Rivista di Diritto SocietarioISSN 1972-9243 / EISSN 2421-7166
G. Giappichelli Editore

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Note minime sull'efficacia della stima peritale nel procedimento di contestazione ex art. 2437-ter, 6° comma, c.c. (di Francesco Marotta)


Il presente contributo si propone di verificare se, nell’ambito del procedimento di contestazione del valore di liquidazione delle azioni recedute, disciplinato dall'art. 2437-ter, co. 6 c.c., la stima rassegnata dal perito nominato dal Tribunale sia efficace nei confronti dei soci recedenti che non abbiano contestato le determinazioni degli amministratori in sede di recesso. Ad un simile interrogativo ha dato risposta negativa una recente pronuncia del Tribunale di Venezia, condividendo quella tesi, definita del “doppio binario”, che ritiene possibile procedere alla liquidazione delle partecipazioni sulla scorta di valori differenti della singola azione. Una simile soluzione, tuttavia, non appare del tutto convincente, in quanto ricavata sulla base di un’interpretazione del dettato normativo che prescinde da una preventiva indagine circa la sua compatibilità con i principi generali del diritto societario e con la ratio del recesso per cause inderogabili.

Some considerations on the protection of the shareholder who has exercised the withdrawal right without challenging the share’s liquidation value pursuant to article 2437-ter (6) of the Civil Code

The purpose of this work is to verify whether, within the proceeding to contest the value of the withdrawn shares, governed by Article 2437-ter of the Italian Civil Code, the estimate reported by the court-appointed expert applies to the withdrawing shareholders who have not challenged the directors' determinations. To such a question, a recent ruling of the Court of Venice gave a negative answer, sharing that thesis, defined as the “double track” which considers it possible to proceed with the liquidation of shareholdings on the basis of different share’s values. Such a solution, however, proves to be inconsistent with the general principles of corporate law and with the rationale of company withdrawal.

MASSIMA: Prevedendo il legislatore l’onere per il socio recedente di contestare il valore stimato dalla società contestualmente all’atto di recesso da formalizzare entro il termine già indicato e potendo il recesso essere esercitato da più soci, non vi è alcuna norma che legittimi la tesi secondo cui sarebbe bastevole anche la dichiarazione di contestazione operata da uno solo di essi affinché anche ai soci recedenti e non contestanti si estenda la diversa stima operata a seguito della contestazione. Il socio recedente che non esprima la sua contestazione a norma dell’art. 2347 ter comma 6 cc accetta di determinare il contenuto e la quantificazione della prestazione a cui è tenuta la società debitrice secondo la proposta dalla medesima fatta, ovvero secondo la stima preventivamente comunicata, mentre nel caso in cui il socio recedente abbia contestato con il recesso detta offerta, la determinazione dell’oggetto della prestazione sarà rimessa al terzo arbitratore che regolerà con effetti negoziali vincolati, non contestabili se non nei limiti di legge, la quantificazione del credito. PROVVEDIMENTO: FATTO E DIRITTO Con atto di citazione di data 7.7.2020, regolarmente notificato, il comune di Roncade ha allegato di essere socio di Asco Holding spa, corrente in Pieve di Soligo ed il cui capitale sarebbe sottoscritto in gran parte da enti pubblici territoriali. L’ente attore ha rammentato che in data 8.6.2018 il CdA di Asco Holding avrebbe deliberato di convocare l’assemblea dei soci per proporre di modificare l’oggetto sociale, prorogare la durata della società fino al 31.12.2050, introdurre la previsione statutaria secondo cui le azioni avrebbero dovuto essere detenute per una partecipazione del 50 % del capitale avente diritto di voto da enti pubblici territoriali, non potendo nessun socio esercitare diritti di voto in misura superiore al 10 % del capitale, introdurre una nuova disciplina statutaria del diritto di recesso ed introdurre limiti alla circolazione e trasferimento delle azioni. Il comune di Roncade ha precisato di non avere concorso all’approva­zione, in sede di delibera assembleare del 23.7.2018, della proposta del CdA e che, per l’effetto, essa avrebbe esercitato il proprio diritto di recesso. Nel dettaglio, il comune di Roncade ha allegato che detto recesso sarebbe stato esercitato con missiva dell’8.8.2018, precisando di essere receduto per la totalità delle 690.032 azioni detenute in Asco Holding spa. Parte attrice ha affermato che Asco Holding avrebbe provveduto a determinare il valore delle azioni, ai sensi dell’art. 2437 ter cc, in euro 3,75.= per ognuna e che, valutando di non avere a disposizione il tempo sufficiente per ottenere una perizia autonoma e vista l’imminente scadenza del termine per esercitare il recesso, non avrebbe proceduto a contestare il valore della sua [continua..]
SOMMARIO:

1. Il caso - 2. Sulla natura “negoziale” della fattispecie: irrilevanza ai fini della decisione - 3. Brevi cenni alla parità di trattamento tra soci - 4. Sulla compatibilità del “doppio binario” con la funzione del recesso (per cause inderogabili) - 5. Ipotesi alternative di tutela del recedente: accettazione con riserva e risoluzione per inadempimento - NOTE


1. Il caso

Nel novembre 2019 un Comune del trevigiano, detentore di una partecipazione di minoranza in una s.p.a., innanzi all’approvazione da parte dell’assemblea di una serie di modifiche statutarie proposte dagli amministratori – tra le quali vi erano il mutamento dell’oggetto sociale e la proroga della durata della società – esercitava il diritto di recesso dalla società ai sensi dell’art. 2437, co. 1 c.c. Contestualmente, il Comune richiedeva alla società di provvedere alla liquidazione delle proprie partecipazioni secondo il valore stabilito dagli amministratori nella relazione di stima ex art. 2437-ter, co. 5 c.c., a patto che il rimborso venisse effettuato entro e non oltre sessanta giorni. Successivamente, il Comune si vedeva costretto a ricorrere in sede monitoria nei confronti della società, la quale veniva intimata a liquidare gli importi dovuti in forza del recesso, effettivamente corrisposti al Comune solo un mese dopo la scadenza pattuita, nello stesso giorno in cui l’esperto, nominato dal Tribunale ai sensi del sesto comma dell’art. 2437-ter c.c. su istanza di altri soci recedenti, rassegnava le proprie conclusioni in merito valore di liquidazione delle azioni, stimato essere superiore a quello determinato inizialmente dagli amministratori. Il Comune adiva pertanto l’autorità giurisdizionale, chiedendo al Tribunale di accertare il diritto a vedersi riconosciuto il maggior valore della quota risultante dall’applicazione del valore azionario individuato dall’arbitratore. Nello specifico, l’attore osservava che, nel silenzio della legge sull’efficacia della stima da questi fornita in esito al procedimento di contestazione, le determinazioni peritali avrebbero dovuto valere nei confronti di tutti i soci recedenti per una medesima causa – contestatori e non contestatori – in forza della considerazione per cui un’interpre­tazione differente della norma da una parte avrebbe comportato un vulnus al principio generale della parità di trattamento tra soci, dall’altra si sarebbe rivelata incompatibile con la funzione di tutela delle minoranze che il legislatore avrebbe assegnato al recesso. La società, dal canto suo, eccepiva la natura negoziale della vicenda intercorsa tra socio receduto e società, deducendo l’incontestabilità postuma del valore di liquidazione proposto dagli [continua ..]


2. Sulla natura “negoziale” della fattispecie: irrilevanza ai fini della decisione

Conviene sin da subito osservare che la pronuncia tocca per la prima volta una questione che, seppur marginalmente affrontata da una parte della dottrina, non è mai stata oggetto di indagine da parte della giurisprudenza. Non esistono, a quanto consta, precedenti giurisprudenziali che possano lumeggiare la strada interpretativa da seguire per riempire di contenuti i silenzi del dettato normativo, dovendosi pertanto l’interprete destreggiare nell’utilizzo dei principi generali che innervano il diritto societario nonché nella ricostruzione dei profili funzionali dell’istituto del recesso. In tal prospettiva, si avverte dalla lettura della sentenza in epigrafe un certo senso di disorientamento del Tribunale veneziano, il quale finisce per accogliere le prospettazioni della società senza però approfondire – o facendolo in maniera disordinata e lacunosa – taluni punti controversi che involgono delle valutazioni meritevoli invece di un ragionamento più profondo ed attento. In primo luogo, il Tribunale lagunare sembra porre alla base del diniego di tutela in favore del recedente l’argomento che fa leva sulla negozialità della vicenda che ha ad oggetto la determinazione nel quantum del diritto al rimborso. Rifacendosi ad un precedente giurisprudenziale conforme [[1]], i giudici osservano che la comunicazione preventiva del valore di liquidazione stimato dagli amministratori ai sensi del quinto comma dell’art. 2437-ter c.c. fungerebbe da proposta contrattuale e la stessa dovrebbe considerarsi accettata dal recedente nell’istante in cui quest’ultimo eserciti il diritto di recesso senza contestare le valutazioni degli amministratori [[2]]. In questo senso deporrebbe, in particolare, il rinvio all’art. 1349 c.c. operato dal sesto comma dell’art. 2437-ter c.c., laddove emergerebbe la volontà del legislatore di lasciare all’autonomia privata la composizione di eventuali conflitti insorti tra socio e società, mediante la stipulazione di un contratto che si occupi di fissare il valore di liquidazione delle azioni. Eppure, sebbene questa ricostruzione sia da condividersi in termini generali [[3]], il Tribunale non sembra centrare del tutto il punto controverso, posto che nel caso in questione non si mette certo in discussione la negozialità della fattispecie ma ci si interroga più che altro sulla sua struttura. Altrimenti [continua ..]


3. Brevi cenni alla parità di trattamento tra soci

Per sfuggire ad un’obiezione di indeterminatezza l’argomento sistematico deve necessariamente permettere di identificare il sistema di riferimento assunto dall’in­terprete, posto che di interpretazione sistematica si può disquisire tanto nel caso in cui si tenti di scegliere il significato della norma nell’ottica di preservare la coerenza dell’intero ordinamento o di un suo settore specifico, sia nel caso in cui si valorizzi la disciplina di un istituto quale portatrice di una sua determinata ratio [[10]]. Sul primo fronte, l’attenzione deve essere riposta sulla aderenza della soluzione esegetica ai principi generali che caratterizzano il diritto societario. Sotto questo specifico profilo, il Comune recedente lamenta che la teoria del “doppio binario” porterebbe a dei risultati applicativi che finirebbero per determinare un vulnus al principio della parità di trattamento tra gli azionisti, che discenderebbe a sua volta da quello di uguaglianza scolpito all’art. 3 della Costituzione [[11]]. Il richiamo alla parità di trattamento, tuttavia, non appare del tutto persuasivo. Non solo perché, come sottolineato in dottrina [[12]], la possibilità di attribuire alle azioni un prezzo differente anche in momenti temporali ravvicinati confermerebbe la relatività della regola paritaria, specie se si considera che nel caso in commento la valutazione dell’esperto non era nemmeno allineata temporalmente alla stima degli amministratori [[13]]; quanto, piuttosto, perché non convincono i motivi per i quali, alla base, il principio della parità di trattamento debba trovare collocazione tra i principi generali della disciplina. Ed infatti, nonostante l’esistenza di una pluralità di disposizioni apparentemente ispirate alla logica egalitaria [[14]], non sussistono elementi tali da far ritenere che esso sia stato elevato dalla riforma a principio cogente del diritto societario e che, per tale ragione, debba essere necessariamente rispettato dall’interprete allorquando si trovi a dover colmare un vuoto normativo. Al contrario, la questione appare tutt’oggi controversa e vi sono anzi argomenti convincenti che portano a negare, se non la sussistenza, quantomeno l’assolutezza di un simile principio; argomenti che conviene dunque passare brevemente in rassegna, rimandando per un maggiore approfondimento ai contributi scientifici [continua ..]


4. Sulla compatibilità del “doppio binario” con la funzione del recesso (per cause inderogabili)

Se si volge lo sguardo alla funzione del recesso per cause inderogabili, la soluzione diviene sicuramente più nitida agli occhi dell’interprete e l’esistenza di un divieto di trattamento discriminatorio in sede di liquidazione può essere razionalmente dedotta dal sistema, inteso in tal caso quale insieme di norme – quelle sul recesso e sulla liquidazione – sorrette da una propria ratio. Non è questa la sede per illustrare i diversi percorsi seguiti dalla dottrina dopo la riforma per ricostruire i profili funzionali dell’istituto, i quali hanno del resto portato ad esiti anche piuttosto differenti. Ci si limiterà, tuttavia, ad evidenziare che uno dei pochi aspetti sui quali si è registrata una certa concordia di opinioni concerne proprio le finalità cui il recesso è preordinato laddove ricorra una delle ipotesi previste al primo comma dell’art. 2437 c.c., insuscettibili di essere soppresse o modificate in senso restrittivo per mezzo di apposite previsioni statutarie. In tali casi, il diritto di recesso assume prioritariamente la veste di strumento reattivo del socio nei confronti di decisioni della maggioranza idonee a modificare in maniera significativa le condizioni di rischio dell’investimento così come ad alterare radicalmente la struttura societaria o l’attività caratteristica esercitata [[25]]. Si tratta, in estrema sintesi, di un contrappeso che il legislatore ha posto al potere della maggioranza di alterare nei suoi elementi essenziali l’originario programma societario [[26]]. Non si nasconde che, sempre in seguito alla riforma, il recesso è divenuto un istituto “polivalente” [[27]], potendo assumere una qualche funzione di impulso della dialettica endosocietaria [[28]], ma appare altrettanto evidente che il nocciolo duro della disciplina, rappresentato dalle cause di recesso inderogabili, continua ad essere fermamente orientato alla tutela del socio minoritario [[29]]. Una forma di tutela che, per essere effettiva, non si esaurisce nel mero e vago riconoscimento del diritto di disinvestire, ma postula necessariamente che al socio uscente venga corrisposto il valore “reale”, o meglio “attuale” [[30]], della partecipazione detenuta, secondo un iter procedimentale predeterminato dal legislatore [[31]]. Attribuire al socio il diritto di disinvestire senza definirne il contenuto, soprattutto [continua ..]


5. Ipotesi alternative di tutela del recedente: accettazione con riserva e risoluzione per inadempimento

Laddove non si trovassero convincenti gli argomenti sin qui proposti e si aderisse pertanto all’opposto indirizzo ermeneutico che ritiene sufficiente l’intervenuta accettazione del recedente ai fini del consolidamento del valore di liquidazione proposto dagli amministratori, va segnalato che le possibilità di tutela del socio non paiono esaurirsi nella mera contestazione del valore di liquidazione. Specialmente quando a recedere sia un ente pubblico diviene infatti notevolmente difficile decidere nel breve termine indicato all’art. 2437-ter c.c. se esercitare o meno il rimedio in questione, poiché l’ente avrà a disposizione poco tempo per valutare, anche nell’ottica di una possibile responsabilità contabile, se mettere in discussione le stime operate dalla società e, per essa, dagli amministratori. Scartata questa ipotesi, conviene pertanto verificare se il socio possa percorrere delle strade alternative, da ricercarsi nell’ambito dei rimedi contrattuali, visto che, come più volte sottolineato dal Tribunale, pur sempre di un “accordo” si parla. Lo stesso Comune, del resto, nelle plurime intimazioni di pagamento destinate alla società, dichiara di riservarsi, in ogni caso, di agire in sede ordinaria per il recupero della eventuale maggior somma dovuta dalla società nel caso in cui la determinazione del perito avesse fatto emergere un valore dell’unità azionaria superiore rispetto a quello stimato dagli amministratori e non contestato dal Comune. Fermo rimanendo che sul punto non paiono essere state formulate specifiche domande dall’attore e che quindi il Tribunale non risulta essersi pronunciato su tale aspetto, queste asserzioni inducono a domandarsi se il recedente possa apporre una riserva alla propria accettazione; o meglio, se possa dichiarare in sede di recesso di accettare la proposta degli amministratori ed al contempo però richiedere alla controparte una prestazione ulteriore, consistente nella corresponsione della eventuale differenza di valore risultante dal raffronto dei diversi risultati valutativi, nel caso in cui un altro recedente svolga contestazione. Della validità di una simile clausola, ad un primo esame superficiale, potrebbe forse dubitarsi, dato che nei fatti mira ed eludere il termine decadenziale previsto per la contestazione ed a permettere al recedente il conseguimento di vantaggi di cui [continua ..]


NOTE