Rivista di Diritto SocietarioISSN 1972-9243 / EISSN 2421-7166
G. Giappichelli Editore

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I poteri del curatore sull'organizzazione sociale (di Vincenzo Pinto)


L’articolo tratta dei poteri di natura societaria e organizzativi attribuiti al curatore dal nuovo art. 264 del Codice della crisi, verificandone innanzitutto l’impatto sistematico alla luce della progressiva erosione – se non addirittura del definitivo superamento – del principio di neutralità organizzativa delle procedure concorsuali. L’analisi si concentra poi sul rimedio previsto dalla norma per il caso di decisioni del curatore assunte non in conformità alla legge e all’atto costitutivo: a tale riguardo, premessa una disamina del contenuto dei poteri organizzativi, l’articolo individua un possibile criterio di coordinamento tra la disciplina dell’impugnazione delle deliberazioni assembleari e il contesto concorsuale nella distinzione tra struttura e funzione del procedimento deliberativo, prospettando l’applicazione di un regime differenziato a seconda che le ipotesi di non conformità attengano all’uno o all’altro ambito.

The corporate powers of insolvency administrator

The article deals with the corporate powers attributed to insolvency administrator (“curatore”) by the new article 264 Codice della crisi, first verifying its systematic impact in the light of the progressive erosion – if not the definitive overcoming – of the principle of “organizational neutrality” of insolvency proceedings. The analysis then focuses on the remedy provided for by the law for the case of decisions taken not in compliance with the law or with the articles of association: in this regard, having previously examined the content of corporate powers of insolvency administrator, the article identifies a possible criterion for coordinating the challenge of shareholders’ resolutions discipline and the insolvency context in the distinction between structure and function of the deliberative procedure, envisaging the application of a differentiated regime according to whether the non-compliance pertains to one or the other area.

SOMMARIO:

1. L’art. 264 del Codice della crisi - 2. Il trasferimento al curatore dei poteri dell’assemblea e la traslazione del rimedio dell’impugnazione - 3. La metamorfosi dei procedimenti in sede concorsuale - 4. Il profilo strutturale (procedimento) e il profilo funzionale (valore organizzativo) della decisione del curatore fra diritto concorsuale e diritto societario - 5. L’estensione dei poteri organizzativi del curatore - 6. L’impugnazione delle decisioni del curatore - NOTE


1. L’art. 264 del Codice della crisi

Nel Capo che il d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14 (di seguito, per brevità, il «Codice della crisi» oppure il «Codice»), dedica alla liquidazione giudiziale delle società (Capo VIII del Titolo V), vi è una norma che, più di ogni altra, è destinata a creare una profonda frattura rispetto al sistema della legge fallimentare. Si tratta dell’art. 264 del Codice della crisi, significativamente intitolato «attribuzione al curatore dei poteri dell’assemblea», che segna il definitivo tramonto del così detto principio di neutralità organizzativa delle procedure concorsuali, e cioè di quel principio – indiscusso sino a tempi recenti – che imponeva di collocare i profili organizzativi del debitore-società al di fuori dell’area di incidenza del diritto concorsuale, abbandonando le operazioni societarie, anche se funzionali alla regolazione della crisi o dell’insolvenza, ai medesimi processi decisionali stabiliti per le società in bonis e, dunque, fondamentalmente, al voto dei soci in assemblea [[1]]. A prescindere dai dubbi generati da un tenore tutt’altro che cristallino, l’art. 264 Codice della crisi è in realtà molto chiaro nel sancire due principi, entrambi espressione di un nuovo modo di concepire gli effetti della liquidazione giudiziale sul­l’organizzazione societaria: (i) i poteri attribuiti del curatore non sono più circoscritti al tradizionale ambito dell’amministrazione del patrimonio del debitore (art. 128 Codice della crisi), ma si estendono anche ad atti e operazioni «riguardanti l’organizzazione e la struttura finanziaria della società» previsti nel programma di liquidazione (art. 264, 1° comma, Codice della crisi), sino a comprendere anche competenze normalmente spettanti all’assemblea dei soci (art. 264, 2° comma, Codice della crisi) [[2]]; (ii) alla traslazione del potere decisorio al curatore corrisponde la trasposizione in sede concorsuale del rimedio societario destinato a reagire contro il suo esercizio illegittimo, e cioè l’impugnazione della decisione “non conforme” ai sensi degli artt. 2377 ss. c.c. (o dell’art. 2479-ter c.c. nella s.r.l.) [[3]], con la non irrilevante peculiarità che detto rimedio è incanalato nel procedimento del reclamo al giudice [continua ..]


2. Il trasferimento al curatore dei poteri dell’assemblea e la traslazione del rimedio dell’impugnazione

Per comprendere la portata radicalmente innovativa dell’intervento riformatore occorre resistere alla tentazione di rapportare la norma a schemi concettuali del passato e prendere coscienza che essa proietta le funzioni del curatore e i relativi rimedi in una dimensione qualitativamente inedita nel nostro diritto concorsuale [[5]]. Come è reso manifesto già dalla rubrica, l’art. 264 Codice della crisi trasferisce al curatore, in relazione alle operazioni societarie inserite nel programma di liquidazione, esattamente lo stesso potere conformativo sull’organizzazione della società che, nell’impresa societaria in bonis, spetta agli organi sociali e, in particolare, all’assemblea dei soci. Si tratta, né più né meno, del medesimo potere eteronomo di vincolare la collettività dei soci che l’art. 2377 c.c. assegna alla maggioranza e che, rapportato alla posizione del curatore, può essere tradotto in due semplici regole: (i) le decisioni assunte dal curatore nel rispetto del parametro della conformità alla legge e allo statuto producono effetti vincolanti per tutti i soci, così come, prima dell’apertura della procedura concorsuale, le deliberazioni assunte a maggioranza vincolano anche i soci assenti o dissenzienti (art. 2377, 1° comma, c.c.) [[6]]; (ii) le decisioni del curatore non conformi alla legge o allo statuto sono parimenti vincolanti, ma «possono essere impugnate», secondo la medesima tecnica (l’impugnazione) cui sono soggette le deliberazioni assembleari nella società in bonis: il vizio è inidoneo a pregiudicare ipso iure l’efficacia della decisione, ma fa sorgere il contropotere di rimuoverne gli effetti per il tramite necessario del processo (art. 2377, 2° comma c.c.), a seguito di una pronuncia giudiziale di annullamento anch’essa capace – al pari della decisione impugnata – di dispiegare effetti erga omnes nei riguardi di tutti i soci e, più in generale, dell’intera organizzazione sociale (art. 2377, 7° comma, c.c.) [[7]]. In altri termini, l’art. 264 Codice della crisi delinea un assetto normativo che corrisponde all’esatta trasposizione nel contesto concorsuale del contenuto e degli effetti del potere deliberativo scolpiti nei principi del diritto societario. Da un lato, l’esplicito richiamo al parametro della [continua ..]


3. La metamorfosi dei procedimenti in sede concorsuale

Se il contenuto del potere e gli effetti della decisione restano quelli dettati dal diritto societario, a subire una radicale metamorfosi, quando la funzione deliberativa passa al curatore, sono invece i procedimenti entro i quali il potere e il rimedio si innestano in sede concorsuale. A tale riguardo, l’art. 264 Codice della crisi dispone l’assorbimento nelle regole concorsuali della liquidazione giudiziale sia del procedimento deliberativo sia del procedimento giudiziale di impugnazione, con conseguente disapplicazione della corrispondente disciplina dettata per la società in bonis. In sintesi: (i) il procedimento assembleare, e dunque l’elemento materiale essenziale ai fini della produzione del valore giuridico del decisum [[10]], è sostituito da una diversa sequenza procedimentale, tutta interna alla procedura concorsuale, che segna – in ultima analisi – uno spostamento del fulcro del potere dai soci verso i creditori (artt. 264 e 231 Codice della crisi): il voto dei soci nel procedimento assembleare è surrogato dall’approvazione dell’operazione da parte del comitato dei creditori quale parte integrante del programma di liquidazione (art. 231), nonché dal dovere del curatore, in relazione a ciascuna decisione assunta (in attuazione del programma approvato dal comitato), di darne «adeguata e tempestiva informazione ai soci e ai creditori» [[11]]; (ii) il processo di impugnazione della decisione, modellato secondo gli schemi del giudizio di cognizione (anche in funzione della necessaria idoneità della pronuncia a formare il giudicato di invalidità), è soppiantato dal reclamo al giudice delegato codificato dall’art. 133 Codice della crisi: un procedimento camerale che non solo è normalmente destinato a risolvere conflitti essenzialmente in ambito endoconcorsuale [[12]], ma è anche retto – di conseguenza – da un regime non poco distante dal modello degli artt. 2377 c.c. (anch’esso richiamato dallo stesso art. 264 Codice della crisi), tanto da trasformare il rimedio da strumento di tutela incentrato sui soci a mezzo fruibile da «ogni altro interessato», e dunque in primo luogo dai creditori. Se si vuol trovare un fil rouge nella descritta metamorfosi procedimentale che il potere decisorio e il rimedio impugnatorio subiscono quando è il curatore a incidere sull’organizzazione [continua ..]


4. Il profilo strutturale (procedimento) e il profilo funzionale (valore organizzativo) della decisione del curatore fra diritto concorsuale e diritto societario

Ciò che emerge, in ultima analisi, dal quadro appena delineato è che l’art. 264 Codice della crisi, nel conformare i poteri organizzativi del curatore e il connesso rimedio impugnatorio, crea un vero e proprio intreccio fra profili di diritto societario e profili di diritto concorsuale. Di tal che ogni tentativo di ricostruirne la disciplina e rapportarla al sistema non può prescindere dall’individuazione di una linea di confine, e dunque di un criterio di coordinamento, fra i due ambiti normativi che concorrono nel regolare il peculiare fenomeno decisorio qui considerato. Se solo si incentri l’attenzione sul nucleo essenziale della metamorfosi prodotta dalla traslazione del potere decisorio al curatore, può affermarsi – sia pure non senza semplificazioni – che il modello alla base dell’art. 264 Codice della crisi, rapportato alla struttura e alla funzione che ordinariamente caratterizzano la deliberazione, si traduce in una sostituzione della fattispecie nella costanza degli effetti giuridici del fenomeno deliberativo [[13]]. L’estensione del potere decisorio del curatore e i suoi effetti organizzativi sono esattamente quelli che il diritto societario connette alla deliberazione presa dal­l’as­semblea della società in bonis. E ciò nel duplice senso che, da un lato, il potere del curatore di vincolare tutti i soci è soggetto al limite della conformità alla legge e allo statuto (espressamente menzionato nell’art. 264 Codice della crisi); e che, dal­l’altro, un tale effetto vincolante, in caso di non conformità della decisione, è suscettibile di essere rimosso con rilevanza erga omnes esclusivamente per il tramite dell’esercizio in sede processuale del contropotere di impugnazione (come si evince dal richiamo all’art. 2377 c.c.). L’effetto, proprio della deliberazione, è tuttavia generato da un fatto procedimentale diverso, assorbito nei procedimenti decisori propri della liquidazione giudiziale e associato – di conseguenza – a un differente regime processuale, anch’es­so endoconcorsuale, del rimedio impugnatorio. In correlazione allo spostamento del fulcro degli interessi finali dai soci ai creditori, muta l’elemento materiale, la fattispecie produttiva dell’effetto organizzativo [[14]]: non più il procedimento assembleare quale esito del [continua ..]


5. L’estensione dei poteri organizzativi del curatore

Nella direzione appena tracciata, il primo profilo problematico, che l’incerto tenore dell’art. 264 Codice della crisi pone dinanzi all’interprete, è quello di verificare se il fatto procedimentale di diritto concorsuale sia in grado di coprire, sotto il profilo funzionale, l’intero perimetro dei valori organizzativi che, prima dell’aper­tura della liquidazione giudiziale, la deliberazione societaria (intesa in senso strutturale) era abilitata a generare. Si tratta di stabilire, in altri termini, se il curatore possa effettivamente assumere – per riprendere l’eloquente espressione usata dal legislatore tedesco per l’Insolvenzplan – ogni decisione «che sia ammissibile per il diritto societario» (§ 225a Insolvenzordnung) o se, invece, persistano taluni ambiti di potere decisorio che, anche in sede concorsuale, non possano prescindere da una deliberazione societaria in senso proprio. Sotto tale profilo, l’art. 264 Codice della crisi è chiaro nell’assegnare al programma di liquidazione – sia pure con sfumature leggermente diverse fra il 1° e il 2° comma della disposizione [[16]] – una funzione costitutiva dei poteri societari del curatore. In difetto dell’inserimento dell’operazione nel programma (approvato dal comitato dei creditori), il potere deliberativo resta rimesso degli ordinari processi decisionali societari (nei limiti, naturalmente, della compatibilità con la procedura di liquidazione giudiziale) [[17]], con la conseguenza che non può dubitarsi che il programma di liquidazione rappresenti il primo, indefettibile momento della sequenza procedimentale endoconcorsuale delineata dall’art. 264 Codice della crisi. Ciò che invece appare meno limpido è se la gamma dei poteri che il programma di liquidazione è abilitato ad assoggettare al regime procedimentale concorsuale coincida con l’intero perimetro della competenza deliberativa che il diritto societario assegna agli organi sociali nella società in bonis. Il dubbio deriva dal fatto che l’art. 264 Codice della crisi non prevede una traslazione generale di poteri in favore del curatore, ma menziona a tal fine, in aggiunta alla generalità dei «poteri dell’as­semblea dei soci» (art. 264, 2° comma, Codice della crisi), soltanto una determinata categoria di operazioni [continua ..]


6. L’impugnazione delle decisioni del curatore

La disarticolazione dei due profili, funzionale e strutturale, della deliberazione offre anche un criterio per orientarsi all’interno del regime normativo – sospeso fra il diritto concorsuale (art. 133 Codice della crisi) e il diritto societario (artt. 2377 ss. c.c.) – dell’impugnazione delle decisioni del curatore «che non sono prese in conformità della legge o dell’atto costitutivo» (art. 264, 2° comma, Codice della crisi). Se ai due menzionati profili corrisponde – sul piano fisiologico – un differente parametro di conformità del potere decisorio (societario e concorsuale) [[23]], l’ambiguità della disciplina del rimedio potrebbe trovare composizione configurandosi – anche sul piano patologico – due distinte ipotesi di “non conformità” (rispettivamente, societaria o concorsuale), assoggettate a regole (almeno in parte) diverse ai fini dell’esercizio del contropotere di impugnazione. In effetti, il regime dell’impugnazione rappresenta l’aspetto più delicato del già complesso problema dei poteri organizzativi del curatore, nel quale l’intreccio fra diritto societario e diritto concorsuale diventa quasi inestricabile, tanto da trasformare la potenziale sovrapposizione normativa in un vero e proprio conflitto di norme. A questo riguardo, basti ricordare che l’art. 264 Codice della crisi – sia nel primo sia nel 2° comma – individua nel reclamo al giudice delegato (art. 133 Codice della crisi) l’unico mezzo processuale per reagire avverso le decisioni del curatore, incanalando, dunque, l’impugnazione in un procedimento a cognizione sommaria assoggettato a termini brevissimi (otto giorni dalla conoscenza della decisione) e con una legittimazione estesa a «ogni interessato». Tuttavia, lo stesso art. 264 del Codice – nel 2° comma – richiama anche, quale parte integrante del regime del­l’impugnazione mediante reclamo, l’intera disciplina societaria dell’im­pugnazione delle deliberazioni assembleari (artt. 2377 ss. e 2479-ter c.c.), che – come è noto – è governata da regole (processuali e sostanziali) nettamente differenti, se non radicalmente incompatibili, rispetto a quelle dettate per il reclamo tipizzato dall’art. 133 Codice della crisi, quali in particolare: (i) [continua ..]


NOTE