Rivista di Diritto SocietarioISSN 1972-9243 / EISSN 2421-7166
G. Giappichelli Editore

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Indipendenza sostanziale e codice di autodisciplina (di Vincenzo Cariello)


 L’articolo, muovendo da una rilevante ordinanza del GIP di Milano, indaga la c.d. indipendenza sostanziale degli amministratori dichiaratisi indipendenti ai sensi e ai fini del Codice di Autodisciplina, evidenziando i principi ricostruttivi della materia, anche in prospettiva comparatistica.

Independence of Directors and Corporate Governance Code

The article, based on a relevant order of preliminary investigations judge (GIP) in Milan, investigates the independence of directors declared to be independent for the purposes of the Code of Corporate Governance, highlighting the principles of the matter, including from a comparative perspective.

SOMMARIO:

1. Contestazione in sede assembleare dell’indipendenza c.d. sostanziale di amministratori di società quotata qualificatisi e qualificati come indipendenti ai sensi e ai fini del Codice di Autodisciplina e scriminante ex art. 51 c.p. estrinsecantesi quale c.d. diritto di critica: l’ordinanza del GIP del Tribunale di Milano del 3 ottobre 2019 - 2. La rilevanza e l’interesse per il giuscommercialista dell’ordinanza del Tribunale di Milano. Anticipazione delle ragioni di condivisione della statuizione del giudice penale - 3. Premesse di inquadramento sistematico - 4. “Funzioni” o “ruoli” degli amministratori indipendenti (cenni) - 5. Qualifica di amministratore indipendente e perduranti ed endemiche incertezze interpretative - 6. Indeterminatezza della nozione e della fattispecie di amministratore indipendente - 7. Obiettivo generale della definizione di amministratore indipendente - 8. Indipendenza, “autonomia di giudizio” e assenza di conflitti di interesse (rilevanti). In particolare, “autonomia di giudizio” dell’amministratore indipendente - 9. Ancora sintetici riferimenti derivanti dalla comparazione di e tra diritti societari nazionali (id est, orientamenti della giurisprudenza statunitense) - 10. Incertezze definitorie e garanzia dell’effettiva indipendenza: il necessario rigore della valutazione e della verifica del dichiarato requisito dell’indipendenza - 11. La valenza informativa (verso il mercato) della valutazione e della verifica dell’indipendenza - 12. Prevalenza della sostanza sulla forma, indipendenza sostanziale, indipendenza formale - 13. Prevalenza della sostanza sulla forma come principio interpretativo (del­l’Art. 3 del Codice [124]) - 14. Ulteriori evidenze tratte dalla comparazione di e tra diritti societari nazionali (in particolare, indipendenza e Codici di Corporate Governance) - 15. Sempre sulla necessità di auto-valutazioni, valutazioni e verifiche del­l’indipendenza approfondite, mirate, articolate e argomentate (di nuovo, sul necessario rigore nell’accertamento dell’indipendenza) - 16. La connessione esistente tra “singole caratteristiche della qualifica ovvero del ‘processo’ di qualifica di amministratore indipendente attestati ovvero desumibili dal Codice di Autodisciplina” e “rigore nell’attività di accertamento e verifica della esistenza dell’indipendenza dell’am­mi­nistratore” come tale qualificatosi: il ruolo di “vigilanza” dell’ammini­stratore indipendente - 17. (Segue): rigore nell’accertamento dell’indipendenza, molteplicità tipologica delle “funzioni” dell’amministratore indipendente e partecipazione “qualificata” al processo di formazione di decisioni gestionali - 18. (Segue): rigore nell’accertamento dell’indipendenza e assetti proprietari della società - 19. (Segue): in particolare, ancora sul rigore nell’accertamento dell’in­dipendenza e singole caratteristiche della qualifica ovvero del “processo” di qualifica di amministratore indipendente attestati ovvero desumibili dal Codice di Autodisciplina - 20. Rigore nell’accertamento dell’indipendenza, valutazione e verifica delle relazioni commerciali, finanziarie e professionali idonee a compromettere, o che potrebbero apparire idonee a inficiare, l’indipendenza del singolo amministratore - 21. (Segue): in particolare, rigore di accertamento dell’indipendenza, valutazione e verifica delle relazioni commerciali, finanziarie e professionali con il socio ovvero i soci di controllo - 22. (Segue): rigore nell’accertamento dell’indipendenza, valutazione e verifica delle relazioni commerciali, finanziarie e professionali: di nuovo sulla Raccomandazione della Commissione del 15 febbraio 2005, sui Codici di Corporate Governance e su orientamenti di giurisprudenza statunitense - NOTE


1. Contestazione in sede assembleare dell’indipendenza c.d. sostanziale di amministratori di società quotata qualificatisi e qualificati come indipendenti ai sensi e ai fini del Codice di Autodisciplina e scriminante ex art. 51 c.p. estrinsecantesi quale c.d. diritto di critica: l’ordinanza del GIP del Tribunale di Milano del 3 ottobre 2019

Nel corso dell’assemblea ordinaria di società quotata con all’ordine del giorno l’approvazione del bilancio 2016, il soggetto delegato da tre fondi soci c.d. di minoranza di una società quotata preannuncia voto contrario alla relativa deliberazione, motivato dalla “mancanza di fiducia” nei confronti del consiglio di amministrazione. Il delegato connette tale “mancanza di fiducia” a un preteso difetto di reale (c.d. sostanziale) indipendenza in capo a tre amministratori (qualificatisi e qualificati da società quotata) quali indipendenti (anche) ai sensi dell’Art. 3 del Codice di Autodisciplina; ed esplicita fatti esemplificativi dell’affermata carenza di indipendenza sostanziale [2]. Egli auspica che “la verifica sui requisiti di indipendenza venisse condotta in modo più oculato, ‘visto che con riferimento [alla] società, già la magistratura e le autorità di vigilanza si sono pronunciate circa la finta indipendenza di consiglieri, sindaci e consulenti’” [3]. Con atto di denuncia-querela [4] sporta presso la Procura di Milano avverso il soggetto delegato, i tre amministratori lamentano che quest’ultimo “avesse introdotto argomenti gravemente diffamatori con forme dubitative, prospettando ‘un difetto di indipendenza sostanziale’ di alcuni amministratori indipendenti, all’origine, a suo dire, della scarsa efficacia della loro attività, in quanto ‘tutti legati, a vari livelli da rapporti personali, professionali pregressi, condivisioni di incarichi in altre società, hobby in comune’”; e affermano che con le proprie affermazioni, il soggetto delegato abbia “attaccato apertamente i tre consiglieri indipendenti, indicati come soggetti privi dei necessari requisiti di indipendenza e di autonomia di giudizio in ragione di presunti rapporti lavorativi e personali pregressi con l’azionista di maggioranza…Nella sostanza i querelanti [lamentano] che l’indagato li [abbia] accusati in assemblea di aver volutamente operato nell’interesse dell’azionista di maggioranza…Da qui, secondo la prospettazione dei tre consiglieri, l’integrazione del delitto di diffamazione aggravata sotto il profilo di un’avvenuta lesione dell’onore e della reputazione: l’accusa loro rivolta di mancanza di [continua ..]


2. La rilevanza e l’interesse per il giuscommercialista dell’ordinanza del Tribunale di Milano. Anticipazione delle ragioni di condivisione della statuizione del giudice penale

Per il giuscommercialista, l’ordinanza di archiviazione sommariamente ripercorsa rileva per quanto condivisibilmente sia sancito, sia presupposto in ordine ai principi e ai criteri che devono presiedere [10] all’accertamento della esistenza della “qualifica” o del “requisito” di indipendenza di componenti di consigli di amministrazione di società quotate, adottati in sistema di amministrazione e controllo c.d. tradizionale (con assemblea, consiglio di amministrazione e collegio sindacale), qualificatisi (in sede di c.d. autovalutazione) e qualificati dalle stesse società come tali (in fase di valutazione ovvero di verifica, rispettivamente, dell’organo di amministrazione ovvero di controllo), in particolare ai sensi, ai fini e per gli effetti del Codice di Autodisciplina della Borsa Italiana [11]. Al medesimo giuscommercialista è ben noto come, nell’esperienza italiana, risulti avvalorata, da tempo, una forte e ripetuta esigenza che la valutazione e la verifica della indipendenza degli amministratori indipendenti qualificatisi come tali ai fini, ai sensi e per gli effetti dell’Art. 3 del Codice [12] (ma anche dell’art. 147-ter, comma 4, del T.U.F.) divenga più matura e meno legata all’automatica applicazione di criteri predefiniti e tipizzati. Ricorrente la dichiarata esigenza di assicurare l’effettiva, reale indipendenza degli amministratori qualificatisi e qualificati come tali. I dati empirici dimostrano che la garanzia di una sostanziale indipendenza impone l’identificazione, l’elaborazione e la predisposizione di sempre più adeguati, in quanto più accorti e più meticolosi, meccanismi o processi di valutazione e verifica della indipendenza. Si rimarca ed enfatizza, in modo condivisibile, che i consigli di amministrazione debbano esprimere valutazioni approfondite e ponderate, tenendo conto di tutte le informazioni delle quali dispongono – quale ne sia la fonte di approvvigionamento – e che la valutazione dei medesimi consigli sia condotta in buona fede, risulti rigorosa e argomentata. Equilibrata è la constatazione che se effetti giuridici sono connessi da un ordinamento (non rileva, in fondo, se dalla legge ovvero dalla autoregolamentazione) alla qualifica come indipendente di un amministratore, ciò non può accordarsi che a una serietà della qualifica, [continua ..]


3. Premesse di inquadramento sistematico

Stimo propedeutico alla elaborazione e formulazione di successive, più articolate e approfondite, rappresentazioni e considerazioni offrire uno “sguardo d’insie­me” e di sintesi sugli amministratori indipendenti nel T.U.F., nella Raccomandazione della Commissione Europea del 15 febbraio 2005 e nel Codice di Autodisciplina italiano [25]. (A) La scelta del legislatore d’imporre, seppure con differenze tra i vari sistemi di amministrazione e controllo, la presenza, negli organi di gestione di emittenti quotati, di componenti “indipendenti” (artt. 147-ter, comma 4, e 147-quater, comma 1, T.U.F.), tende, come noto, a porre un (ulteriore) presidio a garanzia di una corretta amministrazione sociale: dotati di piena “autonomia di giudizio” (anzitutto, in ragione della loro estrazione o provenienza), gli amministratori (o gestori) indipendenti, operando in seno all’organo amministrativo, dovrebbero concorrere a ridurre l’im­patto degli agency problems [26] essenzialmente collegati all’esercizio della funzione gestoria, a beneficio della collettività degli azionisti e a tutela del “mercato”. L’art. 148, comma 3, T.U.F., nel delineare la nozione legislativa d’indipendenza da riferire anche agli amministratori (indipendenti) di società quotate, ricava la stessa, fondamentalmente, “in negativo”: si esclude, in sostanza, che detta qualità possa essere riconosciuta laddove il soggetto proposto per la carica evidenzi “legami qualificati” con il management della società, di sue controllate, di società che la controllano o sottoposte a comune controllo ovvero sia titolare di rapporti di lavoro o comunque di carattere patrimoniale o professionale (idonei a comprometterne, appunto, l’indipendenza) con gli stessi soggetti appena menzionati. La norma non dettaglia ulteriori “legami” rilevanti e tanto meno fornisce indicazioni sullo “specifico ruolo” che i componenti indipendenti sono chiamati ad assumere nell’ambito dell’organo gestorio della società. In questo silenzio della legge, la dottrina ha maturato, a tale ultimo riguardo, opinioni variegate, seppure accomunate dalla consapevolezza dell’inesistenza – sottolineata anche a livello comunitario – ad esempio, Report of Reflection Group On the Future [continua ..]


4. “Funzioni” o “ruoli” degli amministratori indipendenti (cenni)

Ciò premesso, si può principiare ribadendo come la nozione e la fattispecie di “amministratore indipendente”– e quella correlata di “indipendenza dell’ammi­nistratore”– costituisca, ancora oggi, a dispetto delle non rare critiche avanzate [55], e di presunte evidenze empiriche (nonché regolamentari) di ridimensionamento del “ruolo” in alcuni ambiti (segnatamente, quello bancario [56]), uno dei prodotti di esportazione di maggior successo della corporate governance statunitense, veicolato e “trapiantato” in numerosissimi ordinamenti, compreso in nostro (accolto sia nella disciplina legale, sia in quella autoregolamentare) [57], sulla spinta della legislazione federale [58], delle listing rules, dell’autodisciplina e della case law americane [59]: sì che, in particolare, è agevole riscontare come “corporate governance codes typically stress the need for independent directors, as a means of providing procedural protection against managerial conflicts of interest” [60] e, più in generale, che “there is a convergent practice on the presence of independent directors on the board, whether in a two-tier board structure…or a one-tier structure” [61]. Il ruolo degli amministratori indipendenti continua a rivestire, teoricamente ed empiricamente, particolare rilevanza nella assoluta maggioranza dei sistemi od ordinamenti, continentali e non, di corporate governance [62], in ragione della “funzione” o del “ruolo” (rectius, delle “funzioni” o dei “ruoli”) ascritti agli amministratori indipendenti: segnatamente, funzione e ruolo di vigilanza, sorveglianza o monitoring [63] (sebbene non di debba sottacere e trascurare il dibattito critico che pur interessa il Monitoring Model [64] e il condivisibile assunto che l’indipendenza è potenzialmente rilevante per tutte le basic functions dell’organo gestorio [65]), preferibilmente diversificati quanto al soggetto “vigilato” o “sorvegliato”, vale a dire managers [66] (amministratori non indipendenti, soprattutto quelli con incarichi esecutivi) ovvero socio/soci di controllo [67]. E ciò poiché «[i]ndependence is not an end in itself, but is instead constructed to serve a pre-defined [continua ..]


5. Qualifica di amministratore indipendente e perduranti ed endemiche incertezze interpretative

A fronte di questo “successo”, ancora di recente è stato opportunamente ribadito, nella nostra esperienza giuridica, come i «confini – per meglio dire [i] requisiti – della qualifica di indipendenza” si atteggino come “versante della tematica degli amministratori indipendenti» su cui «si registrano … le maggiori incertezze interpretative» [71]. Il rilievo muove di pari passo con la constatazione che «la pur numerosa e qualificata letteratura [in realtà, non solo italiana] sulla figura degli amministratori indipendenti non sembra aver dedicato soverchia [meglio: davvero adeguata] attenzione ai profili più propriamente applicativi della relativa nozione e definizione» [72]. Il che stupisce, atteso pure che il concetto di indipendenza «non è chiaro per molti dei suoi sostenitori ovvero non ha il medesimo significato per tutti i suoi sostenitori» [73].


6. Indeterminatezza della nozione e della fattispecie di amministratore indipendente

E difatti nonostante la conclamata assenza di una definizione comune di amministratore indipendente (e di indipendenza dell’amministratore) di società quotata [74], la «percepita indeterminatezza del concetto di indipendenza» [75] – vocabolo o espressione tecnicizzati [76] – degli amministratori [77], la ubiquità della nozione registrabile all’interno del medesimo ordinamento italiano [78], la sua conclamata sfuggevolezza e evanescenza, la conseguente (pressoché universalmente attestata) estremamente ardua (se non, allo stato, fin’anche impossibile [79]) elaborazione di una definizione unitaria di amministratori indipendenti e di indipendenza comune e applicabile a tutti gli ordinamenti [80]; e sebbene si confermino, sebbene gli sforzi di affinamento e precisazione, ancora non completamente (ovvero, secondo una opinione abbastanza diffusa nelle differenti esperienze, non sufficientemente) chiari gli stessi “criteri” proposti al fine accertare e valutare se un amministratore, qualificatosi come tale, sia veramente indipendente [81]: nonostante tutto ciò, scarseggiano, a livello comparatistico, appropriate riflessioni teoriche, e delle loro ricadute applicative, sulla “natura dell’indipendenza” [82]. La criticità definitoria si nota e si denuncia tanto dal punto di vista di una definizione generale, quanto sotto il profilo della esaustività di “criteri”, “fattispecie”, “ipotesi”, “situazioni”, “circostanze”, “fattori”, “relazioni”, “parametri” [83] indicativi della (non) indipendenza [84]. Criticità alla quale, per inciso, a me pare contribuisca anche, in parte, la pressoché totale assenza di riflessioni, nel panorama comparatistico, sulle tecniche interpretative o sugli argomenti dell’interpretazione applicabili alle previsioni contenute nei Codici di Autodisciplina e, tra esse, allora, pure alle specifiche disposizioni dedicate all’indipendenza [85]. È così che, ancora di recente, a livello comparatistico, risulta evidenziata la divergenza (rectius, la multiformità) di approcci nei differenti ordinamenti ai criteri/requisiti indicati per definire la indipendenza: «[a]ccordingly, there is no universal definition of ‘independence’. Regulatory standards across [continua ..]


7. Obiettivo generale della definizione di amministratore indipendente

L’assenza di una definizione comune e la inadeguatezza (nel senso della loro endemica non esaustività) delle definizioni di volta in volta proposte non deve svalutare la rilevanza dell’«obiettivo generale dell’esercizio definitorio, che è quello di evitare legami o relazioni dell’amministratore indipendente con l’emittente, i suoi managers o i suoi soci di controllo tali da influenzare la sua autonomia di giudizio» [87]. La correlazione tra definizione della “figura” dell’amministratore indipendente e “obiettivo generale” della sua tipizzazione e assunzione di rilevanza già risulta evidenziata dalla Raccomandazione CE del 2005, Considerando (18): «In generale, i codici sul governo societario, adottati negli Stati membri, riconoscono la necessità che una proporzione considerevole degli amministratori senza incarichi esecutivi o dei membri del consiglio di sorveglianza siano indipendenti, liberi cioè da conflitti di interesse rilevanti. L’indipendenza è spesso intesa come l’assenza di stretti legami con i dirigenti, con gli azionisti di controllo e con la società stessa. In mancanza di una definizione comune di cosa debba intendersi per indipendenza, è opportuno descrivere a grandi linee quale sia l’obiettivo generale» (enfasi aggiunta) [88].


8. Indipendenza, “autonomia di giudizio” e assenza di conflitti di interesse (rilevanti). In particolare, “autonomia di giudizio” dell’amministratore indipendente

Nel contempo, si riscontra assai di frequente la formulazione di un nucleo definitorio generale dell’indipendenza come qualità o requisito imputabile (in particolare) ad (alcuni) amministratori nella sua essenza “qualificante”– quale risulta da una mera ricognizione dei dati legislativi e autoregolamentari-, (prevalentemente) riferita all’autonomia o all’indipendenza di giudizio o al libero apprezzamento [89] (Art. 3 del Codice, Principio 3.P.1, e Commento, p. 16) [90] e all’assenza di conflitti di interessi rilevanti [Raccomandazione CE del 2005, Considerando (7), (8) e (18)] [91]. Invero, come è noto, di per sé, «l’indipendenza di giudizio [92] è un atteggiamento richiesto a tutti gli amministratori, esecutivi o non esecutivi: l’ammini­stratore … opera sempre con indipendenza di giudizio» (Art. 3 del Codice, Commento, p. 16). Nel contempo, l’assenza di una effettiva indipendenza di giudizio acquista una portata e una rilevanza contraddistintiva e connaturante gli amministratori non esecutivi qualificatisi come indipendenti: e ciò, tra l’altro, ai sensi, ai fini e agli effetti (anche) del Codice: «In particolare, gli amministratori non esecutivi, non essendo coinvolti in prima persona nella gestione operativa dell’emittente, possono fornire un giudizio autonomo e non condizionato sulle proposte di deliberazione» (Art. 3 del Codice, Commento, p. 16). Nondimeno, corre l’obbligo di precisare – attesa la non univocità di tesi sul punto – che, al di là della (realmente) potenziale equivocità della classificazione della “indipendenza di giudizio” come “atteggiamento” [93] -, preferibile risulta l’orientamento incline ad ancorare la c.d. autonomia di giudizio «a parametri o situazioni oggettivamente misurabili, sia pure con l’inevitabile discrezionalità che la varietà della casistica pratica impone di considerare» [94]. Altrimenti precisato: «l’invito a far prevalere la sostanza sulla forma … è destinato ad operare pur sempre nell’ambito della c.d. indipendenza in apparenza, non potendo la “sostanza” essere ricercata nello stato mentale individuale … L’applicazione del principio della prevalenza della sostanza sulla forma non [continua ..]


9. Ancora sintetici riferimenti derivanti dalla comparazione di e tra diritti societari nazionali (id est, orientamenti della giurisprudenza statunitense)

In particolare, nella giurisprudenza del Delaware, questa autonomia di giudizio afferente l’esercizio della funzione di ogni amministratore – espressione ed esplicazione del duty of loyalty (inteso come dovere di anteporre il miglior interesse della società a ogni interesse proprio dell’amministratore e non condiviso dagli stockholders) [96] – risulta non di rado verificata sulla scorta del generale Rales Test [97], a mente del quale occorre valutare se il consiglio di amministrazione è in condizione di considerare in modo imparziale un’operazione (una decisione) di sua competenza senza essere influenzato «by improper considerations» e, pertanto, avendo «properly exercised its independent and disinterested business judgment». Correlativamente, la giurisprudenza del Delaware è incline a statuiree che l’in­dipendenza degli amministratori significhi che «a director’s decision is based on the corporate merits» [98].


10. Incertezze definitorie e garanzia dell’effettiva indipendenza: il necessario rigore della valutazione e della verifica del dichiarato requisito dell’indipendenza

In costanza di questo scenario di perduranti incertezze definitorie affliggenti l’amministratore indipendente e l’indipendenza dell’amministratore, anche nell’e­sperienza italiana si riscontra, da tempo, una forte e ripetuta esigenza che la valutazione della indipendenza divenga «più matura e meno legata all’automatica applicazione di criteri, coerentemente con la lettera e con lo spirito del Codice» [99]. Vi è una dichiarata esigenza di assicurare (e attribuire rilevanza solo a) una effettiva indipendenza degli amministratori qualificatisi e qualificati come tali [100]. E ciò perché la “indipendenza formale” non garantisce la “vera indipendenza” [101]: è riscontrabile, infatti, «a growing recognition that a reliance on formal independence, as it has been conceived in corporate governance regulation, is unsatisfactory» [102]. Come è stato rilevato [103], i dati empirici dimostrano, però, che la garanzia di una sostanziale indipendenza imponga la predisposizione di sempre più adeguati, in quanto accorti e meticolosi, meccanismi di valutazione della indipendenza. Si stabilisce, in teoria e in pratica, una correlazione positiva tra sostanziale indipendenza e approfondita (non apparente e prima facie) valutazione della medesima indipendenza. E questo prescinde dall’adesione o meno alla tesi della possibilità ovvero necessità di costruzione ovvero ricostruzione di un vero e proprio “statuto speciale” degli amministratori indipendenti. Si rimarca ed enfatizza, in moco condivisibile, che i consigli di amministrazione debbano «esprimere valutazioni approfondite e mirate …, tenendo conto di tutte le informazioni delle quali dispongono» [104] – e, pare evidente, quale ne sia la fonte di approvvigionamento – e che «la valutazione del Consiglio di amministrazione dell’emittente sia in buona fede, rigorosa e argomentata …» [105]. In definitiva, l’accertamento dell’esistenza effettiva dell’indipendenza degli amministratori deve essere (non può che essere) presidiata da un’attività di valutazione e verifica rigorosa e stringente. Questo importa, all’evidenza, l’esclusione di qualunque apriorismo e la necessità di indagini (seppure equilibrate, ma necessariamente) [continua ..]


11. La valenza informativa (verso il mercato) della valutazione e della verifica dell’indipendenza

Tutto ciò dipende dal profilo funzionale della qualifica (vale a dire, dalle “funzioni” o “ruoli” assegnati agli amministratori non esecutivi indipendenti nel­l’ambito (segnatamente) delle società quotate e anche dalla «circostanza [110] che l’indipendenza può … assumere una valenza “informativa”(o “segnaletica”) nei confronti degli investitori: e ciò, nel presupposto che il rafforzamento del requisito di cui si tratta è percepito dal mercato [al quale l’esistenza di tale requisito è comunicato [111] quale indice dell’adesione della società alle prassi di “buona” corporate governance, con ricadute positive anche sull’efficienza dell’assetto gestorio e di controllo» [112].


12. Prevalenza della sostanza sulla forma, indipendenza sostanziale, indipendenza formale

Tra le due alternative della concezione formale ovvero di quella sostanziale della indipendenza [113], la prevalenza della sostanza sulla forma, esplicitamente prescelta dal vigente Codice di Autodisciplina della Borsa Italiana [114] e da altre esperienze rintracciabili nel panorama comparatistico [115], conduce all’e­nucleazione della esclusiva rilevanza della indipendenza sostanziale (la quale può anche combaciare con o confermare quella formale) in luogo di quella (solo) formale. Più in generale, condivido l’osservazione secondo la quale «l’effettività dei controlli [compresi quelli intraorganici spettanti e incombenti sugli amministratori indipendenti ai sensi del T.U.F. e del Codice] presuppone che i preposti al relativo svolgimento siano indipendenti sul piano sostanziale e liberi da condizionamenti che, pregiudicandone l’obiettività e l’autonomia di giudizio, ostino al corretto svolgimento dei loro doveri» [116]: giacché è conclamato che «all’indipendenza “formale” (o “in apparenza”) potrebbe non corrispondere la certezza di un’ef­fettiva indipendenza mentale, avendosi allora una mera “finzione” di indipendenza idonea a frustrare gli interessi a presidio dei quali è previsto lo svolgimento dei controlli da parte di soggetti indipendenti» [117]. Il principio – a valenza interpretativa (segnatamente, con riguardo alla valutazione e verifica dell’indipendenza dell’amministratore ai sensi, ai fini e per gli effetti dell’Art. 3 del Codice) – della prevalenza della sostanza sulla forma [118] esplica immediata incidenza sulla “responsabilità” della società nel cui consiglio di amministrazione è nominato un consigliere indipendente. Responsabilità che, ai sensi, ai fini e per gli effetti del Codice, incombe, a titolo di valutazione, su tale organo; e a titolo di verifica, sull’organo di controllo interno (nelle s.p.a. cc.dd. a sistema tradizionale, il collegio sindacale) [119]. Nel nostro ordinamento, l’aspetto è ben evidenziato dalla Consob nella Comunicazione n. DEM/10078683 del 24 settembre 2010, “Indicazioni e orientamenti per l’applicazione del Regolamento sulle operazioni con parti correlate adottato con delibera n. 17221 del 12 [continua ..]


13. Prevalenza della sostanza sulla forma come principio interpretativo (del­l’Art. 3 del Codice [124])

Sono convinto che, da un punto di vista di teoria generale e di teoria dell’in­terpretazione – senza ovviamente risultando qui appropriata una indagine di dettaglio –, il principio della prevalenza della sostanza sulla forma, nella accezione espressa dal Codice di Autodisciplina: (i) rappresenti sì un principio interpretativo, me nel senso più appropriato di criterio interpretativo di giudizio, laddove il riferimento specifico al “criterio di giudizio” (della prevalenza della sostanza sulla forma) è probabilmente da intendersi, in via preferenziale, come «semplice strumento per evitare fenomeni di over– o di under-inclusiveness quando il legislatore [ma l’osservazione può essere diffusa anche a una istituzione che rediga corpi di regole] abbia ritenuto inopportuno [o, mi sento di aggiungere, non praticabile] prevedere tutti i casi in cui un interesse, comunque esattamente individuato [nel nostro caso, l’esercizio indipendente di una “funzione” o di un “ruolo”], può essere messo in pericolo» [125]; e che poi (ii) tale principio-criterio presenti una valenza assoluta, non graduabile: nel senso che quel principio, di là che lo si giudichi pertinente classificare come una clausola generale, non è graduabile, non è provvisto di gradi diversi di elasticità (in altri termini, non è principio che come tale si presti a un’interpretazione restrittiva ovvero estensiva. Le peculiarità (proprietarie e/o organizzative della società; personali e di profilo dell’amministratore) possono e devono condizionare la rilevanza delle singole relazioni rispetto alla compromissione della indipendenza: le quali, tuttavia, dovranno essere apprezzate con un’applicazione sempre rigorosa del principio della prevalenza della sostanza sulla forma. Sia l’interprete, sia l’operatore direttamente interessato (nel nostro caso, l’am­ministratore che si qualifichi indipendente, l’organo amministrativo che deve valutare l’attendibilità della qualifica e l’organo di controllo interno che la deve verificare) possano trovare proprio e anche nel principio di prevalenza della sostanza sulla forma il criterio interpretativo di giudizio atto a orientare nella concretizzazione (intesa come [continua ..]


14. Ulteriori evidenze tratte dalla comparazione di e tra diritti societari nazionali (in particolare, indipendenza e Codici di Corporate Governance)

Volendo articolare e approfondire le considerazioni generali che precedono, mi pare utile tronare a precisare, con maggiori dettagli espositivi, che: (i) pur consapevoli della incompletezza di ogni definizione di amministratore indipendente e di indipendenza dell’amministratore, il ricorso a esse risulta tut­t’altro che sporadico, dirigendosi lo sforzo verso la formulazione di quelle che accorpino i più ricorrenti (seppure non del tutto soddisfacenti) indici generali di indipendenza. Emblematico quanto previsto dal § 13.1 della Raccomandazione CE del 2005: «Un amministratore dovrebbe essere considerato indipendente soltanto se è libero da relazioni professionali, familiari o di altro genere con la società, il suo azionista di controllo o con i dirigenti di entrambi, che creino un conflitto di interessi tale da poter influenzare il suo giudizio»; (ii) nei Codici di Autodisciplina attualmente vigenti, l’indipendenza si definisce, in prevalenza, ex ante, nel riscontro di requisiti o criteri formali spesso formulati in termini negativi [128]. A tale “famiglia” di Codici di Corporate Governance appartiene, come noto, quello italiano: l’Art. 3, Principio 3.P.1. definisce indipendenti gli amministratori non esecutivi «che non intrattengono, né hanno di recente intrattenuto, neppure indirettamente, con l’emittente o con soggetti legati all’emittente, relazioni tali da condizionare attualmente l’autonomia di giudizio» [129]; (iii) in alcuni ordinamenti continentali, raccogliendo l’invito del legislatore dell’Unione Europea [130], si assegna espressamente prevalenza alla sostanza sulla forma. Tra questi, si annovera, ancora una volta, anche l’Art. 3 del Codice, Criterio applicativo 3.C.1.: «[i]l consiglio di amministrazione valuta l’indipendenza dei propri componenti non esecutivi avendo riguardo più alla sostanza che alla forma …». È innanzitutto per l’affermazione di questo principio (e, inoltre, per loro natura di presunzioni relative, a carattere non vincolante, delle fattispecie o ipotesi di non indipendenza indicate dai Codici di Autodisciplina) che, «nonostante il rispetto formale dei requisiti di indipendenza», l’amministratore «può essere valutato dal consiglio non sostanzialmente [continua ..]


15. Sempre sulla necessità di auto-valutazioni, valutazioni e verifiche del­l’indipendenza approfondite, mirate, articolate e argomentate (di nuovo, sul necessario rigore nell’accertamento dell’indipendenza)

Le considerazioni che precedono già dovrebbero essere idonee a fondare, senza alcuna perplessità, la conclusione secondo la quale l’esigenza che (i) l’auto-valutazione (da parte del consigliere qualificatosi come indipendente) [157], (ii) la valutazione (del consiglio di amministrazione) sull’indipendenza dell’ammi­nistr­atore così dichiaratosi e (iii) la verifica (del collegio sindacale) su tale valutazione debbano essere condotte e debbano svolgersi in modo approfondito, mirato, articolato e argomentato; in altri termini, con un rigore critico tale da evincere, senza estremismi e automatismi, la reale corrispondenza tra “formale” e “sostanziale” indipendenza o, comunque, tale da stabilire una coincidenza tra “indipendenza dichiarata” e “indipendenza effettiva e reale”. Parimenti non revocabile in dubbio dovrebbe risultare l’ulteriore conclusione (corollario della prima) a mente della quale l’accertamento della effettiva e reale (perché sostanziale) indipendenza dell’amministratore così qualificatosi e qualificato non può dipendere – meglio: non può essere garantita – da un’aprioristica e automatica invocazione/applicazione di non ricorrenza delle fattispecie di non indipendenza esemplificate nell’Art. 3 del Codice [158] e, nemmeno, di quelle ulteriormente enucleate nel relativo Commento ovvero a oggi isolate dalla riflessione teorica e dall’applicazione pratica in argomento (anche comparatistica). L’insieme di tali esemplificazioni costituisce, ovviamente, un prezioso catalogo iniziale di riferimento; tuttavia, proprio per la natura ab origine non esaustiva e non vincolante delle medesime fattispecie, e prima ancora, in ragione del principio interpretativo della prevalenza della sostanza sulla forma, tale insieme si atteggia e deve essere concepito (dall’amministratore, dal consiglio di amministrazione e dal collegio sindacale) come un “catalogo (sempre) aperto”, suscettibile di essere integrato con riferimento al singolo amministratore della singola società.


16. La connessione esistente tra “singole caratteristiche della qualifica ovvero del ‘processo’ di qualifica di amministratore indipendente attestati ovvero desumibili dal Codice di Autodisciplina” e “rigore nell’attività di accertamento e verifica della esistenza dell’indipendenza dell’am­mi­nistratore” come tale qualificatosi: il ruolo di “vigilanza” dell’ammini­stratore indipendente

A me pare non superfluo, nondimeno, sviluppare qualche aggiuntiva precisazione e considerazione, nello sforzo di far risaltare, ancora maggiormente, la necessaria connessione esistente tra “singole caratteristiche della qualifica ovvero del ‘processo’ di qualifica di amministratore indipendente attestati ovvero desumibili dal Codice di Autodisciplina” e “rigore nell’attività di accertamento e verifica della esistenza dell’indipendenza dell’amministratore” come tale qualificatosi. Osservo, in via preliminare, come questo rigore critico di accertamento del possesso della qualifica sia imposto proprio dalla “particolare importanza” del “ruolo di vigilanza” [159] attribuito all’amministratore indipendente, nonché dalla “molteplicità” tipologica delle funzioni (non solo c.d. “di monitoraggio”, ma anche di gestione) degli amministratori indipendenti rispetto agli amministratori esecutivi e (talvolta) anche degli amministratori non esecutivi non indipendenti. In altre parole, si deve stabilire una connessione tra rigore nell’accertamento dell’esistenza dell’effettiva indipendenza di un amministratore e le “funzioni” e i “ruoli” che gli sono intestati in quanto tale (indipendente) dalla disciplina (legale e/o autoregolamentare).


17. (Segue): rigore nell’accertamento dell’indipendenza, molteplicità tipologica delle “funzioni” dell’amministratore indipendente e partecipazione “qualificata” al processo di formazione di decisioni gestionali

Prestando attenzione al profilo della “molteplicità” tipologica delle “funzioni”, è sufficiente osservare che, dal punto di vista della funzione gestionale stricto sensu intesa, gli amministratori indipendenti – godendo di una riserva dispositiva di nomina determinati comitati-ufficio endorganici del consiglio di amministrazione [160] – finiscono per partecipare in modo spiccato (anche) al processo di formazione di decisioni concernenti rilevanti operazioni della società [161]. Ciò è enfatizzato, per cominciare, laddove la società quotata (ovvero che voglia accedere alla quotazione) nel cui consiglio di amministrazione sia stato nominato un amministratore della cui indipendenza si dibatte sia soggetta ad attività di direzione e coordinamento di altra società ovvero (al solo) controllo. Da una parte, l’art. 37, comma 1, lett d), Regolamento Consob n. 16191 del 29 ottobre 2007 (aggiornato con le modifiche apportate dalla delibera n. 18214 del 9 maggio 2012, c.d. Regolamento Mercati): (i)prescrive un espresso divieto di quotazione (e mi pare di potere affermare, di mantenimento dello status di quotazione precedentemente assunto) per società sottoposta a direzione e coordinamento di altra società in assenza di un comitato di controllo interno composto da amministratori indipendenti; (ii) prevede che se «istituiti, anche gli altri comitati raccomandati da codici di comportamento in materia di governo societario promossi da società di gestione dei mercati regolamentati o da associazioni di categoria [siano] composti da amministratori indipendenti»; e richiede (iii) per «le società controllate sottoposte all’attività di direzione e coordinamento di altra società italiana o estera con azioni quotate in mercati regolamentati … un consiglio di amministrazione composto in maggioranza da amministratori indipendenti». Dal canto suo, l’Art. 7 del Codice, Principio 7 P. 4 stabilisce la composizione totalitaria indipendente del comitato controllo e rischi nel caso di emittente sia (“anche solo”) controllato ovvero soggetto ad attività di direzione e coordinamento da/di altra società quotata [162]. Altrettanto, se non più rilevante – giacché prescinde dalla soggezione [continua ..]


18. (Segue): rigore nell’accertamento dell’indipendenza e assetti proprietari della società

A prescindere dall’adesione o meno a quegli orientamenti che sottopongono a revisione critica la perdurante appropriatezza interpretativa e applicativa della distinzione tra funzione degli amministratori indipendenti nelle società quotate cc.dd. a proprietà diffusa o dispersa ovvero in quelle cc.dd. a proprietà concentrata, il suo accoglimento da parte di Codici di Corporate Governance e l’adesione a tali Codici delle singole società conferiscono fondamento alla necessità che la valutazione dell’effettiva esistenza dell’indipendenza di un amministratore sia condotta tenendo conto degli assetti proprietari della singola società nel cui organo di gestione è stato nominato un consigliere qualificatosi indipendente. E, pertanto, prestando attenzione al diritto italiano, nel caso in cui si tratti di società con azionariato diffuso e non soggetta al controllo (ex art. 93 T.U.F.) e/o alla direzione e coordinamento (ai sensi, ai fini e per gli effetti degli artt. 2497 e ss. c.c.), l’autovalutazione e la valutazione del consiglio di amministrazione, nonché la verifica del collegio sindacale dovranno essere condotte verificando in prevalenza la «esigenza di autonomia [dell’amministratore indipendente] nei confronti degli amministratori esecutivi» (Art. 3 del Codice, Commento, p. 16) [164] e in modo tale che il rigore di tali autovalutazione, valutazione e verifica permetta di accertare la sostanziale, e quindi reale ed effettiva, autonomia dell’amministratore qualificato indipendente (in primo luogo) nei confronti gli amministratori esecutivi (e, inoltre, degli altri “esponenti di rilievo” [165] della società). Nell’ipotesi in cui, diversamente, si discorra della indipendenza di un amministratore di società c.d. a proprietà concentrata con un socio ovvero una coalizione di soci di controllo, «pur continuando a sussistere la problematica dell’al­lineamento degli interessi degli amministratori esecutivi con quelli degli azionisti, emerge altresì l’esigenza che alcuni amministratori siano indipendenti anche dagli azionisti di controllo o comunque in grado di esercitare un’influenza notevole» (Art. 3 del Codice, Commento, p. 16): e, pertanto, il rigore delle autovalutazione, valutazione e verifica è [continua ..]


19. (Segue): in particolare, ancora sul rigore nell’accertamento dell’in­dipendenza e singole caratteristiche della qualifica ovvero del “processo” di qualifica di amministratore indipendente attestati ovvero desumibili dal Codice di Autodisciplina

Il rigore di accertamento del possesso della qualifica di indipendente in capo all’amministratore che così si sia qualificato (e in quanto tale, si può aggiungere, sia stato nominato dall’assemblea [[169]]) risulta strettamente connesso, e consequenziale alle singole caratteristiche della qualifica ovvero del “processo” di qualifica di amministratore indipendente attestati ovvero desumibili dal Codice di Autodisciplina. È sufficiente osservare che la stretta connessione e conseguenzialità si può agevolmente cogliere e stabilire, ictu oculi, tra: (i) rigore di e nell’accertamento dell’esistenza dell’indipendenza dell’ammini­stratore e principio di prevalenza della sostanza sulla forma [[170]]; (ii) rigore di e nell’accertamento dell’esistenza dell’indipendenza dell’ammini­stratore e non tassatività (Art. 3 del Codice, Criterio applicativo 3.C.1.; cfr. pure Criterio applicativo 3.C.4, primo capoverso, e Commento, p. 16) [[171]] delle “ipotesi” o fattispecie di non indipendenza classificate nell’Art. 3 del Codice, Criterio applicativo 3.C.1, lett. a)-h), anche per come chiarite e arricchite dal relativo Commento. In particolare, torna utile che richiami di nuovo l’attenzione sul chiarimento secondo il quale «la non tassatività delle ipotesi indicate nei criteri applicativi implica la necessità di prendere in esame anche ulteriori fattispecie, non espressamente contemplate, che potrebbero apparire comunque idonee a compromettere l’indipendenza dell’am­ministratore» (Art. 3 del Codice, Commento, p. 16) [[172]]. Il rigore dell’accertamento dipende anche dal “grado di ‘e’asticità”” delle fattispecie elencate [[173]]; (iii) rigore di e nell’accertamento dell’esistenza dell’indipendenza dell’ammini­stratore e non vincolatività delle predette “ipotesi” (Art. 3 del Codice, Commento, p. 16) [[174]]. L’approccio valutativo (e di verifica) non può che essere ispirato a rigore considerando che, in concreto, come ricordato, possono non essere considerati indipendenti coloro per i quali (addirittura) nessuna di queste “ipotesi” risulti integrata ovvero, all’inverso, [continua ..]


20. Rigore nell’accertamento dell’indipendenza, valutazione e verifica delle relazioni commerciali, finanziarie e professionali idonee a compromettere, o che potrebbero apparire idonee a inficiare, l’indipendenza del singolo amministratore

Qualche riflessione specifica merita la necessità di un approccio rigoroso per la valutazione (auto-valutazione e valutazione del consiglio di amministrazione) e per la verifica (a opera del collegio sindacale) delle relazioni commerciali, finanziarie e professionali idonee a compromettere, o che potrebbero apparire idonee a inficiare, l’indipendenza del singolo amministratore. Ciò in ragione, già e anzitutto, dell’approccio di considerazione e regolamentazione adottato dal Codice: e precisamente all’Art. 3, Criterio applicativo 3.C.1, lett. c), là dove prevede che «[i]l consiglio di amministrazione valuta l’indipendenza … tenendo presente che un amministratore non appare, di norma, indipendente … c) se, direttamente o indirettamente (per esempio, attraverso società controllate o delle quali sia esponente di rilievo, ovvero in qualità di partner di uno studio professionale o di una società di consulenza), ha, o ha avuto nell’esercizio precedente, una significativa relazione commerciale, finanziaria o professionale: – con l’emit­tente, una sua controllata, o con alcuno dei relativi esponenti di rilievo; con un soggetto che, anche insieme con altri attraverso un patto parasociale, controlla l’emittente, ovvero – trattandosi di società o ente – con i relativi esponenti di rilievo …» [184]. Possono assumere rilevanza, in singoli casi concreti (con riferimento al singolo amministratore di una determinata società), anche: (i) relazioni non economiche (le cc.dd. non-pecuniary relations [185]), le quali, comunque, evidenzino «strong connections» tra l’amministratore presunto indipendente, amministratori esecutivi e/o il socio/i soci di controllo [186] o anche titolari dell’attività di direzione e coordinamento; (ii) relazioni non propriamente significative ma comunque rilevanti ovvero attinenti a operazioni importanti della società; come pure relazioni non significative in senso assoluto; (iii) relazioni cc.dd. indirette; (iv) relazioni anteriori all’anno dalla nomina dell’amministratore. In questo senso depongono, oltre che la generale e univoca premessa riferita a tutte le ipotesi elencate all’Art. 3 del Codice, Criterio applicativo 3.C.1, lett. a)-h) («…ipotesi, da considerarsi non [continua ..]


21. (Segue): in particolare, rigore di accertamento dell’indipendenza, valutazione e verifica delle relazioni commerciali, finanziarie e professionali con il socio ovvero i soci di controllo

In particolare, sono persuaso che, anche in ragione della “funzione” o del “ruolo” di sorveglianza o monitoraggio assegnato agli amministratori indipendenti su amministratori esecutivi e sul socio ovvero sui soci di controllo – con maggiore o minore enfasi su uno dei due profili, a seconda delle caratteristiche proprietarie della società-, ai fini di valutare e verificare periodicamente (id est, dalla nomina fino alla cessazione dalla carica) la effettiva (perché sostanziale ovvero per questo sostanziale) indipendenza di un amministratore tale qualificatosi, debba essere presa in considerazione ogni relazione, di qualunque natura, attuale e (più o meno) pregressa e datata, del medesimo amministratore e con amministratori esecutivi e con il socio o i soci di controllo ed, eventualmente, titolari dell’attività di direzione e coordinamento ex art. 2497 ss. c.c., al fine di accertare con ragionevolezza se la relazione crei conflitti di interesse tali da ragionevolmente inficiare l’indipendenza dell’amministratore e da determinare, quindi, la sua c.d. cattura da parte del socio ovvero dei soci di controllo ed, eventualmente, di direzione e coordinamento. Solo assegnando questa estensione al “raggio” di veridizione dell’indipendenza si può affermare il rispetto sostanziale e reale del principio di prevalenza sulla forma, nonché delle raccomandazioni (del Codice) che sanciscono la valenza di presunzioni relative delle fattispecie, situazioni, relazioni (di norma) di non indipendenza e la loro non vincolatività. In altri termini: relazioni di ogni natura [195], attuali ovvero pregresse (in questo caso, più o meno risalenti), potrebbero rivelare comportare un sostanziale conflitto di interessi dell’amministratore indipendente tale da inficiare la sua indipendenza. L’approdo a un’attendibile valutazione e verifica dell’indipendenza presuppone che valutazione e verifica (i) censiscano una data relazione, (ii) ne apprezzino la ragionevole rilevanza soggettiva per l’amministratore (della cui indipendenza si dibatta) e (iii) ne sappiano cogliere il ragionevole effetto o meno generativo di un conflitto di interessi tale da minare la sua indipendenza.


22. (Segue): rigore nell’accertamento dell’indipendenza, valutazione e verifica delle relazioni commerciali, finanziarie e professionali: di nuovo sulla Raccomandazione della Commissione del 15 febbraio 2005, sui Codici di Corporate Governance e su orientamenti di giurisprudenza statunitense

La massima estensione del riferimento a ogni tipologia di relazione, non solo professionale, sembra essere stata suggerita, ai singoli legislatori dei Paesi della Comunità Europea, dal § 13.1 della Raccomandazione CE del 2005: «[u]n amministratore dovrebbe essere considerato indipendente soltanto se è libero da relazioni professionali, familiari o di altro genere con la società, il suo azionista di controllo o con i dirigenti di entrambi, che creino un conflitto di interessi tale da poter influenzare il suo giudizio»; anche se poi la fattispecie minimale – nel senso di relativa alla relazione di cui almeno si raccomanda ai legislatori nazionale di tenere debitamente conto – risulta così declinata nell’Allegato II, § 1, lett. e): «non dovrebbe avere o aver avuto nel corso dell’ultimo anno un rapporto di affari importante con la società o una società collegata, né direttamente né come socio, azionista, amministratore o dirigente di un soggetto che abbia un tale rapporto d’affari. Per rapporto d’affari si intende la situazione di un fornitore importante di beni o servizi, compresi i servizi finanziari, legali e di consulenza, di un cliente importante e di organizzazioni che ricevono contributi considerevoli dalla società o dal suo gruppo». Dal canto suo, la ricognizione comparatistica dei Codici di Corporate Governance [196] evidenzia come, con riferimento alle relazioni commerciali, finanziarie e/o professionali, in effetti in alcuni di essi si indichi l’anno anteriore alla nomina quale amministratore come termine temporale di riferimento rilevante in termini di condizione sintomatica di potenziale pregiudizio dell’indipendenza [197], pur riscontrandosi altri approcci di selezione temporale delle relazioni in parola [198]; e/o con soggetti diversi da quelli menzionati, giacché la rilevanza della relazione deve essere apprezzata caso per caso [199]. Anche nell’esperienza statunitense, il rigore nella valutazione “ad ampio raggio” di relazioni professionali e personali, da una parte, conduce, ad esempio, sulla scorta di quanto sancito da non esigua giurisprudenza [200], a statuire che «allegations of mere personal friendship or mere outside business relationship, standing alone, are insufficient to raise a reasonable doubt about a director’s [continua ..]


NOTE