Rivista di Diritto SocietarioISSN 1972-9243 / EISSN 2421-7166
G. Giappichelli Editore

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Brexit e diritto societario europeo: analisi prospettica delle possibili conseguenze (di Marco Migaldi)


L’articolo intende indagare ed esaminare l’impatto della Brexit sul diritto societario europeo nell’ipotizzato scenario di una hard Brexit. All’interno dello scritto vengono analizzate le conseguenze che la Brexit avrà sulle società britanniche che operano nell’Unione Europea e, viceversa, sulle società europee che operano nel Regno Unito, presupponendo la disapplicazione della libertà di stabilimento prevista dal TFUE nei confronti delle società britanniche ed investigando sui differenti sviluppi che tale condizione avrà in Stati che adottano la teoria della “incorporazione” piuttosto che la teoria della “sede reale”. L’analisi si sofferma, inoltre, sulle regolamentazioni di alcune specifiche branche del diritto societario e sui rapporti transfrontalieri delle società britanniche a seguito al venir meno dell’effetto armonizzante degli strumenti normativi dell’Unione Europea e delle decisioni della Corte di Giustizia europea.

Brexit and European company law: prospective analysis of the potential consequences

The paper aims to investigate the impact of Brexit on the European company law in a hard Brexit scenario. The consequences of the Brexit is examined with a focus on the UK companies that operate in the European Union, and vice versa, on the EU companies that operate in the United Kingdom, presuming the Treaty freedom of establishment will not further apply to UK companies. This may lead several consequences between the States that adopt the “incorporation theory” rather than the “seat theory”. The analysis is also focuses on the regulations of some specific branches of company law and on the cross-border relations of UK companies following the lack of harmonizing effect of EU regulatory instruments and decisions of the European Court of Justice.

SOMMARIO:

1. Premessa - 2. L’applicabilità della libertà di stabilimento nei confronti delle società britanniche che operano nell’Unione Europea - 3. Le differenti conseguenze in un sistema di “incorporazione” rispetto ad un sistema di “sede reale” - 4. Gli strumenti normativi dell’Unione europea nel mutato quadro britannico - 4.1. Le operazioni straordinarie transfrontaliere che coinvolgono le società del Regno Unito: possibili alternative alla Direttiva 2005/56/CE - 5. La Società Europea: il venir meno dell’influenza del Regno Unito sulla sua evoluzione e la conversione nella nuova forma societaria “UK Societas” - 6. L’accesso ai mercati interni dell’UE mediante la costituzione di succursali e affiliate da parte delle società britanniche - 7. I principi contabili e il possibile effetto unificatore degli IFRS - 8. La revisione dei conti su base transnazionale - 9. La disciplina a tutela della concorrenza e i futuri rapporti tra Autorità britannica e Commissione europea - 10. La continuità della tutela del marchio e dei brevetti nel Regno Unito per il periodo di transizione - 11. Focus sui principali Stati membri - 11.1. Germania - 11.2. Francia - 11.3. Spagna - 11.4. Italia - 12. Riflessioni conclusive - NOTE


1. Premessa

Il 31 gennaio 2020 il Regno Unito ha ufficialmente smesso di fare parte dell’Unione Europea. Oggi la Brexit lascia ancora dubbi e perplessità sulle sue possibili conseguenze, in quanto, venendo meno l’applicazione del diritto europeo, molteplici sono gli scenari da prendere in considerazione qualora non si raggiunga un accordo tra i negoziatori della Brexit sulle questioni relative alla libertà di circolazione e di stabilimento delle persone fisiche e giuridiche e, più in generale, sulle questioni discendenti dal diritto internazionale privato e dal diritto societario. L’obiettivo di questo scritto è quello di analizzare le possibili conseguenze che la Brexit avrà sul diritto societario europeo. Nell’ipotizzato scenario di una “hard Brexit” [[1]], per le società britanniche sorgono, infatti, importanti interrogativi: in primo luogo, la possibile inapplicabilità della libertà di stabilimento sancita dal Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, e le diverse conseguenze che questa condizione comporterebbe nelle giurisdizioni degli Stati membri a seconda se prevalga la teoria della “incorporazione” oppure quella della “sede reale”; in secondo luogo, la possibile gestione della disciplina delle varie branche del diritto societario (come, ad esempio, le operazioni straordinarie transfrontaliere, la Società europea, la concorrenza, i principi e la revisione contabili) alla luce del venir meno delle norme di armonizzazione europee e delle decisioni della Corte di giustizia europea.


2. L’applicabilità della libertà di stabilimento nei confronti delle società britanniche che operano nell’Unione Europea

La libertà di stabilimento e la sua possibile disapplicazione nei riguardi delle società britanniche, in virtù del venir meno delle tutele previste dal Trattato [[2]], rappresenta il fulcro della questione, nonché il punto di partenza, per investigare e comprendere quali saranno le conseguenze che la Brexit potrebbe avere sul diritto societario europeo. In forza della libertà di stabilimento, le società costituite conformemente alla legislazione di uno Stato membro e aventi la sede sociale, l’amministrazione centrale o il centro di attività principale all’interno dell’Unione Europea, sono equiparate alle persone fisiche aventi la cittadinanza negli Stati membri [[3]]. Per le società, l’esercizio del diritto di stabilimento si sostanzia nella facoltà di costituire e gestire imprese e società e di aprire agenzie, succursali o filiali [[4]]. Anche la giurisprudenza della Corte di giustizia ha delineato ormai un quadro abbastanza definito delle possibilità offerte alle società. In particolare, con la sentenza “Centros” è intervenuta a sancire l’illegittimità delle previsioni nazionali qualora esse possano incidere negativamente sulla libertà di stabilimento delle società validamente costituite in un diverso Stato, impedendo in concreto alla società di usufruire appieno delle previsioni del Trattato [[5]]. La Corte ha mantenuto lo stesso indirizzo anche nei casi Überseering, Inspire Art, Cartesio e Vale, ove agli Stati ospitanti è stato impedito di imporre requisiti aggiuntivi o discriminatori alle società registrate in altri Stati dell’UE [[6]]. A tal proposito, si osserva come in Europa sia proprio il Regno Unito ad emergere quale Paese preferito dalle società che intendano scegliere una lex societatis diversa da quella dello Stato in cui esse sono effettivamente operative o in cui hanno la propria amministrazione centrale: in una ricerca condotta per la Commissione Europea si mostra (sia pure riguardo alle sole società a responsabilità limitata ed escludendo le società per azioni) come il Regno Unito sia lo Stato membro in grado di attrarre maggiormente la costituzione di società attive esclusivamente in altri Paesi [[7]]. Le ragioni sono molteplici, ma tra queste spicca sicuramente il fatto [continua ..]


3. Le differenti conseguenze in un sistema di “incorporazione” rispetto ad un sistema di “sede reale”

 Come anticipato, il venir meno della libertà di stabilimento con riguardo alle società britanniche che operano in UE comporterebbe conseguenze differenti a seconda del regime adottato dai singoli Stati membri. Infatti, facendo riferimento al diritto internazionale privato degli Stati, la soggettività delle persone giuridiche viene fatta dipendere da due diverse teorie: la teoria della incorporazione (Gründungstheorie) e la teoria della sede reale (Sitztheorie) [[13]]. Il Regno Unito adotta la teoria dell’incorporazione secondo principi chiari e semplici, in base alla quale il regime legale applicabile a una società è determinato dal luogo in cui la società è stata costituita (o più precisamente registrata) e non dal luogo in cui è intrapresa la sua attività. Dunque, secondo l’attuale legge del Regno Unito, le società costituite nel Regno sono soggette al diritto societario britannico, indipendentemente dalla localizzazione della loro attività. Di conseguenza, il regime giuridico rimane applicabile anche se nessuna attività si svolge presso la sede legale [[14]]. È indubbio che la tecnica dell’incorporazione offra notevoli vantaggi e permetta alle aziende di sviluppare le loro attività in tutto il mondo pur restando soggette al regime legale dello Stato d’origine. Per tali motivi, e soprattutto per la forte spinta proveniente dalla Corte di giustizia europea, alcuni Stati che tradizionalmente aderivano alla teoria della sede, hanno adottato la teoria dell’incorporazione nei confronti delle società europee che godono del diritto di libertà di stabilimento [[15]]. Al contrario, sul presupposto che tra norma giuridica e realtà vi debba essere un legame effettivo, i Paesi ispirati alla teoria della sede reale impongono alle società straniere, già costituite in altri Stati, di rispettare anche la propria legge in quanto diritto più vicino alla realtà degli stessi [[16]]. La teoria della sede reale (anche semplicemente teoria della sede), infatti, si fonda sull’idea che la società debba essere regolata dalla legge del Paese che presenta il maggiore grado di vicinanza con la sua attività. Tuttavia, come anticipato, secondo l’orientamento della giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione [continua ..]


4. Gli strumenti normativi dell’Unione europea nel mutato quadro britannico

Oltre al venir meno della libertà di stabilimento e dell’effetto saldante delle decisioni della Corte di giustizia, altro elemento da prendere in considerazione, al fine di un’analisi quanto più esaustiva, è ulteriormente rappresentato dalla disapplicazione nei confronti delle società del Regno Unito degli strumenti normativi tipici dell’azione europea. A seguito della Brexit, infatti, regolamenti e direttive, così come decisioni, raccomandazioni e pareri, non saranno più applicabili nel Regno Unito, e nei rapporti con questo, e potrebbe essere necessario sostituirli con altri strumenti. Per quanto riguarda le direttive, queste rimarranno in vigore sotto forma delle leggi nazionali britanniche che le hanno recepite. Basti pensare al Companies Act del 2006 che rappresenta la fonte più importante del diritto societario britannico e ha avuto il merito di recepire tutte le direttive europee in materia, introducendo strumenti idonei a favorire gli investimenti a lungo termine e promuovendo una maggiore flessibilità del sistema e della gestione societaria [[20]]. Tuttavia, col tempo, venendo meno l’effetto unificante delle decisioni della Corte di giustizia dell’Unione europea, la loro interpretazione potrebbe divergere da quella dell’UE. Per evitare che ciò accada, si auspica che la giurisprudenza britannica continui a basarsi sulle interpretazioni che la Corte di giustizia ha fornito in fase pre-Brexit, sia sulle sue interpretazioni future, al fine di facilitare le transazioni tra le società con sede nel Regno Unito e nell’Unione Europea in quanto soggette a regimi giuridici comparabili. Per quanto riguarda i regolamenti, in linea di massima questi non saranno più validi nel Regno Unito, sebbene potrebbero essere stati inclusi (in forma modificata) nelle disposizioni nazionali. D’altro canto, le imprese britanniche che si rivolgono ad investitori dell’UE dovranno di fatto tener conto e persino applicare le disposizioni previste dai regolamenti in quanto applicabili in tutta l’Unione. Ciò potrebbe portare all’applicazione extraterritoriale post-Brexit dei regolamenti UE, limitando di fatto l’impresa del Regno Unito che intenda accedere ai mercati europei, in particolare a quelli finanziari. Va evidenziato, inoltre, che al fine di evitare una brusca interruzione dei rapporti a seguito di [continua ..]


4.1. Le operazioni straordinarie transfrontaliere che coinvolgono le società del Regno Unito: possibili alternative alla Direttiva 2005/56/CE

La condizione finora prospettata avrà inevitabili ripercussioni sui rapporti transfrontalieri tra le società britanniche e le società dell’Unione Europea. Ad esempio, per quanto concerne le operazioni straordinarie transfrontaliere, queste sono disciplinate dalla Direttiva 2005/56/CE [[24]] e successive, le quali hanno avuto il merito di armonizzare il settore delle operazioni straordinarie tra società appartenenti a giurisdizioni diverse, e grazie alle quali il numero di fusioni transfrontaliere in Europa è aumentato in modo esponenziale [[25]]. Dunque, in base a quanto detto finora, a seguito della Brexit la procedura prevista dalle direttive non sarà più applicabile alle fusioni transfrontaliere che coinvolgono società del Regno Unito, comportando così non poche incertezze [[26]]. In via generale, infatti, le autorità nazionali che controllano il completamento e la legalità delle fusioni potrebbero sollevare obiezioni, mentre le pubblicazioni dovrebbero conformarsi ai regimi nazionali [[27]]. La regola secondo cui la fusione una volta efficace non può essere dichiarata nulla, sulla base del diritto dell’UE, non sarebbe più applicabile con riferimento a società di diritto britannico [[28]]. Inoltre, la Corte di giustizia europea non sarà competente a decidere in merito a tali operazioni qualora queste coinvolgano una società del Regno Unito. A seguito dell’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea, dunque, le operazioni transfrontaliere che coinvolgono le società britanniche diventeranno sicuramente più difficili, tuttavia non impossibili. Queste, infatti, potranno essere realizzate attraverso tecniche giuridiche diverse dalla fusione. Ad esempio, un’offerta pubblica di acquisto, rappresentando un’offerta contrattuale rivolta agli azionisti di un’altra società, evita la necessità di una decisione assembleare o dell’organo amministrativo della società target e, quindi, la necessità di allineare le leggi societarie di due o più giurisdizioni. Un’offerta di acquisizione amichevole, vale a dire supportata dalla direzione dell’altra società, è in grado di imitare qualsiasi accordo di interesse economico realizzabile attraverso una fusione. Senza dubbio, però, un’acquisizione [continua ..]


5. La Società Europea: il venir meno dell’influenza del Regno Unito sulla sua evoluzione e la conversione nella nuova forma societaria “UK Societas”

La creazione della Società Europea, nota anche come Societas Europea o SE, ha rappresentato una delle sfide più significative dell’Unione Europea [[30]]. L’obiettivo della Commissione europea non era tanto quello di armonizzare o unificare le legislazioni nazionali, ma «di bypassarle utilizzando una forma separata e sovranazionale di organizzazione» [[31]]. L’idea di creare una forma societaria simile a quella esistente nei sistemi federali, come negli Stati Uniti, tuttavia, dovette ben presto ridimensionarsi a causa delle divergenze tra le legislazioni nazionali degli Stati membri. La struttura della SE, infatti, mantiene ancora oggi la maggior parte delle sue connotazioni nelle mani delle legislazioni nazionali [[32]]; essa può essere vista come un «camaleonte, che trae il suo carattere giuridico in gran parte dalla legge dello Stato di registrazione» [[33]]. La conformazione odierna della Società Europea si deve, in particolar modo, all’influenza negli anni provenuta dal Regno Unito nei dibattiti inerenti le connotazioni e i requisiti che questa nuova forma societaria avrebbe dovuto avere per meglio adattarsi al contesto economico europeo. Segnatamente, la visione proveniente dal Regno Unito, che nella maggior parte dei casi divergeva da quella continentale, ha fortemente influenzato le decisioni in merito ad alcune specifiche caratteristiche, tra cui i requisiti minimi di capitale legale, i sistemi di gestione, i diritti degli azionisti e la partecipazione dei dipendenti. La maggior parte dei dibattiti, nello specifico, ha riguardato il coinvolgimento dei dipendenti e le questioni fiscali [[34]]. L’evo­luzione della struttura societaria, dunque, risulta essere stata chiaramente influenzata dai re­gimi giuridici nazionali, ma soprattutto dallo scontro tra di essi, e segnatamente dagli approcci tedesco e britannico. Alla luce di ciò, è lecito aspettarsi che la perdita dell’influenza proveniente dal Regno Unito possa condurre a un riesame delle questioni indicate e ad una ristrutturazione dei principi su cui oggi è costruita la Società Europea. D’altro canto, lo status della SE è stato continuamente criticato in quanto troppo dipendente dalle legislazioni nazionali, soprattutto a causa dei fallimenti dei negoziati prima della sua entrata in vigore, che hanno [continua ..]


6. L’accesso ai mercati interni dell’UE mediante la costituzione di succursali e affiliate da parte delle società britanniche

Per le forme di stabilimento più a lungo termine in giurisdizioni di altri Stati, sovente le società preferiscono ricorrere alla creazione di succursali o affiliate [[42]]. In virtù di quanto detto prima, per le società dell’UE la creazione di una succursale rappresenta una delle forme di esercizio della libertà di stabilimento e pertanto, all’interno del territorio europeo, viene garantito l’accesso libero e non discriminatorio. Tale libertà può essere compressa dagli Stati membri solo per ragioni di protezione di interesse generale o per potenziali frodi, in particolare nel settore finanziario. A tal proposito, l’undicesima direttiva sul diritto societario elenca le condizioni per l’apertura di una succursale all’interno di uno Stato membro e specifica in dettaglio gli obblighi di comunicazione che devono soddisfare [[43]]. Tuttavia, per quanto riguarda i Paesi terzi, la direttiva non contiene specifiche condizioni di accesso: non fornisce alcuna indicazione in merito al diritto o all’obbligo degli Stati membri di autorizzare le succursali di Paesi terzi. La questione viene disciplinata dalla legislazione nazionale che, talvolta, può contenere condizioni di accesso aggiuntive. Pertanto, nel caso in cui non si raggiunga uno specifico accordo tra i negoziatori della Brexit, le società del Regno Unito (a tutti gli effetti società di un Paese terzo) che desidereranno stabilirsi in uno Stato membro tramite una succursale, dovranno sottostare alle condizioni previste dalle leggi nazionali, con la conseguenza che l’accesso potrebbe essere sottoposto a condizioni aggiuntive o addirittura rifiutato; alcune giurisdizioni, infatti, limitano l’uso delle succursali da parte di società di Paesi terzi per motivi di interesse pubblico. La soluzione a tale condizione potrebbe essere implicitamente fornita proprio da alcune direttive UE disciplinanti alcuni specifici settori. Infatti, spesso le direttive che regolano il settore finanziario, come ad esempio la Direttiva 2013/36/UE, prevedono un esplicito regime rivolto ai Paesi terzi che disciplina l’accesso e il riconoscimento reciproco delle società, e fissano le condizioni da soddisfare per tale riconoscimento. In particolar modo, si fa sovente ricorso alla previsione, quale requisito indispensabile, di un regime di vigilanza equivalente. È infatti la [continua ..]


7. I principi contabili e il possibile effetto unificatore degli IFRS

La Direttiva 2013/34, che regolamenta il regime contabile delle società dell’Unione Europea, è applicabile a tutte le società di capitali stabilite nell’UE [[48]]. Per queste società è stato introdotto un triplice obbligo: redazione, presentazione e pubblicazione dei bilanci [[49]], di una relazione sulla gestione [[50]] e di una dichiarazione sul governo societario [[51]]. La direttiva indica anche i requisiti di base per l’elaborazione e la pubblicazione di tali dichiarazioni. Viene previsto anche un regime più flessibile per le entità di minori dimensioni, in particolare PMI e microimprese, tanto da esentarle dalla pubblicazione dei bilanci, purché questi vengano regolarmente elaborati e redatti [[52]]. Per quanto riguarda i principi contabili, questi vengono stabiliti a livello nazionale, facendo riferimento ai principi fissati dalla direttiva [[53]]. Ebbene, l’effetto della Brexit sulla contabilità potrebbe assumere una rilevanza considerevole. Ciò in quanto, oltre agli effetti conseguenti alla notevole variazione del tasso di cambio, risulta probabile anche una modificazione della valutazione del rischio per le società che trattano con il Regno Unito, in particolare per le attività per le quali tale stima non si basa solo sulla valutazione di mercato [[54]]. Dopo la Brexit, le norme contabili europee non saranno più vincolanti per il Regno Unito. Le società britanniche, quindi, dovranno conformarsi esclusivamente alle proprie norme contabili nazionali, le quali inizialmente, avendo recepito le direttive, risulteranno in linea con i principi generali europei ma che col tempo potrebbero divergere. Per quanto riguarda le società che hanno stabilito succursali in altre giurisdizioni, queste saranno in grado di elaborare e divulgare i bilanci in conformità alla loro legislazione nazionale, secondo quanto previsto per le società dei Paesi terzi [[55]].Tuttavia, gli Stati membri possono imporre che i bilanci delle succursali siano compilati e divulgati conformemente alle direttive o alle prassi dell’UE, se questi risultano non essere stati redatti in modo equivalente alle direttive contabili. Ciò potrebbe portare alla richiesta di ulteriori informazioni, sotto forma di spiegazioni e note a piè di pagina e, in caso di differenze considerevoli, [continua ..]


8. La revisione dei conti su base transnazionale

La Direttiva 2006/43, più volte modificata, relativa alle revisioni legali dei conti annuali e dei conti consolidati, delinea dettagliatamente il ruolo del revisore, le sue caratteristiche e le principali attività [[61]]. Solo i revisori che soddisfano i requisiti della direttiva possono conferire pieno valore legale ai loro rapporti di revisione [[62]]. A tal proposito si rammenta la notevole importanza oltre dei regolamenti che hanno introdotto e approvato gli IFRS, anche del recente regolamento sui “requisiti specifici relativi alle revisioni legali dei conti di enti di interesse pubblico” [[63]]. Per quanto riguarda i revisori contabili e le società di revisione provenienti da Paesi terzi, questi possono essere autorizzati da qualsiasi Stato membro e possono produrre relazioni di revisione legale valide [[64]]. Con riferimento ai revisori che forniscono relazioni sui rendiconti finanziari, annuali o consolidati, di emittenti di Paesi terzi i cui titoli sono negoziati sui mercati dell’UE, il revisore o la società di revisione saranno registrati in un apposito registro [[65]]. Alla stregua di ciò, nel settore della revisione contabile, è possibile individuare una serie di perplessità che potrebbero sollevarsi a seguito della Brexit. La prima questione riguarda le condizioni alle quali i revisori del Regno Unito potranno esercitare la propria professione su base transnazionale. Dopo la Brexit, infatti, la direttiva 2006/43 non sarà più applicabile alle questioni transfrontaliere che riguardano il Regno Unito ed i revisori dei conti britannici saranno soggetti al differente regime di autorizzazione previsto per revisori di Paesi terzi; ciò comporterà che potranno essere registrati in uno qualsiasi degli Stati membri, ma saranno soggetti al sistema nazionale di garanzia della qualità. Potrebbero essere esonerati da ciò solo qualora il sistema di garanzia della qualità dello Stato di Origine sia stato considerato equivalente sulla base di una valutazione e di una decisione della Commissione. Fintanto che la Commissione non abbia deciso sul riconoscimento dell’equivalenza del Regno Unito, il revisore contabile del Paese terzo potrà continuare ad operare nell’Unione solo se registrato presso l’autorità nazionale del Paese ospitante e rispettando i suoi requisiti [continua ..]


9. La disciplina a tutela della concorrenza e i futuri rapporti tra Autorità britannica e Commissione europea

 L’attuale legislazione del Regno Unito in materia di concorrenza, al pari di quelle degli altri Stati membri, è sostanzialmente identica: reprime i cartelli e l’abuso di posizione dominante, prevede un controllo preventivo (seppur non obbligatorio, a differenza della disciplina UE) sulle operazioni di concentrazione (c.d. Merger control [[72]]) e recepisce la normativa comunitaria in materia di aiuti di Stato. Dunque, risulta difficile ipotizzare che, quando sarà perfezionato il recesso dall’Unione Europea, il Regno Unito possa stravolgere la propria legislazione in materia di concorrenza. Detto ciò, le regole europee in materia di concorrenza, nell’eventualità di un’uscita senza accordo, non si applicheranno più nel Regno Unito. Tuttavia, lo status di Paese terzo non esenterà le aziende britanniche dal rispetto delle norme europee in questo settore, qualora partecipino ad un accordo operativo sul territorio dell’UE. Saranno quindi soggette alle stesse norme se il comportamento anticoncorrenziale produce conseguenze all’interno dell’Unione. La Corte di giustizia ha espressamente statuito che il fatto che un’impresa che partecipa a un accordo sia situata in un Paese terzo non osta all’applicazione del TFUE, se l’accordo in questione produce effetti sul territorio del mercato interno [[73]]. Dunque, la disciplina UE di tutela della concorrenza (tra cui gli art. 101 e/o art. 102 TFUE) continuerà ad applicarsi, anche a seguito dell’effettiva uscita del Regno Unito dall’UE, a tutti quegli accordi o condotte che avranno un effetto all’interno del mercato comune. A titolo esemplificativo, un’impresa di diritto inglese, parte di un’intesa restrittiva della concorrenza avente un impatto sul mercato comune, continuerà a essere soggetta alle istruttorie e alle eventuali sanzioni da parte della Commissione Europea anche se, nel Regno Unito, quest’ultima cesserà di avere gli attuali poteri. Pertanto, in tal caso, la Commissione continuerà ad esercitare la propria giurisdizione su accordi o comportamenti riguardanti la concorrenza nel mercato interno, ma non potrà più condurre controlli nel Regno Unito ai sensi dell’art. 20 del regolamento 1/2003 (Poteri della Commissione in materia di accertamenti). Ciononostante, sarà comunque in grado di [continua ..]


10. La continuità della tutela del marchio e dei brevetti nel Regno Unito per il periodo di transizione

L’accordo del 31 gennaio 2020 sul recesso dalla Comunità europea dell’energia atomica ha avuto il merito di regolamentare temporaneamente (fino al termine del periodo di transizione) i rapporti tra Regno Unito ed Unione europea in relazione alla tutela dei diritti registrati o concessi. Grazie ad esso viene previsto che il titolare di uno dei diritti di proprietà intellettuale registrati o concessi prima della fine del periodo di transizione, diventa, senza alcun riesame, titolare di un diritto di proprietà intellettuale equiparabile, registrato e opponibile nel Regno Unito secondo il diritto di detto Stato [[77]]. Pertanto, continueranno ad essere tutelati nel Regno Unito, per i medesimi prodotti o servizi: il titolare di un marchio dell’Unione europea registrato a norma del regolamento (UE) 2017/1001 del Parlamento europeo e del Consiglio [[78]]; il titolare di un disegno o modello comunitario registrato a norma del regolamento (CE) n. 6/2002 del Consiglio [[79]]; ed il titolare di una privativa comunitaria per ritrovati vegetali concessa a norma del regolamento (CE) n. 2100/94 del Consiglio [[80]]. Se durante il periodo di transizione un diritto di proprietà intellettuale verrà dichiarato nullo o decaduto, ovvero annullato nell’Unione in esito a un procedimento amministrativo o giudiziario, anche il corrispondente diritto nel Regno Unito verrà dichiarato nullo, decaduto o annullato. La dichiarazione, il decadimento o l’an­nul­lamento avranno efficacia nel Regno Unito alla stessa data in cui avranno efficacia nell’Unione. Tuttavia, il Regno Unito non sarà tenuto a dichiarare nullo o decaduto il corrispondente diritto nel suo territorio qualora i motivi di nullità o decadenza non si applichino nel Regno Unito. Ad ogni modo, una volta trascorso il periodo di transizione, il Regno Unito non farà più parte del sistema del marchio europeo. Ciò implica che non sarà più possibile depositare un marchio europeo con effetto immediato in tutti i Paesi UE, Regno Unito incluso, come avviene oggi. Per la tutela del marchio in UK si dovrà optare per un distinto deposito nazionale o per un deposito di una domanda internazionale con designazione del Regno Unito. Identiche conseguenze si avranno per la tutela dei brevetti. Tuttavia, la volontà intrinseca nell’aver voluto espressamente [continua ..]


11. Focus sui principali Stati membri

Come già ampiamente discusso, gli Stati che aderiscono alla teoria della sede reale accantonano l’applicazione delle proprie norme nazionali nei confronti delle società provenienti da Stati membri in ossequio all’orientamento della Corte di giustizia, la quale ha sancito in più occasioni l’applicazione, con solo riguardo alle società dell’Unione europea, della libertà di stabilimento, indipendentemente dalla teoria adottata dal singolo Stato. Pertanto, questi Paesi possono applicare quanto previsto dalla teoria della sede solo nei confronti delle società provenienti da Stati terzi: condizione che, non intervenendo uno specifico accordo a termine del processo Brexit, interesserà le società britanniche, in quanto, diventando a tutti gli effetti società di Paesi terzi e perdendo le tutele del Trattato, si troverebbero ad essere soggette alle normative nazionali dei singoli Stati in cui operano o decidono di operare. L’analisi che segue si sofferma brevemente sul panorama giuridico dei principali Stati del vecchio continente (Germania, Francia, Spagna e Italia) e su come questi ordinamenti risponderebbero, nell’ipotesi di un’uscita senza accordo, nei confronti delle società del Regno Unito che operano al loro interno. Il ragionamento e le conclusioni sono similari per Germania, Francia e Spagna (per quanto riguarda l’Italia il quadro risulta singolare), ma risulta interessante indagare, rispettivamente, su alcune peculiarità.


11.1. Germania

Dopo la modifica della giurisprudenza della Corte di giustizia europea nei casi Centros, Überseering e Inspire Art il tipo societario della Limited Company – Ltd. ha offerto la possibilità di avviare un’attività commerciale in Germania con limitazione della responsabilità, senza dover apportare il capitale sociale minimo necessario per una società di capitali tedesca [[82]]. La giurisprudenza della Corte afferma che la personalità giuridica della Limited in Germania sia da riconoscere in base alla legge britannica sulle società, in virtù della libertà di stabilimento sancita dal Trattato [[83]]. Dunque, anche se l’unico legame della Limited con la Gran Bretagna risulti la sede di costituzione e se manca un nesso effettivo, in Germania la società dovrà essere trattata come una società britannica. Segnatamente, ciò significa che essa può costituire una succursale ed anche essere accomandataria di una società in accomandita semplice (Kommanditgesellschaft “KG”). Dunque, finora il riconoscimento delle Limited in Germania si è fondato sulla libertà di stabilimento; tuttavia, è notorio che in Germania prevalga la teoria della sede reale (Sitztheorie). Pertanto, a seguito del completamento del periodo di transizione ed in mancanza di uno specifico accordo, le società britanniche con sede in Germania, non godendo più della libertà di stabilimento prevista dal Trattato, saranno considerate società di Paesi Terzi. Dovrà a queste applicarsi, dunque, la giurisprudenza della corte tedesca di ultima istanza, ossia la Corte di Cassazione Federale (Bundesgerichtshof – “BGH”), in merito alla teoria della sede reale applicabile alle società di Stati terzi (sentenze “Trabrennbahn” [[84]] e “Singapur Ltd.”  [[85]]). La sentenza “Trabrennbahn” riguardava una questione sulla capacità giuridica e processuale di una S.p.A. di diritto elvetico (Aktiengesellschaft “AG”). Il BGH si era dapprima associato alla giurisprudenza della Corte di giustizia europea per l’ap­plicazione della teoria dell’incorporazione, nel caso si trattasse di una società costituita in uno Stato membro. Nel caso invece di società costituite in uno Stato terzo, per le [continua ..]


11.2. Francia

In Francia non risulta una codificazione consolidata di norme disciplinanti la legge applicabile alle società. L’approccio generale del diritto internazionale privato francese alla determinazione della lex societatis si basa fondamentalmente sugli articoli 1837 del codice civile e L. 210-3 del codice di commercio. Questi articoli sono simili nei termini e hanno esattamente lo stesso significato. Codificano una regola di conflitto di leggi basata sulla nozione di “sede sociale”, il cui esatto significato è comunque dibattuto. Si potrebbero, tuttavia, richiamare anche ad altre fonti in merito alla legge applicabile alle società in Francia. Una di queste è rappresentata dalla giurisprudenza nazionale, sebbene non vi siano molte decisioni giudiziarie che affrontino la questione. Inoltre, alcuni trattati bilaterali disciplinano espressamente il conflitto di norme da applicare alle società stabilite negli Stati firmatari, come, ad esempio, la Convention d’établissement tra Francia e USA del 25 novembre 1959 [[93]]. Anche la letteratura francese in merito alla questione non fornisce abbondanti contributi [[94]]. Tornando agli artt. 183 codice civile e L. 210-3 codice di commercio, osserviamo come entambi, che come detto forniscono in sostanza il medesimo disposto, affermano che: «Le società la cui sede legale si trova sul territorio francese sono soggette al diritto francese» [[95]]. Dunque, in Francia la lex societatis delle società straniere è da considerare quella dello Stato in cui queste hanno la sede. L’approccio francese, pertanto, pare presentare analogie con quello tedesco. La Francia, infatti, aderisce sin dagli albori alla teoria della sede reale [[96]]. Il codice di commercio francese stabilisce per tutte le forme società commerciali, sia private che pubbliche, che la immatriculation deve essere richiesta al registro commerciale della cancelleria del Tribunale in cui la società risulta avere la sua sede legale (siege social) in base a quanto stabilito nel suo statuto. Non esistono ulteriori norme di diritto societario francese circa l’ubicazione della sede reale. I registri (Greffiers du tribunal de commerce), pertanto, non svolgono un controllo in merito alla reale ubicazione della sede reale né al momento della costituzione e neppure [continua ..]


11.3. Spagna

Il codice civile spagnolo stabilisce alcuni principi generali, relativi alla costituzione e alla sede legale, quali criteri da rispettare per ottenere la nazionalità delle società. All’articolo 28 del codigo civil si legge, infatti, che tutte le persone giuridiche costituite secondo la legge spagnola e con sede legale in Spagna saranno di nazionalità spagnola. La legge applicabile alle persone giuridiche con sede legale in un Paese terzo sarà determinata in base ai trattati internazionali o bilaterali col Paese d’origine [[108]]. La legge che disciplina le sociedades de capital (società per azioni e società a responsabilità limitata) fa anch’essa espresso riferimento al problema della nazionalità delle società, ma la sua formulazione è relativamente diversa. All’articolo 8, infatti, dispone che le società sono spagnole se la loro sede legale è situata in Spagna, indipendentemente dal luogo di costituzione [[109]]. Questo principio generale è integrato dalla norma che dispone che le società devono stabilire la propria sede legale nel luogo in cui l’amministrazione e la direzione sono effettivamente ubicate, ovvero dove si trova lo stabilimento principale [[110]]. La propensione verso la teoria della sede appare ancora più evidente quando viene disposto che «le società il cui stabilimento principale è situato in Spagna devono avere la loro sede legale in Spagna» [[111]]. Tuttavia, pur se tradizionalmente classificata tra gli Stati aderenti alla teoria della sede reale [[112]], in tempi più recenti anche la Spagna pare esservi avvicinata alla teoria dell’incorporazione, adottando alcuni elementi tipici della stessa [[113]]. L’art. 15 del codice di commercio prevede, infatti, che sono straniere le società costituite all’estero in conformità alla legge di un diverso Stato, essendo irrilevante l’ubica­zione della sede amministrativa, come previsto per l’appunto nei Paese che aderiscono alla teoria dell’incorporazione [[114]]. La Spagna pare, dunque, adottare un criterio piuttosto ibrido, seppur maggiormente orientato alla teoria della sede [[115]]. Infatti, sebbene l’art. 9.11 del codigo civil stabilisca in via di principio che lo statuto personale delle [continua ..]


11.4. Italia

L’impatto della Brexit sull’Italia, secondo quanto riportato dal Brexit sensitivity index elaborato dall’Agenzia di rating Standard & Poor’s, sarebbe uno dei meno significativi: precisamente il nostro Paese è al diciannovesimo posto per le conseguenze della Brexit [[122]]. I rapporti commerciali fra l’Italia e la Gran Bretagna rappresentano, infatti, solo il 3% del PIL annuo. Per meglio comprendere la situazione italiana, occorre analizzare il disposto di diritto positivo di cui all’art. 25 della l. 31 maggio 1995, n. 218 in base al quale le società estere sono regolate dalla legge dello Stato in cui si è perfezionato il procedimento di costituzione, salvo l’applicazione necessaria della legge italiana qualora la società localizzi in Italia la sede o l’attività principale dell’impresa [[123]]. Il disposto dell’articolo 25, sulla riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato, dispone infatti che «le società, le associazioni, le fondazioni ed ogni altro ente, pubblico o privato, anche se privo di natura associativa, sono disciplinati dalla legge dello Stato nel cui territorio è stato perfezionato il procedimento di costituzione. Si applica, tuttavia, la legge italiana se la sede dell’amministrazione è situata in Italia, ovvero se in Italia si trova l’oggetto principale di tali enti» [[124]]. La riforma sembrerebbe compiere una scelta di campo tra la teoria della sede e quella dell’incorporazione, optando anzitutto per quest’ultima [[125]]; ma questa scelta viene in seguito decisamente ridimensionata. Si è osservato, infatti, che la nuova legge avrebbe potuto far capo alla teoria della sede reale [[126]], quale criterio supplementare, da far valere nel caso in cui una società muti la propria sede, trasferendola in un altro Stato [[127]]. Dunque, la scelta del criterio dell’incorporazione sembrerebbe valere soltanto per le società costituite in Italia la cui sede o oggetto sociale si trovino in un altro Stato, in quanto la legge regolatrice sarà non quella dello Stato ove sono la sede o l’oggetto sociale, bensì quella dello Stato dove è sorto l’ente. Per contro, si dovrà applicare la legge italiana se l’ente fosse sorto al­l’e­stero, ma nel nostro Paese [continua ..]


12. Riflessioni conclusive

In conclusione, si può ritenere che il fulcro della questione ruoti intorno alle preoccupazioni concernenti il riconoscimento delle società britanniche che operano in Unione Europea, alla luce delle forti divergenze tra gli Stati che aderiscono alla teoria dell’incorporazione piuttosto che alla teoria della sede reale. Infatti, venendo meno le tutele previste dal Trattato e non intervenendo uno specifico accordo sulla libertà di stabilimento, potrebbe crearsi un sistema di riconoscimento discrezionale e non omogeno delle società del Regno Unito operanti nell’Unione europea. Questa condizione potrebbe comportare una migrazione delle società britanniche da Stati come Germania e Francia (che oggi risultano tra le prime nazioni per numero di Limited ospitate) verso Stati che invece aderiscono alla teoria dell’incorporazione. Occorrerà, dunque, attendere la fine dei negoziati per comprendere se tutto ciò sarà oggetto di uno specifico accordo, il quale potrebbe in qualche modo emulare quanto previsto dal TFUE sulla libertà di stabilimento, consentendo così alle società britanniche di operare liberamente in UE, e viceversa, alle società europee di operare nel Regno Unito. Altro punto critico è rappresentato dalla disapplicazione nei riguardi delle società del Regno Unito delle regolamentazioni societarie di diritto europeo; qui gli squilibri derivanti potrebbero rappresentare un disincentivo per le relazioni transfrontaliere con queste. In sintesi, per evitare incertezze, l’intero sistema di relazioni transnazionali su cui si fondano oggi le relazioni tra società britanniche e società dell’Unione europea andrebbe rimodellato e fatto oggetto di un accordo ad hoc in considerazione dello svanire dell’effetto armonizzante degli strumenti normativi dell’Unione europea e delle decisioni della Corte di Giustizia nei riguardi del Regno Unito. In questo modo si garantirebbe la continuità delle relazioni così come finora basate, con vantaggi per le società ma anche, e soprattutto, per l’intero sistema economico europeo in generale. In alternativa, l’equivalenza potrebbe giocare un ruolo fondamentale, benché, al momento, le condizioni di equivalenza si applicano solo in un numero abbastanza ristretto di settori, soprattutto nel campo della revisione contabile [continua ..]


NOTE