Rivista di Diritto SocietarioISSN 1972-9243 / EISSN 2421-7166
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Revisione volontaria del bilancio e responsabilità della società di revisione (nota a Trib. Roma, 8 maggio 2013) (di Bianca Caruso)


TRIBUNALE DI ROMA, III Sezione, 8 maggio 2013 – Raganelli Presidente – Dell’Orfano Relatore – Fallimento Malavolta Corporate S.p.A. (avv. Caroli) c. KPMG S.p.A. e Salvatore Sanna (avv. Maccarone, avv. Sacchi, avv. Galbiati)

Società di revisione – Revisione volontaria – Giudizio sul bilancio – Responsabilità

(Artt. 2043, 2407, 2409-sexies c.c.)

Affinché la società di revisione venga ritenuta responsabile, sia in via contrattuale sia in via extracontrattuale, per i danni derivanti dall’erronea revisione volontaria del bilancio non è sufficiente la dimostrazione dell’elemento soggettivo e del danno, ma è necessaria altresì la prova del nesso di causalità fra il danno sofferto e l’inadempimento ascritto quale fonte di responsabilità alla società di revisione ed al soggetto che ha eseguito la revisione, da valutarsi secondo il criterio dell’adeguatezza obiettiva e della regolarità o tipicità causale. (1)

Società di revisione – Azione di responsabilità – Legittimazione del curatore fallimentare – Insussistenza

(Artt. 2043 e 2407 c.c.)

Il curatore fallimentare non è legittimato a proporre, nei confronti della società di revisione e del soggetto che ha eseguito la revisione, l’azione di responsabilità extracontrattuale per il risarcimento dei danni causati ai creditori dall’erroneo giudizio sul bilancio. Con riferimento al pregiudizio in questione, la legittimazione ad agire rimane in capo al singolo creditore che lo ha effettivamente subìto. (2)

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione, notificato in data 3.6.2010, il Fallimento attore, evocando in giudizio i soggetti indicati in epigrafe, chiese, per i motivi in tale atto specificatamente indicati, quanto segue: “Accertare e dichiarare la responsabilità a titolo contrattuale nei confronti della fallita in virtù del mandato ad essa conferito in data 28 novembre 2006 e la responsabilità extracontrattuale verso i terzi (creditori sociali) ex artt. 2043, 2407 e 2409-sexies c.c. dei convenuti, e per l’effetto condannarli in solido al risarcimento di tutti i danni in favore della procedura e della massa dei creditori sociali prudenzialmente quantificati in euro 5.000.000,00 […] o di quell’altra somma, maggiore o minore, che verrà accertata (se del caso) anche a mezzo di apposita indagine tecnica ed, eventualmente, pure in via equitativa ex artt. 1226 e 2456 c.c., oltre rivalutazione ed interessi come dovuti ex lege”.

Costituitisi in giudizio, i convenuti chiedevano quanto segue: “In via preliminare: accertare e dichiarare la carenza di legittimazione e/o di titolarità passiva del rapporto controverso in capo al Dott. Salvatore Sanna in relazione alle domande formulate nei suoi confronti dal Fallimento Malavolta Corporate S.p.A.; accertare e dichiarare la carenza di legittimazione attiva del Fallimento Malavolta Corporate S.p.A. in relazione alle domande formulate in via extracontrattuale nei confronti dei convenuti in rappresentanza di soggetti terzi; nel merito respingere tutte le domande proposte dal Fallimento Malavolta Corporate S.p.A. nei confronti di KPMG S.p.A. e del Dott. Salvatore Sanna in quanto inammissibili e infondate in fatto e in diritto”.

Con memoria ex art. 183, 6° comma, n. 1, c.p.c. la Curatela così modificava le proprie conclusioni: “Accertare e dichiarare la responsabilità a titolo contrattuale, anche in solido tra loro, di KPMG S.p.A. e del Sig. Salvatore Sanna nei confronti della fallita in forza del mandato conferito in data 28 novembre 2006; accertare e dichiarare la responsabilità a titolo extracontrattuale, anche in solido tra loro, di KPMG S.p.A. e del Sig. Salvatore Sanna ai sensi degli artt. 2043, 2407 e 2409-sexies c.c. per tutti i danni patiti dalla massa dei creditori sociali; per l’effetto condannare, anche in solido tra loro, KPMG S.p.A. ed il Sig. Salvatore Sanna al risarcimento in favore del “Fallimento Malavolta Corporate S.p.A.” (n. 241108) di tutti i danni patiti dalla società fallita e dalla massa di creditori in conseguenza del comportamento gravemente illegittimo ed omissivo dei convenuti, danni che si quantificano nella differenza tra il passivo e l’attivo fallimentare pari ad euro 41.343.349,83 o nella maggiore o minore somma che verrà accertata a mezzo dell’espletanda consulenza tecnica ed, eventualmente, anche in via equitativa ai sensi degli artt. 1226 e 2056 c.c., oltre rivalutazione ed interessi come per legge”.

(Omissis).

MOTIVI DELLA DECISIONE

La domanda della Curatela è infondata e non può trovare accoglimento per i motivi di seguito indicati.

Con riguardo all’azione rivolta contro la società KPMG S.p.A., incaricata di effettuare, a titolo volontario, “la revisione del bilancio consolidato della Capogruppo (n.d.r.: la Malavolta Corporate S.p.A.) e delle società controllate e collegate nell’estensione ritenuta necessaria ai fini della revisione contabile del bilancio consolidato di Gruppo” relativo all’esercizio 2006, e contro Salvatore Sanna, legittimato passivo in quanto soggetto che aveva eseguito la revisione (ex art. 2409-sexies, 2° comma, c.c.), si osserva, in via preliminare ed assorbente rispetto alle altre questioni sollevate dalle parti, che per l’accoglimento delle domande risarcitorie della Curatela non potrebbe mai ritenersi sufficiente la sola dimostrazione che i suddetti soggetti, nella certificazione del suddetto bilancio, non abbiano prestato la propria opera con quella particolare diligenza richiesta dal tipo di attività svolta, dovendo la Curatela altresì dimostrare che dalla pretesa non corretta rappresentazione della situazione economica, patrimoniale e finanziaria della società, sottoposta a revisione, sia derivato alla società stessa ed alla massa dei creditori un danno patrimoniale risarcibile, né potrebbe comunque prescindersi dall’accertamento del nesso di causalità fra i danni lamentati dal Fallimento e l’inadempimento ascritto quale fonte di responsabilità alla società di revisione ed al soggetto che aveva eseguito la revisione, che deve dunque essere rinvenuto nella sequenza causale produttiva dell’evento dannoso, secondo il criterio dell’adeguatezza obiettiva e della regolarità o tipicità causale.

La responsabilità contrattuale della società di revisione conseguente alla non corretta esecuzione dei compiti assegnati dalla legge ed all’inosservanza delle regole della professione determina, peraltro, una responsabilità per danni alquanto limitata, posto che il nocumento, casualmente riconducibile all’inadempimento dell’incarico affidato dalla società revisionata, tenderà a coincidere, di norma, con una sottovalutazione della società (e, dunque, del valore delle partecipazioni che i soci detengono), ovvero con la differenza fra il valore attribuito alla società revisionata e il suo valore reale, oppure con il compenso indebitamente erogato in favore della società inadempiente al suo incarico.

Poste tali premesse, il Collegio ritiene che anche laddove dovessero essere dimostrati dalla Curatela profili di negligenza nella condotta della KPMG S.p.A. e di Salvatore Sanna, risulterebbe comunque indimostrata la circostanza che la condotta della società di revisione abbia concorso a causare alla società, oggetto di revisione, un ingiusto danno patrimoniale.

In particolar modo, la Curatela non ha esposto, in modo convincente, le ragioni per cui la mancata formulazione, da parte della società di revisione, «sul bilancio consolidato di gruppo 2006 (di) un giudizio “con rilievi” […], pur avendo verificato […] molteplici “criticità”, di guisa che la stessa “continuità aziendale” avrebbe dovuto essere messa in forte discussione, sussistendo convergenti indizi di un generale dissesto dell’intero gruppo” (omissis), avrebbe comportato l’immediata cessazione dell’attività d’impresa della società fallita, effetto questo ricollegabile, semmai, ad un provvedimento di scioglimento e di messa in liquidazione della società ad opera degli organi amministrativi e di controllo, in carica.

La Curatela ravvisa, invero, il pregiudizio patrimoniale arrecato dalla società di revisione come diretta conseguenza della «assai ritardata apertura del fallimento della holding “M.C.” o […] (del) […] mancato tempestivo ricorso a procedure alternative (cfr. accordo di ristrutturazione dei debiti ex art. 182-bis L.F., Amministrazione Straordinaria o Concordato Preventivo)», atteso che “essendo nel frattempo aumentati i debiti, si […] (era) […] ridotta la possibilità di soddisfarsi di ciascuno di essi” (omissis), il che avrebbe inoltre consentito “agli amministratori di porre in essere una serie di operazioni distruttive per mezzo delle quali, dal luglio 2007 a maggio 2008, la holding […] (era) stata spogliata di tutto” (omissis).

Orbene, occorre porre in rilievo che un organo di controllo esterno, come il revisore volontario, risulta del tutto privo di poteri di reazione atti ad evitare che un determinato comportamento venga tenuto o che il danno venga prodotto.

In primo luogo, infatti, la società, alla quale sia affidato un incarico di revisione contabile volontaria come quella oggetto del presente giudizio, non ha alcun potere di veto sull’operato degli amministratori, né, a differenza dei sindaci, può attuare segnalazione all’assemblea e se del caso all’Autorità Giudiziaria.

Inoltre, anche laddove si riscontri la perdita totale del capitale, con conseguente scioglimento della società nonché divieto per gli amministratori di intraprendere nuove operazioni, la società di revisione non disporrebbe, a differenza dei sindaci, del potere di convocazione dell’as­semblea, in caso di inerzia degli amministratori, ex art. 2446 c.c., né sussiste alcun obbligo di deposito della relazione di certificazione del bilancio consolidato presso l’ufficio del Registro delle Imprese, al fine di rendere pubblici i risultati dell’attività di revisione, rendendo così edotti i creditori dell’eventuale stato di decozione del gruppo societario e consentendo dunque loro di proporre l’istanza di fallimento.

Una relazione attestante lo stato di decozione della società non avrebbe quindi determinato l’avvio della procedura, spettante agli amministratori o ai sindaci, per l’ac­certamento dello scioglimento della società con la sua liquidazione; in altri termini, il danno derivante dalla prosecuzione dell’attività di impresa non sarebbe stato evitabile se la KPMG avesse reso una relazione negativa del bilancio consolidato, avendo tale documento come destinatari gli unici organi (amministratori e sindaci) ai quali spettava il potere di intervenire e di porre rimedio alla perdita del capitale sociale e che, avendo redatto il bilancio consolidato 2006, ed avendo fornito alla società di revisione i documenti e le informazioni necessarie allo svolgimento del suo incarico, non potrebbero ritenersi all’oscuro delle stesse irregolarità che la Curatela assume non essere state evidenziate dalla KPMG nella sua relazione.

Occorre, altresì, porre in rilievo, come si è già detto, che nel caso di specie fu affidato alla KPMG un incarico di revisione volontaria non certificata; dalla lettera di conferimento dell’incarico, prodotta dallo stesso Fallimento (omissis) emerge, infatti, che la revisione era stata richiesta dalla M.C. ad uso esclusivamente interno, ovvero per verificare la corretta redazione del bilancio e contabilizzazione dei fatti gestionali.

Fu inoltre specificato che le risultanze dell’attività di revisione della KPMG non avrebbero potuto essere utilizzate dal “Revisore terzo nell’espressione del suo giudizio sul bilancio d’esercizio e consolidato della Malavolta Corporate S.p.A. ai sensi dell’art. 2409-ter (primo comma c.c.)”.

Ciò esclude, pertanto, che la relazione positiva rilasciata dalla KPMG abbia in ogni caso potuto generare presso terzi “una illusoria apparenza di solidità o normalità aziendale” (omissis), in quanto trattandosi di revisione volontaria non certificata, va ribadito che essa mancava di ogni connotato di pubblicità per la scelta della società revisionata di non rendere pubblico il documento revisionale.

È opportuno, peraltro, evidenziare che la Curatela, nell’articolazione della domanda risarcitoria a titolo di responsabilità aquiliana, ha allegato che il preteso erroneo giudizio positivo reso dalla società di revisione avrebbe indotto “gli odierni creditori della fallita, sul presupposto del buon andamento patrimoniale, a concedere credito alla società revisionata (cfr. ceto bancario), che non sarebbe stato concesso se la reale situazione finanziaria […] fosse stata conosciuta” (omissis).

Orbene, appare evidente che tale azione non è un’a­zio­ne di massa e, come tale, non poteva essere esercitata dalla Curatela, assumendo quest’ultima, in realtà, di agire non per il risarcimento del danno patito dall’intero ceto creditorio, ma dai creditori esercenti l’attività bancaria per effetto della concessione di credito erogata alla società fallita a seguito della certificazione rilasciata dalla KPMG.

Lo stesso assunto di fondo della Curatela contempla, invero, come effetto della condotta asseritamente illecita, non un danno patito in modo uguale e generalizzato da tutti i creditori, bensì solo da taluno di essi ed in modo differenziato, il che rende ovvio che gli eventuali effetti recuperatori dell’azione non potrebbero ridondare a favore della totalità dei creditori: in altre parole le somme, eventualmente acquisite per effetto del vittorioso esperimento dell’azione risarcitoria, non potrebbero essere distribuite tra tutti i creditori, ma solo tra quelli (individuati, come si è detto, nel “ceto bancario”) che avrebbero patito il danno, e secondo le proporzioni del danno.

Nel caso di pregiudizio patito da taluno dei creditori per effetto di attività asseritamente illecite da parte degli organi gestori o di controllo è evidente che ogni soggetto danneggiato è legittimato in via esclusiva a far valere il suo diritto al ristoro della lesione patita nei confronti del­l’autore del comportamento dannoso e rispetto a tale situazione il fallimento, nel caso di specie, costituisce mero elemento storico di fondo che non ha alcun rapporto, se non autonomamente occasionale, con la lesione e la pretesa di riparazione.

La conferma di quanto s’è fin qui detto, peraltro, è nell’art. 24 L.F., dal quale è possibile rilevare quali sono le azioni di massa: secondo la norma tali sono “tutte le azioni che ne (ndr. dal fallimento) derivano, qualunque ne sia il valore ed anche se relative a rapporti di lavoro, eccettuate le azioni reali immobiliari, per le quali restano ferme le norme ordinarie di competenza.

Il principio dettato della norma impone, dunque, di ritenere che l’azione risarcitoria avanzata dalla Curatela con riguardo al pregiudizio subito dal ceto creditorio bancario non “deriva” dal fallimento, e perciò non poteva essere esperita dal Curatore, considerata la peculiare finalizzazione teleologica che caratterizza le azioni di massa, le sole che possono competere al Curatore, che mirano alla ricostruzione della massa, e dell’acquisizione ad essa di ogni cespite economico fuoriuscito dal patrimonio del fallito in spregio della par condicio creditorum.

Sulla base di tutte le considerazioni che precedono deve pertanto ritenersi che la Curatela non abbia fornito elementi idonei a dimostrare il proprio assunto, con conseguente integrale rigetto delle pretese avanzate nei confronti dei convenuti.

(Omissis).

P.Q.M.

Il Tribunale di Roma, in composizione collegiale, definitivamente pronunciando nel procedimento nr. R.G. 34712/2010, in contraddittorio tra le parti indicate in epigrafe, disattesa ogni altra istanza, eccezione e difesa, così provvede:

– rigetta le domande proposte dal Fallimento della Malavolta Corporate S.p.A. nei confronti dei convenuti KPMG S.p.A. e Salvatore Sanna (omissis).

(Omissis).

SOMMARIO:

1. Il caso - 2. Il quadro normativo di riferimento e gli orientamenti dottrinali e giurisprudenziali - 3. Il commento: responsabilità da errata revisione (volontaria) e nesso di causalità - 4. Segue: La sussistenza del nesso di causalità in relazione alla responsabilità nei confronti della società che ha conferito l’incarico - 5. Segue: La sussistenza del nesso di causalità in relazione alla responsabilità nei confronti dei terzi - 6. La legittimazione attiva del curatore - NOTE


1. Il caso

Con la pronuncia in epigrafe, il Tribunale di Roma affronta la questione della responsabilità della società di revisione nei confronti della società revisionata e dei terzi che siano danneggiati dal negligente svolgimento dell’attività di audit commissionata su base volontaria. La vicenda trae origine dal mandato professionale conferito ad una società di revisione, con il quale quest’ul­tima viene incaricata di effettuare, a titolo volontario, la revisione del bilancio consolidato di gruppo: non molto tempo dopo il giudizio “senza rilievi” espresso sul bilancio consolidato, la società viene dichiarata fallita. Il curatore del fallimento agisce allora contro la società di revisione e contro il dipendente che ha materialmente eseguito l’attività di revisione, affermando che se non fosse stato emesso un giudizio positivo sul bilancio, il fallimento della holding sarebbe stato dichiarato molto tempo prima, evitandosi di conseguenza tutti gli ulteriori atti distrattivi e fraudolenti posti in essere dall’organo gestorio, tali da depauperare l’intero patrimonio della società e da renderla sostanzialmente una scatola vuota. Questi, quindi, chiede al Tribunale di: (i) accertare e dichiarare la sussistenza, in capo a entrambi tali soggetti, della responsabilità a titolo contrattuale nei confronti della società fallita in virtù dell’incarico conferito e della responsabilità nei confronti dei creditori sociali ex artt. 2043, 2407 e 2409-sexies c.c. per il pregiudizio loro arrecato dal ritardato fallimento; e (ii) per l’effetto, condannarli in solido al risarcimento dei danni in favore della procedura e della massa dei creditori sociali. I convenuti dal canto loro eccepiscono, da un lato, la carenza di legittimazione passiva del rapporto controverso in capo al revisore persona fisica e, dal­l’altro lato, la carenza di legittimazione attiva del curatore in relazione alle domande formulate, in via extracontrattuale, in rappresentanza dei terzi creditori, oltre che l’infondatezza nel merito delle domande dell’attore. Il giudice di primo grado respinge le domande dell’attore, non riscontrando lo stesso i presupposti necessari ad affermare la sussistenza della responsabilità in capo alla società di revisione e al revisore persona fisica materialmente incaricato [continua ..]


2. Il quadro normativo di riferimento e gli orientamenti dottrinali e giurisprudenziali

L’attività di revisione nasce nella prassi, importata dai Paesi di matrice anglosassone, ben prima del­l’introduzione del relativo obbligo legale. Solo di recente, infatti, è stata introdotta nell’or­dinamento un’organica disciplina legale della revisione dei conti [1]: dapprima, limitatamente alle società quotate, con l’entrata in vigore del d.p.r. 31 marzo 1975 n. 136, disciplina poi trasposta, senza sostanziali modifiche, all’interno del d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, recante il “Testo Unico dell’in­ter­me­dia­zione finanziaria” (t.u.f.) [2]; poi, con l’entrata in vigore degli artt. 2409-bis e seguenti c.c. nel 2003, anche per le società non quotate, ferma restando per le sole società chiuse non tenute alla redazione del bilancio consolidato la possibilità di prevedere in statuto che la revisione legale (al­l’epoca, il controllo contabile) fosse esercitata dal collegio sindacale. Infine, con l’entrata in vigore del d.lgs. 27 gennaio 2010, n. 39, si è avuta la quasi integrale abrogazione delle norme contenute nel codice civile e nel t.u.f. e il loro contestuale accorpamento entro un’unica cornice normativa [3]. Accanto alla revisione legale dei conti, tuttavia, ha continuato a svilupparsi e a diffondersi nella prassi il fenomeno della revisione c.d. volontaria, ovvero l’at­tività eseguita in relazione a quelle società che, sep­pur non soggette legalmente all’obbligo di revisione esterna dei conti, decidano comunque di sottoporre i propri bilanci alla stessa ovvero che, a causa di specifiche esigenze, necessitino dell’attestazione da parte di un soggetto esterno ed indipendente – ap­punto, la società di revisione [4]. Tale attività trova la sua regolamentazione nel relativo contratto d’incarico, che tuttavia non sempre rappresenta fonte idonea a delineare con sufficiente certezza i confini di tale figura [5]. L’inesistenza di una disciplina specifica della revisione volontaria ha, quindi, suscitato numerosi interrogativi, anche alla luce della rilevanza pratica del fenomeno [6]. In particolare, sia in dottrina che in giurisprudenza, ci si è chiesti se fosse possibile applicare a tale attività le norme dettate per la revisione obbligatoria e, segnatamente, quelle relative alla [continua ..]


3. Il commento: responsabilità da errata revisione (volontaria) e nesso di causalità

Il Tribunale capitolino non si pronuncia esplicitamente sul regime di responsabilità – speciale o generale – applicabile al caso di specie, ma si sofferma piuttosto su due diverse questioni: valuta, in primis, la sussistenza del nesso di causalità tra la condotta contestata alla società di revisione (e al revisore persona fisica) e il danno provocato alla società e ai terzi, da valutarsi utilizzando il criterio dell’adegua­tezza obiettiva e della regolarità o tipicità causale e, in secondo luogo, la legittimazione attiva del curatore, in entrambi i casi accogliendo le eccezioni avanzate dalla società di revisione. Andando ad esaminare la prima questione, come noto, il nesso di causalità (materiale) altro non è che il collegamento tra il fatto da cui sorge la responsabilità e il danno lamentato dall’attore [28]. Secondo la ormai più diffusa impostazione, questo si compone idealmente di un elemento positivo ed un elemento negativo: il primo consiste nella prova che il fatto costituisca condizione essenziale per la ve­rificazione dell’evento, ovvero un antecedente sen­­za il quale l’evento non si sarebbe verificato (con­ditio sine qua non); il secondo, invece, è costituito dalla prova che fattori eccezionali non abbiano concorso alla causazione dell’evento [29]. Il primo elemento è il risultato dell’applicazione della teoria dell’equivalenza delle cause, secondo la quale tutti gli antecedenti, diretti o indiretti, prossimi o remoti, senza i quali l’evento non si sarebbe potuto verificare sono considerati causa di esso [30]. Riflesso di tale teoria si ritiene la disposizione di cui all’art. 2055 c.c., ai sensi della quale, qualora il fatto dannoso sia conseguenza di più azioni poste in essere da diversi soggetti, questi ne rispondono tutti solidalmente. In altri termini, tale norma avrebbe la funzione di collegare più soggetti all’evento dannoso, sul presupposto dell’efficienza causale delle rispettive azioni [31]. Secondo la giurisprudenza prevalente, tuttavia, il criterio dell’equivalenza delle cause deve essere mitigato utilizzando il criterio dell’efficienza causale esclusiva, in base alla quale si attribuisce rango di causa efficiente esclusiva ad uno dei fatti imputabili quando questo, inserendosi quale causa [continua ..]


4. Segue: La sussistenza del nesso di causalità in relazione alla responsabilità nei confronti della società che ha conferito l’incarico

Come evidenziato in dottrina, il danno contrattuale nel rapporto tra società di revisione e società revisionata è difficilmente configurabile o di scarsa entità [37]. Tra i casi che generalmente vengono in rilievo, può annoverarsi quello delle ulteriori perdite subite dalla società revisionata, fallita in conseguenza della continuazione della gestione passiva, non avendo la relazione sul bilancio evidenziato l’avvenuta perdita del capitale [38]. E proprio quest’ultimo è il danno ravvisato dalla curatela nel caso di specie. Il giudice di merito, tuttavia, ritiene di non accogliere la domanda attorea, reputando non sufficiente la prova del nesso causale tra la condotta dei revisori e il danno subìto, appunto, dalla società [39]. Ad opinione del collegio, infatti, la società di revisione non avrebbe, in sede di revisione volontaria, alcun potere nei confronti degli organi di amministrazione e di controllo interni, volto ad evitare che un determinato comportamento venga da questi tenuto. In particolare, alla società di revisione non fa capo alcun potere di veto sull’operato degli amministratori né alcun potere di segnalazione delle irregolarità all’assemblea della società o all’autorità giudiziaria né, ancora, in caso di perdite rilevanti del capitale sociale, il potere di convocazione dell’assemblea dei soci ex art. 2446 c.c. [40]. Per tali ragioni, anche alla luce della volontarietà dell’attività commissionata, qualsivoglia contestazione da parte dei revisori non avrebbe assicurato una rettifica dell’operato degli amministratori [41]. Di conseguenza, il danno derivante dalla prosecuzione dell’attività d’impresa non sarebbe stato comunque evitabile se la società di revisione avesse reso una relazione di contenuto negativo al bilancio consolidato, avendo tale documento come destinatari i soggetti che, per la loro funzione al­l’in­terno della società, non potevano che essere consapevoli, o addirittura gli artefici in prima battuta, delle irregolarità contestate alla società di revisione e quindi in grado di porre rimedio alla perdita del capitale sociale. In tal modo, il giudice ha considerato rilevante il collegamento causale tra l’azione degli amministratori e il danno lamentato dalla [continua ..]


5. Segue: La sussistenza del nesso di causalità in relazione alla responsabilità nei confronti dei terzi

Ancor più interessante è il profilo relativo alla sussistenza del nesso di causalità rispetto al danno da cattiva informazione sofferto dai terzi. Qui, come già accennato, si tratta di valutare la rilevanza esterna delle informazioni contenute nella relazione dei revisori al fine di comprendere se le stesse siano state in grado di ingenerare nei terzi (investitori o creditori) un legittimo affidamento tale da costituire collegamento causale con il danno dagli stessi patito [46]. A differenza dell’ipotesi di revisione obbligatoria, nella revisione volontaria si potrebbe riconoscere la sussistenza del nesso di causalità solo qualora a questa fosse attribuita nel contratto d’inca­rico una qualsivoglia rilevanza esterna [47]. In particolare, ove la revisione fosse stata disposta dagli amministratori allo scopo di offrire ai soci o ai terzi una informativa che consentisse a questi di valutare criticamente i valori del bilancio di esercizio, sebbene l’obbligazione tragga origine da un contratto, spiegherebbe i suoi effetti anche nei confronti dei terzi interessati alla suddetta informativa. Ove, invece, la revisione fosse stata commissionata dagli amministratori solo per avere conferma della bontà dei criteri dagli stessi utilizzati nella redazione del bilancio e dunque per finalità meramente interne alla società, difficilmente potrebbe affermarsi la sussistenza del nesso di causalità tra l’illecito e un pregiudizio dei terzi [48]. È evidente come la prova del nesso di causalità sia, dunque, tutt’altro che agevole [49]. Occorrerà operare una valutazione in concreto, caso per caso, accer­tando la funzione della relazione e i soggetti effet­tivamente destinatari delle informazioni in essa contenute. Nel caso in esame, il giudice evidenzia come nella lettera di conferimento dell’incarico fosse specificato che la revisione volontaria dovesse avere valenza esclusivamente interna, al mero fine di verificare la corretta redazione del bilancio e contabilizzazione dei fatti gestionali da parte degli amministratori, né sussistesse alcun obbligo di deposito della relazione sul bilancio consolidato presso l’ufficio del Registro delle Imprese, tale da rendere edotti i terzi circa lo status della società [50]. Per tali ragioni, anche in questo caso, a suo avviso, sarebbe risultata carente la prova [continua ..]


6. La legittimazione attiva del curatore

Con riferimento all’ulteriore profilo affrontato dalla sentenza, relativo alla legittimazione attiva del curatore, il giudice di merito nega che questi possa stare in giudizio nell’interesse dei creditori che abbiano concesso credito alla società fallita sul presupposto del buon andamento patrimoniale risultante dal bilancio. Qui, come sostenuto dal Tribunale, l’asserito pregiudizio subìto dal ceto bancario non sarebbe direttamente legato all’insolvenza della società e, pertanto, la relativa azione non dovrebbe considerarsi come un’azione della massa, caratterizzata dalla peculiare finalizzazione teleologica della ricostruzione del patrimonio del fallito; al contrario, il danno lamentato sarebbe sofferto e, dunque, azionabile dai singoli creditori danneggiati. A tal proposito, se non vi sono dubbi circa la legittimazione del curatore ad esperire nei confronti della società di revisione l’azione ex contractu, controversa è ancor oggi la possibilità per questi di stare in giudizio per conto dei creditori danneggiati. Sebbene si rinvengano talune pronunce di merito a favore della generale legittimazione del curatore [52], si ritiene di aderire all’opinione della dottrina maggioritaria e della giurisprudenza di legittimità, secondo cui il curatore sarebbe legittimato ad esperire l’azio­ne di responsabilità extracontrattuale nei confronti della società di revisione solo nel caso in cui il suo comportamento abbia determinato una diminuzione del patrimonio sociale (e quindi della garanzia generica per tutti i creditori), nonché un aggravamento del passivo che, nel caso di giudizio dei revisori sul bilancio, si verifica tipicamente quando lo stesso avrebbe invece dovuto evidenziare una diminuzione del capitale al di sotto del minimo legale [53]. Que­st’azione concorre con l’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori di cui all’art. 2394 c.c. Diverso è, invece, il caso in cui il creditore sia stato indotto a concedere credito alla società sulla base dell’erroneo giudizio sul bilancio: qui, infatti, il danno è rappresentato dalla lesione dell’autonomia contrattuale del singolo creditore, che mantiene dunque la legittimazione ad agire in giudizio, analogamente a quanto accade per l’azione di responsabilità degli amministratori ex art. 2395 [continua ..]


NOTE