Il contributo affronta il tema dell’ampiezza riservata all’autonomia privata nella configurazione delle regole deliberative dell’organo amministrativo di s.p.a., alla luce della recente tendenza alla flessibilità dell’organizzazione corporativa volta favorirne l’efficienza ed un migliore contemperamento degli interessi coinvolti.
The paper addresses the issue of the extent of the private autonomy in the configuration of the deliberative rules of the board of directors in the Italian s.p.a., in light of the recent trend to increase flexibility in corporate organization, aimed at enhancing its efficiency and a better balance of interests.
Keywords: board of directors – decisive vote – unanimous vote.
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1. Premessa - 2. Autonomia privata ed organizzazione dell’organo amministrativo nella società per azioni - 3. Il diritto di voto “determinante” - 4. Il voto unanime - 5. L’allocazione non proporzionale del voto - 6. Confronto con l’organizzazione dell’organo amministrativo nella società a responsabilità limitata - NOTE
Una recente massima notarile [[1]] ha affermato la legittimità di clausole statutarie che stabiliscano che le deliberazioni del consiglio di amministrazione di s.p.a. o di s.r.l. siano validamente assunte solo se, oltre al quorum di legge o statuto, ricorra anche il voto favorevole (o non ricorra il voto contrario) di uno o più amministratori determinati (c.d. voto “determinante”) – individuati in virtù della carica che ricoprono o della provenienza della loro nomina (o di altri idonei criteri di determinazione) – ovvero il voto favorevole di tutti gli amministratori in carica (c.d. voto “unanime”). La massima riprende il tema, lungamente dibattuto in letteratura, dell’ampiezza riservata all’autonomia privata nella configurazione delle regole di funzionamento dell’organo amministrativo, incluse quelle concernenti le modalità di formazione delle delibere, fornendo un’interpretazione “evolutiva” della disciplina. Anticipando in sintesi quanto di seguito analizzato, la massima pare condivisibile a chi scrive, in quanto coerente con la lettera della legge e con la ratio ad essa sottesa. La trattazione si concentrerà dapprima sul tipo della società per azioni per poi concludere con un confronto con la società a responsabilità limitata. In particolare, ad un excursus preliminare dedicato al tema dell’autonomia privata nell’organizzazione dell’organo amministrativo seguirà un richiamo alle conseguenze applicative della massima richiamata.
L’organo amministrativo della società per azioni è caratterizzato, quando non monocratico, dalla formula collegiale (art. 2380-bis, comma 3) [[2]]. Non sono disciplinate l’amministrazione disgiuntiva, e congiuntiva, proprie delle società di persone e, si vedrà, della società a responsabilità limitata [[3]]. Esso è regolato all’art. 2388, ai commi 1 e 2, il quale richiede, per la validità delle deliberazioni del consiglio di amministrazione, la necessaria presenza della maggioranza degli amministratori in carica, quando lo statuto non ne richieda un maggior numero (quorum costitutivo), e, salvo diversa disposizione statutaria, il voto favorevole della maggioranza assoluta dei presenti (quorum deliberativo) [[4]]. Tra i principi a venire in rilievo possono richiamarsi il metodo collegiale, il quale impone che, qualora sia previsto più di un amministratore, essi si costituiscano in collegio e la decisione sia assunta secondo alcuni passaggi, ossia convocazione, riunione, discussione e votazione, di cui dunque il momento del voto costituisce solo una componente [[5]]; il principio maggioritario, fondato sulla stessa collegialità, che individua quale condizione necessaria e sufficiente, per la validità delle deliberazioni, il voto favorevole della maggioranza, vincolante anche per l’eventuale minoranza assente o dissenziente, e funzionale, nel confronto con il voto all’unanimità, a consentire una più fluida ed efficiente gestione societaria [[6]]; ed il principio, non scritto [[7]], di allocazione dei diritti noto come “un amministratore, un voto”. Orbene, la massima notarile recepisce la crescente istanza degli operatori ad una maggiore flessibilità delle regole dell’organizzazione corporativa, nell’ottica di un migliore contemperamento dei diversi interessi che animano la compagine sociale, soprattutto alla luce della tendenza a incentivare l’autonomia e l’efficienza dell’impresa, di particolare rilievo a seguito della riforma del 2003, nonché dell’evoluzione della disciplina delle quotate (come l’obbligatorietà del voto di lista ex art. 147-ter t.u.f.), ed oggi ancora più accentuata nel contesto emergenziale [[8]]. È di comun sentire l’esigenza che, in particolare nelle società [continua ..]
Per ambo i modelli societari richiamati, la massima notarile ammette il voto “determinante”, in positivo o negativo, di uno o più amministratori, preventivamente individuati in virtù della carica ricoperta (ad es. amministratore delegato), della “provenienza” della nomina (ad es. espressione di una lista di maggioranza o di minoranza, ecc.) o di altri idonei criteri di determinazione (ad es. anzianità d’età o di carica, specifiche competenze, ecc.). La formulazione, alla lettera, evoca l’attribuzione di un diritto di veto, declinabile come voto favorevole o voto non contrario. Si tratta, comunque, di ipotesi diversa da diritti di voto doppio o persino multiplo, con i quali può coincidere solo in ipotesi residuali (v. infra, § 5). Ciò, peraltro, “in aggiunta rispetto alla maggioranza richiesta dalla legge e dallo statuto”, che dunque, secondo il tenore della massima, resterebbe necessaria. Non si tratterebbe, pertanto, di voto dirimente in caso di parità, sulla falsariga del c.d. casting vote, rispetto cui è comunque utile un confronto. Segnatamente, si è a lungo dibattuto sulla legittimità del casting vote, comune clausola statutaria che consente di attribuire un voto determinante (o doppio voto) al presidente del c.d.a. in caso di parità, ossia quando non si formi nelle modalità fisiologiche una maggioranza di voto. Di tale clausola ad oggi si ammette prevalentemente la legittimità; il casting vote, intervenendo invero solo in caso di impossibilità di formare una maggioranza, avrebbe la sola funzione di superare situazioni di stallo (c.d. deadlock), nell’interesse della società, e non lederebbe dunque il principio di collegialità [[17]]. Parte della dottrina, argomentando da tale prassi statutaria, ha ritenuto il principio del casting vote estensibile anche a membri diversi dal presidente, ipotizzando uno scenario simile a quello in disamina [[18]], ma comunque basato su diversi presupposti. Si tratta, invero, in tale ultimo caso, di attribuire a priori un diritto di voto plurimo o determinante, volto a consentire l’emersione di diverse istanze delle parti, e solo contingente per capacità di contribuire a superare situazioni di stallo. Pur alla luce della citata diversità di fattispecie, rileva il metodo: la legittimità della clausola va di volta [continua ..]
La previsione statutaria che richiede il voto unanime dei componenti dell’organo amministrativo si traduce, invece, secondo la massima, in una modifica in aumento, rispettivamente, del quorum costitutivo e del quorum deliberativo. Infatti, poiché il voto non può essere dato per rappresentanza (art. 2388 comma 3) [[28]], si presuppone l’unanimità delle presenze e dei voti (ferma la possibilità che la riunione si svolga mediante mezzi di telecomunicazione ex art. 2388 comma 1). La diversa ipotesi, relativa all’incremento del solo quorum deliberativo, richiedendo il voto unanime dei presenti, offre minori criticità, comunque riconducibili a quanto di seguito osservato, e può ritenersi “assorbita” rispetto alle conclusioni che si diranno. Sebbene la lettera dell’art. 2388 non ponga limiti espressi all’incremento di detti quorum, anche l’applicazione dell’unanimità è stata a lungo discussa, e spesso esclusa come limite estremo del principio di maggioranza alla luce della preferenza accordata dal legislatore a quest’ultimo [[29]]. Se certamente l’unanimità favorisce la ponderazione delle decisioni (già garantita dal metodo collegiale), ed attribuisce rilievo alla varietà di interessi dei partecipanti, può altresì generare situazioni di stallo o fornire strumenti ostruzionistici in favore di esponenti anche di estrema minoranza [[30]].Tuttavia, non pare che la stessa risponda ad un principio indisponibile da parte dei titolari dell’affare: si tratterebbe, invece, di aspetto rimesso al regolamento negoziale, presupposta la meritevolezza degli interessi e delle istanze di partecipazione perseguite dalla clausola (art. 1322), secondo le osservazioni effettuate e che possono qui richiamarsi (v. supra, § 2 e 3) [[31]]. Peraltro, la ratio di assicurare l’operatività dell’organo non può essere da sola in grado di porre limiti all’autonomia privata ex art. 2388. Essa invero non comporta operativamente effetti distorsivi, in quanto le situazioni di stallo ben potrebbero verificarsi anche in caso di previsione della sola maggioranza, o altresì di “quasi-unanimità”, proposte da autorevole dottrina [[32]]. Al di là della difficoltà di individuare un criterio operativo di distinzione tra ipotesi legittime e [continua ..]
È conosciuta alla prassi statutaria l’allocazione “non proporzionale” dei voti tra i componenti del consiglio di amministrazione, come formula organizzativa non volta al superamento di situazioni di stallo, bensì alla trasposizione di interessi in sede consiliare [[41]]. Operativamente, la clausola statutaria consente di attribuire ad alcuni amministratori un voto «multiplo» (ad es. due), analogamente ai titolari di azioni a voto plurimo in assemblea (art. 2351, comma 4, c.c. e art. 127-sexies t.u.f.). Dunque, rispetto al casting vote, l’esercizio non proporzionale non è prerogativa subordinata ad una situazione di stallo, bensì strutturalmente connaturata nel meccanismo di voto, in virtù di circostanze oggettive, ad esempio, per particolari competenze professionali, a fronte di delibere che si riferiscano a questioni tecniche, o per volontà di favorire l’espressione di specifici interessi, il posizionamento in liste di minoranze qualificate. Allo stesso tempo, rispetto al voto determinante contemplato dalla massima (v. supra, § 3), non costituisce una forma di veto, ad esclusione delle ipotesi in cui, in ragione della composizione del consiglio, il voto favorevole di uno (o più amministratori) risulti imprescindibile e, dunque, determinante (ad esempio, nel caso di un solo amministratore con voto triplo in un collegio di tre). L’impressione è che anche a tale soluzione, non prevista dalla massima, ma implicitamente rievocata, non ostino regole imperative del diritto societario. Può, in primo luogo, argomentarsi che l’alterazione del principio “un amministratore, un voto” non costituisca una deroga tout court alla formula collegiale e alle relative finalità. Invero, il metodo collegiale, come sopra definito, non coincide con il solo momento del voto, ma costituisce un principio organizzativo che permea l’intero iter di adozione delle deliberazioni, funzionale ai predetti obiettivi. Né si può affermare che, anche ipotizzando il caso “estremo” di attribuzione ad un amministratore di un numero determinante di voti, venga meno la funzione ponderatoria dell’organizzazione collegiale che, come detto, è comunque presidiata dal relativo iter. Al contrario, essa può costituire una formula per conseguire in maniera più efficace gli obiettivi di efficienza [continua ..]
Merita un’autonoma riflessione il modello di amministrazione della società a responsabilità limitata, il quale, in particolare a seguito della riforma del 2003, si discosta sensibilmente rispetto a quanto previsto per la società per azioni. Per quanto di interesse, nella s.r.l. il regime amministrativo è caratterizzato da una maggiore disponibilità in favore dell’autonomia privata [[47]]. In particolare, oltre alla possibilità che siano attribuiti agli stessi soci poteri di gestione della società (artt. 2475, comma 1, 2479, 2468, comma 3), è ammesso che gli amministratori, ove nominati, non agiscano solo costituendo il consiglio di amministrazione, ma operino altresì in via congiuntiva o disgiuntiva, al pari delle società di persone (la cui disciplina è in parte richiamata ex art. 2475, comma 4) [[48]]. Quando prevista la costituzione del consiglio di amministrazione, l’art. 2487 non ne disciplina l’organizzazione al pari della società per azioni, di cui solo in via interpretativa è stata affermata la possibilità di richiamarne le disposizioni in assenza di diversa previsione dello statuto [[49]]. Esso, infatti, può diversamente prevedere che le decisioni siano adottate mediante consultazione scritta o sulla base del consenso espresso per iscritto (cd. collegialità attenuata o debole, ex art. 2475, comma 4, prima parte) [[50]]. Dunque, in tal caso, il metodo collegiale è di per sé derogabile (e residuale) anche nell’amministrazione pluripersonale, rendendo più immediata la valutazione di legittimità di clausole statutarie suscettibili di incidere su tale principio. Peraltro, la stessa possibilità di configurare un’amministrazione congiuntiva con voto maggioritario è ulteriore conferma della non totale interdipendenza tra salvaguardia del metodo collegiale e modalità di organizzazione del voto [[51]]. Sul tema si era già espressa la prassi notarile. Il notariato di Firenze, con la massima n. 56/2015, ha ritenuto, limitatamente alle s.r.l., in caso di scelta di un organo amministrativo pluripersonale collegiale, che lo statuto potesse riservare ad uno o più amministratori nominati da singoli soci (ai quali è stato previamente riconosciuto il diritto particolare relativo alla loro nomina) o dai soci di minoranza [continua ..]