Rivista di Diritto SocietarioISSN 1972-9243 / EISSN 2421-7166
G. Giappichelli Editore

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Private equity, fusioni e rinuncia all'appraisal right: note su un caso statunitense con cenni all'esperienza italiana (di Casimiro A. Nigro – Demetrio Maltese)


Muovendo da una pronuncia statunitense, il lavoro si sofferma sull'analisi della seguente questione giuridica: è possibile, in base al diritto societario italiano, formalizzare un patto parasociale che, anche solo alternativamente ed in occasione di una fusione, (i) disciplini l’esercizio del diritto di voto e, in tal modo, precluda la venuta ad esistenza del presupposto del dissenso (o dell’astensione) da cui dipende l’esercizio del diritto di recesso; ovvero, prescindendo dal momento del voto, (ii) ponga comunque un divieto negoziale di farne esercizio? Nel dare risposta a tale quesito, l'articolo rileva come, sebbene in base all'orientamento predominante un accordo di tal fatta sia probabilmente destinato a rivelarsi invalido, constino elementi positivi in considerazione dei quali appare possibile difendere la tesi opposta. Non si manca di sottolineare, però, come tale più liberale tesi richieda ulteriori approfondimenti utili, tra l'altro, a validare, dal punto di vista sistematico, gli argomenti su cui essa si regge.

Private Equity, Mergers, and Appraisal Right Waivers: US Law versus Italian Law

The Delaware judiciary has recently affirmed the enforceability of an ex ante waiver of appraisal rights included in a shareholder agreement. This article investigates whether such a private ordering solution would be enforceable under Italian law, which provides for a remedy very similar to the appraisal right – the so-called “diritto di recesso”. Having argued that, in light of the dominant interpretation of existing legislation, a court would likely hold an ex ante waiver of diritto di recesso void and null, it contends that there are arguments supporting the opposite conclusion. However, the article also stresses, inter alia, that more research is required to see whether these arguments would stand against the logic informing the legal regime governing diritto di recesso.

MASSIMA: È valida, purché formulata in termini chiari ed univoci, la clausola del patto parasociale concluso tra parti sofisticate e pienamente informate in forza della quale gli azionisti si obbligano preventivamente a non esercitare l’appraisal right a fronte di una data operazione che in astratto lo consentirebbe (nel caso di specie, una fusione) (massima non ufficiale). PROVVEDIMENTO: [… omissis …] – Before me is the Petitioners’Motion for Reargument of my Letter Opinion of October 1, 2018 (the “Letter Opinion”). Motions for reargument are, in my view, a tool that generally serves best left in the sheath; they are, I find, rarely fruitful, and most often result in additional expense for the litigants and effort by the Court, to no purpose. A motion for reargument, as this Court has pointed out on numerous occasions, does not provide a forum to relitigate issues decided by the trial judge, and if the trial court is in error on those issues, vindication is available on appeal, not via reargument. Nonetheless, reargument can be a useful tool if used as designed, to forestall a final opinion in which the judge has disregarded matters of law or fact, or has inadvertently failed to respond to an argument of counsel. In such cases, exercise of the motion can save the expense and delay of the matter being reviewed on appeal and remand, and I look on the (rare) well-founded motion for reargument as beneficial to the system of justice–and the time and effort of both bench and appellate judges–as well as to the client. The Petitioners advance such a useful motion here. In my Letter Opinion of October 1, 2018, on the Petitioners’ Motion to Dismiss the counterclaims and the Respondent’s Motion for Partial Summary Judgment, I decided what I considered to be the issue before me: whether, pursuant to contract, the Petitioners had waived their ability to pursue appraisal rights under the DGCL. The parties had opposing positions on this issue based on the applicable contractual language, positions they presented forcefully in oral argument. I found that the Petitioners had agreed to waive appraisal rights. Largely missing from the oral argument, however, and missing from my Letter Opinion, was a predicate issue: whether a stockholder can, via contract, validly waive her appraisal rights to begin with. The Petitioners moved for reargument, in part on that ground. In examining the applicable briefing, it is clear that the Petitioners raised fairly the issue of the enforceability of a stockholder agreement to waive appraisal rights. As a result, I should have addressed it initially, and I rectify that omission here. Upon consideration, I find on this issue in the Respondent’s favor; nonetheless, the Petitioners’ Motion for Reargument was well-taken. I. BACKGROUND I will recite in this Letter Opinion only those facts and contractual provisions necessary to my [continua..]
SOMMARIO:

1. Introduzione - 2. Il caso - 3. L’ordinamento statunitense - 3.2. I precedenti giurisprudenziali non direttamente collegati. - 3.3. La regula iuris: analisi positiva ed economica (cenni) - 4. La prospettiva interna. - 4.1. I possibili ostacoli - 4.1.2. Profili di diritto societario - 5. Un dubbio ed una precisazione: cenni. - 6. Conclusioni - NOTE


1. Introduzione

La decisione in commento dichiara la validità, in base al diritto societario del Delaware (ossia, la “Delaware General Corporate Law – appresso, per brevità, “DGCL”), del patto parasociale con cui un socio si obbliga a votare a favore di un’operazione straordinaria in grado di attivare l’appraisal right, in modo tale da far venire meno il dissenso che rappresenta il presupposto dell’esercizio di tale diritto. Tale specifica questione non aveva sinora ricevuto particolare attenzione negli Stati Uniti: ciò che, allora, suggerisce di rendere la sentenza soprariportata oggetto del presente commento in modo da articolare alcune prime riflessioni in tema, al duplice fine di fornire una panoramica sull’esperienza statunitense e poi esaminare la medesima questione dal punto di vista del diritto societario italiano. Così, dapprima si descrive sommariamente la vicenda controversa e si dà atto del suo epilogo giudiziale. A seguire, dopo aver sommariamente descritto la disciplina dell’appraisal right in base al diritto statunitense, si colloca l’arresto pretorio in esame nel contesto della più ampia produzione giurisprudenziale e dottrinale di riferimento, per poi procedere all’apprezzamento della innovatività della regula iuris enucleata dal provvedimento, soprattutto nella prospettiva di evidenziarne l’efficienza. A quel punto, proprio muovendo dalla premessa dell’efficienza di tale soluzione, ci si sofferma sull’esperienza italiana nella prospettiva di verificare se sia possibile modulare la disciplina del rapporto sociale in termini analoghi anche nell’ordinamento italiano, in cui l’appraisal right trova il suo istituto funzionalmente equivalente nel diritto di recesso. A tal fine, si procede, innanzitutto, ad una ricognizione del quadro normativo di riferimento e delle interpretazioni che se ne offrono in dottrina con l’indiretto supporto della giurisprudenza e si evidenzia come tale quadro normativo apparentemente osti alla importazione della soluzione cui è giunta la giurisprudenza del Delaware. Si tenta, allora, di porre in rilievo alcuni elementi che, se debitamente valorizzati e ulteriormente sviluppati, potrebbero forse militare a favore di una interpretazione restrittiva della disciplina vigente. A seguire, però, si prende atto della circostanza che tali elementi, per quanto innovativi, [continua ..]


2. Il caso

Nel 2008, Authentix Acquisition Co., una società del Delaware, aveva acquisito Authentix Inc. tramite una fusione per incorporazione. Si era trattato di un c.d. private equity deal, che aveva assunto la forma di una c.d. roll-over transaction[[34]], di guisa che gli originari azionisti di Authentix Inc. avevano “convertito” le proprie partecipazioni sociali in una partecipazione di minoranza rappresentata da azioni ordinarie in Authentix Acquisition Co., indirettamente detenuta tramite Manti Holdings LLC. Titolari di una partecipazione di maggioranza rappresentata da azioni privilegiate in Authentix Acquisition Co. erano, invece, due fondi di private equity. All’atto di negoziare i termini dell’affare, le parti, assistite da consulenti specializzati, avevano negoziato e concluso pure un patto parasociale, peraltro sottoscritto anche dalla stessa Authentix Acquisition Co. Tale accordo era preordinato, tra le altre cose, a disciplinare i contegni delle parti in prossimità ed in seguito ad una “vendita della società” (letteralmente, una company sale), che, per definizione convenzionale, era inclusiva sia delle operazioni di fusione, sia delle operazioni di trasferimento congiunto delle partecipazioni sociali [[35]]. In particolare, l’accordo prevedeva che, a fronte di una vendita della società, gli azionisti di minoranza (i) avrebbero dovuto acconsentire all’operazione a prescindere dalla forma che essa avrebbe assunto; e, sempre che essa fosse stata attuata in ossequio alle regole private dedotte in contratto, anche (ii) astenersi dall’esercitare l’appraisal right, ove spettante. Il medesimo accordo stabiliva, infine, che, qualora la company sale avesse assunto la forma del trasferimento congiunto delle partecipazioni, gli azionisti di minoranza sarebbero stati altresì stati gravati dall’obbligo di eseguire tutti gli adempimenti prodromici al perfezionamento dell’operazione, ma soltanto a condizione che l’azionista di maggioranza e gli azionisti di minoranza avessero beneficiato dei medesimi termini e delle medesime condizioni e, in particolare, ricevuto il medesimo prezzo pro rata. Nel 2017, Authentix Acquisition Co. era stata oggetto di una vendita della società attuata sotto forma di fusione con integrale conguaglio in denaro [[36]]. Complice una c.d. waterfall provision [[37]], gli azionisti di minoranza non [continua ..]


3. L’ordinamento statunitense

3.1. La disciplina scritta. – L’appraisal right trova la propria fonte nella Section 262 della DGCL, disposizione alla stregua della quale un azionista che non abbia concorso all’approvazione di certe operazioni «shall be entitled to an appraisal» della propria partecipazione, da provocarsi rivolgendosi alla Court of Chancery[[42]], previa l’esecuzione di numerose formalità[[43]]. In tal modo, l’ordinamento attribuisce a tale azionista una put option a prezzo predeterminato, ossia con un valore minimo dato, il cui esercizio consente di liquidare l’investimento a fronte di determinate operazioni selezionate in ragione della loro potenziale o attuale capacità di condurre alla “espropriazione” dell’azio­nista esterno al processo decisionale [[44]]. Tra le operazioni a fronte delle quali l’appraisal right può essere attivato vi sono le fusioni, salvo che i titoli della società incorporante o risultante dalla fusione siano oggetto di pubblica negoziazione (c.d. market-out exception [[45]]). Nel disciplinare l’istituto dell’appraisal right, il diritto societario statunitense prevede che l’atto costitutivo possa espanderne la portata operativa tramite apposite previsioni, ma non stabilisce espressamente se il rimedio possa formare oggetto di restrizioni o, al limite, di rinuncia [[46]]. Se ne deduce che, nella conformazione impressagli dal legislatore del Delaware, l’istituto si spieghi in ragione dell’esigenza di consentire all’azionista di poter all’occorrenza liquidare il proprio investimento [[47]]. Riflettendo la successiva evoluzione dell’istituto, che si è progressivamente trasformato in dispositivo con funzione precipuamente anti-opportunistica [[48]], il Model Business Corporation Act (“MBCA”) ha, sin dalla sua prima apparizione [[49]], impresso all’appraisal right una configurazione diversa. Esso, infatti, si atteggia a rimedio attivabile non soltanto a fronte di operazioni di fusione, ma anche, quantomeno in certi casi, a fronte di operazioni di trasferimento delle partecipazioni sociali e di cessione dell’azienda o di un suo ramo, secondo lo schema della c.d. sale or disposition of substantially all the corporation’s assets [[50]]. L’MBCA riconosce ampi spazi di manifestazione all’autonomia privata: tanto [continua ..]


3.2. I precedenti giurisprudenziali non direttamente collegati.

La giurisprudenza ha svolto, nel tempo, un’importante opera di completamento di un diritto scritto fisiologicamente incompleto, specialmente per quanto attiene agli spazi di cui i privati godono nel confezionare regole volte a ridisegnare l’appraisal right, sui due diversi piani della pratica disponibilità ovvero della conformazione del rimedio e della determinazione delle utilità spettanti all’azionista che se ne avvalga. Già tempo addietro la giurisprudenza ebbe modo di chiarire che l’appraisal right può formare oggetto di una “rinuncia successiva”, ossia di una dichiarazione negoziale con cui l’azionista vi rinuncia in seguito all’approvazione di una qualsiasi delibera che ne legittimerebbe l’esercizio [[53]]. Per lungo tempo si registrarono incertezze per quanto concerne, invece, la possibilità di rimodulare preventivamente an e quomodo dell’appraisal right, per di più con variazioni importanti a seconda che a tali scelte fossero pervenuti gli azionisti ordinari o privilegiati. Già a fine anni Novanta, la corte della già richiamata vicenda In re: Ford, muovendo dalla premessa della natura largamente contrattuale delle azioni privilegiate [[54]], chiarì che gli azionisti privilegiati avrebbero potuto formalizzare la regola statutaria volta a fissare un tetto alle utilità complessivamente conseguibili dagli azionisti privilegiati per effetto dell’esercizio dell’appraisal right [[55]]. Stante la specificità del caso controverso e il tenore della decisione – cui poi la giurisprudenza statunitense si attenne in due ulteriori casi successivi [[56]] – non poteva però ricavarsene alcuna esplicita e diretta indicazione in merito alla possibilità di adottare soluzioni volte a regolare in modo autonomo l’esercizio dell’appraisal right spettante agli azionisti ordinari. Su questo specifico fronte, pertanto, hanno continuato a registrarsi per lungo tempo significative incertezze. La possibilità di statuire sul punto si profilò in occasione della vicenda relativa al caso Halpin v. Riverstone National, Inc. [[57]], ma la corte preferì limitarsi, in quella circostanza, a non escludere esplicitamente la validità di una rinuncia preventiva all’appraisal right, senza tuttavia esprimersi apertis verbis sulla questione: [continua ..]


3.3. La regula iuris: analisi positiva ed economica (cenni)

È proprio dalla incompletezza del quadro giurisprudenziale e dottrinale appena delineato che occorre muovere per apprezzare l’importanza del provvedimento in commento. Come già segnalato, la corte del Delaware è ora giunta alla conclusione che il patto parasociale controverso sarebbe da dirsi valido perché anche l’appraisal right, non dissimilmente da altre prerogative spettanti all’azionista ex lege [[62]], è uno dei molteplici «[default] terms available off the-rack [for prospective] participants in corporate ventures» [[63]]. Il ragionamento sottostante a tali conclusioni si incentra su due passaggi logici. Il primo enfatizza la circostanza che anche l’appraisal right è un diritto di fonte legale dotato di un’identità del tutto indipendente dalla natura ordinaria o privilegiata della partecipazione sociale cui inerisce. Il secondo passaggio logico, invece, richiama l’at­tenzione sul fatto che l’introduzione di regole parasociali nel tessuto normativo della relazione societaria non deve trovare un’espressa autorizzazione nella legge, nell’atto costitutivo o nello statuto; ma è, al contrario, sufficiente che queste fonti non contengano un divieto (neppure implicito) all’irruzione sulla scena del rapporto contrattuale societario di ulteriori regole private con funzione “integrativa”. Le conclusioni cui perviene la corte (e le argomentazioni che la sostengono) si sposano bene con la littera legis e, più in generale, con la logica di sistema del­l’ordinamento societario statunitense, sia nella sua conformazione “scritta” che in quella “vivente”. In verità, una prima lettura delle disposizioni vigenti potrebbe ingenerare l’impressione che l’appraisal right sia un diritto irrinunciabile: sembrerebbe deporre in tal senso, in particolare, l’uso del verbo esortativo «shall» da cui, infatti, la giurisprudenza statunitense, pur se a tutt’altro proposito, ha in passato inferito la volontà legislativa di imprimere a una data disciplina il crisma della imperatività [[64]]. Tale lettura, oltretutto, sembrerebbe trovare conferma nel fatto che la disposizione prevede che i privati possano espandere, ma non anche comprimere l’am­bito operativo dell’appraisal right [[65]]: un dato – questo [continua ..]


4. La prospettiva interna.

Le conclusioni rassegnate sull’efficienza della soluzione regolatoria flessibile (la cui bontà è stata affermata dal provvedimento in commento) rendono opportuno interrogarsi sulla configurabilità, anche nell’ordi­namento italiano, di un patto parasociale analogo a quello dell’esperienza statunitense. E ciò anche sulla scia di un filone di recenti studi aventi ad oggetto la replicabilità, nel nostro ordinamento, delle soluzioni negoziali adottate in altri ordinamenti (segnatamente, in quello statunitense) con riferimento alle operazioni di private equity[[91]]. Per la precisione, occorre interrogarsi, muovendo dalla premessa che l’equivalente funzionale dell’appraisal right nell’ordinamento italiano è il diritto di recesso[[92]], sulla replicabilità di un patto parasociale che, anche solo alternativamente ed in occasione di una fusione, (i) disciplini l’esercizio del diritto di voto e, in tal modo, precluda la venuta ad esistenza del presupposto del dissenso (o dell’astensione) da cui dipende l’esercizio del diritto di recesso; ovvero, prescindendo dal momento del voto, (ii) ponga comunque un divieto negoziale di farne esercizio. La questione ha indubbia rilevanza pratica. Anche in Italia, infatti, la fusione può assurgere a causa di recesso: ciò vale, nella s.p.a., nella misura in cui, in vista di o in connessione con un’operazione di fusione, si faccia luogo, come nella pratica spesso accade, ad operazioni che l’ordinamento eleva ad autonome cause di recesso [[93]]; e, nella s.r.l., perché, in base alla relativa disciplina, la fusione è essa stessa causa di recesso [[94]]. Ne discende, allora, che, anche in Italia, le imprese finanziate con private equity dovrebbero misurarsi con una disciplina positiva che, per le ragioni generali già esposte in precedenza [[95]], potrebbe richiedere degli “aggiustamenti” in via privata. Si aggiunga che, a ben vedere, il problema è per vero di più ampia portata: sia per il recesso, sia per altri rimedi ad esso equipollenti [[96]]. La questione, d’altro canto, si caratterizza anche per una altrettanto indubbia rilevanza teorica. Ciò non soltanto perché essa inerisce alla varietà di questioni dalla cui declinazione dipende l’esatta definizione del rapporto tra fonte eteronoma ed autonoma [continua ..]


4.1. I possibili ostacoli

4.1.1. Profili di diritto civile. – Un primo ordine di ostacoli potrebbe venire in rilievo sul piano squisitamente civilistico se si ammettesse che un patto parasociale come quello in esame si traduca in una rinuncia “in senso tecnico” al diritto di recesso: se si ammettesse, cioè, che quell’accordo comporta la abdicazione alla detta situazione giuridica [[103]]. In dottrina non si rinvengono posizioni esplicite a favore della riconduzione di patti parasociali volti a disciplinare ex ante l’esercizio del diritto di recesso nell’alveo della invalsa nozione di rinuncia; al contrario, è possibile scorgere solamente talune indicazioni che sembrerebbero denotare la scelta degli interpreti di pervenire ad una qualificazione in tal senso [[104]]. Embrionali, invece, sono le prese di posizione in senso opposto: a parte, infatti, alcune autorevoli ma apodittiche affermazioni al riguardo [[105]], ci è limitati a rilevare, in modo del tutto incidentale, che i patti parasociali sono «strutturalmente inidonei ad “escludere” il diritto di recesso [in quanto operanti solamente su di un piano obbligatorio]» [[106]], laddove ciò sembrerebbe logicamente implicare l’incompatibilità del patto parasociale con lo schema della rinuncia. Ed in effetti non pare che il patto parasociale in discorso possa invero ricondursi nella nozione di rinuncia, proprio perché, lungi dall’incidere sulla titolarità del diritto di recesso, si risolve soltanto nella enunciazione di una “regola di condotta” che, a seconda dei casi, preclude il venire ad esistenza del presupposto per l’esercizio del diritto stesso oppure erige un vincolo al suo esercizio, senza mai, però, condurre alla sua vera e propria “dismissione” da parte del socio. Non può tuttavia farsi a meno di notare che, qualora si scelga di andare al di là degli aspetti meramente formali di tale genere di convenzione, non appare possibile negare che gli effetti che ne scaturiscono sono, a ben vedere, in sostanza molto simili a quelli associabili ad una rinuncia vera e propria. Ove si muova da questa prospettiva, escludere a priori e senza alcun approfondimento la difendibilità della scelta di qualificare il patto parasociale in discorso quale rinuncia in senso tecnico appare eccessivo. Ci si deve, allora, doverosamente interrogare sulle [continua ..]


4.1.2. Profili di diritto societario

Un secondo ordine di ostacoli potrebbe venire ad esistenza alla luce del vigente ordinamento societario. La primaria questione giuridica dalla cui soluzione dipende il giudizio di validità o invalidità del patto in esame attiene al perimetro applicativo delle disposizioni di legge che sanciscono, per la s.p.a., la «[nullità di] ogni patto volto a escludere o rendere più gravoso l’esercizio del diritto di recesso» in relazione a determinate ipotesi di recesso tra cui, per quanto detto [[114]], possono indirettamente rientrare le fusioni; e, per la s.r.l., che il diritto di recesso spetti, «in ogni caso», ai soci che non abbiano consentito alla fusione della società – frammenti positivi cui, per ragioni di sintesi, d’ora in poi si farà riferimento con le espressioni “regola di garanzia” e “regola di intangibilità” [[115]]. Tanto la regola di garanzia quanto la regola di intangibilità hanno nel tempo attratto l’attenzione di una non trascurabile parte della dottrina specialistica che, pur prendendo implicitamente o esplicitamente atto del silenzio della legge sul punto, ha concluso che esse sarebbero applicabili non soltanto alle clausole statutarie, ma anche ai patti parasociali. A tali conclusioni, innanzitutto, la dottrina era pervenuta già in costanza del previgente diritto societario, con riferimento – ovviamente – alla sola regola di garanzia [[116]]. Si era allora affermato, infatti, che: (a) i patti parasociali volti a regolare l’esercizio del diritto di voto in modo da escludere, in concreto, la possibilità di esercitare il diritto di recesso, avrebbero dovuto dirsi contrastanti con la regola di garanzia perché patti che rendono più difficoltoso l’esercizio del diritto di recesso [[117]]; e (b) che i patti con cui un socio si obblighi a non fare comunque esercizio del diritto di recesso avrebbero dovuto considerarsi violativi della medesima regola nella parte in cui invalida i patti che escludono l’esercizio di quella prerogativa [[118]]. A conclusioni fondamentalmente identiche, poi, la dottrina è pervenuta anche dopo la riforma del diritto societario, che ha trascurabilmente modificato la regola di garanzia per le società per azioni e introdotto ex novo la regola di intangibilità per le società a [continua ..]


5. Un dubbio ed una precisazione: cenni.

Dalle notazioni che precedono sembra evincersi che esistono elementi in grado di fondare argomenti che, se meglio sviluppati, potrebbero forse supportare la tesi contraria a quella oggi dominante, così da consentire anche in Italia di utilizzare i patti parasociali per «porre rimedio alla eccessiva rigidità della struttura organizzativa, quando questa diviene nel caso concreto inefficiente (ossia, quando i costi della tutela imperativa superano i benefici)»[[165]]. Non può però farsi a meno di rilevare come la scelta di ricercare soluzioni esegetiche volte ad ampliare gli spazi dell’autonomia privata nel contesto che qui interessa non può non misurarsi con più generali valutazioni di sistema inerenti, tanto per cominciare, alla più basilare e intima logica che, nel nostro ordinamento, anima l’istituto del recesso. Al netto di qualsiasi valutazione in merito alla pregnanza degli argomenti in precedenza esposti, qualsiasi discussione sulla validità del patto parasociale in discorso deve infatti tenere presente, oltre ovviamente ad una ragionata analisi di singoli frammenti positivi, anche la conformazione complessiva dell’istituto. E non vi è chi non veda come, ove si muova da questa prospettiva, emerge il forte dubbio che il patto parasociale in discorso sia, per vero, in qualche misura incompatibile con il “modello” di recesso immaginato e disegnato dal legislatore e dunque ora immanente nel sistema del diritto societario vigente. Al riguardo, basti osservare, a richiamo di dati tutto sommato noti, che nel­l’ordinamento vigente il recesso si atteggia a “potere individuale” destinato a fungere da contrappeso al potere della maggioranza di assumere le scelte di volta in volta utili a implementare il contratto sociale ovvero, entro certi limiti, a modificarlo: il recesso – si è autorevolmente ed efficacemente scritto – funge, cioè, da “bargaining chip” in grado di imporre alla maggioranza di tenere presente, all’atto del decidere, il costo scaturente dalla decisione che si accinge ad assumere [[166]]. Attribuire al socio esterno al processo decisionale che abbia dissentito il potere di imporre il costo del proprio recesso dovrebbe incentivare la maggioranza ad implementare il contratto sociale in modo ottimale, ossia in conformità, almeno in linea di principio, con il [continua ..]


6. Conclusioni

Con il provvedimento in commento, la giurisprudenza statunitense ha sancito la disponibilità dell’appraisal right da parte dei privati, pur se soltanto a date condizioni [[173]]. Nel tentativo di “collocare” quell’arresto nel quadro del diritto societario statunitense, si è notato come esso “sfrutti” l’inco­m­pletezza del dato positivo scritto per apprestare una soluzione favorevole all’auto­nomia privata [[174]]; appaia in linea con i rilevanti ma aspecifici precedenti giurisprudenziali [[175]]; e si lasci apprezzare per aver opportunamente valorizzato le caratteristiche oggettive dell’operazione, da un lato, e quelle soggettive dei contraenti, dall’altro, così pervenendo ad un risultato interpretativo in grado di garantire l’aderenza del processo di implementazione del contratto alla originaria volontà delle parti [[176]]. La possibilità di importare una soluzione privata di quel genere nell’ordina­mento italiano solleva molteplici profili critici, tra cui spiccano, per importanza, i problemi nascenti, sul piano civilistico, dalla possibile riconduzione del patto parasociale in discorso nello schema della rinuncia [[177]]; e, sul piano societario, dall’interpretazione estensiva della regola di garanzia e della regola di intangibilità oggi dominante [[178]]. Il presente contribuito ha inteso porre in evidenza alcuni elementi da cui partire per imbastire una discussione adeguatamente informata e consapevole su una questione non solo nuova, ma anche alquanto significativa per l’esperienza dell’ordi­namento giuridico domestico [[179]]. Si è però anche sottolineato come, al netto di qualsiasi considerazione in merito alla effettiva persuasività delle argomentazioni addotte a supporto della tesi alternativa a quella oggi dominante, esista, ad un livello più profondo dell’ordinamento societario, un problema di compatibilità del patto parasociale in discorso con il modello di riferimento che il legislatore ha tenuto presente nel plasmare l’istituto del recesso e, quindi, con la sua più basilare e intima logica funzionale [[180]]. Si è anche evidenziato, infine, come, pur a voler ammettere che l’ordinamento societario italiano consenta di importare quel patto parasociale anche in Italia, occorre comunque [continua ..]


NOTE