Rivista di Diritto SocietarioISSN 1972-9243 / EISSN 2421-7166
G. Giappichelli Editore

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Le operazioni sul capitale e straordinarie “con parti correlate”: aspetti sostanziali e procedurali (di Fabrizio Guerrera)


L’articolo mira ad analizzare l’applicazione della disciplina sulle operazioni con parti correlate agli aumenti di capitale, alle fusioni, alle scissioni e agli scorpori. Tutte queste operazioni presentano rilevanza organizzativa dal punto di vista della società e sollevano questioni alquanto diverse rispetto alle operazioni di vendita e di scambio. Lo studio dedica particolare attenzione al ruolo degli amministratori indipendenti nella valutazione di convenienza per la società, come pure alle competenze dell’assemblea nella realizzazione dell’inte­resse sociale, onde prevenire ingiustificati trasferimenti di risorse.

 

“Related-party” corporate transactions and reorganizations: substantive and procedural aspects

The paper aims to analyze the application of provisions regarding transactions with related parties to capital increases, mergers, demergers and separations. All of these operations have organizational relevance from the perspective of company and raise quite different issues compared to sales operations and other swap transactions. The paper pays particular attention to the role of independent directors in evaluation of convenience for the company, as well as to power of shareholders meeting in the realization of corporate interest, preventing unjustified transfers of resources.

Keywords: Related-party transactions – Capital measures – Reorganizations.

SOMMARIO:

1. Premessa e prospettiva d’indagine - 2. L’applicazione della disciplina OPC alle operazioni a rilievo “organizzativo” - 3. Gli accordi d’investimento e l’articolazione complessiva dell’operazione - 4. Il parere del comitato OPC e la disciplina del procedimento assembleare alla luce della SHRD II - 5. L’obbligo di astensione degli amministratori interessati - 6. L’esecuzione degli aumenti di capitale - 7. Gli aumenti di capitale con esclusione del diritto di opzione - 8. Gli aumenti di capitale con conferimenti di beni in natura - 9. Scorpori e conferimenti di azienda, partecipazioni sociali o compendi di diritti e rapporti - 10. Le operazioni straordinarie: le scissioni - 11. Segue: le fusioni - 12. Considerazioni conclusive: la valutazione di ragionevolezza dell’opera­zione nella prospettiva degli azionisti “non correlati” - NOTE


1. Premessa e prospettiva d’indagine

L’art. 2391-bis c.c. e il Regolamento Consob n. 17221/2010, come modificato da ultimo con delibera n. 21624/2020, prevedono per le società che fanno ricorso al mercato dei capitali di rischio l’adozione e l’applicazione di regole che assicurino la trasparenza e la correttezza sostanziale e procedurale di tutte le “operazioni con parti correlate”, realizzate direttamente o per tramite di società controllate: che comportino, cioè, un “trasferimento di risorse” tra la società e una parte correlata (come definita dal principio IAS 24, par. 9), a prescindere dalla pattuizione di un corrispettivo e dalla qualificazione giuridica dell’atto che lo determina [[1]]. Queste operazioni presentano profili di “pericolo” per la società o per i soci (o taluni di loro) a causa della “interferenza” di interessi non societari sui centri di potere e decisione, ma possono anche risultare utili e opportune in molte situazioni. Per questa ragione, la tecnica di “neutralizzazione” del rischio di conflitto o di abuso in danno della società – da intendersi qui come sintesi ideale degli interessi di tutti i soci – consiste, anziché nella prescrizione di divieti e sanzioni, nella posizione di speciali regole di organizzazione del processo decisionale societario in funzione essenzialmente preventiva [[2]]. Questo vale non soltanto per gli affari che ricadono nella competenza gestionale ordinaria o straordinaria degli amministratori, ma anche per le operazioni a rilievo “organizzativo” e “riorganizzativo”, nelle quali al “trasferimento di risorse” tra la società e una parte correlata si ricollegano (possibili o anche probabili) “trasferimenti di ricchezza” interni alla società, derivanti cioè dalla riconfigurazione del­l’assetto proprietario e della struttura finanziaria, sebbene tendenzialmente indifferenti ad essa in un’ottica meramente “patrimonialistica”. Nella definizione legale di “operazioni con parti correlate” sono, quindi, ricomprese e alla corrispondente disciplina assoggettate – come si desume indirettamente anche dai casi di “esclusione” ex art. 13, comma 1-bis, Regolamento OPC – le operazioni sul capitale (rectius, alcuni tipi di aumento di capitale a pagamento) e le operazioni [continua ..]


2. L’applicazione della disciplina OPC alle operazioni a rilievo “organizzativo”

La definizione dell’ambito applicativo della disciplina delle “operazioni con parti correlate” agli aumenti di capitale e alle operazioni straordinarie richiede alcune precisazioni. L’art. 13, comma 1-bis del Regolamento OPC esclude espressamente dall’appli­cazione della relativa disciplina gli aumenti di capitale oggetto di offerta in opzione (anche se deliberati a servizio di obbligazioni convertibili), gli aumenti di capitale gratuiti, le scissioni proporzionali “in senso stretto” e le riduzioni volontarie di capitale (assimilate, quali fonte di “distribuzioni” ai soci, all’acquisto di azioni proprie): tutte operazioni che, per loro natura, soggiacciono al principio di parità di trattamento (artt. 92 e 132 t.u.f.) e sfuggono tendenzialmente al rischio di un trasferimento selettivo di ricchezza a vantaggio delle parti correlate. Ciò non esclude, tuttavia, la presenza di alcuni peculiari aspetti delle stesse, che esigono l’assoggettamento alla regolamentazione OPC: si pensi alla “fase esecutiva” degli aumenti di capitale e alla modalità di collocamento delle azioni e dei titoli opzionali da essi rivenienti; o alla delega assembleare all’aumento di capitale, ai sensi dell’art. 2443 c.c., e alle concrete modalità del suo esercizio da parte degli amministratori; o agli “accordi di investimento”, che sovente precedono e regolano in dettaglio lo svolgimento e il contenuto economico-normativo delle operazioni di rafforzamento patrimoniale, finanziamento, fusione, scissione, scorporo, ecc. ivi previste. Tali operazioni possono riguardare direttamente la società soggetta alla disciplina OPC o, invece, svolgersi con il concorso di essa, secondo che mirino principalmente alla sua stessa riorganizzazione ovvero alla sua partecipazione al processo riorganizzativo di altre società. La distinzione potrebbe non essere del tutto chiara nel caso concreto, perché dipende dalle sue caratteristiche e dimensioni relative; ma la valutazione dell’interesse e della convenienza della società mutano in ragione del rapporto tra le società partecipanti e dei mutamenti indotti nell’assetto proprietario e di controllo dell’una o dell’altra. Inoltre, la riorganizzazione potrebbe essere programmata anche in una logica gestionale straordinaria “di gruppo” [[8]], cioè al [continua ..]


3. Gli accordi d’investimento e l’articolazione complessiva dell’operazione

Come si diceva, occorre guardare all’intero “ciclo” dell’operazione di riorganizzazione “con parti correlate”, dalla sua genesi e programmazione, alle decisioni societarie che la realizzano, sino agli atti di esecuzione concreta. A questo scopo l’accordo d’investimento, che mira a regolare in anticipo e dettagliatamente le varie fasi dell’operazione, funge da utile “cornice”, oltre che possibile “oggetto” di analisi. L’accordo d’investimento – com’è noto – disciplina vari aspetti dell’“entrata” dell’investitore nel capitale della società (e talora anche della sua “uscita”) [[14]]. La dimensione programmatica di tale strumento si estende, perciò, dalla fase preparatoria e “conoscitiva” dell’operazione (com’è la c.d. due diligence) alla definizione degli obblighi di prestazione (essenziali e anche strumentali), che le parti assumono al fine di realizzare l’investimento sul piano societario (acquisto di partecipazioni, finanziamento, aumento di capitale, emissione di titoli, fusione, scissione, ecc.) e di proteggere le rispettive finalità soggettive dell’operazione. Inoltre, esso si proietta nel futuro, determinando la disciplina statutaria della società e l’assetto proprietario e di governo della stessa, e spesso prefigurando l’accordo parasociale destinato a regolare i rapporti tra i soci, con l’obiettivo di “assicurare” i diritti dell’investitore dal punto di vista della protezione del valore dell’investimento, del monitoraggio, dell’influenza e del concorso alla gestione della società e della possibilità di disinvestimento. Quest’obiettivo viene perseguito compatibilmente con il “piano industriale”, approvato dagli organi sociali e condiviso con l’investitore, che è posto a base del­l’accordo d’investimento e contribuisce a definire l’interesse sociale in concreto, in quanto idoneo a “sintetizzare” gli interessi dei soggetti partecipanti e quello della società del cui riassetto si tratta o, comunque, a “delimitare” i primi rispetto al secondo. Si registra perciò il rischio latente di una collisione d’interessi o di un abuso dei poteri d’influenza derivanti [continua ..]


4. Il parere del comitato OPC e la disciplina del procedimento assembleare alla luce della SHRD II

Le ragioni e gli obiettivi dell’operazione rappresentano la chiave di volta del­l’interesse sociale “in concreto”, che deve ispirare l’operato dei soggetti chiamati a valutare i caratteri e i termini dell’operazione nella prospettiva di trasparenza e prevenzione che caratterizza la regolamentazione OPC. Si tratta di una valutazione caso per caso che, specie per le operazioni di maggiore rilevanza, come detto, deve investire la medesima nel suo complesso e in ogni aspetto: sia che si acceda alla tesi della piena e anticipata valutazione del “merito” della scelta amministrativa da parte degli amministratori indipendenti e in specie di quelli “non correlati” [[17]]; sia che si ritenga la cognizione dei dati di fatto funzionale a una valutazione di coerenza e ragionevolezza della stessa, specialmente dal punto di vista della tutela degli azionisti “esterni” e degli investitori “non correlati” [[18]]. Il “parere” rilasciato in conformità della disciplina OPC costituisce una fase preliminare o istruttoria che si iscrive necessariamente, alla stregua di una “condizione di validità”, nel procedimento decisionale dell’organo amministrativo, e non un atto deliberativo “autonomo”, se pure a contenuto consultivo. La decisione finale, quale che ne sia il contenuto, resta di competenza dell’organo collegiale plenario di cui gli “indipendenti” fanno parte. Orbene, tale profilo riveste particolare importanza nella dinamica formativa delle operazioni sul capitale e straordinarie con parti correlate, posto che la determinazione delle “condizioni dell’operazione”, alle quali si collegano “l’interesse” e la “convenienza” stessa della società, generalmente non si compie uno actu, ma è – come si diceva – la risultante di un processo formale, che si impernia sulla “proposta di delibera” dell’organo amministrativo. La disciplina italiana, peraltro, anche per le “operazioni di competenza assembleare” previste dall’art. 11 del Regolamento OPC, valorizza particolarmente il ruolo dell’or­gano amministrativo e del comitato OPC nella fase istruttoria e propositiva e prevede, in caso di avviso contrario degli amministratori indipendenti sulla proposta di delibera, l’applicazione della c.d. [continua ..]


5. L’obbligo di astensione degli amministratori interessati

Nel caso di operazioni sul capitale o straordinarie con “parti correlate” (per es., appartenenti allo stesso gruppo o in relazione di joint venture diretta o indiretta o partecipate da uno stesso socio di riferimento o aventi una coincidenza, anche solo parziale, degli organi amministrativi), scatta l’obbligo degli amministratori “coinvolti nell’operazione”, fermo quanto previsto dall’art. 2391 c.c., di astenersi dalla votazione, in conformità dell’art. 2391-bis, comma 3, c.c.: tali sono, secondo l’art. 3, comma 1, lett. i-bis), Regolamento OPC gli “amministratori che abbiano nel­l’operazione un interesse, per conto proprio o di terzi in conflitto con quello della società”. Il nuovo art. 2391-bis c.c. ripristina per le società quotate (come già per le banche e gli intermediari finanziari) l’originaria formula dell’art. 2391 c.c. [[22]] in un’ottica di prevenzione del pericolo di pregiudizio alla società amministrata derivante dal conflitto d’interesse, quand’anche puramente teorico o potenziale: rileva quindi la possibilità di ogni “divergenza” rilevante tra l’interesse proprio o altrui di cui l’amministratore è portatore nell’operazione (id est, l’utilità che potrebbe ricavarne) e l’interesse della società alla soddisfazione ottimale del quale si aspira; restano invece esclusi gli interessi convergenti o indifferenti o sicuramente non contrastanti. Ovviamente non è per nulla facile, specialmente rispetto alle operazioni di natura “riorganizzativa”, effettuare tale verifica e mettere a fuoco gli interessi degli attori e le loro interrelazioni rilevanti. L’amministratore “interessato” deve sempre rappresentare all’organo collegiale la natura, la portata e i termini del proprio interesse nell’operazione ai sensi del­l’art. 2391, comma 1, c.c. (e, per l’aspetto penalistico, dell’art. 2629-bis c.c.) [[23]]; l’obbligo di astenersi rappresenta un presidio aggiuntivo, che riguarda l’ammini­stratore coinvolto nell’operazione, e si limita alla “votazione” della delibera, ma non preclude la sua “partecipazione” alla seduta e al dibattito consiliare cui egli potrebbe apportare elementi informativi di particolare interesse. Si [continua ..]


6. L’esecuzione degli aumenti di capitale

Come si diceva, problemi di applicazione della disciplina sulle operazioni con parti correlate possono registrarsi a livello “esecutivo”, sia negli aumenti di capitale delegati all’organo amministrativo ex art. 2443 c.c. (e quindi in parte sottratti alle regole procedurali ordinarie), sia negli aumenti di capitale offerti in opzione a tutti gli aventi diritto, esclusi per lo meno tendenzialmente dall’ambito applicativo della regolamentazione OPC, perché “neutrali”  [[26]]. Quest’esigenza si riscontra soprattutto allorché si prevede la possibilità di procedere alla copertura (anche parziale ed eventuale) dell’aumento, mediante compensazione dei crediti che sono nella titolarità dei soci in posizione di controllo o d’influenza notevole o di una società del gruppo o in joint venture o soggetta a comune controllo ecc. [[27]]. Se, infatti, da un verso, i soggetti (“parti correlate”) destinatari dell’offerta in opzione (o resisi acquirenti dei “diritti”, ai sensi dell’art. 2441, comma 3, 2° periodo, c.c.), sono interessati a compensare i crediti (finanziari o di diversa origine) con il debito di sottoscrizione derivante dall’esercizio dell’opzione azionaria; dall’altro, gli amministratori del Comitato OPC devono analizzare – a monte o a valle della delibera di aumento e in base alle sue “ragioni”, quando queste vengono concretamente in rilievo – l’interesse della società ad attuare il rafforzamento patrimoniale mediante conversione di debiti in capitale, anziché con versamento di denaro fresco, e valutare la convenienza di tutto ciò alla luce del prezzo di emissione dei titoli, del tasso di conversione pattuito con il sottoscrittore e della situazione finanziaria dell’emittente (considerando anche il rischio di una redistribuzione interna del capitale lesiva della “parità di trattamento” tra gli azionisti). Il problema si può prospettare in termini analoghi nel caso dell’emissione di strumenti finanziari partecipativi a favore di “parti correlate” (di norma, demandata statutariamente alla competenza dell’assemblea), allorquando l’incremento del patrimonio netto avvenga tramite l’eliminazione dei debiti verso i sottoscrittori [[28]], anziché tramite nuovi apporti “fuori [continua ..]


7. Gli aumenti di capitale con esclusione del diritto di opzione

Analoghi problemi si possono registrare per l’esecuzione degli aumenti deliberati ai sensi dell’art. 2441, comma 4, 2° periodo, c.c., cioè caratterizzati dalla c.d. esclusione statutaria del diritto d’opzione “nei limiti del dieci per cento del capitale sociale preesistente, a condizione che il prezzo di emissione corrisponda al valore di mercato delle azioni” [[30]]. Difatti, in fase di collocamento delle azioni, può verificarsi egualmente l’esigenza di valutare la convenienza e le condizioni dell’offerta di conversione dei crediti in capitale di rischio proveniente dai potenziali sottoscrittori, parti correlate. Ma, anche a prescindere da tale evenienza, ove cioè sia prevista la liberazione delle azioni di nuova emissione soltanto mediante versamenti in denaro, il comitato OPC dovrà comunque, in presenza di “offerte di sottoscrizione” dell’aumento provenienti da una parte correlata [[31]], esprimersi sulle modalità di collocamento e sul prezzo di emissione, non potendosi ricomprendere questa tipologia di aumenti di capitale “riservati” fra le ipotesi di esclusione ex art. 13, comma 3, lett. c), Regolamento OPC (cioè tra le “operazioni ordinarie concluse a condizioni equivalenti a quelle di mercato”). Il prezzo di emissione è spesso, infatti, indicato genericamente dalla delibera di aumento di capitale con esclusione dell’opzione ai sensi dell’art. 2441, comma 4, 2° periodo, c.c. in un range di valori al cui interno l’organo delegato effettua la scelta definitiva; inoltre, nella prassi, esso viene di frequente “scontato” in una misura non irrisoria rispetto alle quotazioni correnti per stimolare le adesioni [[32]]. Ragion per cui appare insito in questa tecnica di capitalizzazione, commisuratamente alla discrezionalità attribuita per legge e per statuto agli amministratori, il rischio di abusi da parte dell’organo delegato all’esecuzione dell’aumento, a discapito degli azionisti esclusi dalla possibilità di sottoscrivere le azioni, a causa del trasferimento surrettizio di risorse che potrebbe realizzarsi ai loro danni e a vantaggio dei sottoscrittori prescelti. In generale, poi, in tutti gli aumenti di capitale “riservati”, il rischio di esclusione discriminatoria a danno degli aventi diritto (e, al contempo, di indebito [continua ..]


8. Gli aumenti di capitale con conferimenti di beni in natura

Il problema della trasparenza e della prevenzione dei conflitti d’interessi è, naturalmente, ancor più avvertito per gli aumenti di capitale mediante conferimento di beni in natura, ove la valutazione dell’apporto tiene luogo del versamento di numerario. Il parere del comitato OPC resta indispensabile, nonostante che l’art. 2441, commi 4 e 6, c.c. richieda espressamente agli amministratori di esplicitarne “le ragioni” nella relazione illustrativa della proposta di aumento [[35]] e prescriva di allegare la “relazione giurata dell’esperto designato dal tribunale” ex art. 2343 c.c. o “la documentazione indicata dall’art. 2343-ter, comma 2, c.c.”; e che, inoltre, l’art. 70 Reg. Emittenti preveda particolari termini e modalità per la trasmissione alla Consob e la messa a diposizione del pubblico della documentazione preassembleare, proprio al fine di migliorare l’informazione societaria e di agevolare il compito di vigilanza dell’autorità preposta. La relazione di stima dell’esperto indipendente sul valore dei beni da conferire, ove pure segua le forme più rigide e garantistiche dell’art. 2343 c.c., adotti i principi e i criteri riconosciuti in materia e ne contenga l’idonea illustrazione, resta pur sempre finalizzata alla “determinazione del capitale sociale e dell’eventuale sopraprezzo” nell’interesse della società conferitaria, dei creditori e dei terzi, in quanto espressione del principio di effettività (rectius: di “valoristicamente esatta”) formazione del capitale sociale [[36]]. Essa non riguarda, invece, lo “scambio sottostante” tra i soggetti interessati dall’operazione, cioè le condizioni sostanziali del trasferimento di risorse che la disciplina OPC mira, appunto, a portare alla luce al fine di farle verificare come corrette e convenienti, sullo sfondo di una valutazione preliminare “indipendente” dell’interesse sociale all’operazione e della convenienza della società (la cui determinazione finale resta rimessa in toto, beninteso, al consiglio di amministrazione e all’assemblea). Agli amministratori indipendenti competono, dunque, valutazioni circostanziate – e spesso necessariamente assistite dalle relazioni dei “loro” esperti di fiducia – sul valore intrinseco dei [continua ..]


9. Scorpori e conferimenti di azienda, partecipazioni sociali o compendi di diritti e rapporti

Quanto detto prima vale anche per le operazioni di “scorporo” di azienda o rami d’azienda [[37]], partecipazioni sociali o compendi di diritti e rapporti effettuate da un soggetto conferente “correlato” a favore di una società conferitaria sottoposta alla disciplina OPC non posseduta totalitariamente dallo stesso, la quale aumenti il capitale in contropartita del conferimento, escludendo il diritto di opzione degli altri soci (operazione ricadente appieno nel novero degli aumenti di capitale da liberarsi mediante conferimenti in natura). Ma problemi del tutto analoghi si pongono, mutatis mutandis, per le operazioni di scorporo effettuate da una società soggetta alla disciplina OPC a favore di una conferitaria preesistente, non controllata totalitariamente dalla conferente (e, comunque, non qualificabile come una “parte correlata” alla stregua degli interessi coinvolti), che comportano la sottoscrizione delle azioni emesse dalla società conferitaria a un prezzo che potrebbe avvantaggiare gli altri soci. Rispetto a queste operazioni, infatti, la disciplina comune del procedimento deliberativo non è particolarmente stringente e il coinvolgimento dell’assemblea è soltanto eventuale, essendo limitato – come, del resto, nell’ipotesi inversa di acquisizione di azienda, partecipazioni o rapporti giuridici in blocco – ai soli casi di autorizzazione ai sensi dell’art. 2364, n. 5, c.c. o di modificazione sostanziale dell’oggetto sociale [[38]]. Spetta, comunque, al comitato OPC di compiere la disamina della convenienza complessiva e della correttezza sostanziale, dal punto di vista della società (e di riflesso dei suoi soci), delle condizioni di “scambio” tra il bene conferito (l’azienda, il ramo d’azienda, la partecipazione sociale o il compendio di diritti e rapporti ecc.) e le azioni rivenienti dall’aumento di capitale della conferitaria [[39]]: disamina che dovrà incentrarsi, soprattutto, sull’aspetto valutativo, cioè sul rapporto tra il valore del conferimento e il capitale economico della società che lo riceve e, a fronte di esso, aumenta e “redistribuisce” il capitale azionario tra i soci, con conseguenti inevitabili spostamenti di ricchezza e di potere e con impatti (almeno potenzialmente) lesivi del principio di “parità di trattamento” [continua ..]


10. Le operazioni straordinarie: le scissioni

Le osservazioni sin qui svolte valgono a fortiori per le operazioni straordinarie in senso stretto. Il profilo della valutazione – in questo caso riferito globalmente al “capitale economico” delle società partecipanti [[40]] e, in particolare, al rapporto di cambio tra le rispettive azioni o quote – è infatti essenziale per l’espressione del parere del comitato OPC sulle operazioni di scissione, poiché le situazioni patrimoniali della(e) società interessata(e) alla riorganizzazione sono redatte con l’osservanza delle norme sul bilancio d’esercizio (art. 2501-quater richiamato dall’art. 2506-ter c.c.) [[41]], e quindi a valori “contabili” (e non “reali”). Da ciò discende che, sebbene la “regolarità” dell’operazione sia presidiata dalle relazioni degli amministratori ex art. 2506-ter, comma 2, c.c., dell’esperto incaricato di valutare l’entità del patrimonio apportato alla società partecipante (ove si proceda a un aumento di capitale “riservato”) e dell’esperto incaricato di valutare la congruità del rapporto di cambio (secondo gli artt. 2501-sexies e 2506-ter, comma 3, c.c.) [[42]], è comunque richiesta l’analisi dell’interesse sociale e della sua convenienza e correttezza sostanziale, in funzione della prevenzione degli abusi e dei conflitti d’interessi che potrebbero ledere i soggetti esposti al “rischio” del rapporto con la parte correlata. La disciplina sulle operazioni con parti correlate si applica innanzitutto alla scissione (totale o parziale) non proporzionale, ma riguarda anche a quella proporzionale, se avviene a favore di una società preesistente non interamente controllata dalla scissa e comunque qualificabile come “parte correlata” del­l’emit­tente soggetta alla disciplina OPC; o anche se la scissione avviene in senso inverso, cioè da parte di una società soggetta a tale disciplina e a favore di un’altra che ne è esente, perché non fa ricorso al mercato del capitale di rischio o può avvalersi di una delle esenzioni previste dal Regolamento (cfr. artt. 10, 13 e 14 Regolamento OPC). Il progetto di scissione deve essere “illustrato” da una relazione che lo giustifica sotto il profilo giuridico ed economico (anche con [continua ..]


11. Segue: le fusioni

Il discorso sin qui fatto vale sotto molti aspetti anche per le fusioni. Queste sono assoggettate alla disciplina delle operazioni con parti correlate, anche quando si tratti dell’incorporazione di una società interamente posseduta (art. 2505 c.c.) dalla società “quotata” o “diffusa” (quindi in assenza di soci esterni correlati a essa) o comunque non occorra determinare il rapporto di cambio, ma sussistano i presupposti di cui allo IAS 24, come, per es., il requisito dell’appartenenza allo stesso gruppo ovvero una relazione personale (come nel caso di un dirigente con responsabilità strategiche avente “interessi” in entrambe le società). La fusione, infatti, producendo l’unificazione dei patrimoni e delle imprese delle società partecipanti, al di là dei suoi effetti “riorganizzativi”, comporta sempre un trasferimento di risorse o di passività o di rischi tra diversi centri d’imputazione dei rapporti giuridici, che possono avvantaggiare ingiustificatamente alcuni portatori d’interessi extra-sociali in grado di influenzare il processo aggregativo [[44]]. Occorre tracciare – a questo scopo – una distinzione tra le fusioni “infragruppo” [[45]] (soggette sempre alla disciplina OPC, salve le esenzioni previste) e le fusioni tra società “indipendenti”, ma caratterizzate dalla presenza di “parti correlate”, dotate di poteri d’influenza derivanti dal controllo partecipativo o da cointeressenze contrattuali (per es., joint venture) o da relazioni manageriali ecc. La fusione “a seguito di acquisizione con indebitamento” non costituisce un’ipo­tesi diversa e a sé stante rispetto alle fusioni infragruppo, nell’ottica della disciplina OPC e della protezione anticipata degli azionisti “indipendenti”, se non per quanto concerne la valutazione di ragionevolezza degli obiettivi perseguiti, del prezzo di acquisizione pagato e della “leva finanziaria” applicata nel caso di specie, e quindi della complessiva “sostenibilità” dell’operazione, alla luce delle relazioni suppletive degli amministratori e degli esperti indipendenti prescritte dall’art. 2501-bis c.c. [[46]]. Soltanto nelle fusioni “infragruppo” possono aversi (legittimi) trasferimenti o riallocazioni di risorse [continua ..]


12. Considerazioni conclusive: la valutazione di ragionevolezza dell’opera­zione nella prospettiva degli azionisti “non correlati”

Dall’indagine sin qui svolta emerge che la procedimentalizzazione delle decisioni inerenti alle operazioni sul capitale e straordinarie – sebbene attribuite alla competenza deliberativa piena dell’organo consiliare o assembleare, data la valenza essenzialmente interna del parere reso dal comitato OPC – consente l’emersione, la messa a fuoco e soprattutto la ponderazione degli “interessi interferenti” con quello della società e degli azionisti “disinteressati”. Essa, infatti, presenta diversi aspetti peculiari e giova a prevenire il rischio di conflitti e abusi dannosi, fungendo da utile deterrente rispetto ai trasferimenti occulti di risorse che si celano, spesso, dietro l’apparente “neutralità organizzativa” dell’operazione. Rilevante è, perciò, l’idoneità di tali processi formalizzati ad agevolare pure l’esplicazione di un controllo ex post di “legittimità sostanziale” sui deliberati, in vista dell’eventuale impiego dei rimedi invalidativi e risarcitori, allorquando la decisione sia stata comunque presa e si sia consumata una lesione dell’interesse sociale latamente inteso: ciò che potrebbe dipendere anche dall’occultamento di informazioni rilevanti o dalla manipolazione di dati essenziali o da errori valutativi compiuti nell’analisi sottostante alla decisione assunta o al parere ad essa prodromico o da qualunque altra patologia del processo decisionale, ivi inclusa l’infedeltà patrimoniale, la corruzione privata, l’abuso di mercato, ecc. Orbene, i due poli intorno ai quali la valutazione degli amministratori indipendenti si incentra, cioè, da un verso, l’interesse e la convenienza della società, dal­l’altro, la correttezza sostanziale delle condizioni dell’operazione, sono quelli che caratterizzano – a prescindere dalla configurabilità di un conflitto d’interessi “in senso proprio” – il sindacato sul c.d. abuso del potere deliberativo in danno della società [[50]]: figura che assume particolare significato proprio nelle operazioni di rilievo organizzativo suscettibili di ledere gli interessi di tutti gli azionisti come tali o di violarne la parità di trattamento. Tale sindacato giudiziale si presta, infatti, a una pregnante valutazione di “ragionevolezza” [continua ..]


NOTE