Il contributo, prendendo le mosse da un provvedimento del Tribunale di Torino in materia di distribuzione degli utili, si propone di esaminare la relazione intercorrente tra una delibera dell’assemblea straordinaria che, nel modificare lo statuto sociale, aveva comportato un allargamento delle ipotesi di accantonamento di utili a riserva statutaria (ostacolandone, dunque, la relativa distribuzione ai soci) e una successiva deliberazione dell’assemblea ordinaria che aveva disposto la distribuzione dell’utile sociale disattendendo il relativo ordine di destinazione previsto dallo statuto.
Parole chiave: Società per azioni – Distribuzione degli utili – “Superbenefici” – Modifica dello statuto – Recesso – Determinazione del valore delle azioni – Abuso di maggioranza.
This article, taking steps from a decision of the Court of Turin regarding an hypothesis of profits distribution, aims at examining the relationship between a resolution of the extraordinary shareholders’ meeting that, in amending the company’s by-laws, led to an extension of the hypothesis of allocating profits to the statutory reserve (thus hindering their distribution to shareholders) and a subsequent resolution of the ordinary shareholders’ meeting which approved the distribution of the company’s profits by resulting in a violation of the provisions regulating the priority of payments as set out in the bylaws.
Keywords: Joint stock company – Profits distribution – “Superbenefici” – Amendments to the by-laws – Exit – Determination of share value – Majority abuse.
1. Il caso - 2. Individuazione delle questioni sottese alla decisione del Tribunale - 3. Brevi cenni sul recesso quale strumento di dialettica endosocietaria. In particolare sull’interpretazione dei “diritti di partecipazione” di cui all’art. 2437, 1° comma, lett. g), c.c. - 4. Sul diritto del socio recedente a conoscere la determinazione del valore delle proprie azioni. Riflessioni critiche attorno al ruolo degli amministratori - 5. Autonomia statutaria e potere deliberativo dell’assemblea dei soci in punto di distribuzione degli utili - NOTE
La scelta di soffermarsi sul caso in esame si giustifica, oltre che per la rilevanza degli interessi a questo connessi, anche alla luce della crescente risonanza che il tema dell’annullamento di deliberazioni concernenti la distribuzione degli utili sociali per abuso della maggioranza sembra avere nella giurisprudenza più recente [[1]]. Ciò premesso, la pronuncia in commento rileva in una duplice prospettiva. Per un verso, il Tribunale ha rigettato la domanda di annullamento avente ad oggetto una delibera dell’assemblea straordinaria che aveva modificato l’ordine progressivo di destinazione dell’utile previsto dallo statuto sociale. A tale riguardo, preme rilevare sin da subito come all’art. 20 dello statuto si prevedeva il seguente ordine progressivo di destinazione: (1) riserva legale, (2) dividendi in pagamento delle azioni fino ad un ammontare massimo del 6% (sembrerebbe dell’utile annuale), (3) riserva statutaria, e (4) fondo di ammortamento delle azioni di categoria “A”. Lo statuto prevedeva altresì la possibilità di ripartire l’eventuale somma che fosse residuata – a seguito dei prelevamenti di cui ai numeri sopra menzionati – a titolo di “superbenefici” a favore dei soci (nella misura di un quarto), nonché di ulteriori soggetti estranei alla compagine sociale (id est lo Stato italiano, la regione autonoma Valle d’Aosta, il Cantone e la città di Ginevra) che avessero versato sovvenzioni alla società (nella misura di tre quarti). Orbene, la formulazione della previsione statutaria poc’anzi richiamata è alquanto singolare e desta non poche questioni: [[2]] tanto nella prospettiva dell’assemblea quanto in quella dell’azionista (e, parimenti, dei soggetti che lo statuto individua quali “sovventori”; ossia lo Stato italiano, la regione autonoma Valle d’Aosta, il Cantone e la città di Ginevra). Per quanto concerne l’assemblea, ad esempio, non risulta affatto chiaro se quest’ultima sia o meno libera di accantonare utili a riserva. Lo statuto, a ben vedere, si limita a menzionare le finalità di destinazione della riserva (ci si riferisce agli “interventi funzionali alla riabilitazione, ammodernamento e/o potenziamento della galleria stradale del massiccio del Monte Bianco”) senza tuttavia stabilire un tetto massimo ovvero [continua ..]
Il caso deciso dal Tribunale di Torino offre l’occasione per soffermarsi su tre distinte questioni. La prima – di carattere più generale rispetto alle altre – richiede di verificare se e in che modo lo statuto della Società Italiana per azioni per il Traforo del Monte Bianco S.p.A. preveda o meno una disciplina tesa a regolare la partecipazione dei soci agli utili. Quanto alla seconda, si tratta di verificare se la modifica dell’art. 20 dello statuto sociale che aveva inciso sulla riserva statutaria fosse una condizione idonea a giustificare il recesso del socio a norma dell’art. 2437, 1° comma, lett. g). Con riferimento alla terza, si tratta di indagare se, in caso di adozione di una delibera che legittimi il recesso dell’azionista, l’inerzia degli amministratori che sia sfociata nella mancata determinazione del valore delle azioni del socio recedente costituisca o meno un vizio del procedimento deliberativo, tale da giustificarne l’annullamento per contrarietà al disposto dell’art. 2437-ter, 5° comma, c.c. Considerato il rigetto della prima domanda di parte attrice e l’accoglimento della seconda, pare opportuno procedere, per ragioni di buon ordine, ad una trattazione distinta delle questioni giuridiche poste dal caso che ci occupa. Ciò, al fine di mettere in luce gli elementi logico-argomentativi che hanno orientato il Tribunale a respingere l’una domanda e, di contro, ad accogliere l’altra.
Poste queste premesse, occorre, con specifico riferimento al caso da cui si sono prese le mosse, procedere con qualche puntualizzazione sull’istituto in esame a partire dal dato letterale delle norme di riferimento, nonché dalla ratio ivi sottesa [[3]]. La previsione del diritto di recesso funge da contrappeso al potere della maggioranza di mutare le originarie condizioni del contratto sociale che determinarono il suo investimento. In parole più semplici, se da un lato la maggioranza ha il potere di modificare lo statuto e, dunque, incidere sulle posizioni dei soci – variando, ad esempio, la proporzione agli utili ovvero alla quota di liquidazione – dall’altro lato il socio che, per diverse ragioni, abbia ritenuto di non consentire alla predetta modifica, ha la possibilità di esercitare il diritto di recesso (si precisi, nel rispetto delle condizioni previste dalla legge) e, conseguentemente, ottenere la liquidazione del valore della propria partecipazione [[4]]. Come noto, l’attuale formulazione dell’art. 2437 c.c. – come novellata a seguito della riforma del 2003 [[5]] – nell’individuare le cause che legittimano l’exit del socio, opera una distinzione tra: cause di recesso legali e inderogabili (1° comma); cause di recesso legali derogabili per disposizione statutaria (2° comma) e (sebbene con esclusivo riferimento alle società che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio) ulteriori cause di recesso determinabili convenzionalmente dallo statuto (4° comma). Ai fini che qui interessano, è opportuno soffermarsi sulla formulazione del 1° comma, lett. g), nella parte in cui prevede le “modificazioni dello statuto concernenti i diritti di voto o di partecipazione”. Si discute, tanto in dottrina quanto in giurisprudenza, sul (o, più precisamente, sulla portata del) significato da attribuire alla locuzione “diritti di partecipazione”, posto che non è chiaro se la stessa debba intendersi riferita ai soli diritti patrimoniali (quali la partecipazione agli utili ed alla quota di liquidazione) ovvero anche a quelli amministrativi. A tale riguardo, possono richiamarsi due orientamenti di segno opposto. Da un lato, v’è chi ritiene che la locuzione in esame debba essere interpretata in modo estensivo, al fine di ricomprendere nel novero dei “diritti di partecipazione” [continua ..]
Già si è avuto modo di anticipare come lo statuto della Società Italiana per azioni per il Traforo del Monte Bianco S.p.A. stabilisca il seguente ordine progressivo di destinazione dell’utile di esercizio: dapprima la riserva legale, a seguire i dividendi in pagamento delle azioni fino ad un ammontare massimo del 6% (sembrerebbe dell’utile annuale), poi la riserva statutaria, infine, il fondo di ammortamento delle azioni di categoria “A”. Si è poi dato atto di come la delibera dell’assemblea straordinaria avesse modificato lo statuto nel senso di prevedere che l’importo da accantonare a riserva statutaria comprendesse anche quanto necessario per ammodernare e potenziare il tunnel del Monte Bianco, cioè l’opera stradale realizzata e gestita dalla società. A tale riguardo, parte attrice aveva sostenuto che la deliberazione dell’assemblea straordinaria, nel modificare l’art. 20 dello Statuto, avesse inciso sul proprio diritto di partecipazione agli utili (più precisamente, la modifica in parola aveva allargato le ipotesi di accantonamento di utili a riserva; con ciò comportando una riduzione delle possibilità di distribuzione dei c.d. “superbenefici”, i quali, si precisi, erano prelevabili solamente a valle dell’accantonamento di utili a riserva statutaria) [[16]]. Su tali basi, parte attrice aveva lamentato l’invalidità della predetta deliberazione alla luce del fatto che, ricorrendo una causa di recesso, gli amministratori si sarebbero dovuti attivare ai fini della determinazione del valore delle azioni, in conformità a quanto previsto all’art. 2437-ter c.c. Il Tribunale (come si è visto) ha rigettato l’impugnazione ritenendo non sussistente una causa di recesso: eppure ha ritenuto utile fornire una seconda motivazione del recesso. In particolare, se anche vi fosse stato un motivo di recesso, l’impugnazione sarebbe stata, secondo il Tribunale, comunque da respingere, perché il vizio procedimentale consiste nella mancata comunicazione ai soci del valore di liquidazione delle azioni non sarebbe di per sé idoneo a rendere impugnabile la deliberazione, occorrendo che l’impugnante si attivi. Veniamo adesso a soffermarci brevemente sul procedimento previsto all’art. 2437-ter c.c. Tale norma stabilisce che il valore di liquidazione delle azioni del [continua ..]
Veniamo adesso a soffermarci più da vicino sugli elementi posti alla base del percorso che ha condotto il Tribunale ad annullare la delibera di distribuzione degli utili ai sensi dell’art. 2377, 2° comma, c.c. A tale riguardo, già si è avuto modo di chiarire che, all’art. 20 dello statuto sociale, si prevedeva espressamente che la distribuzione dei “superbenefici” potesse aver luogo solamente in conformità con il seguente ordine progressivo: dapprima la riserva legale, a seguire i dividendi in pagamento delle azioni, poi la riserva statutaria e, infine, il fondo di ammortamento delle azioni di categoria “A” (queste ultime, una volta rimborsate, avrebbero perso il diritto al dividendo e partecipato alla ripartizione dei “superbenefici”) [[19]]. Parte attrice lamentava che l’assemblea ordinaria avesse deliberato la distribuzione degli utili in palese contrasto con le previsioni statutarie che ne regolavano l’ordine progressivo di destinazione, posto che tutti gli utili portati a nuovo dei bilanci 2007 – 2016 (in misura pari ad Euro 60.870.339,00) erano stati ripartiti a titolo di “superbenefici”, invece di essere destinati alle finalità prioritariamente individuate dallo statuto. Poste queste basi, il Tribunale di Torino ha annullato ai sensi dell’art. 2377, 2° comma, c.c. la predetta delibera dell’assemblea ordinaria. Nella prospettiva adottata, non può farsi a meno di condividere la decisione del Tribunale, dal momento che gli utili erano stati ripartiti “direttamente ed esclusivamente” a titolo di “superbenefici”, invece di essere destinati alle finalità prioritariamente individuate dallo statuto sociale. Fermo restando quanto osservato finora, si noti come il provvedimento che si commenta contenga alcuni riferimenti in ordine alla configurazione della fattispecie di abuso della maggioranza che, tuttavia, non sfocia in una concreta decisione di annullamento, dal momento che la questione è stata assorbita dall’organo giudicante (“le ulteriori allegate cause di invalidità risultano assorbite e, in particolar modo, quella riguardante il preteso abuso di maggioranza”). Preso atto del fatto che la delibera dell’assemblea ordinaria è stata annullata per contrarietà allo Statuto sociale, sia consentito soffermarsi – seppur [continua ..]