Le recenti riforme dell'ordinamento concorsuale non sembrano aver sostanzialmente mutato la struttura degli interessi protetti dal sistema, tanto in materia di diritto della crisi quanto di diritto societario: l'imprenditore in crisi o insolvente deve prioritariamente tutelare gli interessi dei creditori, ed il perseguimento della continuità aziendale, benché incentivata e agevolata, è ancora uno strumento per la migliore tutela degli interessi creditori. Gli altri interessi rilevanti possono essere tutelati, in queste fattispecie, solo quando ciò non cagioni pregiudizio, anche nel senso dell'incremento del rischio, ai creditori.
The recent reforms of the insolvency system do not seem to have substantially changed the structure of the interests protected by the system, both in terms of crisis and company law: the entrepreneur in crisis or insolvent primarily has to protect the interests of creditors, and the pursuit of going concern, even if more encouraged and facilitated, is still an instrument for the more effective protection of the interest of the creditors. The other relevant interests can be protected, in these situations, only where this does not cause prejudice, also in the sense of aggravating the risk, for creditors.
1. Premessa - 2. La mini-Riforma dell’agosto 2021 e l’attuazione della direttiva Insolvency: sostituzione di paradigmi? - 3. La gestione dell’impresa durante la composizione negoziata: interessi tutelati e selezione dei comportamenti ammessi - 4. Il fascino resistibile della gestione della crisi “multistakeholder” - NOTE
Il mondo moderno, soprattutto negli ultimi anni, ci ha abituato a sconvolgimenti improvvisi, ad accelerazioni estremamente brusche di tendenze che prima sembravano procedere con lentezza; in breve, ci ha reso possibile considerare obsoleto quello che quasi sino al giorno primo sembrava ancora “mainstream”. In un lavoro monografico recentemente pubblicato [[1]] avevo cercato di approfondire lo studio degli interessi che l’ordinamento, societario e concorsuale, persegue nelle varie fasi della vita dell’impresa, e degli strumenti che li tutelano, con specifico riguardo alla loro “messa a rischio”. Quel saggio si muoveva in un contesto dominato dall’influenza sistematica del d.lgs. 14 febbraio 2019, n. 14 (c.d. codice della crisi, nel prosieguo anche più brevemente “c.c.i.i.”), considerato di imminente, e soprattutto certa, entrata in vigore. Nel giro di pochi mesi, tuttavia, il Legislatore è intervenuto ancora con decisione, emanando dapprima il d.l. 28 agosto 2021, n. 118 (conv. nella l. 21 ottobre 2021, n. 147, ma d’ora innanzi per semplicità ed abitudine soltanto “d.l. 118”), da un lato differendo ancora l’efficacia del c.c.i.i., dall’altro ponendo le premesse per il totale “eradicamento” dello strumento preventivo delle misure di allerta, già allora inesorabilmente destinate, secondo l’avviso di molti, ad essere sostituite da un modello più “light”, costituito dal nuovo istituto della “composizione negoziata” della crisi (di seguito, solo “CN”) [[2]]. Infine il Legislatore ha provveduto all’attuazione della direttiva Insolvency, introducendo non poche modificazioni, anche “strutturali”, al c.c.i.i., col d.lgs. n. 83/2022 (di seguito, solo “decreto Insolvency”. Non è mia intenzione svolgere in questa sede una ulteriore valutazione della bontà ed efficienza della nuova normativa. Oggetto di queste note è piuttosto verificare se le innovazioni legislative appena sommariamente elencate abbiano in qualche modo modificato l’assetto “valoriale” su cui poggiava il sistema, in un modo tale da rendere non più plausibili, anche solo in parte, le conclusioni cui mi era sembrato possibile giungere nel lavoro monografico di cui sopra. Da parte di molti commentatori (per la verità soprattutto [continua ..]
In base all’art. 4, comma 2, lett. c), c.c.i.i., il debitore ha il dovere di “gestire il patrimonio o l’impresa durante i procedimenti nell’interesse prioritario dei creditori”. In tale precetto, leggermente modificato dal decreto Insolvency, e che pure è apparentemente rivolto al solo debitore, si è (era) soliti rinvenire la sanzione formale e la conferma di quale sia l’interesse tutelato in forma “prioritaria” (o se si crede “prevalente”, non credo che l’oscillazione semantica possa rivestire una particolare rilevanza applicativa) più in generale, e quantomeno, nell’ambito delle procedure regolatorie della crisi [[9]]. Deve ritenersi che con l’introduzione del d.l. 118, e poi soprattutto del decreto Insolvency, entrambi da leggersi alla luce della direttiva Insolvency, le conclusioni di cui sopra siano ancora valide, oppure esse devono essere rielaborate in conformità delle dedotte novità normative? A me sembra che, a prescindere dalla imperfetta confezione delle norme, il d.l. 118 comporti in realtà lo “scardinamento” di un solo paradigma, che non ha tuttavia molto a che vedere con ciò di cui stiamo parlando: ad essere messa “da parte” è sicuramente la dimensione del “potere pubblico” nella regolazione della crisi [[10]], e su ciò qua non mi soffermo. Ma in realtà niente, né nel tessuto del d.l. 118 e soprattutto del decreto Insolvency, né in quello della stessa direttiva Insolvency (cfr. infra), lascia fondatamente supporre che il Legislatore abbia compiuto scelte realmente differenti, dal punto di vista sistematico, circa i fondamenti funzionali del diritto della crisi: e questo tanto con riferimento all’elemento “oggettivo” per l’accesso alle soluzioni regolatorie, quanto e soprattutto riguardo agli interessi tutelati dal sistema. Il Legislatore è anzi esplicitamente intervenuto con norme che risolvono, nettamente a favore della prospettiva della “autonomia” degli amministratori nel decidere quale strumento regolatorio scegliere, e quali contenuti introdurvi, i classici problemi che prima questa ricostruzione offriva, e che erano stati stigmatizzati in dottrina [[11]]: ad es. la perdurante facoltà dell’assemblea di revocare i gestori, e la possibilità di avocare [continua ..]
L’art. 21 c.c.i.i. (riproduttivo dell’art. 9 del d.l. 118, all’esito della conversione in legge [[49]], recita: “nel corso delle trattative l’imprenditore conserva la gestione ordinaria e straordinaria dell’impresa. L’imprenditore in stato di crisi gestisce l’impresa in modo da evitare pregiudizio alla sostenibilità economico-finanziaria dell’attività. Quando, nel corso della composizione negoziata, risulta che l’imprenditore è insolvente ma esistono concrete prospettive di risanamento, lo stesso gestisce l’impresa nel prevalente interesse dei creditori. Restano ferme le responsabilità dell’imprenditore”. La portata “esemplare” dell’art. 19 della direttiva Insolvency, nella storia della redazione della norma, è del tutto evidente e in fondo scontata; e l’“esempio” citato, come si accennava poc’anzi, da un lato fa riferimento espresso tanto agli interessi dei creditori quanto a quelli dei soci e degli altri soggetti “interessati”; dall’altro impone che si tenga conto “come minimo” di tali interessi, allorquando sussista “probabilità di insolvenza” (ossia, quando vi sia “crisi”), al fine di “prendere misure per evitare l’insolvenza”, vietando al contempo quelle condotte che, “deliberatamente o per grave negligenza, mettono in pericolo la sostenibilità economica dell’impresa”. L’interrogativo che dobbiamo porci è ancora una volta se l’intervento normativo recente abbia in qualche modo modificato l’assetto degli obblighi e dei precetti che governano il comportamento degli amministratori (e più in generale degli organi sociali) nel crepuscolo dell’impresa. In realtà a me sembra ancora che, a prescindere dalla imperfetta confezione dell’art. 21, che sembra fare confusione fra interessi tutelati da una parte, e serie dei comportamenti lecitamente assumibili a tutela di tali interessi dall’altro (cfr. infra), il quadro valoriale non sia da ritenersi mutato, e l’intervento abbia semplicemente sanzionato il quadro normativo già in essere, soprattutto dopo la conversione del d.l., senza apportare innovazioni sistematiche di rilievo, almeno sotto questo punto di vista. Come ho già avuto modo di esporre (v. supra, [continua ..]
Sempre nell’ambito del lavoro monografico cui più volte ho fatto riferimento [[77]], avevo dedicato alcune pagine alla prospettiva di una gestione regolatoria della crisi rivolta alla tutela anche di interessi ulteriori ed estranei alla dinamica valoriale “classica”, imperniata sul dualismo fra le sfere soggettive dei soci e dei creditori. In quel contesto, anche in forza della mia convinzione, che spero non poggi troppo su presupposti preconcettuali, improntata ad un certo scetticismo rispetto alla portata realmente efficace e “concreta” di tali elaborazioni [[78]], già sul piano della corporate governance “ordinaria” delle imprese, avevo assunto una posizione di chiusura assai netta, non concedendo per la verità molto spazio alla rilevanza in queste situazioni degli interessi degli stakeholders. Ho tuttavia constatato come le istituzioni comunitarie, a differenza ed in opposizione a quanto si legge nelle prese di posizione ad es. di parte (autorevole) della dottrina nordamericana [[79]], continuino invece ad attribuire una portata “effettiva” a queste elaborazioni, tanto da porle a fondamento di progetti legislativi nell’ambito dei quali si rinverrebbe una qualche efficacia precettiva di tali principi [[80]]; e la materia è stata d’altro canto ancora di recente scandagliata, con piglio e con serietà, da studiosi per niente poco avveduti [[81]]. Ho pertanto voluto riconsiderare qua la questione, in ordine alla quale sono stato forse, in quell’occasione, troppo superficiale. Debbo anticipare subito però che non mi sembra che un maggior approfondimento debba suggerire una valutazione finale sostanzialmente differente, soprattutto con riferimento all’importazione di tali suggestioni nell’ambito del diritto concorsuale. La tematica lambisce quella delle interconnessioni fra i fini “tipici” dell’ordinamento concorsuale, e quelli caratteristici di altri rami del sistema giuridico, ad es. per l’interesse pubblico, a proposito delle società partecipate o controllate da enti [[82]], oppure per il diritto della concorrenza [[83]]. Nel primo caso tuttavia il regolamento di confini è almeno parzialmente definito dalla Legge, che da un lato statuisce in ordine all’applicabilità alle società “pubbliche” del diritto privato, [continua ..]