Rivista di Diritto SocietarioISSN 1972-9243 / EISSN 2421-7166
G. Giappichelli Editore

indietro

stampa articolo indice fascicolo leggi articolo leggi fascicolo


Il diritto di recesso nelle società soggette ad attività di direzione e coordinamento: alcune considerazioni (di Roberto Pennisi  )


  
SOMMARIO:

1. Le norme sul recesso e la disciplina dell’attività di direzione e coordinamento - 2. Diritto di recesso e rischio dell'investimento - 3. Funzione del diritto di recesso e necessità di definizione dell'ambito di esercizio di esso - 4. Le soluzioni, proposte in dottrina, che influiscono sulla tempistica del recesso, nel­l'ipotesi di inizio dell'attività di direzione - 5. I due elementi che compongono la fattispecie che legittima il recesso ex art. 2497-quater, lett. c): l’inizio dell'attività di direzione - 6. (Segue). L'alterazione delle condizioni di rischio dell'investimento - 7. Il nesso fra inizio dell'attività di direzione ed alterazione delle condizioni di rischio dell'investimento - 8. Le alterazioni delle condizioni di rischio che si verificano dopo l'inizio dell’atti­vità di direzione - 9. Le alterazioni delle condizioni di rischio che si verificano contestualmente all'ini­zio dell'attività di direzione - 10. La possibilità di anticipare il decorso del termine per l'esercizio del diritto di recesso - 11. Il problema della quantificazione del valore della partecipazione - NOTE


1. Le norme sul recesso e la disciplina dell’attività di direzione e coordinamento

 Le norme sul recesso non sono il tema centrale della disciplina dei gruppi. O almeno non sono state considerate tali. Non è senza ragione che l’attenzione della dottrina sia stata attratta e si sia concentrata soprattutto sulla norma relativa alla responsabilità. Tuttavia tale norma non è a mio avviso pienamente comprensibile se non la si legge nel­l’ambito del contesto normativo del capo IX del Libro V del c.c. (e per la verità ho l’im­pres­sione che, anche così facendo, resti più di un punto oscuro). In altre parole, e non sono certo il primo a dirlo, pur non essendo possibile qualificare il capo IX come una disciplina completa dei gruppi di società, non si può disconoscere che esso contenga comunque un disegno organico di tale disciplina [[1]]. Forse si può dire che il legislatore ha scelto la via della timidezza rifuggendo dal porre definizioni od enunciati normativi di carattere ampio [[2]]. Basti pensare come abbia evitato di definire il gruppo limitandosi a contemplare la relazione di direzione; il che se da un canto consente di evitare di affrontare la questione della definizione della fattispecie «gruppo» [[3]], dall’altro pone il problema di doversi basare su una definizione bilaterale della fattispecie, anche lì dove, ed è il caso più frequente, la realtà economica è più complessa e le relazioni tra le società intrecciate e ramificate. Tuttavia una visione generale della regolazione degli interessi coinvolti nel fenomeno economico del gruppo è sottesa alla disciplina contenuta nel capo IX e qua e là nei vari articoli si rinvengono punti in cui essa emerge [[4]]. Questo avviene anche (ed in maniera non trascurabile) nelle norme che regolano il recesso.


2. Diritto di recesso e rischio dell'investimento

Il primo punto che emerge con chiarezza dalla lettura dell’art. 2497-quater c.c. è costituito dal fatto che il legislatore considera la scelta del gruppo come scelta di una formula organizzativa dell’impresa di per sé neutrale rispetto ad altre possibili. Il solo fatto che sia consentito il recesso non solo quando la società viene sottoposta alla attività di direzione ma anche quando tale sottoposizione cessi, dimostra che il legislatore contempla l’ipotesi in cui la cessazione dell’attività sia sfavorevole, o meglio meno favorevole, per gli interessi del socio esterno, rispetto alla situazione di indipendenza, che si viene a creare proprio a causa della cessazione. Questo rende ingiustificabili prese di posizione che sottintendono atteggiamenti di sospetto verso la forma organizzativa del gruppo ed anche, mi pare, operazioni che individuino nel­l’istituto del recesso un rimedio di carattere sanzionatorio, nei confronti del soggetto che ha instaurato una situazione di controllo e che in virtù di essa esercita l’attività di direzione. Certo ci sono ipotesi in cui il recesso sembra avere le caratteristiche di una sanzione, ma non determinata dall’esercizio dell’attività di direzione, quanto piuttosto, ed è cosa ben diversa, dall’abuso di tale attività. Per la verità, anche in questo caso, l’affermazione del carattere sanzionatorio del recesso andrebbe forse meglio valutata. Perché in tutte le ipotesi di recesso, e quindi persino nella ipotesi appena menzionata, ove è stato commesso un illecito e perciò è più immediato pensare che di conseguenza ne debba seguire una sanzione, va tenuto presente il fatto che l’exit del socio viene per così dire «finanziato» con risorse provenienti dal patrimonio della società soggetta. E che questo costituisca una conseguenza negativa per la società che dirige è tutto da verificare e si possono immaginare ipotesi nelle quali così non sia. Anzi, aggiungerei, che non è difficile immaginarlo, sol che si tenga presente che, proprio nel caso di abuso dell’attività di direzione, la società che dirige ha già ritenuto opportuno scegliere un comportamento, che ha determinato il depauperamento del patrimonio della società soggetta [[5]]. Il secondo [continua ..]


3. Funzione del diritto di recesso e necessità di definizione dell'ambito di esercizio di esso

L’efficace assolvimento della funzione, che il diritto di recesso svolge in relazione agli equilibri endosocieari, richiede l’individuazione del momento in cui tale diritto possa essere esercitato. Altrimenti si determinerà una situazione di pendenza, incompatibile con la possibilità che tutto si risolva entro un ragionevole lasso di tempo, mediante una negoziazione fra il socio di minoranza e la società che dirige. È infatti questa una delle funzioni che secondo il legislatore storico il recesso è chiamato a svolgere. Nella Relazione, al §13 [[8]] si legge che il diritto di recesso è stato riconosciuto al socio di società soggetta: «Nel quadro di una concezione generale del recesso che vi riconosce l’attribuzione al socio di un potere di negoziare la sua permanenza in società davanti ad alterazioni rilevanti del quadro originario» [[9]]. Senza la determinazione di un ambito temporale all’interno del quale la vicenda possa risolversi, i conflitti tenderebbero a moltiplicarsi e il pericolo per la stabilità dell’impresa sarebbe costante. Una conseguenza di questo tipo mi parrebbe in contraddizione anche con l’affermazione prima fatta, secondo la quale la scelta del gruppo è vista dal legislatore come una delle possibili forme organizzative di gestione delle imprese in sé non peggiore di altre. E questo perché la scelta del gruppo, come strumento per la gestione dell’impresa, soffrirebbe, rispetto ad altre, della instabilità derivante da un diritto di recesso a disposizione dei soci di minoranza per periodi assai più lunghi. Si noti fra l’altro che la scelta di organizzare l’impresa in forma di gruppo non è scelta sempre e comunque effettuata dalla società che dirige. Essa potrebbe anche essere fatta dalla società soggetta ad attività di direzione qualora si realizzi una delle fattispecie di cui all’art. 2497-septies c.c.; ed è una scelta vien comunque anche condivisa dai soci di minoranza della società soggetta, nella misura in cui decidano di non recedere. Anche per queste ragioni, va tenuto presente che il fatto che si giunga a soluzioni interpretative, che consentano al socio di valutare la convenienza della nuova situazione e non gli consentano più di questo (nel senso che il recesso non deve tramutarsi in [continua ..]


4. Le soluzioni, proposte in dottrina, che influiscono sulla tempistica del recesso, nel­l'ipotesi di inizio dell'attività di direzione

Un punto cruciale nel quale, data anche la lacunosità del dato letterale, si corre questo rischio è rappresentato da quella che si potrebbe chiamare la tempistica del recesso, espressione con la quale intendo la successione nel tempo di circostanze, che è necessario si realizzino, per rendere completa la fattispecie che legittima il recesso. Prenderei in considerazione la causa di recesso, che probabilmente sarà di più frequente applicazione nell’ambito dei gruppi, quella prevista dalla lett. c) dell’art. 2497-quater c.c., che fa sorgere il diritto di recesso all’inizio ed alla cessazione dell’attività di direzione e coordinamento, quando ne deriva una alterazione delle condizioni di rischio dell’investimento. In questa fattispecie infatti, a seconda delle soluzioni interpretative che si adottano, si possono dilatare e di molto le possibilità di recesso. Se si combinassero tra loro le interpretazioni più favorevoli all’interesse del socio, che vuol recedere (mai per la verità proposte tutte insieme dallo stesso autore, ma tuttavia proposte), si determinerebbe una situazione a mio avviso poco coerente con le finalità, cui nell’intenzione del legislatore storico l’istituto dovrebbe tendere. È stato infatti proposto: a) Che, nell’ipotesi di cui alla lett.a) dell’art. 2407-quaterc., l’alterazione delle condizioni di rischio vada accertata in concreto e che quindi l’alterazione deve essersi prodotta, «non potendosi esercitare il recesso di fronte ad un rischio solo potenziale» [[14]]. Come dirò più avanti (infra, § 9), rientrano nella fattispecie di cui alla lett. c) anche le ipotesi nelle quali l’«incompatibilità» tra le attività, che costituiscono l’oggetto sociale della società che dirige e della società diretta, preesista all’inizio dell’attività di direzione. Se così è la soluzione proposta in sede di interpretazione della lett. a) dovrebbe valere anche nel caso previsto dalla lett. c) [[15]]. Da ciò risulterebbe che il termine per l’esercizio del diritto di recesso decorrerà in un momento successivo all’inizio dell’attività di direzione, anche se una alterazione delle condizioni di rischio sia rilevabile in [continua ..]


5. I due elementi che compongono la fattispecie che legittima il recesso ex art. 2497-quater, lett. c): l’inizio dell'attività di direzione

La formulazione della norma di cui all’art. 2497-quater, lett. c), c.c. però non aiuta di certo a soddisfare l’esigenza da ultimo segnalata. I due elementi della fattispecie al ricorrere dei quali, secondo questa norma, sorge il diritto di recedere sono infatti entrambi di difficile accertamento. È stata già rilevata la difficoltà di individuazione del momento dell’inizio dell’attività di direzione e coordinamento [[18]]. Va ricordato in proposito che l’opinione prevalente e condivisibile esclude che il dies a quo del termine per il recesso possa dipendere dalla iscrizione nel registro, quale che sia l’efficacia che ad essa si voglia attribuire [[19]]. Infatti, l’art. 2437-bis c.c., dettato per le società per azioni [[20]] e richiamato dall’art. 2497-quater c.c., esplicitamente stabilisce che il recesso, legittimato da fatti diversi da una deliberazione, è esercitato entro trenta giorni dalla conoscenza del fatto da parte del socio [[21]]; e non vi è ragione per ritenere che non valga anche per il caso del recesso il principio dell’effettività dell’esercizio dell’attività di direzione, che pertanto va apprezzata appunto come fatto [[22]]. Ciò premesso, la ricerca della soluzione al problema della individuazione del momento di inizio della attività di direzione non è certo semplificata dal fatto che, essendo essa appunto una attività, non sarebbe a rigor di logica apprezzabile come tale se non dopo la concretizzazione di una serie di atti finalizzati ad uno scopo, non essendo sufficiente l’individuazione del primo di essi [[23]]. L’esercizio della attività di direzione e coordinamento per di più in questa fattispecie appare spesso di accertamento ancor più difficile rispetto a quanto accade in relazione alla responsabilità prevista dall’art. 2497 c.c. In quest’ultima ipotesi infatti la questione viene in rilievo, per così dire, ex post, allorché ci sia già stato un periodo di esercizio della attività. Per cui, salvo casi marginali, in presenza di un abuso e di un danno che ne sia conseguenza, si potrà il più delle volte ripercorrere a ritroso la sequenza di episodi che sono espressione dell’attività di direzione. Nel caso [continua ..]


6. (Segue). L'alterazione delle condizioni di rischio dell'investimento

Questa situazione di incertezza, già di per sé non semplice, è ulteriormente aggravata da due problemi ulteriori. Il primo è costituito dalla individuazione della fattispecie della alterazione delle condizioni di rischio dell’investimento ed il secondo dalla definizione della connessione temporale tra l’alterazione delle condizioni di rischio e l’inizio dell’attività di direzione. In prima approssimazione, e richiamando sinteticamente quanto altrove sostenuto [[25]], appare adeguato definire l’alterazione delle condizioni di rischio come un mutamento delle condizioni di esercizio dell’impresa che sono state alla base della decisione del socio di entrare e rimanere fino a questo momento in società [[26]]. Elementi utili per fondare il giudizio possono ad esempio essere: il grado di accentramento del gruppo, la sua strategia, la condizione nella quale si trovava la società prima dell’inizio dell’attività di direzione. Il fatto stesso che non sia stata sempre concessa la facoltà di recesso ogni qual volta inizi o cessi l’attività di direzione e coordinamento sta a significare che l’alterazione del rischio non possa essere identificata con la sola perdita di autonomia. Affermazione questa dalla quale si può dedurre, in primo luogo, che il legislatore prevede situazioni nelle quali l’at­tività di direzione e coordinamento abbia caratteristiche tali da determinare l’applicazione delle norme del capo IX (relative alla responsabilità, alla pubblicità, alla motivazione delle decisioni, ecc.) ma non il diritto di recesso. In secondo luogo, la stessa affermazione porta ad escludere che il passaggio da una soggezione ad un’altra, lasciando la società comunque soggetta, possa considerarsi irrilevante: è il concreto rischio determinato dall’appartenenza ad uno specifico gruppo che va valutato, ne consegue che anche il cambio del controllo sulla società soggetta, in quanto importi l’uscita da un gruppo e l’ingresso in un altro, può alterare le condizioni di rischio [[27]].


7. Il nesso fra inizio dell'attività di direzione ed alterazione delle condizioni di rischio dell'investimento

Il fatto che la possibilità di recesso si realizzi al ricorrere del doppio presupposto dell’inizio (o cessazione) dell’attività di direzione e coordinamento e dell’alte­razione delle condizioni di rischio pone il problema dell’arco temporale nel quale la fattispecie possa ritenersi completa. Certo i due momenti potrebbero non coincidere ed anche essere molto distanti nel tempo, dato che l’andamento di un’attività di impresa è condizionato da vari fattori i cui effetti positivi o negativi possono non di rado emergere in tempi assai lunghi [[28]]. Ed in più essi devono essere conosciuti dal socio perché nei suoi confronti possa decorrere il termine per l’esercizio del recesso. Occorre perciò definire fino a quale momento una alterazione delle condizioni di rischio possa avere rilevanza giuridica ai fini dell’esercizio del recesso. A questo fine si possono evidenziare situazioni in cui l’alterazione delle condizioni di rischio appaia per così dire evidente od in re ipsa, vale a dire che essa si verificherà in coincidenza temporale con l’inizio dell’attività di direzione e per il solo fatto che tale attività abbia inizio. Ad esempio, perché questa alterazione emerge dal confronto delle attività che costituiscono l’oggetto sociale della società che dirige e di quella diretta. Direi che in questo caso il rischio si evidenzi anche prima dell’inizio dell’attività di direzione e cioè al momento del­l’acquisto del controllo. Si possono poi ipotizzare casi in cui l’alterazione si realizzi in concreto, per il modo in cui l’attività di direzione venga esercitata. Questa ipotesi a sua volta può verificarsi in coincidenza con l’inizio dell’attività di direzione, cioè per il modo in cui viene esercitata tale attività sin dall’inizio; oppure successivamente, allorché le modalità di esercizio vengano a variare dopo l’inizio dell’attività e cioè durante l’esercizio di essa. Si possono quindi ipotizzare tre diverse tipologie della fattispecie, che corrispondono a tre momenti diversi nel tempo. Come segnalavo all’inizio, molto può cambiare a seconda di quanto si ritengano rilevanti questi eventi al fine del recesso.


8. Le alterazioni delle condizioni di rischio che si verificano dopo l'inizio dell’atti­vità di direzione

 Scarterei innanzi tutto la possibilità di prendere in considerazione alterazioni delle condizioni di rischio, derivanti da una modificazione delle modalità dell’esercizio dell’attività di direzione o da una ristrutturazione dell’impresa di gruppo, che dovessero evidenziarsi dopo l’inizio della attività di direzione, che, essendo iniziata con certe modalità, venga rimodulata in un momento successivo [[29]]. Questa soluzione mi pare motivabile innanzi tutto con considerazioni relative alla lettera della legge. Infatti nell’art. 2497-quater, lett. c), c.c. la particella «ne» collega l’alterazione all’inizio od alla cessazione dell’attività di direzione. Questa connessione non può essere intesa come un nesso di causalità astratto, pena la dilatazione estrema e la conseguente vanificazione di questo elemento. Essa deve essere intesa nel senso anche temporale. La lettera della legge fa riferimento infatti al momento dell’inizio (o della cessazione), riferimento temporale che non avrebbe alcun valore nell’economia della norma se l’alterazione del rischio potesse sopravvenire in un momento successivo. La legge di delega conferma questa interpretazione: l’art. 10 prevede infatti che le adeguate forme di tutela al socio siano riconosciute «al momento dell’ingresso e dell’uscita dal gruppo». Si tratta di argomento debole sinché si vuole ma senz’altro da tenere in considerazione. Esso diventa peraltro meno debole, se si considera l’aspetto degli interessi in gioco, già più volte ricordato: sganciare la possibilità di recesso dal legame con l’inizio è assai pericoloso non consentendo alla compagine societaria ed al patrimonio della società soggetta di stabilizzarsi. Ancora, se è vero che tutte le ipotesi di recesso dei soci delle società soggette sono in fondo dettate da un’alterazione delle condizioni di rischio [[30]], si può svolgere una ulteriore considerazione. Se infatti qualsiasi alterazione delle condizioni di rischio, anche sopravvenuta, fosse sufficiente a legittimare il recesso, la previsione espressa di cui alla lett. a) dell’art. 2497-quater c.c. (la modifica dell’oggetto sociale che consente un’attività che muta il profilo del rischio) [continua ..]


9. Le alterazioni delle condizioni di rischio che si verificano contestualmente all'ini­zio dell'attività di direzione

Vengo adesso a considerare all’opposto situazioni che possono essere accertate nel momento in cui inizia l’attività di direzione, perché si tratta di situazioni di «incompatibilità» verificabili a priori. Di queste una mi pare di sicura rilevanza: quella in cui la società che inizia ad esercitare l’attività di direzione abbia uno scopo sociale ovvero un oggetto sociale che consenta l’eser­cizio di attività che alterino in modo sensibile e diretto le condizioni economiche e patrimoniali della società soggetta. Si tratta delle stesse situazioni che, se si concretizzassero, in costanza di esercizio dell’atti­vità di direzione, a seguito di trasformazione o di modifiche dell’atto costitutivo della società che dirige, realizzerebbero la fattispecie di cui alla lett. a) dell’art. 2497-quater c.c. Mi pare che la stessa disciplina debba essere applicata se la fattispecie si realizzi all’inizio dell’attività di direzione, essendo la situazione statutaria di incompatibilità già esistente in tale momento. E ciò se è vero, come appunto mi par vero, che il concetto di rischio di alterazione delle condizioni patrimoniali della società soggetta, coincida dal punto di vista del socio di quest’ultima in una alterazione delle condizioni di rischio dell’investimento. Si tratta di situazioni che vengono individuate nella assoluta disomogeneità dell’attività, svol­ta dalla società che si appresta ad esercitare la direzione, rispetto all’attività svolta dalla società che alla direzione stessa sarà soggetta [[31]]. Ma anche all’inverso nella assoluta omogeneità di queste attività; situazione nella quale l’alterazione delle condizioni di rischio deriva dal fatto che la società che dirige è in buona sostanza un concorrente della società diretta e pertanto l’in­gresso di quest’ultima nel gruppo potrebbe determinare un depotenziamento delle sue armi concorrenziali e di conseguenza delle sue opportunità di profitto [[32]]. Altro esempio di situazione, che evidenzia sin dall’inizio una alterazione delle condizioni di rischio, è costituito dalle modalità dell’attività di direzione, riscontrabili in relazione [continua ..]


10. La possibilità di anticipare il decorso del termine per l'esercizio del diritto di recesso

Si pone a questo punto la questione relativa alla possibilità di anticipare, rispetto al momento in cui il socio venga a conoscenza per così dire «spontaneamente» del fatto dell’ini­zio dell’attività di direzione e dell’alterazione delle condizioni di rischio, il dies a quo del termine per l’esercizio del diritto di recesso. La soluzione positiva darebbe soddisfazione all’esigenza della società di avere quanto prima sia possibile un quadro chiaro, relativamente alla propria compagine sociale ed alla propria situazione patrimoniale. Talvolta potrebbe anche soddisfare l’interesse del socio ad esercitare subito il recesso, senza attendere l’effettivo inizio della attività di direzione. In sé la situazione contemplata dal legislatore è una situazione di potenzialità, perché appunto consiste in un «rischio». Potrebbe quindi ipotizzarsi di anticipare il momento da cui decorre il termine per l’esercizio del recesso, rispetto all’inizio effettivo dell’attività di direzione, di anticiparlo cioè al momento in cui viene acquisito il controllo. La società che dirige o gli amministratori della società diretta potrebbero infatti comunicare ai soci di aver acquisito il controllo per esercitare l’attività di direzione, al fine far scattare il termine per l’esercizio del recesso, almeno in tutte le ipotesi (indicate supra, § 9) in cui l’al­terazione delle condizioni di rischio dell’investimento sia rilevabile contestualmente all’inizio della attività di direzione. La lettera della legge non sembrerebbe consentirlo. Tuttavia la soluzione positiva appare a mio avviso opportuna, per le ragioni di certezza prima richiamate. Del resto, anche a non ammettere questa possibilità, occorre considerare che la presunzione di esercizio dell’attività di direzione in presenza di controllo opera anche nell’ipotesi di recesso e, visto l’ambito di applicazione generale dichiarato dalla lettera dell’art. 2497-sexies c.c., sia a favore del socio che volesse recedere che della società che tale recesso volesse impedire, assumendo che sia tardivo. In altre parole, instauratosi il controllo, il termine di trenta giorni per recedere decorrerà dalla conoscenza di questa situazione, [continua ..]


11. Il problema della quantificazione del valore della partecipazione

Passo ora a considerare la terza delle soluzioni interpretative citate al § 4, quella relativa al problema della quantificazione del valore della partecipazione. È stato sempre ritenuto dalla dottrina che l’efficacia dell’istituto del recesso sia condizionata in misura rilevante dalla possibilità, data ai soci, di conoscere preventivamente il valore attribuito alla propria partecipazione, al fine di consentir loro una consapevole scelta circa l’eser­cizio o meno del diritto di exit. Sotto questo aspetto la disciplina delle società soggette a direzione e coordinamento contiene una vistosa lacuna. Nulla infatti è dato evincere circa le modalità ed il momento in cui gli amministratori devono comunicare ai soci il valore attribuito alla partecipazione. Accreditata dottrina [[34]] ha proposto di far decorrere il termine di trenta giorni, previsto dall’art. 2437, 1° comma, ultima parte, c.c., per le ipotesi di recesso conseguente a cause diverse da una delibera, dal momento in cui viene messa a disposizione dei soci l’informazione relativa al valore attribuito alla partecipazione. Così leggendo la norma in questione come se riferisse la «conoscenza» non solo al fatto che legittima il recesso ma altresì anche al valore attribuito alle partecipazioni. Dal momento quindi di questa conoscenza scatterebbe il termine di trenta giorni, che, fra l’altro, appare equivalente a quello che è dato al socio che recede a seguito di una delibera e che ha quindi a disposizione i 15 giorni precedenti la delibera stessa e i quindici giorni successivi, per maturare la propria decisione. La soluzione appare rispettosa dell’interesse dei soci. Va però considerato che non grava sugli amministratori un dovere di comunicare ai soci la determinazione del valore delle partecipazioni, ma solo di calcolare tale valore, in modo da poterlo comunicare al socio, che ne faccia richiesta [[35]]. C’è quindi il rischio che questa soluzione interpretativa allunghi i tempi per l’esercizio del diritto di recesso. Rischio che può danneggiare il socio, nella misura in cui gli amministratori ritardino la comunicazione e quindi il momento in cui il socio acquisisce contezza di quanto gli spetta; rischio che colpisce anche la società se il socio ritardi la richiesta, procrastinando così il momento di scadenza del [continua ..]


NOTE
Fascicolo 1 - 2009