Rivista di Diritto SocietarioISSN 1972-9243 / EISSN 2421-7166
G. Giappichelli Editore

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Verso una definizione di s.r.l. controllata (di Roberto Weigmann)


SOMMARIO:

1. Presenza di s.r.l. nei gruppi - 2. Il controllo di una s.p.a. sta nel potere di nominarne la maggioranza degli amministratori - 3. Il controllo di una s.r.l. sta nella maggioranza che decide su un atto di gestione rimesso ai soci - 4. Lacune pericolose nella repressione penale - 5. Qualche suggerimento per il legislatore - NOTE


1. Presenza di s.r.l. nei gruppi

La legge 3 ottobre 2001, n. 366, di «Delega al Governo per la riforma del diritto societario», ha previsto due modelli «riferiti l’uno alla società a responsabilità limitata e l’altro alla società per azioni, ivi compresa la variante della società in accomandita per azioni, alla quale saranno applicabili, in quanto compatibili, le disposizioni in materia di società per azioni» (art. 2, lett. f )). Per il primo modello, quello della società a responsabilità limitata, la riforma ha voluto dettare, a differenza del testo originario del codice civile, «un autonomo ed organico complesso di norme, anche suppletive» (art. 3, 1° comma, lett. a)) e ciò in relazione al diverso principio ispiratore, che è quello “della rilevanza centrale del socio e dei rapporti contrattuali tra i soci” e non quello della circolazione della partecipazione sociale, che prevale quando essa si incorpora in un’azione destinata naturalmente al mercato del capitale di rischio (art. 4, 1° comma), cui si ispira il secondo modello, quello azionario. Ne deriva una maggior cautela nel ricorso all’analogia per sopperire alle lacune nella disciplina dell’uno o dell’altro tipo 1. Se si confrontano le norme inserite nel testo vigente del codice riformato, si constata subito che in esso non figurano, con riferimento alla s.r.l., norme corrispondenti agli artt. 2359-2361 c.c.: manca cioè una definizione di s.r.l. controllata, una disciplina degli acquisti di partecipazioni nelle controllanti o in altre imprese aventi un diverso oggetto 2, un divieto di sottoscrizione reciproca del capitale. Eppure è evidente che anche le s.r.l. entrano a far parte di gruppi, non solo come controllanti di s.p.a. ma anche come società sottoposte all’altrui attività di direzione e coordinamento. Questa realtà è ben percepita dagli operatori che ottemperano agli obblighi di pubblicità mediante il registro delle imprese (art. 2497-bis c.c.). Secondo i dati presentati il 19 gennaio 2012 dall’Osservatorio per la semplificazione amministrativa istituito presso la Camera di commercio di Milano, fra le 38.036 società che al 31 dicembre 2010 dichiaravano la loro soggezione all’altrui direzione e coordinamento, oltre a 8.828 s.p.a. (di cui 4.024 con unico azionista) [continua ..]


2. Il controllo di una s.p.a. sta nel potere di nominarne la maggioranza degli amministratori

Un’immediata applicazione dell’art. 2359 c.c. per analogia legis al modello della s.r.l., per quanto auspicabile, risulta difficile. In questo tipo di società non si fa distinzione fra assemblea ordinaria e straordinaria (invece il n. 1 dell’art. 2359, 1° comma, attribuisce il controllo di una s.p.a. alla società che «dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria»). Se poi ci si rapporta all’influenza dominante, si constata che il n. 2 dell’art. 2359, 1° comma, riferisce tale nozione al fatto di disporre di voti sufficienti per ottenere la supremazia nell’assemblea ordinaria, mentre il n. 3 considera l’influenza dominante effettivamente esercitata su un’altra società “in virtù di particolari vincoli contrattuali con essa”. Siccome l’art. 2380-bis, 1° comma, c.c. proclama che nella s.p.a. «la gestione dell’impresa spetta esclusivamente agli amministratori, i quali compiono le operazioni necessarie per l’attuazione dell’og­getto sociale», ne consegue che è l’organo amministrativo che stipula i contratti, mentre l’as­semblea ordinaria può essere solo chiamata dallo statuto ad autorizzare il compimento di singoli atti di gestione, la cui decisione resta tuttavia di competenza degli amministratori, i quali conservano anche la responsabilità per l’inosservanza dei loro doveri (art. 2364, 1° comma, n. 5, c.c.). Pertanto l’influenza dominante è menzionata al n. 2 come potenziale, ma al n. 3 come fattuale; essa inoltre insiste su organi diversi, al n. 2 sull’assemblea ordinaria, al n. 3 invece sull’organo amministrativo. Se si vuole ricondurre entrambe le formule ad un criterio unitario, occorre sottolineare che l’assemblea ordinaria è menzionata in quanto nella s.p.a. spetta a tale organo la nomina e la revoca degli amministratori, sia direttamente nel modello tradizionale e in quello monistico, sia indirettamente attraverso la scelta dei componenti il consiglio di sorveglianza nel sistema dualistico (artt. 2364, 1° comma, n. 2 e 2364-bis, 1° comma, n. 1 rispettivamente). Più precisamente, dato che nella s.p.a. il funzionamento dell’organo pluripersonale è necessariamente collegiale (art. 2380-bis, 3° comma, c.c.), un socio controlla una società [continua ..]


3. Il controllo di una s.r.l. sta nella maggioranza che decide su un atto di gestione rimesso ai soci

Come trasporre queste considerazioni nella s.r.l.? Non ci sono evidentemente difficoltà nel qualificare controllata una società di cui un’altra possegga l’intero capitale. Se invece la partecipazione è maggioritaria,l’individuazione della qualità di controllante nel socio che la detiene non è automatica. Basta pensare alla facoltà, per gli atti costitutivi, di impostare l’ammi­ni­strazione secondo un sistema disgiuntivo o congiuntivo (art. 2475, 3° comma, c.c.) oppure di riservare a singoli soci l’incarico amministrativo con una clausola modificabile solo col consenso unanime (art. 2468, 3° e 4° comma, c.c.) o ai dubbi da molte parti avanzati in ordine alla presentazione di una domanda giudiziale di revoca ove manchino gravi irregolarità nella gestione dell’amministratore in carica sulle quali fondare anche un’azione di responsabilità per i danni arrecati alla società (art. 2476 c.c.): sono tutte ipotesi in cui il possesso della quota di maggioranza anche assoluta non garantisce da solo il controllo della società. Senza dubbio nella gran parte dei casi gli atti costitutivi ricalcano ancora il modello azionario tradizionale, con un organo amministrativo collegiale o un amministratore unico nominato e revocato dalla maggioranza del capitale sottoscritto. E ciò sia per la ragione che quella s.r.l. già era stata costituita in anni precedenti la riforma entrata in vigore nel 2004 e non si è provveduto a cambiare la scelta nel contratto sociale, sia per la prudenza e il tradizionalismo che suggeriscono di non scostarsi da regole ormai collaudate anche per le nuove costituzioni. Sicché è verosimile che quasi tutte le società esistenti non abbiano incontrato difficoltà nel considerarsi come sottoposte alla direzione e coordinamento di una “controllante” in possesso della maggioranza di capitale e che quindi abbiano potuto ottemperare agli obblighi pubblicitari di cui all’art. 2497-bis c.c. senza dover preventivamente risolvere ardui problemi. Ma la legge, se vuol definire, deve fissare regole applicabili in tutti i casi, anche in quelli statisticamente rari, ciò che il d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6 ha dimenticato o evitato di fare. Tocca dunque all’interprete avanzare una soluzione idonea a valutare quand’è che una s.r.l., in cui per [continua ..]


4. Lacune pericolose nella repressione penale

 Però, se con una riflessione sistematica l’interprete può trovare una risposta ai quesiti civilistici, altrettanto non è consentito di fare per allargare il campo di applicazione delle norme penali. Il divieto di analogia in questa materia (art. 14 disp. prel. c.c.) rende ancor più vulnerabile l’apparato repressivo, già debilitato dalle recenti riforme. L’art. 2628, 2° comma, c.c. dispone che la pena della reclusione fino a un anno “si applica agli amministratori che, fuori dei casi consentiti dalla legge, acquistano o sottoscrivono azioni o quote emesse dalla società controllante, cagionando una lesione del capitale sociale o delle riserve non distribuibili per legge”. La norma copre le ipotesi delineate dagli artt. 2359-bis e seguenti, in cui, come si ricorderà, controllante di una s.p.a. può essere anche una società di capitali d’altro tipo, ma non sembra applicabile a quelle in cui una s.r.l., che con un complesso ragionamento analogico parifichiamo per via interpretativa ad una s.p.a. “controllata”, acquisti azioni o quote di una sua controllante. Ed anche l’art. 2632 c.c. che con la stessa pena punisce amministratori e soci conferenti che “formano od aumentano fittiziamente il capitale sociale mediante (…) sottoscrizione reciproca di azioni o quote” si riferisce alle operazioni vietate dal­l’art. 2360, ossia alla “sottoscrizione reciproca di azioni”, mentre per un incrocio fra una s.p.a. ed una s.r.l., o per quello fra due s.r.l., manca la premessa civilistica, onde un’incri­minazione risulterebbe consentita solamente individuando nella stessa norma penale la fonte diretta del divieto delle suddette operazioni pericolose.


5. Qualche suggerimento per il legislatore

In conclusione paiono opportuni alcuni suggerimenti. Meglio sarebbe trasferire nel capo IX la definizione dei casi in cui una società (di capitali o forse anche di persone) si considera controllata e proibire ogni sottoscrizione o acquisto di azioni o quote della controllante. Tali acquisti sono infatti più pericolosi di quelli di azioni proprie da parte dell’emittente stessa. A mio giudizio se uno Stato membro li permette, come attualmente ha scelto di fare l’Italia, esso deve però sottoporli ad un’autorizzazione dell’assemblea non già della controllata, in cui vota con peso maggioritario il rappresentante della società madre, ma della stessa controllante. L’attuale art. 2359-bis, 2° comma, c.c. andrebbe riformulato in tal senso per renderlo compatibile con l’art. 28, § 1, 1° comma della direttiva 2012/30/UE (che riproduce l’art. 24-bis, § 1, lett. a) della II direttiva) il quale stabilisce che “la sottoscrizione, l’acquisizione o la detenzione di azioni della società per azioni da parte di un’altra società” che possa qualificarsi come direttamente o indirettamente controllata “è considerata come effettuata dalla società per azioni stessa”. Sicché in base all’art. 21, § 1, 1° comma, lett. a) (ma v. già l’art. 19, § 1, lett. a) della II direttiva) è l’assemblea di quest’ulti­ma a doversi pronunciare. Solo così infatti la manovra degli amministratori diventa trasparente ed evita che essi possano consolidare la propria posizione impiegando, attraverso lo schermo protettivo di altre persone giuridiche, le risorse di cui l’emittente indirettamente dispone 9. Né si dica che questa parificazione degli acquisti effettuati dalla controllata con quelli di azioni proprie da parte della stessa controllante obbliga un Paese membro che autorizzi le operazioni su proprie azioni a consentire anche a quelle effettuate tramite controllate. Il sistema della Direttiva europea muove invero dalla considerazione che l’autoinvestimento in proprie azioni sia un fenomeno da contenere nei limiti che non lo rendano pericoloso e pertanto impone delle condizioni vincolanti “nella misura in cui tali acquisizioni sono autorizzate” dagli Stati membri (art. 21, § 1, secondo periodo). Ora il riferimento alla [continua ..]


NOTE