Rivista di Diritto SocietarioISSN 1972-9243 / EISSN 2421-7166
G. Giappichelli Editore

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Il presidente del comitato endoconsiliare come amministratore indipendente alla luce del nuovo Codice di Corporate Governance: requisiti, funzioni e poteri (di Emanuele Stabile)


Il presente contributo analizza criticamente la figura del presidente del comitato endoconsiliare alla luce del nuovo Codice di Corporate Governance 2020. Nell’articolo si riflette, innanzitutto, sui requisiti che deve possedere il presidente del comitato interno e, in particolare, sull’indipendenza degli amministratori per come regolata nella disciplina positiva e nel suddetto Codice. Si analizzano, in secondo luogo, funzioni, poteri e doveri del presidente. Nel contributo ci si interroga, altresì, sulle clausole statutarie di rotazione degli amministratori evidenziando pregi e difetti di tale istituto con particolare riferimento all’oggetto della presente analisi. Si riflette, infine, sulle conseguenze dell’entrata in vigore del nuovo Codice di Corporate Governance sulle suddette tematiche.

The chairman of the internal committee as an independent director in the light of the new Corporate Governance Code: requirements, functions and powers

The essay critically analyzes the role of the chairman of the internal committee in the light of the new Corporate Governance Code 2020. Firstly, the article reflects on the requirements that the chairman of the internal committee must have and, in particular, on the independence of the directors as regulated in the law and in the mentioned Code. Secondly, the functions, powers and duties of the chairman are analyzed. The essay also studies the directors statutory rotation clauses highlighting the pros and cons of this clause with particular reference to the subject of the current analysis. Finally, the paper reflects on the consequences of the entry into force of the new Corporate Governance Code on the aforementioned issues.

Keywords: Corporate Governance – internal committee – chairman – independence –powers – duties – directors rotation clauses.

SOMMARIO:

1. Introduzione - 2. Il presidente del comitato endoconsiliare: requisiti … - 2.1. … l’indipendenza nella disciplina positiva … - 2.2. … e nel Codice di Corporate Governance - 2.3. Una riflessione generale sull’indipendenza … - 3. … funzioni e poteri - 4. Le clausole di rotazione degli amministratori e in particolare dei presidenti dei comitati interni - 5. Conclusioni - NOTE


1. Introduzione

Il Codice di Corporate Governance (da ora anche il “Codice di autodisciplina” o il “Codice”) regola, sia pur brevemente, anche i comitati endoconsiliari e il loro presidente. Esso presenta diverse, a tratti significative, novità rispetto alla precedente edizione del 2018 [[1]]. Il Codice, in particolare, da un lato, definisce più chiaramente rispetto alla precedente versione alcuni concetti, come la nozione di amministratore indipendente (art. 2, di cui si dirà). Dall’altro, almeno nel caso dei comitati endosocietari, prevede una disciplina assai scarna rispetto al passato essendo state eliminate alcune previsioni: così, è scomparso ogni riferimento al numero di componenti dei comitati, al procedimento di attribuzione delle funzioni dell’organo da parte del Consiglio di Amministrazione (CdA) e alla necessità di assicurare ai comitati risorse finanziare «adeguate» per adempiere ai propri compiti [[2]]. Sebbene siano diversi gli spunti di riflessione offerti dal nuovo Codice che meriterebbero di essere approfonditi, nel presente commento ci si concentrerà su requisiti, poteri/doveri e funzioni del presidente del comitato endoconsiliare. Si analizzerà, infine, la disciplina delle clausole di rotazione del management, determinanti la sostituzione degli amministratori e, quindi, anche del presidente del comitato interno.


2. Il presidente del comitato endoconsiliare: requisiti …

Il Codice di autodisciplina 2020 dedica poco spazio alla figura del presidente del comitato endoconsiliare, né prevede i requisiti per ricoprire tale carica, lasciando ampia discrezionalità all’autonomia statutaria. Esso si limita a stabilire nella Raccomandazione 17 che «l’organo di amministrazione definisce i compiti dei comitati e ne determina la composizione, privilegiando la competenza e l’esperienza dei relativi componenti ed evitando, nelle società grandi, una eccessiva concentrazione di incarichi in tale ambito». L’ampia riflessione dottrinale [[3]] sui requisiti di «competenza» ed «esperienza» [[4]] ha evidenziato che questi ultimi connotano l’indipendenza, nel senso che un amministratore indipendente è competente ed esperto, ma non necessariamente è vero il contrario. La prassi emersa dall’applicazione delle precedenti versioni del Codice, poi, ha mostrato come, alle volte, il presidente del comitato interno fosse proprio un amministratore indipendente. L’indipendenza, dunque, pare qualificare la figura del presidente e della maggioranza dei membri dei comitati interni. È necessario, allora, approfondire brevemente il concetto di indipendenza chiedendosi in che modo essa connoti la figura del presidente dei comitati endosocietari.


2.1. … l’indipendenza nella disciplina positiva …

L’ordinamento italiano offre diverse elencazioni, invero sovrapponibili, di requisiti soggettivi che non devono sussistere per qualificare indipendente un amministratore [[5]]. Nelle società che adottano il sistema monistico, innanzitutto, gli artt. 2409 septiesdecies, 2° comma, c.c. e 147-ter, 3° e 4° comma, t.u.f. rinviano ai requisiti d’indipendenza fissati per i sindaci dall’art. 2399 c.c. e 148, 3° comma, t.u.f. Per le società quotate adottanti il modello di amministrazione tradizionale o dualistico, in secondo luogo, gli artt. 147-ter, 4° comma, e 147-quater t.u.f. rinviano alle ipotesi di ineleggibilità e decadenza dei sindaci nelle società quotate ex art. 148, 3° comma, t.u.f. da cui si desumono i requisiti soggettivi d’indipendenza degli amministratori [[6]]. Le suddette norme sostanzialmente estendono i requisiti d’indipendenza previsti per i sindaci agli amministratori [[7]], tra cui il presidente dei comitati endosocietari. Gli indipendenti, però, non sono sindaci, né un mero argine agli esecutivi, ma vigilano anche ex ante sull’operato di quest’ultimi [[8]]. Sarebbe opportuna, quindi, una disciplina ad hoc che tenga conto delle caratteristiche della loro funzione [[9]].


2.2. … e nel Codice di Corporate Governance

L’art. 2 del Codice, come tutte le citate norme, individua una serie di rapporti personali e patrimoniali in presenza dei quali l’amministratore non è indipendente [[10]]. In virtù del principio di proporzionalità informante il Codice, la suddetta elencazione deve essere modellata in funzione della specifica realtà societaria, a cui non è vietato di prevedere requisiti ulteriori, e presuppone una rigorosa valutazione attenta alla sostanza più che alla forma [[11]]. I rapporti personali rilevanti sono solo quelli con «uno stretto familiare» [[12]]. Tale nozione include il coniugio, la parentela, l’affinità entro il quarto grado e la convivenza [[13]], sebbene un individuo possa intrattenere rapporti assai stretti con altri soggetti non contemplati dalla normativa. I rapporti di carattere patrimoniale, invece, sono più sfumati e si riferiscono ad ogni relazione commerciale o di lavoro intrattenuta dall’indipendente con soggetti riconducibili alla società, alle sue controllate o alla controllante. Secondo autorevole dottrina l’elencazione dei rapporti formulata non solo dal Codice, ma anche dalle altre norme esaminate non è tassativa [[14]] e deve essere interpretata estensivamente [[15]] dando adeguato rilievo ai precedenti mandati espletati dall’amministratore, qui il presidente dei comitati interni, della cui indipendenza si discute [[16]]. La soluzione accolta dal Codice di autodisciplina pare condivisibile [[17]] e anzi da implementare avvalendosi dell’autonomia statutaria. Bisogna considerare non solo gli incarichi svolti, anche all’interno di comitati endoconsiliari, e le deleghe ricevute, ma pure i mandati espletati presso società controllate, controllanti e collegate e la durata degli incarichi.


2.3. Una riflessione generale sull’indipendenza …

È opportuno precisare che l’indipendenza [[18]] è un concetto relativo, non potendo immaginarsi un individuo estraneo a chiunque lo circondi, e da valutare in concreto [[19]], giacché l’ammi­nistratore deve dimostrare il possesso delle predette qualità in riferimento agli specifici affari di cui è chiamato a occuparsi [[20]]. Occorre chiedersi, pertanto, se l’indipendenza sia incompatibile, ed eventualmente in che misura, con lo svolgimento di incarichi esecutivi [[21]], ossia se l’as­sunzione di tali compiti determini il venir meno dell’indipendenza. Nella prassi, infatti, può accadere che i membri dei comitati interni, incluso il presidente, svolgano anche funzioni gestorie. Secondo autorevole dottrina [[22]] lo svolgimento di tali funzioni nuoce all’au­tonomia, rectius indipendenza, degli amministratori limitandone la capacità di vigilare in ragione dei possibili conflitti d’interesse [[23]]. È quindi opportuno assegnare ad un amministratore, qui il presidente di un comitato interno, quegli incarichi per i quali solo lui possieda determinate caratteristiche e l’affidamento sia necessario in ragione dell’inopportunità che altri svolgano quel compito (limite qualitativo) [[24]]. Nondimeno, gli incarichi assegnati non dovrebbero impedire il corretto svolgimento delle sue funzioni di vigilanza (limite quantitativo) [[25]]. Per concludere sul punto, inoltre, l’indipendenza andrebbe preservata e affiancata da specifiche prerogative. Da un lato, se gli indipendenti, tra cui il presidente dei comitati interni, possono essere rimossi dall’incarico anche senza giusta causa, al pari di qualsiasi amministratore e salvo il risarcimento dei danni, si rischia di minarne la capacità di assolvere alle proprie funzioni [[26]]. Dall’altro, occorrerebbe un intervento normativo per dotare gli indipendenti di tutti gli strumenti utili a formare in autonomia il proprio pensiero [[27]]. In primo luogo, infatti, va precisato che l’art. 2381, 5° comma, c.c. impone agli amministratori delegati di fornire un flusso periodico di informazioni agli altri amministratori (anche indipendenti e dunque al presidente di un comitato interno), ma tale previsione è “beffarda” poiché non procedimentalizza tale flusso. In secondo luogo, i membri dei [continua ..]


3. … funzioni e poteri

Il Legislatore primario non ha disciplinato le funzioni e i connessi poteri/doveri del presidente dei comitati interni [[28]]. La Raccomandazione 17 del Codice, invece, contiene qualche timida previsione in materia attribuendo al presidente di «ciascun comitato» funzioni di coordinamento e propulsive del comitato interno [[29]]. Il presidente, dunque, ha poteri e funzioni equiparabili a quelli dell’omonimo organo all’interno del CdA la cui disciplina [[30]], soprattutto riguardo ai poteri esercitabili, è contenuta nell’art. 2381 c.c. e potrebbe applicarsi in via analogica per tentare di colmare la lacuna normativa  [[31]]. In alternativa, bisogna ricorrere all’autonomia privata con il rischio però, analogamente a quanto detto sui presupposti della carica, di depotenziare l’organo in parola favorendo comportamenti opportunistici nelle dinamiche di governance. La funzione coordinatoria consiste, innanzitutto, nel potere/dovere di direzione dei lavori consiliari il quale a sua volta si sostanzia nella proclamazione dell’atti­vità deliberativa e nel rinvio dell’adunanza [[32]]. Sebbene viga il principio di sovranità del collegio sui propri lavori, il potere di proclamazione non è delegabile al collegio stesso in quanto si tratta di un potere originario del presidente, analogamente all’omologa figura assembleare [[33]]. Il potere di proclamazione non è delegabile neppure ai singoli amministratori poiché in tal caso la necessaria unitarietà della direzione dei lavori verrebbe meno [[34]]. In entrambi i casi, poi, se si privasse il presidente del suddetto potere si finirebbe per menomare la sua figura togliendogli una funzione caratterizzante, quella della proclamazione dell’attività deliberativa. In merito al potere di rinvio, invece, sebbene nella prassi esistano clausole statutarie che attribuiscano ai consiglieri un diritto a rinviare l’adunanza, è preferibile riservare tale potere solo al presidente giacché un efficace coordinamento presuppone l’unitarietà della direzione. Riconoscere tale potere al singolo amministratore, poi, equivarrebbe ad attribuirgli un diritto di veto potenzialmente contrastante con l’unitarietà della funzione coordinatoria. Nell’esercizio della sua funzione coordinatoria, in secondo luogo, al presidente spetta [continua ..]


4. Le clausole di rotazione degli amministratori e in particolare dei presidenti dei comitati interni

È necessario interrogarsi inoltre sulle clausole statutarie con cui le società quotate impongono lo svolgimento a rotazione, ogni 12 o 18 mesi, degli incarichi amministrativi e, quindi, per quanto qui interessa, del ruolo di presidente del comitato interno. Tali pattuizioni sembrerebbero animate, innanzitutto, dall’intenzione di evitare la cristallizzazione dei rapporti creatisi all’interno del management, potenzialmente dannosi per l’indipendenza degli amministratori e forieri di conflitti d’interesse. Esse, in secondo luogo, potrebbero rappresentare l’occasione per esprimere un giudizio sull’operato dei managers favorendo il dialogo tra questi ultimi e gli azionisti [[39]]. Si tratta di previsioni accomunabili alle clausole c.d. staggered board [[40]] con la differenza che le prime prevedono la rotazione negli incarichi amministrativi, mentre le seconde la cessazione definitiva dalla carica gestoria e, di conseguenza, l’avvicendamento nella stessa. È opportuno soffermarsi brevemente su queste ultime, già oggetto di copiosa riflessione dottrinale a differenza di quelle in parola, per tentare di valutare quali effetti l’avvicendamento possa avere sulle prerogative dei comitati interni e del loro presidente. Lo staggered board [[41]] permette invero di adeguare dinamicamente gli assetti gestori all’evoluzione del business aziendale e della compagine sociale favorendo così il ruolo degli investitori istituzionali. Questi, seppur in minoranza, grazie al meccanismo del voto di lista, in occasione dei rinnovi periodici del management potrebbero esprimere il loro giudizio sull’operato degli amministratori e nominare propri rappresentanti in consiglio [[42]]. Di conseguenza, lo staggered board favorirebbe l’attrazione di capitali giacché consentirebbe ai nuovi soci di esprimere amministratori di loro gradimento. Come prospettato dalla dottrina, esso incentiverebbe pure la selezione di professionalità adeguate alla complessità e importanza del ruolo amministrativo e il loro graduale inserimento, concedendo il tempo di adattarsi alla nuova realtà e beneficiare dell’esperienza altrui [[43]]. Nelle società a partecipazione pubblica, inoltre, tale meccanismo di rotazione eviterebbe il radicale cambio degli amministratori (c.d. spoils system, ossia la sostituzione integrale e contemporanea dei vertici [continua ..]


5. Conclusioni

Il Codice di Corporate Governance 2020 è un testo flessibile e al tempo stesso abbastanza organico, implementato, almeno sotto alcuni punti di vista, rispetto alle precedenti versioni [[49]]. È condivisibile lo sforzo di migliorare la definizione di indipendenza ex art. 2 Codice di autodisciplina ampliando, e chiarendo, l’elenco dei requisiti che escludono l’autonomia di giudizio, ma occorre rilevare come essa sia, ancora una volta, strutturata in negativo [[50]]. La lacuna è ancora più rilevante se si considera che la caratteristica in parola appare come uno dei requisiti imposti alla maggioranza dei membri dei comitati interni, tra cui è scelto il presidente. Manca, purtroppo, una compiuta disciplina dei comitati endoconsiliari e, soprattutto, del loro presidente [[51]]. Si rischia così di depotenziare tale figura chiave all’interno del management compromettendo lo sforzo di offrire maggiore tutela agli azionisti e di migliorare il governo societario, che è l’obiettivo primario del Codice. Per garantire la funzionalità dell’organo presidenziale sarebbe utile regolare a livello istituzionale i requisiti necessari per ricoprire la funzione nonché i relativi poteri e doveri [[52]]. Rimettere al CdA la disciplina di tali aspetti, delle prerogative e delle procedure dei comitati interni, rischia di compromettere il buon funzionamento degli stessi [[53]]. La mancanza di norme specifiche sui comitati endoconsiliari e sul loro presidente, inoltre, impone il ricorso all’autonomia privata e all’applicazione, analogica, di norme dettate per il presidente del CdA [[54]]. Tale rimedio, però, non consente di prendere in considerazione le peculiarità di tale carica. È vero, come rileva autorevole dottrina, che il Codice non regola approfonditamente alcuni istituti poiché la prassi è ormai sufficientemente consolidata in materia, il Legislatore è intervenuto sul punto oppure è utile lasciare spazio all’auto­nomia statutaria [[55]]. Il ricorso all’analogia, però, da un lato, complica il ruolo dell’operatore del diritto, dall’altro non necessariamente consente di risolvere tutti gli eventuali dubbi interpretativi. È utile riflettere, poi, sulle clausole di rotazione degli amministratori [[56]]. L’au­tonomia statutaria le ha [continua ..]


NOTE