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La tutela delle minoranze azionarie nelle società quotate: l'amministratore di minoranza. Un´analisi comparata

Emanuele Stabile

Il presente articolo si propone di studiare in ottica comparatistica la tutela delle minoranze azionarie negli emittenti. Per fare ciò, innanzitutto, ci si interrogherà sulla nozione di minoranza, sul suo ruolo nelle società quotate e sulle esigenze che hanno spinto il Legislatore, non solo italiano, a prevedere meccanismi di tutela in loro favore. Si esaminerà, in secondo luogo, la disciplina italiana con particolare attenzione al voto di lista e, soprattutto, all’amministratore di minoranza mettendone in luce vantaggi e svantaggi. Ci si interrogherà, in terzo luogo, sulle soluzioni adottate da altri ordinamenti – sia di civil law, sia di common law – per tutelate le minoranze azionarie. In particolare, si studieranno, da un lato, l’esperienza inglese e statunitense e, dall’altro, quella francese e tedesca. Per concludere, si esamineranno criticamente i risultati dell’analisi condotta fornendo alcuni innovativi spunti di riflessione.

Parole chiave: Corporate Governance – società quotate – tutela delle minoranze azionarie – voto di lista – amministratore di minoranza.

The protection of minority shareholders in listed companies: the minority director. A comparative analysis

This article aims to study the protection of minority shareholders in listed companies in a comparative perspective. To do this, first of all, we will reflect on the notion of minority, its role in listed companies and the needs that have prompted the Legislator, not only in Italy, to provide protection mechanisms in its favor. Secondly, the Italian discipline will be examined paying particular attention to the list voting and, above all, to the minority director, highlighting their advantages and disadvantages. Thirdly, we will analyze the solutions adopted by other legal systems – both of civil law and common law – to protect minority shareholders. In particular, we will study, on the one hand, the English and American experience and, on the other, the French and German experience. To conclude, we will critically examine the results of the analysis carried out by providing some innovative reflections.

Keywords: Corporate Governance – listed companies – protection of minority shareholders – list voting – minority director.

Sommario:

1. Introduzione - 2. La tutela della minoranza: “controllo-verifica” e “controllo-potere” - 3. Il voto di lista - 4. L’amministratore di minoranza. Breve inquadramento - 5. L’esperienza straniera - 5.1. Il Regno Unito - 5.2. Gli Stati Uniti d’America - 5.3. La Francia - 5.4. La Germania - 6. Conclusioni - NOTE


1. Introduzione

La tutela delle minoranze azionarie è un tema assai rilevate, per non dire fondamentale, che ha attirato l’attenzione di numerosi studiosi. Innanzitutto, occorre premettere che non esiste una definizione univoca di minoranza, nemmeno a livello normativo. Infatti, né il Codice civile, né il d.lgs. n. 58/1998 (da ora anche il “Testo Unico della Finanza” o “t.u.f.”) definiscono tale concetto; in particolare, il t.u.f. si limita “ad indicare di volta in volta a chi, o meglio a quale percentuale di capitale sociale, riconoscere l’esercizio di alcuni diritti tradizionalmente qualificati di tutela delle minoranze” [[1]]. La tutela delle minoranze ha ispirato tanto il t.u.f. quanto la legge n. 262/2005 (c.d. legge sul risparmio) che, tra le altre cose, ha introdotto il voto di lista all’art. 147-ter t.u.f., poi modificato dal d.lgs. n. 303/2006, tramite cui si elegge l’ammi­nistratore di minoranza [[2]]. Diciamo subito che, come rilevato dalla dottrina, da un lato, la protezione delle minoranze azionarie è necessaria (e utile) perché “nelle società quotate, è tutelare il mercato” [[3]]. Essa, insomma, presenta indubbi vantaggi. Tuttavia, vi sono anche degli svantaggi. Così, la protezione degli azionisti di minoranza è stata più volte accusata [[4]] di disincentivare la raccolta di capitale e la crescita delle [continua ..]

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2. La tutela della minoranza: “controllo-verifica” e “controllo-potere”

La tutela della minoranza azionaria presuppone l’attribuzione a quest’ultima di un “controllo” sulla gestione della società. Come rilevato dalla dottrina, tale controllo si articola in: i) verifica del rispetto da parte della società (rectius, del gruppo di comando) della legge, dello statuto e, dunque, della corretta gestione imprenditoriale e societaria (c.d. controllo-verifica); ii) “esercizio mediato del potere d’impre­sa attraverso il voto” (c.d. controllo-potere) [[6]]. Quest’ultima fattispecie di controllo è scarsamente rilevante ai fini della presente analisi e sarà sufficiente ricordare che il socio minoritario esprimendo il proprio voto ben può contribuire ad indirizzare la gestione della società. In quanto socio, anche al fine di esprimere consapevolmente il proprio voto, egli ha altresì diritto ad essere informato sull’andamento della società e, quindi, può vigilare sulla medesima [[7]]. Più interessante, invece, si presenta il controllo-verifica che non deve limitarsi ad un mero giudizio ex post sull’operato del management, ma sostanziarsi in un dialogo (costruttivo) ex ante tra controllore e controllato. Tale verifica rappresenta una “funzione” [[8]] della minoranza e si estrinseca tanto in una supervisione generale sul management quanto in una verifica dettagliata sugli assetti organizzativi e [continua ..]

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3. Il voto di lista

L’Italia è sostanzialmente l’unico paese sviluppato in cui sia stato riservato ex lege alla minoranza l’elezione di almeno un componente del Consiglio di Amministrazione (da ora anche il “CdA”). L’art. 147-ter t.u.f. si limita a disciplinare alcuni aspetti fondamentali del voto di lista lasciando spazio (forse troppo esiguo) all’autonomia statutaria [[10]]. Ai sensi dell’art. 147-ter, 3° comma, t.u.f. “salvo quanto previsto dall’articolo 2409– septiesdecies del codice civile, almeno uno dei componenti del consiglio di amministrazione è espresso dalla lista di minoranza che abbia ottenuto il maggior numero di voti e non sia collegata in alcun modo, neppure indirettamente, con i soci che hanno presentato o votato la lista risultata prima per numero di voti”. Non è questa la sede per un’analisi dettagliata sul voto di lista, su cui peraltro si è già pronunciata la dottrina, ma appare utile svolgere alcune riflessioni funzionali all’oggetto del presente studio [[11]]. Innanzitutto, va premesso che la norma è inapplicabile alle società adottanti il sistema di amministrazione e controllo dualistico come si desume dall’inciso in apertura dell’art. 147-ter t.u.f. Per tali società, infatti, la rappresentanza delle minoranze è limitata al consiglio di sorveglianza, di cui la minoranza ha diritto di eleggere [continua ..]

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4. L’amministratore di minoranza. Breve inquadramento

Preliminarmente, va detto che l’amministratore di minoranza è un consigliere (non esecutivo) soggetto alla disciplina prevista per tutti gli altri amministratori che, al più, può qualificarsi indipendente [[15]]. Salve le prerogative spettanti a tale ultima categoria di amministratori o derivanti dalla partecipazione a comitati endoconsiliari, il Legislatore non ha inteso dotare l’amministratore di minoranza di poteri e doveri diversi (e più penetranti) rispetto agli altri membri del CdA. L’art. 2381, comma 6 c.c. stabilisce che tutti i consiglieri, inclusi quelli di minoranza, sono obbligati ad “agire in modo informato”. A tale dovere corrisponde un potere di ciascun amministratore di “chiedere agli organi delegati che in consiglio siano fornite informazioni relative alla gestione della società” [[16]]. Insomma, i consiglieri di minoranza hanno solo un potere/dovere di agire informati [[17]]. L’autonomia statutaria, tuttavia, può riservare agli amministratori, anche di minoranza, il (penetrante) potere di interrogare il personale aziendale e ispezionare i documenti sociali, che non rappresentano un intralcio all’azione amministrativa purché condotti nel rispetto dei canoni di buona fede e correttezza. Nondimeno, ai consiglieri può essere riservato il potere di chiedere, autonomamente o al presidente del CdA che dovrà decidere sulla loro [continua ..]

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5. L’esperienza straniera

Per un’analisi esaustiva del tema che ci occupa, è opportuno studiare le soluzioni adottate dagli ordinamenti stranieri sia di common law (Gran Bretagna e Stati Uniti d’America), sia di civil law (Francia e Germania) [[27]].

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5.1. Il Regno Unito

Nessuna norma del Companies Act inglese del 2006, da allora più volte modificato, destina un numero minimo di amministratori alla minoranza. A dire il vero, le disposizioni sulla nomina dei membri del board sono abbastanza scarne sostanzialmente limitandosi a stabilire i requisiti di età dei consiglieri e a richiedere un voto individuale su ogni candidato (Part 10, Chapter 1). Il codice di autodisciplina delle società quotate (UK Corporate governance Code) pubblicato nel 2018, invece, detta alcune norme interessanti. Innanzitutto, si stabilisce che il board debba includere “un’appropriata” compresenza di amministratori esecutivi e non-esecutivi, o meglio indipendenti, per tentare di evitare che un individuo o gruppo di individui possa condizionare il board (Principle G) [[28]]. Il suddetto principio è rafforzato dalla previsione per cui almeno la metà del board, escluso il presidente, deve essere composto da consiglieri non esecutivi e in­dipendenti (Provision 11) [[29]]. Parimenti, il Codice di autodisciplina inglese stabilisce che la nomina dei consiglieri debba avvenire secondo una procedura formale, rigorosa e trasparente basata sul merito e su criteri oggettivi che promuova la diversità di genere, sociale ed etnica nonché le caratteristiche personali e le conoscenze (Principle J) [[30]]. La Provision 17 precisa che la maggioranza dei membri del comitato nomine chiamato ad [continua ..]

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5.2. Gli Stati Uniti d’America

Negli Stati Uniti la rappresentanza delle minoranze è rimessa a diversi istituti. La legislazione di diversi stati americani ammette, e in alcuni casi impone, che gli statuti societari prevedano il c.d. cumulative voting per l’elezione dei membri del board [[34]]. Tale sistema elettorale consente agli azionisti di esprimere in assemblea un numero di voti pari alle azioni da loro detenute moltiplicato per il numero di amministratori da eleggere. Esso, quindi, permette una maggiore rappresentanza delle minoranze, poiché incrementa materialmente il numero dei loro voti che possono essere indirizzati su uno o più candidati così aiutandole ad eleggere almeno un amministratore, che sarebbe altrimenti impossibile con un sistema elettorale classico, come il c.d. plurality voting. In tale ultimo sistema elettorale il voto dei soci non è ponderato per il numero di amministratori da eleggere, ma è proporzionale unicamente al numero di azioni possedute. I voti, inoltre, devono essere ripartiti tra tutti gli amministratori da eleggere così diluendo il voto della minoranza. Il socio di maggioranza, dunque, ha un numero di voti sufficienti a eleggere tutti i membri del board. Il cumulative voting, tuttavia, è poco diffuso tra le public companies quotate che non gradiscono ingerenze nel processo di nomina del board [[35]]. Esso, inoltre, è scarsamente efficace laddove si debba eleggere un solo amministratore [continua ..]

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5.3. La Francia

Il diritto positivo francese non conosce il voto di lista, né riserva in alcun modo alla minoranza, o ad altri gruppi d’interesse, l’elezione di alcuni componenti del board [[41]]. Analogamente, il Codice di corporate governance del 2020 non detta norme a tutela della minoranza, e di altri gruppi d’interesse, in tema di elezione degli amministratori, neppure indipendenti. Solo l’art. 2.3 del suddetto Codice contiene una timida eccezione. Esso stabilisce che siccome il board agisce nell’(unitario) interesse della società, dovrebbe essere evitata la rappresentanza di molteplici istanze, tra cui pare logico includere quelle della minoranza, al suo interno “salvo che nei casi previsti dallo statuto” [[42]]. Insomma, l’ordinamento francese lascia ampio spazio all’autonomia statutaria che ben potrebbe tutelare la minoranza. Per completezza, va precisato che laddove la società adottasse il modello di amministrazione e controllo tedesco, ciò significherebbe riconoscere ai lavoratori la nomina di alcuni consiglieri di sorveglianza [[43]]. L’autonomia statutaria, tuttavia, non necessariamente garantisce (rectius, impone) il coinvolgimento della minoranza nella nomina degli amministratori che potrebbero essere espressione solo del gruppo di comando. Si noti, inoltre, che l’art. 2.4 del Codice di corporate governance francese del 2020 prevede una “specifica” [continua ..]

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5.4. La Germania

L’esperienza tedesca è peculiare poiché si caratterizza per il sistema della cogestione che vede il coinvolgimento dei lavoratori nella gestione della società [[45]]. Il par. 101 (1) Aktiengesetz (AktG), la legge tedesca sulle società per azioni, stabilisce che i membri del consiglio di sorveglianza sono eletti dall’assemblea societaria salvo che non siano direttamente nominati componenti del suddetto consiglio, come si dirà in seguito, o eletti quali rappresentati dei lavoratori ai sensi della legge sulla partecipazione di quest’ultimi del 4 maggio 1976, c.d. Mitbestimmung (MitbestiG) [[46]]. Il par. 101 (2) AktG precisa che solo lo statuto può prevedere il diritto per alcuni azionisti (senza ulteriormente specificare e, dunque, anche la minoranza), di nominare membri del consiglio di sorveglianza. I soci possono procedere alla nomina solo se le azioni sono nominative e un eventuale loro trasferimento deve essere approvato dalla società. I diritti di nomina spettano, complessivamente, per massimo un terzo dei membri dell’organo di sorveglianza [[47]]. Ai sensi del combinato disposto dei par. 126 (1) e 127 (1) AktG gli azionisti non devono specificare le ragioni della nomina dei membri del consiglio che, tuttavia, deve essere resa nota almeno 14 giorni prima dell’assemblea per l’elezione dell’organo di sorveglianza nelle forme e nei modi di cui al par. 126 (1) [continua ..]

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6. Conclusioni

Da diversi anni il Legislatore italiano ha indirizzato i propri sforzi verso la tutela delle minoranze azionarie rafforzandone i diritti di voice [[50]]. Ciò è evidente nel t.u.f., dove si coglie il passaggio da una tutela rimessa alla normativa primaria a un sistema di garanzie regolato dalla normativa secondaria della Consob e dall’autonomia statutaria, similmente a quanto accade in altri ordinamenti. L’unica eccezione a tale transizione è il voto di lista che è sostanzialmente regolato dall’art. 147-ter t.u.f. e rappresenta la sintesi di due esigenze. Da un lato, una tutela troppo lieve delle minoranze avrebbe potuto scoraggiare l’afflusso di capitali verso gli emittenti da parte degli investitori preoccupati dalla “perdurante inaffidabilità della nostra disciplina giuridica” [[51]]. Dall’altro, un’energica tutela avrebbe incentivato l’avvicendamento dei managers e, di conseguenza, l’instabilità della società, il contenzioso e possibili abusi di minoranza. Il voto di lista, almeno nella configurazione datagli dal Legislatore italiano, rappresenta un’eccezione a livello mondiale [[52]]. Nessun altro ordinamento impone normativamente un amministratore di minoranza nel board degli emittenti. Beninteso, la tutela delle minoranze è fondamentale e l’istituto in commento ha sicuramente dimostrato di avere dei pregi. [continua ..]

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NOTE

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