Anche se privi di deleghe esecutive ed estraniati dal consiglio di amministrazione, gli amministratori sono obbligati a partecipare attivamente alla vita consiliare. Trattasi di un obbligo che, oltre a essere espressione del più generale dovere di diligenza, è presupposto rispetto ad altri obblighi derivanti dalla carica quali l’obbligo di agire informati e l’obbligo di accertare tempestivamente una causa di scioglimento della società. Deve dunque essere censurata la condotta dell’amministratore che, pur essendo estraniato dal Consiglio di amministrazione e pur ricoprendo una carica fittizia, si disinteressi della gestione societaria.
Directors are obliged to partecipate actively to the work of the board also in case they have no proxies and are estranged by the board. This obligation is an expression of the general duty of care and a prerequisite of others obligations such as the duty to act informed and the duty of early assessment of the company dissolution. Therefore, directors who ignore the corporate management must be punished even if they are estranged by the board.
Keywords: company – joint-stock company – corporate responsibility – obligations of the directors – powers of the directors – chief executive officers – limited liability company – liability of directors.
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1. La fattispecie dedotta in giudizio - 2. L’inquadramento normativo della fattispecie ante e post riforma - 3. Gli obblighi degli amministratori nell’interpretazione dottrinale e giurisprudenziale - 4. Il recupero degli obblighi presupposti gravanti su amministratori esecutivi e non esecutivi. Il commento - NOTE
La sentenza emessa dal Giudice delle Imprese di Milano ha definito il giudizio instaurato dal curatore del fallimento di una S.r.l. (operativa nel settore delle costruzioni e dell’edilizia) al fine di accertare plurime condotte di mala gestio dell’organo gestorio che avevano provocato il totale dissesto della società. Nel periodo in cui è maturata una delle condotte illecite dedotte (4 ottobre 2010 – 14 ottobre 2012) – la cui rilevanza è apprezzabile ai fini della definizione del giudizio, v. infra –, il CdA della società era composto da tre membri: un primo consigliere nonché Presidente del CdA, vero “dominus” della società; un secondo consigliere (di professione commercialista) affidatario delle scritture contabili della società e consulente del primo; un terzo consigliere, solo formalmente (e fittiziamente) nominato al mero fine di formalizzare il rapporto di lavoro intercorso “irregolarmente” con la società a partire dal 2008 cui era demandata, in buona sostanza, la supervisione delle attività di cantiere (consigliere, questo, sin dal principio estraniato dall’attività del CdA, risultando, inoltre, dimissionario dall’incarico nel marzo 2012). La causa petendi attorea si è fondata sulla violazione di plurime disposizioni normative. Specificamente, è stata dedotta: i) la violazione dell’art. 2394 c.c. per avere gli amministratori sottratto e/o distratto e/o non consegnato alcuni beni strumentali all’esercizio dell’attività di impresa nonché la cassa societaria e per aver omesso di versare integralmente il capitale sociale; ii) la violazione dell’art. 2392, commi 1 e 2, c.c. per avere gli amministratori omesso di conservare la documentazione contabile e contrattuale della società; iii) la violazione dell’art. 2485 c.c. per avere gli amministratori omesso di verificare la sussistenza di una causa di scioglimento della società – già apprezzabile nell’aprile 2011 – preferendo la prosecuzione illecita dell’attività sociale con conseguente pregiudizio nei confronti della società. In ragione dell’applicazione del principio della ragione più liquida desumibile dagli artt. 24 e 11 Cost., il Tribunale di Milano ha ritenuto di poter e dover definire la controversia sulla base della questione ritenuta [continua ..]
Nei giudizi di responsabilità degli amministratori di S.p.A. (ma anche di S.r.l., come vedremo infra) la bussola di orientamento è l’art. 2392, c.c., comma 1, il quale, nella sua originaria formulazione, prevedeva che gli amministratori dovessero adempiere i doveri loro imposti dalla legge e dallo statuto adoperando la diligenza del mandatario ossia del “buon padre di famiglia” [[1]]. La medesima disposizione normativa prevedeva, inoltre, che, pur in presenza di funzioni attribuite ad uno o più consiglieri o ad un comitato esecutivo, gli amministratori sarebbero stati solidalmente responsabili ove non avessero vigilato sul generale andamento della gestione o se, essendo a conoscenza di atti pregiudizievoli, non ne avessero impedito il compimento o eliminato o attenuto le conseguenze dannose; andava esente da responsabilità, tuttavia, colui che, essendo immune da colpa, avesse fatto annotare il suo dissenso senza ritardo nel libro delle adunanze e delle deliberazioni del consiglio, dandone immediata notizia per iscritto al presidente del Collegio sindacale. Tale previsione avrebbe dovuto garantire al consigliere di salvaguardare il proprio operato nei confronti delle insidie derivanti dalla collegialità, in seno alla quale poteva annidarsi la concezione di una condotta illecita da parte di un amministratore il cui disegno, appunto illecito, avrebbe potuto radicarsi nella maggioranza consiliare [[2]]. L’impianto della responsabilità degli amministratori, per come in origine configurata, nel corso dei decenni ha spesso prestato il fianco a condanne orizzontali e spesso inique che coinvolgevano l’intero organo gestorio senza poter delineare chiaramente l’incisività della condotta di ciascun amministratore, e senza poter tutelare colui che, in seno al consiglio, non risultava titolare di alcuna delega e che, alla fine dei giochi, risultava comunque equiparato ai veri piloti della macchina amministrativa (i consiglieri delegati). Nelle aule di giustizia, soprattutto in seno alle iniziative giudiziali avviate dalla curatele fallimentari, tale germe è stato facilmente inoculato grazie all’applicazione diffusa del dovere di vigilanza sul generale andamento della gestione di cui ogni amministratore, anche quello privo di deleghe, doveva essere paladino; con il risultato finale, appunto, di riempire gli almanacchi dei tribunali di provvedimenti di condanna [continua ..]
Focalizzandoci sulla portata dell’art. 2392 c.c., corre l’obbligo di rilevare che in tempi ben più risalenti (e non sospetti), conscio del generico e sfuggente tenore letterale della norma, un insigne Maestro ha evidenziato che le obbligazioni aventi a oggetto attività inerenti all’esercizio dell’impresa sociale, pur non essendo “imposte” (nel senso di non essere tutte tipizzate dal legislatore), sono dalla legge presupposte [[14]]. In tale prospettiva, l’attività degli amministratori si concreta “in un’opera di collaborazione nella gestione della società, che può attuarsi o prevalentemente col consiglio, con la critica e con il controllo, oppure con una più diretta attività personale volta al raggiungimento dello scopo per cui la società è stata costituita. Ma in entrambe le ipotesi il compito degli amministratori si risolve pur sempre in un apprezzamento sulla convenienza di affari, di iniziative e di progetti concreti e sull’opportunità di limitare o aumentare le dimensioni dell’impresa sociale, e implica in ogni caso una effettiva conoscenza dell’impresa stessa e dell’ambiente in cui si svolge la sua attività” [[15]]: descrizione, questa, che ci appare ictu oculi antinomica rispetto a qualunque interpretazione volta a consentire all’amministratore fittizio e disinteressato alla vita consiliare di esimersi da responsabilità gestorie. Nel premettere che i destinatari degli obblighi imposti dalla legge (e dallo statuto) sono sia gli amministratori formalmente nominati (meglio noti come amministratori “di diritto”, la cui carica risulta iscritta nel registro delle imprese) sia i c.d. amministratori “di fatto”, a prescindere dalla differenza terminologica tra la vecchia e la nuova formulazione dell’art. 2392 c.c. (v. supra), è esiziale esaminare, seppur sommariamente (in questa sede), il nucleo della diligenza che deve contraddistingue l’operato dell’amministratore. Ciò, allo scopo di poter rispondere, di volta in volta, al seguente quesito: quando l’amministratore può considerarsi diligente e quali sono gli obblighi minimi che è tenuto a osservare? A tal fine, in disparte la ormai nota classificazione degli obblighi a contenuto specifico e generale [[16]], ante riforma l’interprete era [continua ..]
Come detto, riepilogando, il Tribunale di Milano ha accertato l’insussistenza di profili di responsabilità in capo all’amministratore fittizio ed estraniato dal CdA con riguardo all’illecita prosecuzione dell’attività di impresa; allo stesso risultato è giunto con riguardo alla dedotta violazione dell’art. 2392, commi 1 e 2, c.c. relativamente all’omessa conservazione dei documenti contabili e contrattuali della società. Il Giudice non si è pronunciato, invece, con riguardo alla dedotta sottrazione e/o distrazione e/o occultamento dei beni strumentali all’esercizio dell’attività di impresa. Il primo risultato cui è giunto il Tribunale di Milano sarebbe formalisticamente condivisibile (nonché razionale) laddove si intendesse restare su un sistema binario: in effetti, potendo l’amministratore apprezzare la sussistenza di una perdita solo in sede di progetto di bilancio, la mancata rilevazione della stessa non può essergli addebitata ove, in quella sede, egli non ricopra più la carica (come a dire: non avevo più i poteri e i doveri di rilevarla). Pertanto, salvo dimostrare che durante quell’esercizio l’amministratore avesse avuto contezza, anche indiretta, della maturazione in atto della perdita, la sua innocenza appare adamantina; tuttavia, grazie a un’interpretazione evolutiva della “minima” diligenza richiesta dalla legge, la condotta dell’amministratore de quo merita di essere rivalutata, anche su latitudini differenti, stante il più ampio scenario fattuale emerso nel processo. Il modus operandi adoperato dal Giudicante non è affatto convincente e per provare a condurre una critica ragionata sia consentito porre la seguente domanda: può ritenersi diligente quell’amministratore fittizio che, essendo deliberatamente estraniato dal CdA, resti estraneo alla gestione societaria e a essa disinteressato? Un monito appare utile: l’ordinamento non tollera a monte l’accettazione di una carica dalla quale discendono basilari obblighi comportamentali, la cui assunzione presuppone un’anteriore valutazione di convenienza tra lo sforzo richiesto e la voglia e disponibilità di profonderlo. Ebbene, al netto di eventuali attribuzioni di deleghe, l’amministratore, prima ancora di agire informato, ha il dovere precipuo di interessarsi alla [continua ..]