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Sull'abuso della maggioranza che vota contro la distribuzione del dividendo
Diego del Corral
Il contributo esamina la pronuncia della Sezione Quindicesima specializzata in materia di impresa “B” del Tribunale di Milano che ha statuito l’annullamento della deliberazione con la quale l’assemblea di una società per azioni ha stabilito di non distribuire utili, pur versando la società in una situazione di floridità patrimoniale e finanziaria, anche tenuto conto che l’assemblea aveva deliberato, nei cinque esercizi precedenti, di non pagare i dividendi.
The paper examines the ruling of Fifteenth Section “B” of the Court of Milan, which stated that a resolution by which the annual shareholders’ meeting of a joint-stock company decided not to distribute dividends, despite the fact that the company was in a healthy financial situation, was voidable, even considering the fact that the annual shareholders’ meeting had resolved not to pay dividends in the previous five years.
Keywords: Companies – Dividend – Annual general meeting resolution refusing to pay the dividend – Misuse of the power of a majority – Oppressive resolution – Invalidity.
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Sommario:
1. Dal diritto al dividendo deliberato… - 2. …al diritto alla deliberazione del dividendo - 3. L’annullamento della deliberazione che nega la distribuzione del dividendo - 3.2. Il sindacato giudiziale sul comportamento abusivo della maggioranza. Sullo sfondo, un tentativo di sintesi degli interessi coinvolti - 3.3. L’insoddisfazione verso un rimedio meramente demolitorio - 4. Nuovi spunti per un tema antico? - NOTE
1. Dal diritto al dividendo deliberato…
Prioritariamente all’esame della sentenza in commento, si deve chiarire di quale situazione giuridica sia titolare il socio con riguardo al dividendo. È oggi pacifico che non possano essere accettate le prospettazioni, ormai risalenti, di chi intravide negli artt. 2247, 2350 e 2433 c.c. la fonte dell’obbligazione della società alla corresponsione annuale del dividendo al socio e teorizzò in modo compiuto l’esistenza di una “regola del riparto periodico” nel vigore dell’attuale codice civile [[1]]. Al contrario, è ormai pienamente condivisa la diversa tesi del diritto del socio al dividendo deliberato, cioè quella per cui il credito del socio di regola pecuniario sorge solo per effetto di una valida e regolarmente formata deliberazione dell’organo competente (assemblea, nel caso dell’art. 2433 c.c., e organo amministrativo, in quello degli acconti sui dividendi, a norma dell’art. 2433-bis c.c.). Si tratta di una conclusione incontestabile, che poggia sulla duplice considerazione che: in primo luogo, quello al dividendo non è un diritto soggettivo perfetto, perché scaturente soltanto dalla conclusione positiva del processo di formazione del bilancio e di approvazione della deliberazione di destinazione del risultato dell’esercizio, e non già da un riconoscimento legale [[2]], così che, pretendendo di dedurre dagli artt. 2247 e 2350 c.c. [continua ..]
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2. …al diritto alla deliberazione del dividendo
Come si è fin qui spiegato, affinché la mera aspettativa del socio si tramuti in un diritto soggettivo che questi possa pienamente e legittimamente esercitare nei confronti della società, è necessario il fatto costitutivo della deliberazione assembleare ai sensi dell’art. 2433, 1° comma, c.c.; tuttavia, riconoscere al socio il diritto al dividendo deliberato non può significare riconoscergli anche il diritto alla deliberazione del dividendo. Rimane da appurare se il socio (di minoranza) abbia il potere di sottoporre alla revisione giudiziale, per ottenerne l’annullamento, la deliberazione di riporto degli utili a nuovo, che ritenga (e provi) essere stata assunta per effetto di un comportamento emulativo, secondo i principi generali. Fermo quanto si dirà sui profili dinamici dell’annullamento di deliberazione negativa della specie di quella impugnata dinanzi al Tribunale di Milano (infra, par. 3.2.), non sembra si possa seriamente confutare che il socio, in quanto titolare della mera aspettativa di (ottenere una deliberazione che lo autorizzi a) percepire il dividendo, disponga soltanto del proprio voto per “convincere” l’assemblea che è opportuno pagare il dividendo alla chiusura dell’esercizio, e non abbia altro mezzo che questo per ottenere che l’assemblea condivida alla sua proposta di distribuzione e l’approvi: ne discende che, se assunte nel rispetto della regola [continua ..]
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3. L’annullamento della deliberazione che nega la distribuzione del dividendo
3.1. Il caso Con la sentenza in commento, il Tribunale di Milano ha annullato la deliberazione assembleare della società convenuta – si trattava di una società fiduciaria iscritta nell’elenco istituito ai sensi dell’art. 106 TUB – per non avere essa stabilito la distribuzione degli utili dell’esercizio 2017 per Euro 81.232,00, in ragione della “scelta di prudente politica societaria volta a garantirle la disponibilità liquida per far fronte alla sua ordinaria attività sociale di finanziaria esercente attività fiduciaria iscritta all’albo ex art. 106 TUB e per poter anticipare ogni anno gli acconti fiscali dovuti dai clienti in relazione ai redditi di natura finanziaria provenienti dal risparmio amministrato”. Il giudice milanese ha reputato abusiva la deliberazione in esame, perché: (i) “la società aveva una disponibilità liquida di € 5.123.038,00 a fine esercizio 2017 con un incremento di circa un milione dall’esercizio precedente” e quindi era “ben patrimonializzata”, sicché “il modesto incremento di € 81.000,00 non modifica nella sostanza”, rinforzandolo, il patrimonio netto della società, da ciò traendo il Tribunale che la deliberazione “risulta priva di una giustificazione causale nell’ottica del perseguimento degli interessi sociali”; e (ii) l’assunzione della [continua ..]
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3.2. Il sindacato giudiziale sul comportamento abusivo della maggioranza. Sullo sfondo, un tentativo di sintesi degli interessi coinvolti
È ormai pacifico che il socio di minoranza possa impugnare la deliberazione assembleare di negazione del dividendo che sia viziata per “abuso della maggioranza” [[6]]. L’abuso della regola di maggioranza e la sua repressione trovano fondamento, secondo l’interpretazione preferibile, non tanto nella regola dell’art. 2373 c.c. (impugnabilità della deliberazione assunta con il voto determinante di colui che abbia un interesse in conflitto con quello della società), posto che i comportamenti abusivi del socio di maggioranza a danno di quello di minoranza non sempre si risolvono anche nella lesione dell’interesse della società [[7]]; quanto piuttosto nell’applicazione ragionevole ai rapporti endosocietari della regola di esecuzione del contratto secondo buona fede oggettiva e correttezza ex art. 1375 c.c. [[8]]. Da tale angolo visuale, il principio di correttezza endosocietaria governa il conflitto tra due interessi individuali (ma pur sempre riferibili al contratto sociale) [[9]] e si configura come “limite immanente all’esercizio del voto, preordinato ad arginare i rischi di utilizzo abusivo del potere corporativo della maggioranza in danno della società o delle minoranze azionarie” [[10]]. Aderendo alla ricostruzione dell’istituto operata dalla dottrina prevalente, una nota sentenza della Suprema Corte ha chiarito che, affinché si possa [continua ..]
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3.3. L’insoddisfazione verso un rimedio meramente demolitorio
Nel caso di specie, il Tribunale ha ritenuto che ricorresse un abuso: e ha annullato la deliberazione di mandare a nuovo un utile di poche migliaia di Euro. Annullata la deliberazione ritenuta assunta per effetto del comportamento abusivo della maggioranza, rimane insoluto il problema dell’individuazione dello strumento a mezzo del quale il socio vittorioso può ottenere una deliberazione assembleare conforme a sentenza. Il tema non è di poco momento, perché l’assemblea rimane sovrana, a mente dell’art. 2433 c.c., di deliberare la distribuzione o il riporto a nuovo degli utili (supra, par. 2). Perciò, il socio che ha ottenuto l’annullamento della deliberazione “abusiva” si ritrova esattamente nella posizione nella quale si trovava prima che detta deliberazione fosse assunta: deve, cioè, procurarsi una nuova deliberazione, questa volta positiva, per ottenere un titolo. Il problema può dirsi comune a tutti i casi di annullamento di deliberazioni aventi contenuto negativo, posto che la sentenza costitutiva di annullamento ne elimina gli effetti, ma non si sostituisce, surrogandola, all’espressione della volontà assembleare [[23]]. A tale conclusione si perviene agevolmente, ragionando sulla natura della deliberazione negativa che, benché impedisca la formazione del titolo, costituisce pur sempre un’esteriorizzazione di un procedimento decisionale che si conclude con [continua ..]
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4. Nuovi spunti per un tema antico?
Sulla posizione degli amministratori rispetto alle scelte di dividend policy, sarà consentita una postilla. Chi presidia l’interesse sociale (se non all’autofinanziamento, quantomeno) a proteggersi dall’insolvenza? Dalla lettura coordinata degli artt. 2086, 2° comma, 2380-bis, 1° comma, e 2392 c.c., la risposta sembra essere che senz’altro la materia sia di competenza degli amministratori. Come dimostrato in dottrina, alle regole sulle distribuzioni – il cui rispetto è condizione di validità delle correlative deliberazioni assembleari – si affiancano – queste sì costituendo perimetro dell’agere licere degli amministratori – le regole fondate sui ratios patrimoniali e sul solvency test [[30]]. Dalla convivenza di queste due regole, da questo “doppio vaglio” al quale sottoporre le scelte dei soci in ordine alle distribuzioni, discende pianamente che gli amministratori devono rifiutarsi di eseguire quelle deliberazioni assembleari che, pur formalmente legittime, in quanto rispettose del vincolo capitalistico-patrimoniale, se attuate possono mettere a repentaglio l’equilibrio finanziario della società [[31]]. Ciò premesso, è quasi banale affermare che non vale il contrario: giammai gli amministratori sono tenuti a non eseguire una deliberazione assembleare di riporto degli utili a nuovo. Peraltro, varrebbe la pena interrogarsi anche sugli [continua ..]
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NOTE