Rivista di Diritto SocietarioISSN 1972-9243 / EISSN 2421-7166
G. Giappichelli Editore

indietro

stampa articolo indice fascicolo leggi articolo leggi fascicolo


Usucapione di quote di s.r.l. (di Vincenzo De Stasio)


Il problema della sicurezza dell’acquisto di quote di s.r.l., che avrebbe potuto essere risolto dall’acquisto a non domino in applicazione dell’art. 2470, 3° comma, c.c., è diversamente risolto nella prassi giurisprudenziale italiana mediante l’applicazione dell’istituto dell’usucapione della quota sociale. Il saggio ravvisa in tale prassi un trapianto giuridico delle norme del diritto tedesco.

Adverse Possession of Shares in Limited Companies

The essay recognizes the non-application of the non-domino purchase rule of art. 2470 of the Italian Civil Code and its replacement by adverse possession in the practice of the courts. On closer inspection, it is an undeclared transplant of foreign law (from German § 16 GmbHG).

Keywords: adverse possession – share – limited company – business register.

SOMMARIO:

1. Una premessa metodologica - 2. La controversia sulla «natura» della quota di s.r.l. - 3. Usucapione di azienda, di azioni e di quote - 4. Certezza delle situazioni giuridiche e acquisti a titolo originario della quota sociale: la prassi italiana abrogativa della fattispecie dell’art. 2470, 3° comma, c.c. e il trapianto giuridico della prassi tedesca della Gesellschafterliste - 5. Usucapione di beni mobili registrati e applicazione della norma del § 16, Abs. 3, GmbHG - NOTE


1. Una premessa metodologica

Accingendosi nel 1979 a trattare dell’azienda e del suo trasferimento, Giovanni Emanuele Colombo ha ritenuto necessario formulare una premessa di metodo che va rammentata anche con riferimento ai temi dell’acquisto di quote di s.r.l., avvertendo che occorre “semplicemente diffidare da – e mettere in guardia contro – le superfetazioni concettualistiche. È ben vero, infatti, che l’interpretazione di singole norme di legge non può correttamente farsi se non leggendo tali norme alla luce di altre, che ne delimitano o ampliano il significato; è pure esatto che spesso da alcune norme fondamentali si possono desumere le note caratteristiche di un istituto, le quali sono poi utili per l’interpretazione di altre norme disciplinanti lo stesso istituto. Ma quando non ci si limita ad interpretare le norme le une per mezzo delle altre, e si giunge invece a costruire su alcune norme un concetto dottrinale del quale ci si serve poi per interpretare le stesse norme, l’operazione o è scarsamente utile o pericolosa. Infatti, o il concetto dottrinale (la «natura giuridica») è esattamente dedotto dalle norme, ed allora esso non «serve ad interpretare le norme» ma semplicemente coincide con l’interpretazione sistematica di esse (alla quale si limita ad aggiungere una definizione, utile solo a fini classificatori); oppure il concetto dottrinale giunge, per il noto fenomeno della «magia delle parole», a risultati che non sono contenuti nelle norme, ed in tal caso la sua utilizzazione in via interpretativa conduce a far dire alle norme ciò che queste non dicono” [[2]]. Il Maestro ricordava anche che la ricerca della natura giuridica dell’azienda “può tuttavia essere fruttuosa per l’interprete se essa consente di integrare la disciplina specifica con altra disciplina, non dettata per essa espressamente ma applicabile ad una categoria in cui si sia accertato (con quella ricerca) che l’azienda rientra. In questo caso la costruzione non si limita ad un’operazione classificatoria e nominalistica (ed in quanto tale, come si diceva, o improduttiva o pericolosa) ma perviene ad un risultato interpretativo utile, poiché tra il risalire dalle norme alla natura giuridica ed il ridiscendere dalla natura giuridica alla rilettura delle norme inserisce il medio del rinvenimento di altre norme, disciplinanti o [continua ..]


2. La controversia sulla «natura» della quota di s.r.l.

È a tutti noto che il tema della «natura giuridica» della quota di s.r.l. è stato terreno di scontro dottrinale aperto [[4]], quasi una riproposizione – per quanto in sedicesimo, per la «parvitas materiae» – delle controversie teologiche che hanno dato luogo ai più grandi scismi. Del resto, anche il Maestro del Maestro [[5]] riservò le proprie considerazioni «sul carattere finalistico delle qualifiche legislative, e sugli effetti del concettualismo giuridico» a un saggio sul carattere mobiliare delle azioni e quote di società, osservando – a partire dalla distinzione romanistica tra res mancipi e res nec mancipi, per finire con la distinzione tra cose mobili e immobili – che “in tutti gli ordinamenti giuridici, classificazioni e istituti sorti con un loro fondamento razionale ed economico, sopravvivono alle condizioni in cui sorsero, e il diritto, per le sue tendenze tradizionalistiche e conservatrici, restandovi formalmente fedele, le trasforma e le deforma per utilizzarle nelle nuove situazioni e piegarle alle nuove esigenze. Il diritto, invece di creare nuove categorie e nuove classificazioni, fa rientrare a forza con artifici logici razionalmente discutibili, i nuovi fenomeni e le nuove esigenze nei vecchi schemi” [[6]]. Al giorno d’oggi, risulta pressoché consolidata nella giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione – con l’unica, importante eccezione di Cass. 27 novembre 2019, n. 31051 [[7]] – la tesi che le quote sociali, sia delle società di capitali sia delle società di persone, costituiscono posizioni contrattuali «obbiettivate», suscettibili, come tali, di essere negoziate in quanto dotate di un autonomo «valore di scambio» che consente di qualificarle come «beni giuridici» [[8]]. L’importanza di tale qualificazione non deve tuttavia essere sopravvalutata, dandosi altrimenti adito ai rischi di «concettualismo» da lungo tempo evidenziati [[9]]. Nel tracciare un profilo storico della s.r.l. alla luce delle riforme dell’ultimo decennio, si è scritto recentemente che “la deriva della società a responsabilità limitata verso «la piccola società per azioni con azioni chiamate quote», cioè verso una società per azioni «a scartamento [continua ..]


3. Usucapione di azienda, di azioni e di quote

L’usucapione non trova una collocazione sistematica codicistica nell’ambito della s.r.l. o più in generale nella trattazione del Libro V, rispetto alle partecipazioni sociali. Si tratta di un istituto, disciplinato dal codice civile nel Libro III soltanto per «i beni» [[12]], e costituisce un modo di acquisto del diritto di proprietà (o di un altro diritto reale di godimento) – appunto, su un «bene» – per effetto del possesso esercitato sul bene e del decorso del tempo. La disciplina del tempo necessario per l’acquisto è diversa a seconda che il bene sia mobile (art. 1161 c.c.), immobile (artt. 1158 e 1159 c.c.), universalità di mobili (art. 1160 c.c.) o mobile iscritto in pubblici registri (art. 1162 c.c.) e può variare, nell’ambito di ciascuna categoria di beni, in ragione dello stato di buona o mala fede del possessore non proprietario, e della trascrizione del titolo di acquisto del possessore nei pubblici registri, ovviamente solo per i beni la cui circolazione è soggetta a un regime di pubblicità: per gli immobili (art. 1159) e i beni mobili registrati (art. 1162, 1° comma: usucapione col decorso di tre anni dalla data della trascrizione, in forza di un titolo che sia idoneo a trasferire la proprietà e che sia stato debitamente trascritto). L’individuazione dei beni che possono essere usucapiti avviene solo indirettamente [[13]], dato che in linea generale possono essere usucapiti «tutti i beni suscettibili di possesso». L’azienda, in passato ritenuta insuscettibile di usucapione come bene unitario distinto da quelli di cui si compone [[14]], è stata più di recente ritenuta oggetto di usucapione come tale, in un caso deciso dalle Sezioni Unite della Cassazione nel 2014 [[15]]. Va però soggiunto che l’azienda si compone di una pluralità di beni e che normalmente non manca un sostrato materiale suscettibile di consegna e di possesso [[16]], nel senso proprio di «possesso della cosa» e non soltanto in quello traslato di «possesso dei diritti» (anche se non manca chi ribadisce, con riferimento all’azienda, che “la nozione di «possesso» in questa materia allude a una fenomenologia completamente diversa da quella attinente alle cose, perché si riferisce anche all’esecuzione dei contratti e [continua ..]


4. Certezza delle situazioni giuridiche e acquisti a titolo originario della quota sociale: la prassi italiana abrogativa della fattispecie dell’art. 2470, 3° comma, c.c. e il trapianto giuridico della prassi tedesca della Gesellschafterliste

L’esistenza di un mercato richiede un minimo di tutela dell’acquirente dalle contestazioni del proprio titolo di acquisto: tra queste, la più insidiosa risiede nella contestabilità senza limiti di tempo del titolo di acquisto, fondata sul vizio della titolarità dell’alienante. Detta contestabilità risulta esclusa, per i beni mobili, dalla eventualità che il trasferimento del possesso e la buona fede dell’acquirente «sanino» il difetto di titolarità dell’alienante, secondo una regola di acquisto a titolo originario contenuta nell’art. 1153 c.c., la cui fattispecie anticipa – ricorrendone le condizioni – l’effetto acquisitivo a titolo originario che, in mancanza, si attua con il decorso del tempo necessario a usucapire. Per i beni mobili suscettibili di acquisto a non domino, dunque, l’usucapione assume un rilievo pratico limitato alle ipotesi di assenza o invalidità del proprio titolo di acquisto. La difficoltà di «fare rientrare a forza, con artifici logici razionalmente discutibili, il nuovo fenomeno della quota di società e le nuove esigenze di tutela nelle operazioni di M&A, nei vecchi schemi del bene mobile suscettibile di possesso», aveva indotto una parte della dottrina a riporre qualche fiducia, per la tutela delle ragioni del mercato, piuttosto che nell’istituto dell’usucapione, nella nuova disposizione dell’art. 2470, 3° comma, c.c. e in una sua interpretazione in termini di chiave di volta del sistema. La norma dell’art. 2470, 3° comma, sin da prima della sua effettiva vigenza (a partire dal 1° gennaio 2004), ha purtroppo determinato forti polemiche, non essendone condivisa l’interpretazione sistematica in termini di acquisto a titolo originario («a non domino») [[31]] piuttosto che di criterio di preferenza solo tra acquisti subordinati alla effettiva titolarità in capo al comune dante causa [[32]]. L’esposizione critica delle ragioni dell’una e dell’altra tesi condurrebbe lontano dal tema del presente contributo [[33]]. Non è chi non veda, in ogni caso, che qui sta «il cuore del problema» [[34]]. La tesi di chi scrive resta quella che il diritto vigente in Italia, correttamente interpretato secondo criteri di logica sistematica e di razionalità, preveda un’ipotesi [continua ..]


5. Usucapione di beni mobili registrati e applicazione della norma del § 16, Abs. 3, GmbHG

Se per le quote di s.r.l. si esclude che l’art. 2470, 3° comma, c.c. costituisca fattispecie di acquisto a titolo originario, allora soltanto l’usucapione potrebbe ambire a porsi come fattispecie di pratico accadimento dell’acquisto di una quota di s.r.l. «non a titolo derivativo» (accanto alla partecipazione alla costituzione o all’au­mento di capitale, che tuttavia non comportano la perdita di titolarità in capo a un precedente socio, per la contestuale «creazione» dell’oggetto del diritto). Tuttavia l’applicazione di un istituto basato sul possesso richiede di superare le difficoltà legate al possesso dei diritti, con un’evidente forzatura, replicando ancora una volta quel fenomeno per cui «in tutti gli ordinamenti giuridici, classificazioni e istituti sorti con un loro fondamento razionale ed economico, sopravvivono alle condizioni in cui sorsero, e il diritto, per le sue tendenze tradizionalistiche e conservatrici, restandovi formalmente fedele, le trasforma e le deforma per utilizzarle nelle nuove situazioni e piegarle alle nuove esigenze». La nuova esigenza di tutela dell’oggetto del diritto del titolare di quota di s.r.l., che sia tale incontestatamente da un certo tempo, si può attuare con la deformazione della categoria dei beni mobili registrati [[54]], fino a rinchiudervi anche la quota di s.r.l. [[55]]. Gli inconvenienti non sarebbero pochi: basti pensare alla controversa questione [[56]] della iscrivibilità delle domande giudiziarie relative alle quote di s.r.l., che si nutre appunto della sussunzione della quota nella categoria dei beni mobili registrati, ma che è convincentemente respinta con il richiamo alla tipicità delle iscrizioni nel registro delle imprese, in coerenza con una più rigorosa lettura sistematica dell’art. 2470, 3° comma [[57]]; né un’interpretazione dell’art. 2696 c.c. come foriera della disapplicazione dell’art. 2695, 2° comma, c.c. in favore dell’art. 2470, 3° comma – quale proposta nel più recente contributo [[58]] sulla qualificazione delle quote come beni mobili registrati suscettibili di usucapione triennale – sembra sufficiente a escludere con sicurezza anche la disapplicazione dell’art. 2690 c.c. D’altro canto, il procedimento evocato retro, nel n. 1 di questo lavoro, [continua ..]


NOTE