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La “liquidazione forzosa” delle partecipazioni societarie pubbliche destinate alla dismissione

Giovanni Barbara

La nota è dedicata al commento di una pronuncia, resa dalla Corte d’Ap­pello di Venezia, nella quale vengono affrontate diverse questioni afferenti al controverso tema della “liquidazione forzosa” delle partecipazioni pubbliche destinate alla dismissione in quanto reputate non più rispondenti alle stringenti condizioni cui la legge sottopone l’acquisto e la conservazione di partecipazioni societarie da parte delle pubbliche amministrazioni, allorquando, in caso di insuccesso del tentativo di cessione mediante procedure ad evidenza pubblica, l’ente si avvalga del diritto a riceverne la liquidazione a carico della società partecipata.

Parole chiave: società – partecipazioni pubbliche – dismissione – evidenza pubblica – liquidazione – liquidazione forzosa.

The “forced liquidation” of public holdings destined for divestment

The paper is dedicated to the comment on a judgement, issued by the Court of Appeal of Venice, in which various issues relating to the controversial subject of the “forced liquidation” of public holdings destined for divestment are dealt with as they are no longer deemed to comply with the stringent conditions the law requires the public administrations to purchase and retain shareholdings in companies, when, in the event of the unsuccessful attempt to sell them through public tender procedures, the entity avails itself of the right to receive the liquidation by the investee company.

Keywords: companies – public holdings – divestment – tender procedures – liquidation – forced liquidation.

MASSIMA: L’oggetto sociale di una holding dinamica non coincide con quello delle sue partecipate e non consiste nello svolgimento, in via indiretta, delle medesime attività, ma ha una valenza del tutto autonoma e distinta, consistendo nell’acquisto e nella vendita di partecipazioni e/o nella prestazione di una serie di servizi in favore delle società partecipate e/o nell’attività di direzione e coordinamento, essa stessa intesa come attività dotata di una propria autonomia concettuale e sostanziale essendo quindi escluso che lo svolgimento di servizi di interesse generale da parte delle controllate sia imputabile in via indiretta alla controllante. Le società a partecipazione pubblica sono necessariamente società ad oggetto sociale esclusivo, sicché la partecipazione ad una società c.d. multiutility è consentita esclusivamente laddove ciascuna delle attività esercitate sia riconducibile, autonomamente e singolarmente, nel novero di quelle non “vietate”, il che valendo anche con riguardo a una società holding e, in generale, alle partecipazioni “indirette”, poiché sarebbe del tutto illogico ed incoerente reputare legittima la partecipazione in una determinata società a prescindere dal fatto che quest’ultima abbia a sua volta partecipazioni, tanto più se di controllo, in società di “secondo (o ulteriore) [continua ..]

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COMMENTO

Sommario:

1. L’interesse suscitato dalla sentenza della Corte d’Appello di Venezia: il controverso tema della “liquidazione forzosa” delle partecipazioni societarie pubbliche destinate alla dismissione - 2. Il sofferto itinerario di progressivo affinamento del sistema normativo sulla dismissione delle partecipazioni pubbliche non strettamente necessarie: le tappe evolutive anteriori al TUSPP - 3. La disciplina sul riordino delle partecipazioni nel TUSPP - 4. La mancata dismissione e la conseguente “liquidazione” della partecipazione a cura della società partecipata - 5. Liquidazione forzosa e “piani ordinari di razionalizzazione”: contro l’i­potesi della limitata applicazione ai soli “piani di revisione straordinaria” - 6. Le principali questioni affrontate nella sentenza annotata - 7. Holding e “SIG”: cenni - 8. La natura giuridica della liquidazione forzosa, tra “cessazione” della partecipazione, recesso sui generis e fattispecie speciale di scioglimento parziale del rapporto sociale - 9. Alcune conseguenze applicative della prospettata ricostruzione sistematica - 10. Il ruolo dell’assemblea nella liquidazione forzosa della partecipazione prima e dopo il TUSPP - NOTE


1. L’interesse suscitato dalla sentenza della Corte d’Appello di Venezia: il controverso tema della “liquidazione forzosa” delle partecipazioni societarie pubbliche destinate alla dismissione

Con la sentenza che si annota, la Corte d’Appello di Venezia, confermando le conclusioni cui era già pervenuto il Tribunale in primo grado [[1]], si è pronunciata su uno dei temi di più spiccata rilevanza pratica e tra i più controversi in materia di società a partecipazione pubblica. Il tema, su cui tanto si è discusso sia in punto di corretta interpretazione delle norme, sia sul piano delle valutazioni critiche circa l’opportunità “politica” delle soluzioni adottate, è quello relativo al complesso meccanismo attraverso il quale viene assicurata la dismissione delle partecipazioni societarie detenute dalle pubbliche amministrazioni, allorquando le stesse non risultino più rispondenti alle stringenti condizioni cui è subordinata la legittimità della partecipazione pubblica: una dismissione che, in simili frangenti, diventa obbligatoria, al punto tale che, in caso di insuccesso dei tentativi di cessione a terzi mediante procedure di evidenza pubblica, la partecipazione deve essere liquidata, a cura della società, nelle mani dell’amministrazione. Il meccanismo attraverso il quale attuare la “liquidazione”, per vero, è stato, in progresso di tempo, ripetutamente rimaneggiato da parte del legislatore, ma il continuo susseguirsi di novelle e correzioni ha solo contribuito ad acuire, piuttosto che a smorzare, le numerose incertezze interpretative [continua ..]

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2. Il sofferto itinerario di progressivo affinamento del sistema normativo sulla dismissione delle partecipazioni pubbliche non strettamente necessarie: le tappe evolutive anteriori al TUSPP

In limine, proprio per il modo in cui il quadro normativo attualmente vigente si è andato componendo, risulta di particolare utilità ed anzi addirittura ineludibile una pur sintetica ricognizione dell’iter evolutivo, che sarà qui proposta con scansione in sei fasi: una scansione per vero frutto di una semplificazione, con l’intento di evitare una completa – e tuttavia arida – cronistoria e di concentrare invece l’attenzione su quelli che, ad avviso di chi scrive, appaiono gli snodi principali (anche, appunto, in chiave evolutiva) del sistema [[2]]. Fase 1. La norma da cui il tutto ha preso le mosse può pacificamente essere ravvisata nell’art. 3, legge 24 dicembre 2007, n. 244 («Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato»; “Legge Finanziaria 2008”) [[3]]. Al 27° comma, in particolare, veniva introdotto il limite generale, su cui si è andato successivamente ad innestare il meccanismo dell’obbligo di dismissione e della cessazione ex lege delle partecipazioni vietate, con una disposizione che recava l’esplicita professione del fine cui il divieto era ispirato («Al fine di tutelare la concorrenza e il mercato»), individuava le amministrazioni soggette a quel vincolo (tutte le amministrazioni di cui all’art. 1, 2° comma, d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165) ed enunciava il precetto (recante il divieto) attraverso il [continua ..]

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3. La disciplina sul riordino delle partecipazioni nel TUSPP

Fase 6. La sesta e ultima fase è quella che conduce all’attuale assetto normativo, come ci è stato consegnato con l’approvazione, ad opera del d.lgs. 19 agosto 2016, n. 175, del «Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica» (“TUSPP”). La disciplina dettata in proposito è quella contenuta negli artt. 4, 20 e 24. L’art. 4: (i) detta le condizioni generali di legittimità dell’acquisizione e del mantenimento delle partecipazioni; (ii) non riproduce l’esplicita enunciazione delle finalità di politica legislativa cui la norma è ispirata («Al fine di tutelare la concorrenza e il mercato», di cui alla disciplina previgente), ma perché il legislatore ha optato per una differente sistematica, tal che le finalità un tempo espresse nelle singole disposizioni sono oggi sostituite da una enunciazione di carattere generale contenuta nell’art. 1, 2° comma, e per la quale «Le disposizioni contenute nel presente decreto sono applicate avendo riguardo all’efficiente gestione delle partecipazioni pubbliche, alla tutela e promozione della concorrenza e del mercato, nonché alla razionalizzazione e riduzione della spesa pubblica»; (iii) risolve testualmente le questioni che la previgente disciplina aveva sollevato con riguardo alle partecipazioni “indirette” e alle holding; (iv) ribadisce il criterio della [continua ..]

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4. La mancata dismissione e la conseguente “liquidazione” della partecipazione a cura della società partecipata

In particolare, al 5° comma dell’art. 20, applicabile, con i dovuti adattamenti, anche “a regime” in virtù del rinvio operato dall’art. 24, 7° comma, ult. periodo, è statuito che «In caso di mancata adozione dell’atto ricognitivo ovvero di mancata alienazione entro i termini previsti dal comma 4, il socio pubblico non può esercitare i diritti sociali nei confronti della società e, salvo in ogni caso il potere di alienare la partecipazione, la medesima è liquidata in denaro in base ai criteri stabiliti al­l’articolo 2437-ter, secondo comma, e seguendo il procedimento di cui all’articolo 2437-quater del codice civile». Al 6° comma è poi precisato che «Nei casi di cui al sesto e al settimo comma dell’art. 2437-quater del codice civile ovvero in caso di estinzione della partecipazione in una società unipersonale, la società è posta in liquidazione». Le partecipazioni da dismettere, così come risultanti dai piani di revisione straordinaria o, rispettivamente, dai piani di razionalizzazione periodica, sono quindi liquidate nelle mani dell’amministrazione, con un meccanismo che riprende quello delle norme previgenti, ma correttamente abbandonando il concetto di “cessazione” della partecipazione e l’incerto richiamo a una non meglio precisata competenza assembleare e rinviando esplicitamente agli artt. [continua ..]

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5. Liquidazione forzosa e “piani ordinari di razionalizzazione”: contro l’i­potesi della limitata applicazione ai soli “piani di revisione straordinaria”

Prima di procedere oltre, tuttavia, occorre dare conto della tesi secondo cui la “liquidazione forzosa” non si applicherebbe al caso di mancata cessione delle partecipazioni collocate nei piani ordinari di razionalizzazione periodica, ma sarebbe relegata al solo caso (ormai definitivamente esaurito nella sua portata meramente transitoria) dei piani di revisione straordinaria di cui all’art. 24 TUSPP [[13]]. La conclusione è basata sul rilievo dell’assenza di un termine entro il quale dovrebbe essere effettuata la cessione delle partecipazioni da dismettere: diversamente dal caso dell’art. 24, dove il termine è quello di un anno (così al 4° comma), per i piani di razionalizzazione ordinaria il legislatore stabilisce l’obbligo di procedere alla ricognizione delle partecipazioni da “razionalizzare”, ma poi non fissa anche il tempo entro il quale l’alienazione, ove tale sia l’esito della prospettata razionalizzazione, debba essere effettuata [[14]]. Sembra, tuttavia, ragionevole optare per una diversa lettura, rafforzata dalla necessità di un’interpretazione “conservativa” di un frammento di disciplina che risulterebbe altrimenti del tutto vuoto di contenuto precettivo. Segnatamente: ciò che potrebbe oggettivamente risultare insufficiente all’azionamento del meccanismo della liquidazione coattiva sarebbe la mancata adozione di un piano di razionalizzazione [continua ..]

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6. Le principali questioni affrontate nella sentenza annotata

Nel caso affrontato dalla Corte d’Appello di Venezia, le principali questioni dibattute e su cui era incentrata la contesa tra le parti afferiscono al se e al come la disciplina sulla obbligatoria dismissione delle partecipazioni, nella legislazione vigente in epoca anteriore al TUSPP, dovesse trovare applicazione ove la partecipazione da dismettere fosse in una società “holding” (questione che si intrecciava con la possibilità o meno di qualificare come “servizio di interesse generale” quello di gestione di una tratta autostradale e, in caso di risposta affermativa, con la possibilità o meno di ritenere che la medesima qualificazione potesse estendersi anche alla holding detentrice di una partecipazione di controllo nella società concessionaria); e al significato e all’efficacia da riconoscere a una deliberazione assembleare della società partecipata con la quale la maggioranza, composta da soci “privati”, aveva deliberato di opporsi alla richiesta di liquidazione avanzata dall’ente partecipante; con in mezzo (a fungere anche da guida per la soluzione delle diverse questioni applicative) il tema della natura giuridica del meccanismo che conduce alla liquidazione della partecipazione a cura della società partecipata. L’ente partecipante, che aveva adottato un provvedimento con cui aveva individuato la partecipazione tra quelle da dismettere per il venir meno delle [continua ..]

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7. Holding e “SIG”: cenni

La prima questione che la sentenza affronta e che riveste particolare interesse in chiave sistematica è, dunque, quella relativa alla natura dell’attività esercitata da una società holding. Nella specie, la società partecipata era difatti una holding detentrice di partecipazioni in società operanti in diversi settori, con prevalenza di quello relativo alla gestione in concessione di una importante tratta autostradale. Non occorre certo rammentare come il tema sia ben noto in dottrina, dove – come si ribadirà più avanti – si segnala la tesi per la quale l’oggetto sociale della holding sarebbe lo stesso delle sue controllate, nel senso che la medesima attività sarebbe esercitata in via diretta da queste ultime e in via indiretta dalla holding, che si avvarrebbe delle controllate come una sorta di “braccio operativo”. Nel caso di specie, la questione si intrecciava con quella relativa alla possibilità o meno di estendere alla holding la stessa qualificazione della propria attività come “servizio di interesse generale” (SIG), allorquando detta qualificazione possa essere attribuita alle sue controllate operative. Al tema nella sua configurazione generale, pertanto, si affiancava questa ulteriore e più specifica connotazione di specialità, non essendo così scontato che l’accoglimento della concezione della holding come società [continua ..]

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8. La natura giuridica della liquidazione forzosa, tra “cessazione” della partecipazione, recesso sui generis e fattispecie speciale di scioglimento parziale del rapporto sociale

La Corte veneziana si è posta anche il tema della natura giuridica del meccanismo che conduce alla liquidazione della partecipazione “cessata”, nelle mani della PA cessante e a cura della società partecipata: una questione che – come anticipato – si poneva anche e soprattutto quale sfondo sistematico su cui inquadrare l’inter­rogativo della natura e della portata della deliberazione assembleare contemplata dalla normativa vigente all’epoca dei fatti ed oggi non più riprodotta nella disciplina del TUSPP. Come del pari anticipato, l’art. 20 TUSPP, in combinato disposto con l’art. 24, stabilisce oggi che le partecipazioni che, stando ai piani ordinari di razionalizzazione periodica, devono essere dismesse, una volta esperito infruttuosamente il tentativo di cessione a terzi, vengono liquidate a valori calcolati con i criteri di cui al­l’art. 2437-ter c.c. e attraverso le modalità di cui all’art. 2437-quater c.c. Risulta, in tal modo, definitivamente riprodotto il sistema per il quale l’ente pubblico socio matura un vero e proprio diritto alla liquidazione. Un diritto, dunque, di natura “potestativa”, che vede la società partecipata in un corrispondente stato di “soggezione”, e che sul piano sistematico presuppone (ponendovisi in rapporto di connessione genetica) una qualche forma di cessazione, se non della “partecipazione”, del [continua ..]

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9. Alcune conseguenze applicative della prospettata ricostruzione sistematica

La diversa qualificazione della fattispecie come scioglimento (in senso lato) parziale del rapporto sociale di diritto speciale comporta alcune non indifferenti conseguenze applicative. In prima battuta, non sarebbero applicabili, neanche per estensione e tanto meno per analogia, i termini di decadenza previsti dalla legge per l’esercizio del diritto di recesso. Per di più si tratta di termini che la legge collega all’adozione delle deliberazioni che condurrebbero alla modificazione dei patti sociali legittimanti il recesso, ciò che nella specie, come detto, non ricorre. Né sarebbe possibile “adattare” il sistema, salvandone la valenza decadenziale attraverso una diversa collocazione del dies a quo ai fini del computo, non foss’altro perché si farebbe fatica ad individuare il diverso dies a quo, non potendo lo stesso ravvisarsi nella mera adozione del piano ordinario di razionalizzazione periodica, al quale consegue ancora l’obbligo di procedere con i tentativi di cessione ad evidenza pubblica e non già, ipso iure, il diritto alla liquidazione a cura della società partecipata. Né, del resto, sarebbe agevole collocare il termine iniziale nell’insuccesso dei tentativi di cessione sul mercato, se si considera che le stesse procedure ad evidenza pubblica possono presentare diverse configurazioni e, quindi, atteggiarsi in modo diverso anche sotto il profilo del tempo a partire dal quale [continua ..]

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10. Il ruolo dell’assemblea nella liquidazione forzosa della partecipazione prima e dopo il TUSPP

Di estremo interesse è, infine, l’altra tra le principali questioni esaminate dalla Corte veneziana: quella relativa alla natura (oggetto e portata) della competenza che, come si è visto, la disciplina previgente attribuiva espressamente all’assemblea dei soci della società partecipata. È pur vero che il tema, per come trattato nella pronuncia, non si porrebbe più nel contesto normativo oggi vigente, come delineato nel TUSPP. Ma ciò non lo priva affatto d’interesse, per almeno due ordini di ragioni. Innanzitutto, perché il contenzioso generato dalle richieste di liquidazione presentate da pubbliche amministrazioni sotto il vigore della disciplina previgente parrebbe non essersi ancora completamente esaurito, sicché l’arricchimento del quadro giurisprudenziale attraverso la sentenza qui annotata fornisce un ulteriore contributo alla riflessione, anche dottrinaria, su una disciplina che presenta profili, sia pure residuali, di attualità (o, se si vuole, di “ultrattività” residua). Inoltre, perché l’interpretazione del sistema antecedente al TUSPP, attraverso l’argomentazione “storico/evolutiva” ed unitamente a spunti di ordine sistematico, fornisce elementi valutativi utili anche ai fini dell’interpretazione del sistema attualmente in vigore [[45]]. Ebbene, prendendo le mosse dalla previgente disciplina, si è già detto [continua ..]

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NOTE

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