecc.) [[76]]. Dunque, solo nell’ipotesi in cui la società in house sia investita di simili compiti di natura solidaristica, essa non sarà ritenuta una “undertaking” ai fini dell’applicazione della disciplina concorrenziale, né tanto meno lo sarà l’ente pubblico controllante. Si tratta di ipotesi, pertanto, che sfuggono [continua ..]


5. L’attività di direzione e coordinamento degli enti pubblici sulle società in house ex art. 2497 c.c.

Dall’angolo visuale del diritto societario interno, la disciplina italiana sull’attività di direzione e coordinamento si rivela funzionale essenzialmente allo scopo d’imputare all’ente pubblico capogruppo la responsabilità per l’eventuale contrarietà dell’eterodirezione ai principi di corretta amministrazione e gestione societaria [[87]]. Non si ignorano, naturalmente, le tesi di quanti – specialmente a fronte di società in house – ritengono configuri un ostacolo all’applicazione della disciplina di cui agli art. 2497 ss. l’inesistenza di un “interesse imprenditoriale” in capo all’ente pubblico capogruppo. In quest’ottica, cioè, l’interesse imprenditoriale della holding, menzionato dal primo comma della citata norma, costituirebbe un presupposto applicativo della fattispecie e le finalità pubblicistiche perseguite dalla pubblica amministrazione attraverso l’affidamento del servizio pubblico lo escluderebbero in radice, non imponendo, di conseguenza, all’ente capogruppo d’improntare la direzione della società in house a “principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale” [[88]]. Un simile ragionamento, tuttavia, non appare condivisibile per una pluralità di ragioni, tutte confortate, peraltro, dalla tesi qui sostenuta circa l’unità dell’impresa di gruppo in house [[89]]. In prima battuta, la norma di interpretazione autentica (art. 19, comma 6, d.l. 1 luglio 2009 n. 78, conv. in l. 3 agosto 2009 n. 102) [[90]] ha chiarito in modo inequivocabile che l’ambito applicativo di cui all’art. 2497 c.c. si estende agli enti pubblici (differenti dallo Stato) che operino “nell’ambito della propria attività imprenditoriale ovvero per finalità di natura economica o finanziaria”; trattasi, dunque, di un fine talmente ampio da comprendere qualsivoglia detenzione di partecipazioni sociali da parte degli enti pubblici, ivi incluse quelle acquistate o possedute nelle società in house per finalità di autoproduzione in senso lato [[91]]. Onde conferire portata precettiva alla suddetta norma, allora, sembrerebbe che l’interesse “imprenditoriale” o “di natura economica o finanziaria” debba essere [continua ..]


NOTE