Rivista di Diritto SocietarioISSN 1972-9243 / EISSN 2421-7166
G. Giappichelli Editore

indietro

stampa articolo indice fascicolo leggi articolo leggi fascicolo


Compenso in stock options degli amministratori e rimedi applicabili in caso di violazione del piano: considerazioni a margine di una recente decisione della Court of Chancery del Delaware (di Enrico Vanzetto)


Lo scritto approfondisce il profilo patologico del compenso in stock option degli amministratori, individuando i possibili rimedi contrattuali e societari messi a disposizione dei soci, e, in particolare, la possibilità di operare un cumulo tra gli stessi. La presente analisi trae spunto dalla sentenza in epigrafe, la quale è intervenuta di fronte ad un caso di violazione del stock options plan da parte degli amministratori, riconoscendo agli shareholders la legittimazione sia ad un’azione contro il breach of contract, sia ad un’azione contro il breach of fiduciary duties.

Directors’ stock options compensation and applicable remedies for violation of the plan: considerations on the edge of a recent Delaware Court of Chancery decision

The paper explores the pathological profile of directors’ stock option remuneration, identifying the possible contractual and corporate remedies available to shareholders, with particular focus on the possibility of cumulation of them. The present analysis takes its cue from the decision at hand, which dealt with a case of breach of the stock option plan by the directors, recognising the shareholders’ entitlement to both a claim against breach of contract and a claim against breach of fiduciary duties.

MASSIMA: L’attribuzione di stock options in misura superiore a quella prevista dall’equity compensation plan approvato dagli azionisti integra sia una violazione dei doveri fiduciari degli amministratori sia un inadempimento contrattuale del piano. Gli azionisti sono, dunque, legittimati sia ad una direct action di natura contrattuale per far dichiarare invalida l’attribuzione delle opzioni sovrannumero, sia ad una derivative action per violazione dei doveri fiduciari, al fine di ottenere il risarcimento dei danni che l’attribuzione può aver causato. Il mancato intervento correttivo da parte degli amministratori di fronte ad una irregolarità oggetto di una segnalazione presentata dal socio di una listed corporation integra una violazione dei doveri fiduciari. PROVVEDIMENTO: In 2019, the stockholders of The ODP Corporation (the “Company”) approved an equity compensation plan (the “2019 Plan”). The 2019 Plan authorizes the Company’s board of directors (the “Board”) to grant awards of performance shares, performance units, restricted stock, restricted stock units, nonqualified stock options, incentive stock options, stock appreciation rights, and other forms of equity-based compensation to officers, employees, non-employee directors, and consultants. A committee of the Board (the “Committee”) administers the 2019 Plan. The 2019 Plan limits the number of performance shares that the Committee can award to any single individual in the same fiscal year. In March 2020, the Committee made two grants of performance shares to the Company’s chief executive officer (“CEO”), defendant Gerry P. Smith (the “Challenged Awards”). Each of the Challenged Awards entitled Smith to receive a variable number of performance shares, with the actual amount determined by the Company’s performance over a three-year measurement period that will end in 2023. If the Company performs well, then the aggregate number of shares that Smith is entitled to retain will exceed the limit in the 2019 Plan. The plaintiff is a stockholder of the Company. He contends that by granting the Challenged Awards, the defendants violated the express terms of the 2019 Plan, and he has asserted a direct claim for breach of the 2019 Plan. The plaintiff also contends that the individual defendants breached their fiduciary duties, and he has sued derivatively on behalf of the Company to recover for the harm that the Company suffered as a result of those breaches. The plaintiff contends that the members of the Committee breached their fiduciary duties by approving the Challenged Awards. He maintains that Smith breached his fiduciary duties by accepting the Challenged Awards. And he contends that all of the members of the Board breached their fiduciary duties by not fixing the Challenged Awards after the plaintiff brought the violation of the 2019 Plan to their attention. [continua..]
SOMMARIO:

1. Caso e decisione - 2. Il tema alla base della pronuncia - 3. Il contratto di stock options: l’applicazione dei rimedi di natura contrattuale - 4. L’impugnazione della delibera sull’attribuzione di stock options - 4.1. La (possibile) determinazione giudiziale del compenso - 5. L’azione di responsabilità: un’eventualità - 6. Denuncia del socio all’organo amministrativo: questioni sull’azione di responsabilità - 7. Il ruolo degli azionisti nella determinazione del compenso: il say-on-pay vote - NOTE


1. Caso e decisione

Nel 2019 il consiglio di amministrazione della The ODP Corporation, società statunitense quotata in borsa, ha adottato un piano di equity compensation, successivamente approvato anche dagli azionisti, che autorizzava l’organo amministrativo ad attribuire stock options agli amministratori, ai direttori e ai dipendenti. L’esecuzione del piano era rimessa alla deliberazione di un comitato di remunerazione composto da quattro amministratori indipendenti, i quali potevano attribuire stock options nei limiti di un valore massimo di azioni previsto dal piano stesso. Nel marzo 2020 il comitato ha deliberato una doppia attribuzione di stock options a favore del ceo (c.d. challenged award), al quale veniva assegnato il diritto di acquistare un numero di azioni nettamente superiore al limite previsto dal piano dei compensi approvato dall’assemblea. Dinanzi a tale circostanza, un azionista – attore principale nella causa – ha inviato una demanding letter al consiglio di amministrazione, chiedendo a quest’ultimo un intervento diretto a porre rimedio all’irregolarità verificatasi [1]. L’intervento correttivo atteso, tuttavia, non ha trovato concretizzazione. Nel maggio 2021, pertanto, il socio (in proprio e in via surrogatoria rispetto alla società) ha instaurato una causa contro il ceo, i componenti del consiglio di amministrazione e del comitato per la remunerazione, per violazione contrattuale del piano e conseguente violazione dei rispettivi doveri fiduciari, oltre ad ingiustificato arricchimento. Le difese opposte dai convenuti ruotavano attorno a tre argomenti interpretativi: (i) il piano dei compensi non avrebbe natura contrattuale, per cui l’attribuzione di stock options in misura maggiore rispetto al piano non rappresenterebbe una violazione contrattuale; (ii) l’attribuzione delle azioni “premio” (rectius, le stock options) riguarderebbe l’esercizio di un potere discrezionale del comitato e sarebbe, dunque, coperto dall’insindacabilità garantita dalla business judgement rule; (iii) l’assegnazione al ceo sarebbe stata comunque oggetto di approvazione da parte dei soci mediante il say-on-pay vote. La Court of Chancery del Delaware ha accolto le domande dell’attore, ritenendo reasonably conceivable che la violazione del piano integrasse un inadempimento contrattuale, oltre ad individuare una violazione dei doveri fiduciari [continua ..]


2. Il tema alla base della pronuncia

La sentenza affronta il tema del compenso degli amministratori, il quale rappresenta una delle questioni di maggior interesse nell’ambito del diritto societario [2], soprattutto con riferimento a due profili: da un lato, la qualificazione della natura del rapporto tra società e amministratore [3]; dall’altro, i requisiti di ragionevolezza e trasparenza nell’ambito del procedimento di determinazione del compenso degli amministratori [4]. Rispetto al rapporto amministrativo, risulta di notevole interesse approfondire la peculiare fattispecie oggetto della sentenza, ossia individuare quali possano essere i rimedi a disposizione degli azionisti di fronte ad una violazione del piano di compensi, avente ad oggetto un compenso c.d. quotativo [5] basato sull’attribuzione di stock options, ad opera degli amministratori. Pare opportuno anche affrontare il tema in chiave comparatistica, verificando se le soluzioni proposte dal giudice statunitense possano trovare un eventuale recepimento nel nostro ordinamento; d’altro canto, l’influenza e la trasponibilità delle soluzioni elaborate dalla Court of Chancery del Delaware sono ben note nel diritto societario europeo [6]. Secondo i rilievi della Court of Chancery, dalla violazione del piano dei compensi spetterebbe ai soci – in ipotesi – una legittimazione all’azione contrattuale contro il breach of contract, al fine di dichiarare l’invalidità dell’illecita attribuzione degli strumenti finanziari, sul presupposto che il piano dei compensi, relativo all’attribuzione di azioni, sarebbe un contratto tra gli amministratori e gli azionisti [7]; mentre spetterebbe alla società la legittimazione all’azione di responsabilità per il breach of fiduciary duty per il danno al patrimonio sociale che tale attribuzione può aver causato [8]. Invero, occorre svolgere una breve considerazione preliminare rispetto a tale soluzione prospettata dalla Corte. Il cumulo, infatti, risulta propriamente non essere tale, dal momento che le due azioni produrrebbero effetti su due diversi piani di rapporti: la prima azione inciderebbe sul solo rapporto contrattuale dato dal stock options plan; la seconda azione, inciderebbe invece sul rapporto amministrativo. Detto ciò, le questioni giuridiche che la sentenza in oggetto solleva, e che ci si prospetta di approfondire nel prosieguo, sono [continua ..]


3. Il contratto di stock options: l’applicazione dei rimedi di natura contrattuale

La funzione del compenso “quotativo” è quella di ottenere una massimizzazione del valore della società a favore degli azionisti, mediante la motivazione e fidelizzazione del management, condizionando la remunerazione di quest’ultimo al raggiungimento di determinate soglie di performance gestoria. In altri termini, si tratta di un incentivo per gli amministratori a perseguire una gestione più equilibrata (ed oggi, anche più sostenibile [9]) in ragione del fatto che il compenso è soggetto agli stessi rischi e opportunità cui sono sottoposte le azioni dei soci ordinari [10]. Nel nostro ordinamento l’attribuzione di un compenso in stock options, potenzialmente applicabile in tutte le società per azioni [11], si basa su due livelli di regolamentazione: il primo, di natura legislativa, è purtroppo quasi del tutto inesistente [12], salve le norme dell’art. 2389, comma 2, c.c. e dell’art. 114-bis TUF, che attengono alla sola fase genetica dei piani [13]; il secondo, di natura negoziale, è dato dal c.d. stock option plan, ossia il contratto stipulato fra la società e l’amministra­tore, che attribuisce (gratuitamente) a quest’ultimo il diritto di acquistare o sottoscrivere partecipazioni ad un prezzo predeterminato, entro una scadenza prefissata (c.d. vesting period) [14]. Nello specifico, tale negozio può essere agevolmente interpretato come un contratto atipico basato sul modello della proposta irrevocabile, dove l’oblato (l’am­ministratore) è libero di esercitare o meno il diritto di opzione [15], il cui oggetto (ossia, il compenso in termini di stock options) è successivamente individuato nel­l’am­bito di un procedimento composito diretto a valutare la performance gestoria e rimesso alla decisione congiunta del comitato per la remunerazione e del consiglio di amministrazione. Ciò premesso, risulta interessante comprendere se a tale fattispecie negoziale, soprattutto nell’eventuale fase patologica, e quindi nell’ipotesi in cui la determinazione del numero di stock options venga effettuata dagli amministratori violando i parametri predefiniti nel equity compensation plan approvato dall’assemblea (come nel caso oggetto della sentenza in commento), sia possibile applicare i rimedi di natura contrattuale. Sul punto, si osserva che [continua ..]


4. L’impugnazione della delibera sull’attribuzione di stock options

Come si intuisce, la soluzione contrattuale ex art. 1349 c.c. andrebbe ad incidere solamente sul quantum della determinazione del compenso, ma non potrebbe intaccare l’atto formale che lo esplica, il quale ha natura societaria: la delibera del consiglio di amministrazione. È dunque chiaro che la soluzione contrattuale non possa essere invocata autonomamente e che quindi potrebbe essere recuperata operando un cumulo (come prospettato in un certo modo nella sentenza) con gli strumenti di natura societaria, in particolare, con l’impugnazione della delibera che ha assegnato le stock options in misura non conforme ai limiti approvati dall’assemblea. Cosicché, da un lato si dovrebbe far valere la dichiarazione di invalidità della delibera, dall’altro si chiederebbe la nomina di un terzo arbitratore per la rideterminazione del compenso. In ipotesi, se si impugnasse la delibera senza chiedere l’intervento di un arbitratore, il giudice, in virtù del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, potrebbe solamente caducare la delibera, ma non potrebbe intervenire sulla rideterminazione del compenso. Inoltre, con la mera impugnazione e il successivo annullamento della delibera, si avrebbe il problema (tipico in queste fattispecie) dell’effettività della decisione: gli amministratori che hanno agito in mala fede dovrebbero loro stessi rideterminare il compenso; ecco, perché appare ragionevole operare un cumulo di azioni. Detto ciò, il ragionamento sull’impugnabilità della delibera, tuttavia, si deve soffermare su due direttive: da un lato, individuare quale sia esattamente la delibera potenzialmente oggetto dell’azione ex art. 2388, comma 4, c.c., (in particolare, se la delibera del consiglio di amministrazione ovvero quella interna al comitato per la remunerazione); dall’altro, individuare i soggetti legittimati attivi all’impu­gnazione della delibera, con specifica attenzione al ruolo dei soci. Quanto alla prima questione, occorre preliminarmente analizzare il rapporto tra l’organo endoconsiliare (rectius, il comitato per la remunerazione) e il consiglio di amministrazione, nell’ambito del procedimento deliberativo in tema di compenso quotativo [20]. Quest’ultimo è suddiviso in due momenti funzionalmente collegati: i.) il primo di competenza del comitato per la remunerazione – costituito da [continua ..]


4.1. La (possibile) determinazione giudiziale del compenso

Ammessa quindi l’applicabilità della disciplina dell’impugnazione della delibera e dell’ar­bitraggio alle ipotesi (quantomeno) di compenso “quotativo”, si rileva che l’effetto dell’ac­co­glimento del cumulo porterebbe all’annullamento della determinazione e alla successiva nomina di un terzo arbitratore il quale dovrà operare ex art. 1349 c.c., rideterminando il numero di stock options attribuibili all’ammi­nistratore oblato. Ciò significa che, se anche l’arbitratore dovesse agire erroneamente, “la determinazione [sarebbe] fatta dal giudice” [30], come previsto anche dallo stesso art. 1349 c.c. Tale risultato, comunque, non sarebbe così avulso rispetto all’ipotesi – ammessa sia in dottrina [31] che in giurisprudenza [32] – in cui l’ammi­nistratore ricorra alla determinazione giudiziale del compenso qualora lo statuto taccia o l’organo assembleare non vi abbia provveduto. L’unica eventuale perplessità, invece, che si potrebbe muovere a tale ricostruzione è legata al fatto che l’intervento del giudice si tradurrebbe in una sostituzione del medesimo nell’adottare una decisione rimessa alla discrezione del comitato per la remunerazione e del c.d.a., con la conseguente attribuzione al medesimo di un rilevante potere discrezionale nella rideterminazione del compenso. Anche qui, però, l’apparente difficoltà è superabile in ragione del fatto che il giudice, che molto probabilmente si avvarrà di una consulenza, sostituendosi all’arbitratore infedele, è comunque tenuto a seguire i parametri predeterminati dalle parti nell’accordo per la determinazione dell’oggetto [33], e che, con riferimento all’attribuzione di stock options, si tratterebbe principalmente di valutare la performance gestoria dell’am­ministratore attraverso i valori risultanti dal bilancio d’esercizio.


5. L’azione di responsabilità: un’eventualità

Come accennato, nella vicenda in esame il giudice americano ha riconosciuto ai soci, parallelamente all’azione contrattuale, anche la legittimazione attiva ad instaurare una derivative action nei confronti di tutti gli amministratori per la violazione dei doveri fiduciari  [34]. A tale riguardo, però, si rilevano alcune perplessità applicative. Infatti, fatte salve le peculiarità delle derivative action del sistema di common law statunitense, l’azione di responsabilità ha come presupposto che la violazione dei doveri fiduciari da parte dell’amministratore abbia comportato un pregiudizio al patrimonio della società: senza danno non vi può essere alcuna azione di responsabilità. Per cui, perché sia ipotizzabile un’azione ex art. 2393 c.c. nei confronti degli amministratori è necessario che vi sia un danno attuale, che, nell’ipotesi di attribuzione sovrannumero di stock options, si concretizzerebbe solamente nel momento in cui l’oblato (rectius, l’amministratore) decidesse di esercitare il proprio diritto di opzione, acquistando o sottoscrivendo le azioni della società. In tale momento, infatti, è possibile ravvisare un danno alla società, corrispondente al valore delle opzioni attribuite (gratuitamente) in violazione del piano di equity compensation [35]. Ragione per cui, dal punto di vista del rapporto amministrativo, il rimedio dell’a­zione ex art. 2393 c.c. sembrerebbe non rappresentare lo strumento primario che la società dovrebbe perseguire per “sanzionare” la violazione dei doveri fiduciari degli amministratori, ricorrendo piuttosto alla revoca degli stessi [36]. Nella comunque remota eventualità che si realizzi il danno anzidetto, guardando alla prospettiva italiana, si prospetterebbe l’instaurazione di un’azione di responsabilità nei confronti: i) del ceo, per aver accettato scientemente un compenso nettamente superiore a quello definito nel limite massimo dai soci; ii) dei componenti del c.d.a., per aver approvato la delibera che ha attribuito il compenso illegittimamente; iii) dei componenti del comitato per la remunerazione, per aver individuato un compenso oltremisura. Specificamente alla posizione di quest’ultimi, si deve peraltro evidenziare che i medesimi, essendo membri di un organo endoconsiliare costituito da amministratori non esecutivi, [continua ..]


6. Denuncia del socio all’organo amministrativo: questioni sull’azione di responsabilità

Il secondo profilo di rilevanza teorica che risulta essere centrale nella decisione in epigrafe concerne il riconoscimento da parte del giudicante di una “novel theory” in tema di responsabilità degli amministratori. In continuità con il precedente Caremark [39], la Corte ha ritenuto che i componenti del consiglio di amministrazione (anche quelli che non hanno approvato la challenged award) della The ODP Corporation fossero responsabili per la violazione dei propri doveri fiduciari, non essendo intervenuti di fronte a una irregolarità oggetto di una c.d. red flag, ossia la demanding letter del socio. Tuttavia, ciò che risulta nuovo e che si differenzia dal precedente Caremark, è il fatto che nel caso in commento viene data rilevanza alla denuncia del socio quale fonte in base alla quale il c.d.a. è venuto a conoscenza dell’irregolarità  [40]. Infatti, il principio derivante dal leading case Caremark non si concentrava sul “come” l’amministratore fosse giunto a conoscenza dell’irregolarità, ma sul “se” conoscesse o avesse dovuto conoscere – in base alla dovuta diligenza – l’irregolarità; così facendo, la decisione della Corte potrebbe invece portare a ritenere esclusa la responsabilità per violazione dei doveri fiduciari qualora l’amministratore non venga a conoscenza dell’irregolarità attraverso un atto formale. Sul punto, la Corte, pur riconoscendo in capo ai soci un diritto di denunciare al­l’organo amministrativo irregolarità, chiede “caution” nelle future applicazioni del principio per evitare un uso abusivo dello strumento della denuncia da parte dei soci, che potrebbero instaurare azioni di responsabilità sulla scorta di denunce intempestive e vaghe. Ad ogni modo, la soluzione non convince perché, a prescindere dalla modalità con cui l’amministratore venga a conoscenza di un fatto irregolare, egli è tenuto, in virtù dei propri doveri fiduciari (connaturati all’incarico), ad intervenire prontamente, soggiacendo in ogni caso a responsabilità per i danni determinati dal mancato intervento correttivo, anche se l’irregolarità non sia stata formalmente e specificatamente oggetto di denuncia. Parimenti con riguardo alla prospettiva italiana, la soluzione proposta non convince [continua ..]


7. Il ruolo degli azionisti nella determinazione del compenso: il say-on-pay vote

Nel riconoscere la legittimazione all’azione di responsabilità ai soci il giudice statunitense nella sentenza in epigrafe ha integralmente rigettato anche la tesi dei convenuti, secondo la quale il voto espresso nell’ambito del say-on-pay da parte dei soci avrebbe autorizzato o ratificato l’irregolarità occorsa nell’attribuzione del compenso al ceo. Secondo la ricostruzione fattuale, in occasione dell’assemblea annuale del 2021 i soci avevano approvato con un voto non vincolante consultivo (il c.d. “say-on-pay”) l’intera politica di remunerazione degli amministratori esecutivi; sulla scorta di tale approvazione, gli amministratori avevano ritenuto ratificata l’attribuzione delle stock options a favore del ceo. L’istituto del say-on-pay vote, avente origine nel contesto giuridico statunitense [45], si presenta come strumento di voice per gli azionisti in tema di compensi degli amministratori, mediante il quale ai soci viene attribuito il diritto di votare le politica di remunerazione (e la successiva attuazione). L’ordinamento italiano ha dato ingresso a tale strumento – anche in aderenza al recepimento operato dall’UE e recentemente riformato con la Shareholders’ Rights Directive II – con l’art. 123-ter TUF, il quale prevede una doppia votazione degli azionisti sul contenuto della relazione sulla remunerazione, il quale si esplica in due sezioni: la prima, di carattere generale, illustra la politica remunerativa degli organi amministrativi della società, i criteri per determinare il compenso, l’introduzione di premi basati sui risultati ottenuti e la definizione del grado di coinvolgimento degli amministratori indipendenti nella definizione del sistema retributivo [46]; la seconda, invece, illustra i compensi corrisposti ai componenti dell’organo amministrativo e le relative voci che costituiscono la remunerazione. La votazione sulla prima sezione ha efficacia vincolante; mentre il secondo voto (c.d. say-on-pay), avente ad oggetto le singole attribuzioni del compenso, è di tipo consultivo non vincolante. Perciò, mai potrebbe quest’ultimo modificare il compenso corrisposto [47], né tantomeno ratificare un’irregolarità legata al singolo compenso di cui gli azionisti sono venuti a conoscenza per di più solamente dopo il voto [48]. Condivisibile è quindi [continua ..]


NOTE