Rivista di Diritto SocietarioISSN 1972-9243 / EISSN 2421-7166
G. Giappichelli Editore

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Il sistema di nomina del collegio sindacale nelle società quotate alla prova del tempo: evidenze da tre casi pratici (di Elisabetta Bellini)


La nomina del collegio sindacale nelle società quotate, al pari di quella del consiglio di amministrazione, si basa sul sistema del voto di lista e sulla dicotomia tra “lista di maggioranza” – cui è assegnata la nomina della maggioranza dei sindaci – e “lista di minoranza”, alla quale spetta la nomina di una minoranza dei sindaci e la presidenza; alcuni casi pratici dimostrano come nei fatti, e primariamente nelle società a partecipazione diffusa, si arrivi a risultati molto diversi dalle originarie intenzioni.

The test of time for the appointment of the board of statutory auditors in listed companies: facts from three cases

The appointment of the board of statutory auditors in listed companies, as for the board of directors, is based on the slate system and on the distinction between a “majority list” – which appoints the majority of the statutory auditors – and a “minority list”, which appoints a minority of statutory auditors and the chairman; some cases show how in practice, and primarily in companies with dispersed ownership, results can be very different from intentions.

SOMMARIO:

I. Il voto di lista per la nomina del collegio sindacale e per la sua presidenza affidata ad un sindaco eletto dalla minoranza - II. La qualificazione della lista di maggioranza e della lista di minoranza in rapporto alla nozione di collegamento - III. Primo caso pratico: incapienza della lista risultata prima per numero di voti - IV. Secondo caso pratico: la gestione del voto “residuale” a maggioranza in un contesto di partecipazione all’assemblea (prevalentemente) mediante deleghe - V. Terzo caso pratico: presidente del collegio tratto da una lista che presenta legami con la lista che ha eletto la maggioranza degli amministratori - VI. Osservazioni conclusive - NOTE no


I. Il voto di lista per la nomina del collegio sindacale e per la sua presidenza affidata ad un sindaco eletto dalla minoranza

La nomina dei componenti del collegio sindacale, nelle società quotate, avviene con il sistema del voto di lista, al fine di garantire che (almeno) un sindaco effettivo sia eletto dai soci di minoranza che non siano collegati, neppure indirettamente, con i soci che hanno presentato o votato la lista risultata prima per numero di voti. Il presidente del collegio sindacale è poi nominato tra i sindaci eletti dalla minoranza [[1]]. L’attuale formulazione delle previsioni sul voto di lista e sulla presidenza del collegio sindacale affidata ad un sindaco “di minoranza” è stata introdotta dalla legge Risparmio dal 2005 [[2]], come modificata dal Decreto Correttivo del 2006 [[3]], sulla scorta di scandali finanziari internazionali e nazionali, al fine di rafforzare il coinvolgimento dei soci di minoranza nell’attività di controllo sulla gestione [[4]]. Come per la nomina degli amministratori, infatti, anche per i sindaci il ricorso al meccanismo del voto di lista è volto a far sì che almeno un sindaco effettivo sia espressione della minoranza. Questo risultato è ottenuto operando una fondamentale distinzione tra “lista di maggioranza” e “lista di minoranza”, nonché facendo in modo che i sindaci non possano essere tutti tratti dalla prima. Inoltre, al fine di evitare condotte elusive (ossia la presentazione di liste “civetta” da parte di soggetti che hanno legami con chi presenta la lista di maggioranza), la lista di minoranza – per essere genuina espressione di soci diversi da quelli identificabili come “maggioranza” e per poter, quindi, esprimere un sindaco effettivo – non deve presentare alcun collegamento con la lista che elegge la maggioranza dei sindaci. Sulla base di quanto declinato da CONSOB nel Regolamento Emittenti [[5]], le regole statutarie delle società quotate fanno sì che tipicamente – in un collegio sindacale formato da tre sindaci effettivi – lo scenario classico sia il seguente: due sindaci effettivi sono tratti dalla lista risultata prima per numero di voti (la “lista di maggioranza”) e il terzo è tratto dalla lista risultata seconda (la “lista di minoranza”); la presidenza del collegio va quindi a quest’ultimo. Tale sistema, e il perseguimento delle finalità che vi sono sottese, è di recente sottoposto [continua ..]


II. La qualificazione della lista di maggioranza e della lista di minoranza in rapporto alla nozione di collegamento

Una questione preliminare in cui ci si imbatte nella prassi è quella della valutazione circa la sussistenza, o assenza, di indici di collegamento tra la lista di minoranza e la lista di maggioranza. Come sopra chiarito, infatti, una lista di minoranza – risultata seconda per numero di voti ottenuti – può concorrere alla nomina dei sindaci, eleggendone una minoranza, solo se non presenta alcun collegamento con la lista di maggioranza risultata prima per numero di voti. Il quadro che emerge dalla regolamentazione e dalla prassi, al riguardo, si caratterizza per due distinti momenti in cui è necessario compiere questa valutazione, nei quali assumono rilievo elementi non perfettamente coincidenti e nei quali si può giungere a conclusioni opposte. Innanzitutto, la norma primaria (art. 148, 2° comma, t.u.f.) ha delegato alla CONSOB la definizione delle modalità di nomina del collegio sindacale, mediante voto di lista, dando rilievo al fatto che il sindaco “di minoranza” debba essere eletto (o, più precisamente, si dovrebbe dire che debba essere proposto e votato) da soci che non siano collegati a quelli che hanno presentato o votato la lista risultata prima; tale previsione dà rilievo, quindi, al risultato della votazione, che permette di distinguere la lista risultata prima (“di maggioranza”) da quella risultata seconda (“di minoranza”). Diversamente, la regolamentazione emanata dalla CONSOB richiede anche una valutazione anteriore, nel momento della presentazione delle liste, circa la sussistenza di rapporti di collegamento. È infatti previsto che i soci di minoranza – per ciò intendendosi quelli diversi dai soci che controllano, anche congiuntamente, o che detengono una partecipazione di maggioranza relativa – dichiarino l’assenza di collegamento nel momento in cui presentano la propria lista [[7]]. Gli indici di collegamento da prendere in considerazione all’atto della presentazione della lista sono i medesimi che la regolamentazione secondaria individua – in via non esaustiva e ammettendo prova contraria [[8]] – per la qualificazione in generale dei rapporti di collegamento tra “soci di riferimento” e “soci di minoranza”, i quali comprendono: l’appartenenza ad un medesimo gruppo, l’adesione ad un medesimo patto parasociale e i rapporti di parentela [[9]]. In [continua ..]


III. Primo caso pratico: incapienza della lista risultata prima per numero di voti

Il primo caso è del 2016. Per il rinnovo del collegio sindacale – costituito da tre sindaci effettivi e due supplenti – vengono presentate due liste: la prima è presentata da un socio di riferimento e contiene un numero di candidati tale da poter nominare l’intero collegio, mentre la seconda è presentata da una serie di soci di minoranza (che rilasciano dichiarazione di non collegamento) e contiene solo un candidato alla carica di sindaco effettivo e un candidato alla carica di sindaco supplente. Tale seconda lista risulta prima per numero di voti ed elegge, quindi, tutti i candidati in essa contenuti, ossia un effettivo e un supplente. Ai sensi dello statuto, dalla lista risultata seconda per numero di voti sono poi tratti un sindaco effettivo e un sindaco supplente. L’esito della votazione non garantisce la corretta costituzione dell’organo di controllo, essendo stati eletti solo due sindaci effetti per incapienza della lista risultata prima. A questo punto, il presidente dell’assemblea invita i soci presenti a formulare proposte al fine di integrare il collegio per avere tre sindaci effettivi. Il rappresentante del socio di riferimento che ha presentato la lista risultata seconda propone, allora, di eleggere alla carica di sindaco effettivo un candidato della propria lista che non era risultato nominato ad esito del voto espresso dai soci sulle liste. La proposta viene messa ai voti. Da verbale risulta che il capitale rappresentato in assemblea in tale momento si è di molto ridotto rispetto a quando si erano svolte le precedenti votazioni (divenendo pari a circa il 32% del capitale rispetto alla quota, pari a quasi il 70%, presente in precedenza). Con ogni probabilità ciò si spiega col fatto che molti soci che hanno conferito delega per l’intervento e il voto in assemblea non hanno materialmente avuto la possibilità di dare istruzioni di voto sulla proposta di “integrazione” del collegio formulata direttamente in assemblea, né avevano prima impartito indicazioni al delegato su come esprimersi in simili situazioni, e quindi sono stati considerati come assenti rispetto a tale votazione. La candidatura individuale proposta, ovviamente, deve essere approvata dalla maggioranza dei voti espressi, non trovando in questo caso applicazione il sistema del voto di lista per il quale si crea una graduatoria e la lista risultata prima non necessita di [continua ..]


IV. Secondo caso pratico: la gestione del voto “residuale” a maggioranza in un contesto di partecipazione all’assemblea (prevalentemente) mediante deleghe

Il secondo caso qui preso in esame, che è del 2021, presenta similitudini con quello precedentemente analizzato. Per il collegio sindacale (così come per il consiglio di amministrazione) sono presentate due liste: (i) la prima da parte di due soci – tra i quali vi è un patto parasociale – che, congiuntamente, detengono poco più del 25% del capitale; tale lista è potenzialmente in grado di nominare l’intero collegio perché contiene tre candidati alla carica di sindaco effettivo e due alla carica di supplente; (ii) la seconda presentata da un gruppo di investitori istituzionali, che congiuntamente detengono il 3% circa del capitale sociale e candidano una sola persona per la carica di sindaco effettivo e un’altra per la carica di sindaco supplente. Ad esito della votazione, la lista presentata dai soci di minoranza risulta prima per numero di voti ed elegge, però, un solo sindaco supplente in quanto tale lista è “incapiente” per eleggerne due. Applicando le regole statutarie, dalla lista risultata seconda (ossia quella presentata dai soci di riferimento) può essere tratto un solo sindaco effettivo. I medesimi soci che hanno presentato la lista risultata “di minoranza”, ad esito della votazione per la nomina del collegio sindacale, hanno anche presentato la lista risultata invece prima per numero di voti e, quindi, “di maggioranza” per la nomina del consiglio di amministrazione, nominandone tutti i componenti tranne uno. Non essendo previsto in statuto alcun meccanismo di “riempimento automatico” per la nomina del collegio sindacale, si applica la regola residuale del voto a maggioranza, sull’assunto che vi sia una proposta formulata in assemblea circa una nuova candidatura, anche attingendo dalla lista che non ha eletto tutti i suoi componenti. Nel caso di specie, l’assemblea si svolge secondo le regole speciali di partecipazione del Decreto Cura Italia [[19]], perciò in presenza del solo rappresentante designato per conto dei soci che hanno conferito delega. Quest’ultimo dichiara di aver ricevuto istruzioni dai soci che hanno presentato la lista risultata seconda di proporre, in questo caso, la candidatura dei soggetti non eletti da suddetta lista. La proposta viene approvata con un numero di voti pari alle azioni che risultano detenute dai due soci che hanno presentato la lista risultata [continua ..]


V. Terzo caso pratico: presidente del collegio tratto da una lista che presenta legami con la lista che ha eletto la maggioranza degli amministratori

Il terzo caso è del 2020 e riguarda la nomina del collegio sindacale nella medesima assemblea in cui si procede alla elezione del consiglio di amministrazione, per il quale è presentata una lista di candidati da parte del consiglio uscente (ai sensi dello statuto che prevede tale possibilità). In particolare, tanto per la nomina degli amministratori quanto per la nomina dei sindaci, sono presentate tre liste, di cui due da soci di minoranza che dichiarano l’assenza di collegamento con soci di riferimento, secondo le informazioni pubblicamente disponibili sulle partecipazioni rilevanti e sui patti parasociali (per la precisione, la lista n. 2 è presentata da un insieme di investitori istituzionali detentori nel complesso di circa il 4,7% del capitale e la lista n. 3 è presentata da due investitori istituzionali titolari congiuntamente di poco più del 1%); la terza lista è – per l’organo di gestione – presentata dal consiglio uscente mentre – per l’organo di controllo – da un socio titolare di una partecipazione pari al 2,5% del capitale (e, quindi, inferiore alla soglia di rilevanza ai sensi dell’art. 120 t.u.f.), parte però di un patto parasociale di consultazione che ha ad oggetto circa il 12% del capitale, di cui la lista in questione è espressione (tale socio è altresì “rappresentato” nella lista presentata dal consiglio uscente per la nomina degli amministratori, attraverso un soggetto che ha ricoperto e ricopre cariche nel gruppo del socio in questione e del suo controllante). Ad esito della votazione, la lista n. 2 presentata da una serie di soci di minoranza risulta prima per numero di voti ed elegge, quindi, due sindaci effettivi, mentre la lista presentata dal socio che è parte del patto parasociale risulta seconda ed elegge un sindaco effettivo. Essendo quest’ultima, secondo la valutazione ex post, la “lista di minoranza”, è nominato presidente del collegio il sindaco effettivo che da essa è stato tratto. Guardando alla sola del nomina del collegio sindacale, il processo è formalmente ineccepibile, in quanto il presidente è tratto dalla lista risultata seconda e quindi qualificata come “di minoranza” alla luce dell’esito della votazione. Da un punto di vista sostanziale, tuttavia, può sorgere qualche dubbio rispetto alla piena [continua ..]


VI. Osservazioni conclusive

In ultima istanza, si tratta probabilmente di accordarsi su quale sia, al fondo, la finalità del sistema di nomina basato sul voto di lista e della previsione che assegna la presidenza del collegio ad uno tra i sindaci espressi dalla minoranza. Si può riconoscere una funzione “minimale”, che è quella di garantire maggiore rappresentatività, ossia fare in modo che l’organo di controllo (così come quello di amministrazione) non sia espressione monolitica di uno o più soci di riferimento, ma sia rappresentativo anche di altre componenti della compagine sociale. Oppure si può ritenere che, in un sistema di checks and balances, la presidenza del collegio debba andare alla minoranza, riferita alla partecipazione al capitale e contrapposta ai soci di riferimento, per avere una vigilanza in qualche modo più forte sulla gestione. Tale secondo risultato poteva essere conseguenza naturale delle norme introdotte nel 2005 in una realtà in cui la distinzione maggioranza/minoranza era tutto sommato semplice, per la presenza di chiari soci di controllo, e coincidente sia nella valutazione ex ante, al momento della presentazione delle liste, sia nella verifica ex post, ad esito delle votazioni. Ciò è ancora possibile in molte società quotate italiane, che vedono un controllo di diritto o di fatto. In quelle, invece, in cui la struttura del capitale evolve verso l’assenza di stabili soci di controllo o di maggioranza relativa, si possono verificare casi come i tre qui presi in esame. Ad ogni modo, pure in situazioni simili, la finalità più elementare della normativa – ossia garantire una rappresentatività più ampia – deve ritenersi garantita. Attraverso il voto di lista e le regole in vigore, infatti, vi è comunque rappresentanza di almeno due liste e due compagini di soci che le hanno votate. Ciò che può venir meno è la regola dei pesi e contrappesi riferita al fatto che la presidenza dovrebbe essere assegnata alla lista di minoranza (intesa, tipicamente, come lista risultata seconda e che ha eletto un solo sindaco effettivo). Tuttavia, si deve anche notare che i casi particolari si verificano per circostanze contingenti e, in ultima istanza, dipendenti dalla volontà dei soci. Ove, infatti, i soci qualificabili come minoranza in termini di partecipazione al capitale, ossia diversi dai soci [continua ..]


NOTE no