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Azioni a voto plurimo e “fondatori visionari”
Michele Corgatelli
Il 3 dicembre 2021 è entrata in vigore nel Regno Unito la modifica delle Listing Rules applicabili alle società quotate: possono ora accedere al prestigioso segmento Premium del Main Market della borsa londinese anche le società con azioni a voto plurimo. La riforma si inserisce nel contesto della concorrenza globale tra sistemi borsistici volta ad attrarre le società guidate da c.d. “fondatori visionari”, operanti prevalentemente nel settore delle nuove tecnologie, che ha portato all'ammissione delle società con azioni a voto plurimo sulle borse di Hong Kong, Singapore, Shanghai, India, Shenzhen e Indonesia, e all'’istituzione del Long-Term Stock Exchange statunitense e della borsa di Pechino. Contestualizzata la riforma britannica, l’articolo si concentra sulla rilevanza di tale competizione transnazionale per l’ordinamento italiano, tratteggiandone le implicazioni. In particolare, si distingue il profilo giuridico del fenomeno dell'exchange shopping da parte dei “fondatori visionari” delle società tecnologiche da quello della migrazione delle società quotate italiane verso i Paesi Bassi. Infine, l'articolo analizza la tensione tra gli interessi contrastanti di fondatori e investitori istituzionali, sottesa alla configurazione dell'ammissione delle dual class share structures alle borse valori come deroga al principio “un'azione, un voto” non assoluta, bensì delimitata tramite diversi presìdi.
On December 3, 2021, the reform of the UK Listing Rules came into effect: companies with multiple voting shares are now admitted to the prestigious Premium tier of the Main Market of the London Stock Exchange. The reform fits into the context of global competition among stock exchanges aimed at attracting companies led by “visionary founders” – that operate mainly in the new technologies sector – which led to the admission of companies with multiple voting shares on the stock exchanges of Hong Kong, Singapore, Shanghai, India, Shenzhen, and Indonesia, and to the establishment of the US Long-Term Stock Exchange and of the Beijing Stock Exchange. After having contextualized the reform of the UK Listing Rules, the article focuses on the relevance of this transnational competition for the Italian legal system, outlining its legal implications. It explores, from a regulatory perspective, the differences between the phenomenon of “exchange shopping” by the “visionary founders” of start-ups and that of the migration of Italian listed companies to the Netherlands. Lastly, the article analyses the tension between the conflicting interests of founders and institutional investors that underlies the configuration of the admission of dual class share structures on the stock exchange as a well-regulated and limited exception to the “one share, one vote” principle.
Sommario:
1. La modifica delle Listing Rules nel Regno Unito - 2. (Segue): la contestualizzazione della riforma nel panorama internazionale - 3. La concorrenza tra borse per attrarre la quotazione delle tech companies - 4. Diritti societari nazionali e Listing Rules per le società quotate come due piani di concorrenza distinti - 5. La migrazione delle sedi legali delle società italiane - 6. (Segue): ulteriori considerazioni circa la rilevanza del fenomeno per il diritto societario italiano - 7. La proposta di direttiva sulle azioni a voto plurimo - 8. “Fondatori visionari” ed investitori istituzionali come portatori di preferenze divergenti - 9. Conclusioni - NOTE
1. La modifica delle Listing Rules nel Regno Unito
Nel dicembre 2021 l’Autorità Finanziaria del Regno Unito ha modificato le Listing Rules applicabili agli emittenti quotati sulla borsa londinese al fine di ammettere al prestigioso segmento Premium del Main Market anche le azioni delle società con azioni a voto plurimo [[1]]. Collocate all’interno di un pacchetto più ampio di riforme [[2]] volte a rilanciare Londra come centro finanziario globale [[3]], le nuove regole introducono una deroga all’applicazione del principio “un’azione, un voto” delimitata tramite diversi presìdi. Infatti, l’Autorità ha permesso la quotazione sul segmento Premium delle azioni di società che presentano dual class shares structures (d’ora innanzi, DCSS) condizionatamente al rispetto di stringenti condizioni, ossia purché: (i) non venga travalicato il rapporto di voto di venti ad uno come differenziale massimo tra le categorie di azioni fissato dalla Rule 9.2.22C para. 2; (ii) il detentore delle azioni a voto plurimo sia anche un amministratore della società, o nel caso di decesso di quest’ultimo, sia un «beneficiary of the director’s estate» (Rule 9.2.22C para. 3); (iii) una sunset clause ne stabilisca il tramonto per conversione in azioni ordinarie entro un periodo massimo di cinque anni dalla quotazione (Rule 9.2.22A para. 3 e 4) [[4]]; ed infine, (iv) il voto plurimo venga attribuito limitatamente [continua ..]
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2. (Segue): la contestualizzazione della riforma nel panorama internazionale
La seppur vincolata introduzione di DCSS sul segmento Premium del London Stock Exchange fa seguito all’ammissione delle società con azioni a voto plurimo sulle borse di Hong Kong e Singapore nel 2018 [[9]] e di Shanghai nel 2019 [[10]]. Si tratta di riforme pure accumunate dal dichiarato obiettivo di attrarre la quotazione di tech companies [[11]] e presidiate da un differenziale di voto massimo tra categorie di azioni (in tutti e tre i casi, di dieci ad uno) [[12]], da una sunset clause attivata da particolari eventi (ma non dal decorrere di una durata massima) [[13]], e dall’imposizione di vari standard di corporate governance interni all’emittente [[14]]. Non solo: il 29 luglio 2019 la Securities and Exchange Board dell’India ha ammesso le DCSS sulle borse indiane [[15]], richiedendo la previsione di una sunset clause di cinque anni. L’assemblea può però deliberare, con votazione a cui non partecipano i detentori di azioni a voto plurimo [[16]], una proroga del termine di altri cinque anni, ex Regulation 41A(4). Inoltre, ai sensi della Regulation 41A(5), le azioni a voto plurimo attribuiscono un voto soltanto al verificarsi di eventi quali il decesso o le dimissioni del detentore, la fusione o l’acquisizione della società. Si noti una differenza significativa riguardo alla configurazione dei presìdi: nel caso delle borse di Hong Kong, Singapore, [continua ..]
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3. La concorrenza tra borse per attrarre la quotazione delle tech companies
Una prima conclusione evidentemente deducibile dalla disamina poc’anzi svolta è così banalmente riassumibile: la concorrenza tra borse determina la concorrenza tra regole applicabili alle borse. Oltre che nella storica concorrenza tra le borse di Hong Kong e Singapore, e tra quelle di Hong Kong e di Shanghai e Shenzhen – e di Londra con tutti gli altri sistemi borsistici, tra cui l’Euronext Amsterdam – la causa del susseguirsi del rilassamento del principio “un’azione, un voto” è rintracciabile nella concorrenza con le borse statunitensi, e risalendo ancor più nel tempo, a quella tra le borse statunitensi. Il New York Stock Exchange, infatti, tra il maggio 1940 [[27]] e il 1985 mantenne un divieto formale relativo all’uso di DCSS, applicato tuttavia non senza deroghe (tra tutte: Ford Motor Company [[28]]) capitolando poi sotto la concorrenza del NASDAQ e dell’American Stock Exchange (anche per evitare la quotazione di General Motors su altra borsa [[29]]) che di contro non ponevano tale divieto. Questa concorrenza per così dire interna era stata acuita dal movimento volto a respingere offerte pubbliche di acquisto montato in quegli anni, che formulava una forte istanza a favore dell’emissione di azioni a voto plurimo come strumento anti-takeover, cosicché nel contesto statunitense, con i diritti societari dei singoli Stati in concorrenza tra loro, il [continua ..]
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4. Diritti societari nazionali e Listing Rules per le società quotate come due piani di concorrenza distinti
Un’altra considerazione utile alla contestualizzazione della riforma delle Listing Rules britanniche è la seguente: l’abolizione del divieto di accesso delle società con azioni a voto plurimo al sistema borsistico presuppone che il diritto societario nazionale ne permetta ex ante l’introduzione, se si vuole che a quotarsi siano poi anche le società per azioni costituite nell’ordinamento nazionale. Esemplificativo in questo senso è il caso di Singapore, dove il Ministero delle Finanze nell’ottobre 2007 costituì un Steering Committee per aggiornare il Companies Act 1967, e il Committee nel giugno 2011 propose di eliminare la section 64 per permettere alle public companies di emettere azioni senza voto e a voto plurimo. In seguito al Companies (Amendment) Bill (n. 25 del 2014), approvato dal Parlamento nell’ottobre 2014, la section 64A permette oggi un’ampia autonomia statutaria nell’emissione di azioni a voto speciale, limitato, condizionato, e senza voto. Caso singolare è invece quello della Repubblica Popolare Cinese, dove l’ammissione di DCSS sullo Sci-Tech Innovation Board è avvenuta senza una preventiva modifica della legge sul diritto delle società. È stata infatti mantenuta l’equivalenza “un’azione, un voto” disposta dall’art. 103 della Company Law 2013, mentre la riforma è intervenuta sulla base dell’art. 131 [continua ..]
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5. La migrazione delle sedi legali delle società italiane
Ci si può ora interrogare su quali siano i riflessi giuridici di questa concorrenza per l’ordinamento italiano, in cui, come è noto, le azioni a voto multiplo, deroga in maius [[43]] al principio “un’azione, un voto” né vietata né espressamente prevista dal codice del 1882 [[44]], vennero proibite nel 1942 (originariamente al 3° comma dell’art. 2351 c.c. [[45]]) per poi riemergere dall’eclissi solamente diversi anni dopo l’introduzione delle deroghe in minus [[46]], e più precisamente nel 2014 [[47]], affiancando così al «rischio senza potere», il «potere senza rischio» [[48]]. É anzitutto opportuno ricordare come all’iniziale fase liberale che accomuna le esperienze europee seguì poi la divergenza tra ordinamenti che optarono per la proibizione delle azioni a voto plurimo (con l’Italia, anche Francia, Belgio, Svizzera e Germania [[49]]) e ordinamenti che ne radicarono invece la tradizione, come Svezia e Danimarca, sicché in Europa coesiste oggi un gruppo di Paesi che le ammette, e uno che mantiene il divieto [[50]]. L’Italia nel 2014, con la modifica dell’art. 2351, 4° comma, c.c. è transitata dal secondo gruppo al primo soltanto per quanto concerne le società chiuse e aperte non quotate o quotate su un sistema multilaterale di negoziazione quale [continua ..]
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6. (Segue): ulteriori considerazioni circa la rilevanza del fenomeno per il diritto societario italiano
Si è distinto il piano della migrazione per incorporazione verso altri diritti societari nazionali da quello dell’exchange shopping da parte dei fondatori di società “quotande” con azioni a voto plurimo. Sul punto, occorre sottolineare che mentre le società costituite nei paesi anglosassoni possono strutturarsi liberamente con DCSS per poi quotarsi su una borsa estera che le ammette se quella nazionale le vieta, le società “quotande” italiane possono emettere azioni a voto plurimo e poi quotarsi su un sistema multilaterale di negoziazione o su un mercato regolamentato conservando tale struttura (nel secondo caso grazie all’art. 127-sexies, 2° comma, t.u.f. [[59]]) ma pur sempre nei limiti dei tre voti per azione. Pertanto, la disciplina italiana e quella britannica operano a contrario, stante il combinato disposto degli artt. 2351, 4° comma, c.c. e 127-sexies, 1° comma, t.u.f., e del Companies Act del 2006 e delle Listing Rules applicabili al segmento Premium londinese. Quella italiana, che pone il limite dei tre voti alle “quotande” e vieta l’emissione di azioni a voto plurimo alle quotate, si applica alle società di diritto italiano, e non ostacola perciò la quotazione su un mercato regolamentato italiano di società estere con azioni a voto plurimo [[60]]. Quella britannica, invece, vietava l’emissione di azioni a voto plurimo alle [continua ..]
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7. La proposta di direttiva sulle azioni a voto plurimo
Un’armonizzazione volta a superare la disparità tra i regimi nazionali che caratterizza l’Unione Europea è oggi immaginata dalla Commissione in senso opposto a quello della limitazione dell’ammissione di DCSS. Il 7 dicembre 2022 è stata infatti presentata la Proposta di direttiva sulle strutture con azioni a voto plurimo nelle società che chiedono l’ammissione alla negoziazione delle loro azioni in un mercato di crescita per le PMI [[68]]; l’obiettivo dichiarato è quello di «aumentare la flessibilità concessa dal diritto societario ai fondatori/azionisti di controllo delle società nella scelta delle modalità di distribuzione dei diritti di voto dopo l’ammissione alla negoziazione di azioni». Scrive la Commissione che, tra i rispondenti alla consultazione pubblica più critici delle azioni a voto plurimo, alcuni hanno osservato che tali azioni sono vantaggiose in determinate situazioni, ad esempio per le società guidate dai fondatori, a forte crescita ed innovative. La Commissione ritiene che a dissuadere i fondatori e le famiglie dalla decisione di quotarsi in borsa sia «il timore di perdere il controllo sulla loro società», cosicché «[è] più probabile che le società, in particolare le PMI, si quotino nei mercati pubblici se gli azionisti di controllo possono mantenere il potere decisionale nella [continua ..]
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8. “Fondatori visionari” ed investitori istituzionali come portatori di preferenze divergenti
Non è qui possibile, per ovvi motivi, riprendere il tema esaustivamente esplorato altrove dei vantaggi e dei pericoli connessi alle DCSS [[70]]. Un approfondimento a parte merita invece la tensione tra interessi contrastanti [[71]] che sottende all’introduzione di DCSS configurate come deroghe limitate al principio “un’azione, un voto”, volte a realizzare l’obiettivo di attrarre la quotazione di società guidate da “fondatori visionari” al minimo costo possibile in termini di perdita di standard di buona governance. Ai “fondatori visionari” compete infatti la decisione di scegliere la borsa valori sulla quale quotare la società, e pertanto le borse in competizione tendono ad accomodarne gli interessi delineando una regolamentazione che non li respinga, nello stesso modo in cui i diritti societari dei singoli Stati negli Stati Uniti tendono ad accomodare gli interessi di coloro ai quali spetta la “scelta” dello Stato in cui costituire la società [[72]] (non a caso la section 151 del Delaware General Corporation Law ammette la creazione di DCSS, e la section 212 pone “un’azione, un voto” solo come regola di default). È su questo piano che meglio si comprende la ratio dei presìdi previsti nella riforma delle Listing Rules britanniche. Quest’ultima non sembra configurata come riforma volta a migliorare le regole del diritto [continua ..]
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9. Conclusioni
Dal continuo riferimento al “mantenimento” [[80]] (nonostante la riforma) degli elevati standard di democrazia degli azionisti e protezione degli stessi garantiti sul più regolamentato segmento della borsa londinese, traspare l’impressione che le modifiche siano percepite dalla Financial Conduct Authority, in definitiva, come un male necessario. Evidentemente, i vantaggi derivanti dall’applicazione senza deroghe del principio “un’azione, un voto” – soluzione ottimale per le istanze degli investitori istituzionali [[81]] – non appaiono per l’Autorità sufficientemente bilanciati dal costo rappresentato della perdita delle offerte pubbliche iniziali [[82]]. L’azione a voto plurimo, comunque, non è intesa come un optimum (se non per i fondatori), ma la sua ammissione è, per l’Autorità, mezzo per realizzare uno scopo, quello di rinvigorire il numero di quotazioni sulla borsa. Lo standard di governance superiore di un sistema come quello britannico rimane quello “un’azione, un voto”, a cui infatti deve far ritorno la società dopo un periodo massimo di cinque anni, se vuole rimanere quotata sul segmento Premium, che quegli standard modellati sulle preferenze degli investitori istituzionali al meglio rappresenta. Significativa in questo senso è l’introduzione del Chapter 8A delle Listing Rules di Hong Kong: «Although [continua ..]
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NOTE