Rivista di Diritto SocietarioISSN 1972-9243 / EISSN 2421-7166
G. Giappichelli Editore

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Il nuovo Codice di Corporate Governance (di Niccolò Abriani)


Il saggio delinea la nuova struttura del Codice di Corporate Governance italiano, entrato in vigore nel 2021, sottolineando alcune delle più importanti novità rispetto alle versioni precedenti. Vengono quindi sviluppati tre temi di particolare interesse: i) l’inedita rilevanza assegnata al top management, al segretario del consiglio di amministrazione e, più in generale, alle figure apicali dell’impresa; ii) il ruolo del board nella valutazione degli assetti statutari e nella promozione del processo di revisione degli stessi, anche in funzione dell’obiet­tivo del successo sostenibile; iii) l’impatto sulla corporate governance del processo di digitalizzazione e del crescente ricorso a strumenti di intelligenza artificiale (c.d. “corptech”) e l’esigenza di adeguate policy per il governo delle opportunità e dei rischi connessi alle nuove tecnologie, anche in relazione agli obiettivi delle strategie ESG (c.d. “corporate digital responsibility”).

The new Italian Code of Corporate Governance

The essay examines the new structure of the Italian Corporate Governance Code, which came into force in 2021, highlighting some of the most important innovations compared to previous versions. Three topics of particular interest are then developed: i) the unprecedented relevance assigned to top management, to the board secretary and, more generally, to the company’s top managers; ii) the role of the board of directors in assessing statutory structures and promoting their revision process, also with a view to the objective of sustainable success; iii) the impact on corporate governance of the digitisation process and the increasing use of artificial intelligence tools (“Corptech”), and the need for adequate policies to govern the opportunities and risks associated with new technologies, also in relation to the objectives of ESG strategies (“Corporate Digital Responsibility”).

SOMMARIO:

1. Premessa - 2. Le principali novità del nuovo codice: impostazione funzionale, neutralità rispetto ai modelli di governance e valutazione dei requisiti di indipendenza - 3. Flessibilità e proporzionalità: un codice shorter and sharper - 4. Consiglieri esecutivi e presidente indipendente - 5. CEO, top management e segretario del consiglio di amministrazione - 6. La centralità dell’organo amministrativo: dagli assetti organizzativi agli assetti statutari - 7. Successo sostenibile e regole statutarie - 8. Intelligenza artificiale e codici di corporate governance - 9. Dalla Corptech alla Corporate Digital Responsibility - 10. Rischi e opportunità dell’innovazione tecnologica: per una policy della intelligenza artificiale - NOTE


1. Premessa

Ciascuno dei temi di vertice collegati al nuovo Codice di Corporate Governance, e i piedistalli concettuali su cui si fondano le principali novità dallo stesso introdotte, meriterebbe un’autonoma relazione, a cominciare dalla inedita indicazione teleologica del “successo sostenibile” come “obiettivo che guida l’azione dell’or­gano di amministrazione e che si sostanzia nella creazione di valore nel lungo termine a beneficio degli azionisti, tenendo conto degli interessi degli altri stakeholder rilevanti per la società” [[1]]. Si procederà pertanto a una breve ricognizione preliminare della nuova struttura del Codice e di alcune delle più vistose innovazioni rispetto alle versioni precedenti, per poi sviluppare tre ambiti tematici rimasti sinora ai margini della riflessione, ma non per questo meno meritevoli di attenzione [[2]]. Per questa ragione, si è ritenuto preferibile relegare a poche considerazioni introduttive la parte descrittiva della relazione, per soffermarsi su profili di maggiore originalità e, auspicabilmente, interesse per una platea così qualificata come quella odierna. Un primo tema, che sarà qui soltanto accennato, riguarda l’inedita emersione in quest’ultima versione del Codice della dimensione che potremmo definire, senza troppi giri di parole, come la “vera gestione” dell’impresa quotata: quella gestione che da sempre fa capo all’amministratore delegato (ora definito anche nel Codice “CEO”) e che traduce gli indirizzi strategici del consiglio di amministrazione sulle strade più sassose della operatività grazie al top management, che viene ora per la prima volta definito con riguardo alle figure apicali dell’im­presa. Un secondo tema, al quale sarà dedicato un supplemento di attenzione, è rappresentato dal ruolo del board, che viene ormai a trascendere la tradizionale prospettiva di mera valutazione degli assetti amministrativi in senso stretto per estendersi anche ad un ruolo proattivo, per c.d. “di scintilla cinetica”, nell’evoluzione degli assetti propriamente statutari; e, in questo ambito si iscrive il tema della preliminare valutazione dello stesso sistema di amministrazione e controllo adottato dalla società, anche in funzione di un’eventuale proposta di adozione di modelli di governance alternativi, [continua ..]


2. Le principali novità del nuovo codice: impostazione funzionale, neutralità rispetto ai modelli di governance e valutazione dei requisiti di indipendenza

Il nuovo Codice di autodisciplina delle società quotate sul Mercato Telematico Azionario è stato approvato nel gennaio 2020 dal Comitato per la Corporate Governance, costituito ad opera delle principali associazioni imprenditoriali e degli investitori professionali e di Borsa Italiana S.p.A., ed è applicabile alle società che lo adottano a partire dal 1° gennaio del 2021 o, qualora l’esercizio non coincida con l’anno solare, dal primo esercizio che abbia avuto inizio nel medesimo anno [[4]]. Con questa riscrittura – che è senz’altro la più incisiva degli ultimi anni – il Codice si è sprovincializzato fin dalla sua denominazione di “Codice di Corporate Governance”; al contempo si è razionalizzato in una nuova e più snella articolazione, arricchita da interventi innovativi su più punti qualificanti, tra i quali fanno spicco la puntualizzazione dei requisiti richiesti agli amministratori, la valutazione della loro indipendenza, una ulteriore valorizzazione del loro ruolo e di quello del lead independent director e infine l’introduzione della figura, inedita nel nostro ordinamento, del presidente indipendente. Quanto alla struttura, il Codice si articola ora, in una logica di semplificazione (shorter and sharper), soltanto in principi e raccomandazioni: i primi ridotti a sei rispetto ai dieci della versione precedente e senza più quei commenti che si erano stratificati negli anni risultando per alcuni versi esuberanti rispetto alle finalità proprie di uno strumento di autodisciplina. Naturalmente, la speranza è che questo corpus, in larga misura superfetatorio, di commenti, che è stato opportunamente espulso dalla “porta” del Codice, non finisca per rientrare indebitamente dalla “finestra” delle Q&A che saranno declinate sul piano applicativo periodicamente su richiesta degli emittenti [[5]]. Questa considerazione induce a sottolineare come, a seguito dell’ultima revisione, che è senz’altro la più importante, almeno dal 2016, il Codice di Corporate Governance si connoti sempre più come un “codice delle società quotate”, dove il genitivo da oggettivo diventa anche soggettivo, con riguardo al ruolo svolto nella sua messa a punto tanto dalle società che collocano le loro azioni sul mercato, quanto dagli operatori che [continua ..]


3. Flessibilità e proporzionalità: un codice shorter and sharper

Tornando all’esame delle principali novità introdotte dal nuovo Codice, alla razionalizzazione e allo snellimento della sua struttura si affianca l’introduzione di principi di flessibilità e di proporzionalità. Si tratta di misure più volte invocate dalle emittenti – ma anche dalla stessa Autorità di Vigilanza, come si evince dalle relazioni dei presidenti della Consob degli ultimi anni – che si traducono in una duplice bipartizione: la prima, basata sull’assetto proprietario, distingue le emittenti in relazione alla circostanza che siano o meno a proprietà concentrata; la seconda, basata sul dato dimensionale, distingue le società grandi dalle altre società. In base alle definizioni dettate in apertura del Codice, rientrano nella nozione di società a proprietà concentrata le società in cui un azionista, o più soci che partecipano a un patto parasociale di voto, dispongano, direttamente o indirettamente della maggioranza dei voti esercitabili in assemblea ordinaria [[14]]. Al riguardo va ricordato che, come ha confermato anche la relazione pubblicata di recente dalla Consob sugli assetti proprietari [[15]], sono ancora tantissime, le società quotate soggette al controllo azionario di diritto, ai sensi dell’art. 2359, n. 1 [[16]]. Per società grande si intende la società la cui capitalizzazione è stata superiore a 1 miliardo di euro l’ultimo giorno di mercato aperto di ciascuno dei tre anni solari precedenti [[17]]. E merita qui di essere sottolineato che il sottoinsieme delle società “grandi” costituisce una categoria più ampia rispetto a quelle quotate al FTSE MIB (circa il cinquanta per cento in più). Dall’applicazione congiunta dei due criteri distintivi emergono quattro categorie di società quotate che si possono collocare in un ideale climax ascendente, ai cui estremi si collocano, da un lato, le società non grandi a proprietà concentrata e, dall’altro, le società grandi a proprietà diffusa (o non concentrata), mentre in una posizione intermedia si collocano le società grandi a proprietà concentrata e le società non grandi a proprietà diffusa. Il principio di proporzionalità si traduce in una diversa declinazione delle regole contenute nel Codice in tema di [continua ..]


4. Consiglieri esecutivi e presidente indipendente

In controtendenza rispetto a questa maggiore duttilità si colloca la ridefinizione della categoria dei consiglieri esecutivi, che viene tendenzialmente ampliata, con una conseguente restrizione del requisito della indipendenza, che come noto presuppone la non esecutività. La questione riguarda in primo luogo i componenti del comitato esecutivo: mentre infatti sino a ieri la presenza in tale comitato non implicava automaticamente la qualifica di amministratore esecutivo, salvo che in concreto fosse dato registrare un coinvolgimento sistematico nella gestione corrente o comunque un notevole incremento del compenso rispetto a quello degli altri amministratori non esecutivi [[23]], il nuovo Codice riferisce per contro la definizione di “amministratori esecutivi” non soltanto agli amministratori destinatari di deleghe gestionali (o che “ricoprono incarichi direttivi nella società o in una società controllata avente rilevanza strategica, o nella società controllante quando l’incarico riguardi anche la società”), ma altresì a tutti gli “amministratori che fanno parte del comitato esecutivo della società”  [[24]]. Si tratta di una evoluzione in sé commendevole anche sotto il versante della trasparenza informativa, in quanto “nomina sunt consequentia rerum”; ma che, nel momento in cui scolpisce questa più lata (e corretta) definizione di esecutività, potrebbe suggerire un ripensamento in ordine alla incompatibilità tra esecutività (in ogni sua forma, anche più lata) e indipendenza, che pure il Codice ribadisce [[25]]. Andrebbe, in particolare, considerata la possibilità di ritagliare una categoria di consiglieri indipendenti suscettibili di essere coinvolti in organi collegiali esecutivi, a tal fine riprendendo – e, se del caso, affinando – i criteri indicati dalle precedenti versioni del codice. Si tratta, naturalmente, di un obiettivo conseguibile anche nel nuovo scenario, attraverso un puntuale explain: una motivazione trasparente che, senza più celare dietro la “foglia di fico” di una asserita (ma, in termini assoluti, discutibile, se non decettiva) non esecutività di tutti i consiglieri indipendenti, dia conto delle ragioni per le quali si ritiene opportuno consentire una presenza della componente indipendente nella formazione delle decisioni [continua ..]


5. CEO, top management e segretario del consiglio di amministrazione

Nello svolgimento delle sue funzioni di coordinamento e interazione consiliare il presidente è assistito dal segretario del consiglio di amministrazione, al quale il Codice assegna il compito di “supporta[re] l’attività del presidente e forni[re] con imparzialità di giudizio assistenza e consulenza all’organo di amministrazione su ogni aspetto rilevante per il corretto funzionamento del sistema di governo societario”  [[32]]. Alla luce di tali funzioni, e in particolare del contributo che il segretario è chiamato a dare ai fini di un’efficace gestione dell’informativa consiliare, si richiede che la sua nomina (così come la revoca) siano deliberate dal consiglio, chiamato altresì a definire i requisiti di professionalità e a precisarne le attribuzioni in un proprio regolamento [[33]]. A fianco delle previsioni relative al segretario dell’organo di amministrazione meritano di essere segnalate, per contiguità, una serie di raccomandazioni riferite ai vertici aziendali [[34]]. Il riferimento è a quelle figure apicali che il Codice ora ricomprende nella definizione di “top management”, categoria cui sono ricondotti gli “alti dirigenti che non sono membri dell’organo di amministrazione e che hanno il potere e la responsabilità della pianificazione, della direzione e del controllo delle attività della società e del gruppo ad essa facente capo”  [[35]]. Si tratta di figure che costituiscono da sempre una delle componenti più rilevanti dell’organizzazione imprenditoriale che fa capo alla società, ma anche della sua governance, ove si consideri che rappresentano altrettanti punti terminali del flusso informativo ascendente che, promanando dalla struttura aziendale, converge verso l’amministratore delegato e da quest’ultimo, in termini discendenti, verso il plenum consiliare, affinché questo possa disporre di un complesso d’informazioni adeguato per assumere le decisioni di alto indirizzo che gli competono e per svolgere il suo compito di monitoraggio valutativo sulla gestione. Quella delle figure apicali è una fattispecie ancora non compiutamente identificata dai teorici, ma in larga misura tipizzata nell’inquadramento dei vertici aziendali: un’area tematica sinora alquanto negletta [[36]] ma meritevole di ben altra [continua ..]


6. La centralità dell’organo amministrativo: dagli assetti organizzativi agli assetti statutari

Il secondo argomento sul quale si intende appuntare l’attenzione riguarda, come anticipato, il ruolo che il consiglio di amministrazione viene oggi ad assumere nella valutazione non soltanto degli assetti amministrativi in senso stretto, ma altresì degli assetti propriamente statutari. Il Codice assegna infatti all’organo amministrativo il compito di “defini[re] il sistema di governo societario più funzionale allo svolgimento dell’attività del­l’im­presa e al perseguimento delle sue strategie”  [[39]]. In questo ambito il consiglio di amministrazione è altresì chiamato, “[s]e del caso”, a “valuta[re] e promuove[re] le modifiche opportune, sottoponendole, quando di competenza, al­l’Assemblea dei soci”; in particolare, “[q]ualora ritenuto necessario per definire un sistema di governo societario più funzionale alle esigenze dell’impresa, l’organo di amministrazione elabora motivate proposte da sottoporre all’Assem­blea dei soci in merito”, tra l’altro, alla “dimensione, composizione e nomina dell’organo di amministrazione”  [[40]]. Nel nuovo scenario delineato dal Codice di Corporate Governance la valutazione dell’assetto statutario e l’eventuale avvio del processo diretto alla sua ridefinizione e aggiornamento evolutivo vengono dunque a integrare i compiti del consiglio di amministrazione, nell’ambito di quella generale attività di verifica della adeguatezza dell’assetto organizzativo, che trova la sua base in generale nei ricordati artt. 2086, comma 2, e 2381, comma 3, c.c. Com’è stato puntualmente rilevato, la disciplina vigente, a seguito della riforma societaria del 2003 e delle più recenti evoluzioni normative, “caratterizza la società per azioni anzitutto come assetto organizzativo pensato ai fini dell’esercizio dell’impresa”; ed “esercitare l’impresa vuol dire, in primis, organizzare uffici in funzione dello svolgimento di una certa attività (con certi fini e caratteri) e significa farlo non una volta per tutte, ma costantemente, attraverso continue messe a punto”. In tale nuovo scenario normativo, “gli amministratori non possono, puramente e semplicemente, subire le scelte organizzative di vertice della società quando tali scelte [continua ..]


7. Successo sostenibile e regole statutarie

A un livello ancora più elevato il Codice richiede all’organo amministrativo di valutare se il sistema di amministrazione e controllo adottato dalla società risulti effettivamente il più idoneo ad assicurare la maggior efficienza della gestione ed efficacia dei controlli, in considerazione della concreta realtà imprenditoriale del­l’emittente ed eventualmente anche dei suoi attuali assetti proprietari e della sua maggiore o minore proiezione internazionale. Un vaglio di adeguatezza all’esito del quale il consiglio potrebbe ritenere di dare impulso ad un processo di variazione del modello di governance da sottoporre agli azionisti, previa la necessaria interlocuzione con l’autorità (o le autorità) di vigilanza. Anche in questo caso si percepisce una nitida eco delle considerazioni prospettate in dottrina da chi aveva felicemente sottolineato come la stessa opzione del modello di amministrazione e controllo, pur rientrando nella competenza degli azionisti in quanto modificazione statutaria non delegabile, non possa sfuggire alla valutazione che l’organo amministrativo è chiamato a compiere sugli assetti societari, sicché il board, quale organo di supervisione strategica, non potrebbe limitarsi a prendere atto del sistema vigente, assumendolo alla stregua di un presupposto giuridico, oltre che come prius logico, rispetto al proprio operare  [[49]]. Parimenti evidente è la consonanza, sotto tale versante, con la disciplina delle imprese bancarie, in relazione alle quali le ricordate Disposizioni di vigilanza in materia di organizzazione e governo societario delle banche prevedono che la “scelta tra i tre sistemi di amministrazione e controllo” abbia luogo all’esito “di un’approfondita autovalutazione, che consenta di individuare il modello in concreto più idoneo ad assicurare l’efficienza della gestione e l’efficacia dei controlli, avendo presenti anche i costi connessi con l’adozione e il funzionamento del sistema prescelto” [[50]]. I principi ora richiamati vengono ad irradiarsi dalle società bancarie a tutte le emittenti quotate che aderiscono al Codice di Corporate Governance: come già nelle prime, anche nelle seconde a dover essere oggetto di attento esame e di adeguata motivazione da parte dell’organo amministrativo è non soltanto la variazione del [continua ..]


8. Intelligenza artificiale e codici di corporate governance

L’ultimo tema, al quale dedicherei la parte finale della relazione, riguarda il potenziale impatto sulla corporate governance dell’intelligenza artificiale e, più in generale, della innovazione tecnologica e della digitalizzazione delle imprese [[64]]. Si tratta, come noto, di un fenomeno imponente e in larga misura già immanente alle principali realtà aziendali che da tempo ricorrono a strumenti di intelligenza artificiale per migliorare la performance sul mercato e all’interno dei processi decisionali. Un processo accelerato dallo sviluppo tecnologico di tali sistemi, dalla loro capacità di trattare una mole crescente di dati e dalla conseguente maggior attendibilità delle loro previsioni. Gli strumenti di intelligenza artificiale sono alla base, da un lato, delle crescenti potenzialità di trasmissione dei dati e, dall’altro, della sempre più sofisticata capacità computazionale dei sistemi utilizzabili da parte delle imprese [[65]]. La recente evoluzione delle più rilevanti realtà imprenditoriali e dei mercati finanziari, e segnatamente delle società quotate che su tali mercati collocano i loro titoli, è connotata dalle profonde trasformazioni innescate da un crescente ricorso a sistemi organizzati mediante tecniche di intelligenza artificiale. Tali tecniche costituiscono l’infrastruttura i) nella prospettiva di mercato, di strumenti di trading automatizzato e di nuovi prodotti finanziari digitali [[66]] e ii) nella dimensione gestionale interna, di nuovi meccanismi automatizzati impiegati a scopo decisionale. Sono questi alcuni dei riflessi sul sistema imprenditoriale (e, dunque, sul diritto delle imprese) di quel passaggio dalla società digitale alla società algoritmica, che, secondo l’OCSE e la maggior parte degli interpreti, segna l’avvento della “quarta rivoluzione industriale” [[67]]. Un cambio di paradigma connotato dal ruolo che le decisioni automatizzate vengono ad assumere in ogni aspetto della vita, a cominciare dalla riorganizzazione degli assetti socio-economici determinato dalla convergenza tra strumenti analitici (sempre più) intelligenti, da un lato, e accesso a data (sempre più) big, dall’altro. Tale convergenza segna l’elemento di disruption rispetto al passato, divenendo il motore di una società che si struttura – e si [continua ..]


9. Dalla Corptech alla Corporate Digital Responsibility

All’interno di questo scenario in rapida evoluzione si iscrive il recente studio della Commissione europea in materia di intelligenza artificiale e corporate governance, nel quale sono poste in evidenza due principali aree di impiego di strumenti automatizzati nel contesto societario: un primo ambito applicativo attiene al rafforzamento dei processi decisionali del management ai fini di una loro maggior efficienza, mentre un secondo riguarda le attività di monitoring e di verifica della compliance da parte dell’organo amministrativo [[83]]. In entrambi i casi i vantaggi attesi riguardano l’aumento complessivo – qualitativo e quantitativo – delle attività che il board può svolgere, con una incisività ed efficacia resa possibile dalle accresciute capacità di processare e analizzare informazioni [[84]]. Si indicano inoltre ulteriori effetti positivi in relazione al tema della composizione dell’organo, e in particolare della board diversity, in quanto le raccomandazioni elaborate dall’intelligenza artificiale potrebbero controbilanciare tendenze alla omologazione dell’indirizzo del consiglio [[85]]. Sull’opposto fronte dei rischi, si segnalano la possibilità di errori nel design ovvero nell’im­plementazione di strumenti automatizzati: errori suscettibili di irradiarsi lungo la catena societaria, fino a compromettere i flussi comunicativi e finanche le procedure di voto che su questi stessi strumenti si basano [[86]]. A livello di ricognizione empirica, il documento segnala infine il mancato sfruttamento, ad oggi, delle piene potenzialità di strumenti digitali per il perseguimento di più ampi obiettivi sociali [[87]]. Quest’ultimo rilievo induce a riflessioni più profonde riguardo al tema del rapporto tra intelligenza artificiale e corporate social responsibility [[88]]. Di fronte ai richiami, contenuti innanzitutto nel codice di autodisciplina e nei più recenti documenti europei, ad una corporate governance sostenibile [[89]], sorge l’interrogativo se e come gli strumenti di intelligenza possano contribuire alla svolta in senso etico del governo societario e siano idonei a costituire strumento per una governance sostenibile [[90]]. La questione si ricollega al più ampio tema della rilevanza dell’intelligenza artificiale quale componente di assetti adeguati come [continua ..]


10. Rischi e opportunità dell’innovazione tecnologica: per una policy della intelligenza artificiale

Dalle considerazioni sin qui svolte è dato comprendere quali siano i potenziali riflessi in punto di governance societaria di queste evoluzioni. Innanzitutto, si potrebbe valutare, nel solco di una impostazione di massima precauzione, di integrare le competenze del comitato controllo rischi non solo dal punto di vista di quei rischi informatici, che sono già al centro dell’attenzione dei relativi comitati nei settori vigilati (in primo luogo nelle banche), ma più in generale di una adeguata mitigazione delle altre peculiari categorie di rischi che connotano il ricorso agli strumenti di intelligenza artificiale. In alternativa, si potrebbe immaginare, in una logica più consonante a una visione proattiva della corporate digital responsibility, intesa come tassello coessenziale delle politiche ESG, di affidare queste competenze al comitato sostenibilità e governance [[105]]. Meno auspicabile appare invece, ad oggi e salve le peculiarità di società operanti propriamente nel settore dell’intelligenza artificiale, l’istituzione di comitati endoconsiliari ad hoc, investiti di funzioni consultive e istruttorie in materia di tecnologie algoritmiche, con particolare riguardo alle strategie di sviluppo delle stesse e al monitoraggio sul loro corretto utilizzo [[106]]. Quale che sia la soluzione ritenuta in concreto preferibile, il tema è ormai ineludibile e impone di superare la ritrosia ad affrontarlo, determinando quel generale accantonamento che si è stigmatizzato e che sembra tradire la preoccupazione di mantenersi fedele all’ispirazione che ha tradizionalmente indirizzato l’intervento dell’autodisciplina in questo settore; e, in particolare, di preservare l’effettiva dialettica tra amministratori, rispetto alla quale i tradizionali rischi di bias autoritari nei confronti del CEO potrebbero essere rafforzati, e in parte sostituiti, dalla sudditanza alla indicazione-predizione algoritmica  [[107]]. Una impostazione che potremmo definire “romantica”, nella sua strenua difesa del libero confronto consiliare, in contrapposizione all’illuminismo iper-razionalista di chi pretenderebbe di acquisire come punto di riferimento l’algido output dello strumento tecnologico; e peraltro non priva di fondamento: tanto più ove si consideri che potrebbe essere lo stesso management a definire le finalità (lo script) del [continua ..]


NOTE