Rivista di Diritto SocietarioISSN 1972-9243 / EISSN 2421-7166
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I finanziamenti effettuati da chi esercita un'attività di direzione e coordinamento (nota a Trib. Milano, 15 marzo 2008) (di Maura Garcea)


TRIBUNALE DI MILANO, 15 marzo 2008 – Fiecconi Relatore – Zarfin Srl e Cornice Srl c. Grandi Magazzini e Supermercati il Gigante Spa.

Società – Società per azioni – Deliberazione assembleare di approvazione del bilancio – Finanziamenti dei soci – Violazione degli obblighi di informazione e completezza – Insussistenza

(Artt. 2423, 2424, 2426, 2427, 2467, 2497-quinquies c.c.)

Poiché la legge non richiede all’amministratore di menzionare in bilancio la natura postergata del credito sorto nei confronti di una società partecipata, non è affetto da difetto di informazione e completezza il bilancio redatto in mancanza di tale indicazione e, di conseguenza, è immune da vizi la relativa delibera di approvazione del bilancio (1).

Società – Società per azioni – Deliberazione assembleare di distribuzione degli utili – Violazione del principio di correttezza da parte della maggioranza – Insussistenza

(Art. 2377 c.c.)

La clausola statutaria che stabilisce di destinare una determinata percentuale di utili a riserva statutaria non impedisce di deliberare un ulteriore accantonamento di utili a riserva. In ogni caso, per potersi rintracciare una violazione del principio di correttezza nella deliberazione assembleare di distribuzione degli utili, è necessario dimostrare l’intento fraudolento della maggioranza, volto non al conseguimento di interessi sociali, bensì esclusivamente a danneggiare i soci di minoranza (2).

 

REPUBBLICA ITALIANA IN NOME
DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE ORDINARIO DI MILANO –

SEZIONE OTTAVA

nella persona dei seguenti magistrati
Dott. Vincenzo  PEROZZIELLO      Presidente
Dott. Francesca FIECCONI              Giudice Relatore
Dott. Alessandro               DAL MORO          Giudice
ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile iscritta al N. 75018/2006 R.G. promossa da:

ZARFIN SRL elettivamente domiciliata in Via Monte Napoleone, 18 – MILANO, presso e nello studio dell’avv. RUCELLAI COSIMO che la rappresenta e difende;

ATTRICE

CORNICE S.R.L. elettivamente domiciliato in Via Monte Napoleone, 18 – MILANO, presso e nello studio dell’avv. RUCELLAI COSIMO che lo rappresenta e difende;

ATTORE

contro:

GRANDI MAGAZZINI E SUPERMERCATI IL GIGANTE SPA elettivamente domiciliata in Via Besana, 9 – MILANO, presso e nello studio dell’avv. COLOMBO GIOVANNI EMANUELE che la rappresenta e difende;

CONVENUTA

in punto a:

“153112 – Impugnazione delle deliberazioni dell’as­semblea e del c.d.a. delle società, delle mutue assicuratrici e delle società cooperative”

Svolgimento del processo

Con atto di citazione parte attrice adiva il tribunale per sentire accogliere le conclusioni formulate; parte convenuta si costituiva chiedendo il rigetto delle pretese attoree.

La controversia giunge in decisione sulla base delle sole produzioni documentali, avendo il Giudice relatore rigettato le istanze istruttorie formulate dalle parti, ritenute superflue ai fini della decisione, essendo la controversia di natura essenzialmente documentale.

Il provvedimento del Giudice relatore veniva confermato dal Collegio giudicante all’udienza di discussione tenutasi il 28/02/2008

Motivi

Con atto di citazione notificato in data 25 novembre 2006 le società Zarfrin s.rl. e Cornice s.r.l. hanno convenuto in giudizio avanti il Tribunale di Milano, la società Grandi Magazzini e Supermercati il Gigante S.p.A. al fine di “dichiarare la nullità o comunque pronunciare l’annul­lamento per le ragioni di cui agli atti difensivi, della deliberazione assembleare del 28 agosto 2006 della società Grandi Magazzini e Supermercato il Gigante spa, con la quale è stato approvato il bilancio di esercizio della predetta società al 28 febbraio 2006, nonché della deliberazione con la quale è stata destinata a dividendi la quota di soli 4.050.000,00 del maggior utile indicato in 7.015.848,50, ordinare ì provvedimenti conseguenti, condannare la società Grandi Magazzini e Supermercati il Gigante spa al pagamento delle spese, diritti ed onorati, di giudizio.

  • PRETESA ERRONEITÀ-ILLEGITTIMITÀ DELLA VOCE III-2-A) DELL’ATTIVO DELLO STATO PATRIMONIALE DENOMINATA “CREDITI VERSO IMPRESE CONTROLLATE”.

Con il primo motivo di impugnazione, le società attrici chiedono la nullità, l’annullabilità o comunque l’invalidità della deliberazione assembleare del Gigante del 28 agosto 2006 con la quale è stato approvato il bilancio di esercizio al 28 febbraio 2006, in quanto:

 

a) violerebbe l’obbligo di informazione corretta e completa della posta di bilancio.

A parere di questo Collegio non può essere censurata la suddetta appostazione contabile poiché, come emerge dalla relazione sulla gestione e dalla nota integrativa, si tratterebbe nel caso di specie di “finanziamenti non onerosi erogati a società interamente controllate per far fronte alle loro esigenze di investimento e di gestione delle fasi di avvio e di messa a regime dell’attività” (cfr. p. 13 della nota integrativa al bilancio) il cui rimborso avviene progressivamente con la messa a reddito del patrimonio immobiliare delle società finanziate. A conferma di quanto esposto appare rilevante sottolineare la situazione delle tre società finanziate dal gruppo: Prezzo Club s.r.l. “ha ridotto il proprio indebitamento non oneroso sino a progressivamente azzerarlo”, Giovanni Villa s.r.l. “ha iniziato a rimborsare il finanziamento mediante le disponibilità generate dalla gestione”, mentre Sangrato s.r.l. “è stata ulteriormente finanziata per completare una delle proprie iniziative immobiliari.

Nella sopraccitata relazione viene inoltre specificato che successivamente, eventuali ulteriori fabbisogni vengono finanziati dalla controllante a titolo oneroso” prevedendo ulteriormente la possibilità di immediato rientro, attraverso la “facoltà per il mutuante di chiederne la restituzione in qualsiasi momento, fatto salvo un ragionevole preavviso” (vedi p. 10 della relazione sulla gestione).

A fronte di siffatte specifiche delucidazioni non si vede come gli attori possano dedurre la violazione dell’obbligo d’informazione (in claris non fit interpretatio).

La censura, pertanto, non appare fondata.

b) in nessuna parte del bilancio si farebbe cenno alla postergazione dei crediti ex art. 2467 c.c.

Ritiene il collegio che la norma che prevede la postergazione dei crediti, disposta dall’art. 2467 c.c., si riferisca a una particolare disciplina della fase di liquidazione della società, quando l’attivo patrimoniale della società non è sufficiente a soddisfare tutti i creditori. In tal caso, il socio finanziatore viene posposto, nel rimborso del suo credito, agli altri creditori. Nel caso specifico gli attori si dolgono del fatto che la società convenuta non abbia specificato, nelle voci di bilancio attinenti ai crediti verso società collegate, la natura di finanziamenti postergati di detti crediti, non essendo chiaro che la società non si trovi in fase di liquidazione. Un generale obbligo di specificazione della natura del credito, peraltro, non si evince da alcuna norma disciplinante la redazione del bilancio.

Vero è che l’art. 2427 c.c. n. 19bis impone alla società debitrice verso i soci finanziatori di indicare quali debiti sono postergati in virtù della clausola di postergazione, ma da ciò non si può desumere – come vorrebbero invece le società attrici attribuendo alla norma una “sorta di reciprocità” non prevista – l’obbligo della società creditrice finanziatrice di indicare nel bilancio che il suo credito potrà essere eventualmente postergato in sede di liquidazione delle società collegate.

Un siffatto obbligo generale non avrebbe ragione d’essere.

Infatti, nella nota integrativa è enunciato che le società collegate finanziate sono controllate (al 100%) da il Gigante, con la conseguenza che chiunque può dedurre l’appli­cabilità della postergazione ex lege disposta dall’art. 2467 c.c. per effetto del richiamo alla disciplina contenuta negli artt. 2497 quinquies e 2497 c.c. sexies. È infatti la legge medesima che stabilisce che i finanziamenti dei soci sono postergati. Donde non si comprende per quale motivo detto effetto, di fonte normativa e non convenzionale, debba essere richiamato in una voce di bilancio.

c) si farebbe menzione del regime di finanziamento dei soci anziché del versamento in conto capitale.

Il Collegio non condivide l’opinione delle società attrici secondo la quale non ci si troverebbe innanzi a, un mutuo non oneroso ma a “un apporto atipico di capitale mascherato sotto la voce crediti verso imprese controllate” (p. 12 della memoria conclusionale).

È opinione pacifica, in dottrina e in giurisprudenza, che la qualificazione giuridica dei versamenti effettuati dai soci alla società vada compiuta sulla base dell’effettiva volontà delle parti e non solo con riferimento al nomen ìuris utilizzato. Inequivoci elementi di interpretazione della fattispecie concreta sono offerti dalla relazione sulla gestione dell’esercizio e, dalla nota integrativa allegata, nelle quali emerge chiaramente la disciplina voluta dalle parti: “a titolo di finanziamento”; “dovrà esserci restituito”; “quando vi chiederemo la restituzione”, escludendosi perciò qualsiasi tipo di dubbio interpretativo in ordine a una sua eventuale natura di apporto al capitale di rischio, per definizione non restituibile a richiesta del socio.

Una volta chiarita la natura dell’apporto finanziario, viene contestato dalle società attrici la ragione della scelta del finanziamento soci sulla base di presunti principi di “corretta amministrazione”.

In proposito, la convenuta ha spiegato che la valutazione di effettuare prestiti senza interessi alle due controllate, anziché versamenti in conto capitale, è derivata dall’esi­gen­za di utilizzare un regime di maggiore “elasticità” nella restituzione, adeguabile nel tempo alle mutevoli esigenze delle controllate, della controllante e del gruppo, sul presupposto che le riserve derivanti da un apporto in conto capitale non potrebbero essere restituite se non con delibera assembleari che svincolino i capitali.

Trattasi, invero, di un’opzione che tocca il merito delle scelte discrezionali del gruppo di maggioranza di una holding sulle modalità di finanziamento le società controllate.

Poiché non esistono vincoli, né di legge, né di “corretta amministrazione”, che impongono alla società controllante di preferire la modalità dell’apporto in conto capitale rispetto al mutuo, il Collegio reputa incensurabile la scelta discrezionale operata dal gruppo, anche perché non se ne rileva alcun carattere dannoso sul piano degli interessi della società e dei singoli soci. E questo anche per le ragioni che seguono.

d) vi sarebbe sproporzione tra l’ammontare del prestito e il capitale sociale.

Sostengono le società attrici che, nel caso in esame, la natura di “apporto” del finanziamento erogato alla società Sangrato deriverebbe dalla evidente “sproporzione” tra l’ammontare del prestito (€ 16.410.000) e il capitale sociale della finanziata (€ 500.000).

Questa residuale censura vorrebbe avvalorare l’applica­bilità, al sopraccitato prestito, della disciplina relativa alla postergazione dei finanziamenti dei soci in favore della società “in qualsiasi forma effettuati”, espressamente prevista dall’art. 2467 c.c.

Questo Collegio, ribadendo quanto già sottolineato con sentenza del 29.09.05 emessa dal Tribunale di Milano nei confronti delle medesime parti (Pres. D’Isa, G.Rel. Dal Moro, in Società 9/2006), ritiene non meriti accoglimento la tesi sostenuta dalle attrici secondo le quali gli artt. 2467 e 2497 quinquies c.c. “imporrebbero” di qualificare come “conferimenti dì capitale” i finanziamenti in questione, poiché, anzi, la previsione di dette norme e la loro applicabilità presuppone che la fattispecie concreta riguardi veri e propri prestiti visto che, per postergare il rimborso di versamenti in conto capitale, non vi sarebbe alcun bisogno di una specifica disciplina, essendo la postergazione conseguenza necessaria della natura del versamento in conto capitale.

Non può essere altresì condiviso l’argomento, introdotto dalle attrici, secondo il quale la disciplina introdotta con la riforma del diritto societario, avente lo scopo di contrastare il trasferimento sui terzi (creditori) del rischio di impresa, operi una riqualificazione, su base causale, del contratto di finanziamento.

Il legislatore, muovendosi in una direzione diversa, non ha cambiato la sostanza del rapporto ma ha inteso proteggere il creditore da eventuali ingiuste postergazioni in sede di liquidazione.

A conferma di quanto sinora esposto, occorre sottolineare che l’art. 2497-quinquies c.c. dispone che “ai finanziamenti effettuati a favore della società da chi esercita attività di direzione di coordinamento nei suoi confronti o ad altri soggetti ad ma sottoposti si applica l’art. 2467 c.c.”, con la conseguenza che l’ipotesi ivi disciplinata si riferisce alla società che non sia socia di quella stessa società, posto che non potrebbero essere effettuati, in alcun caso, versamenti in conto capitale da chi non è socio. Anche da questo argomento sistematico, dunque, si evince come la disposizione contenuta nell’art. 2467 c.c. non possa avere l’effet­to di qualificare come apporto in conto capitale ogni finanziamento dei soci avente determinate caratteristiche in rapporto alla situazione patrimoniale della società, avendo solo lo scopo di rendere postergato il rimborso dei suddetti finanziamenti, preservandone l’originaria natura.

Ad ulteriore conferma di quanto sostenuto, occorre rilevare la modalità di rimborso dei suddetti prestiti in sede di liquidazione della società. I versamenti in conto capitale possono essere distribuiti ai soci nella misura in cui residuano, dopo aver estinto tutti i debiti, con la conseguenza che un versamento in conto capitale potrà essere distribuito solo se il capitale non è perduto; al contrario i finanziamenti ex artt. 2467 e 2497-quinquies c.c. devono essere rimborsati anche a scapito del capitale con la seguente priorità, prima i creditori, poi i creditori soci (secondo il criterio della postergazione) e in ultimo, se residua, i soci che hanno versato apporti in conto capitale.

Alla luce di quanto sopra esposto, il Collegio ritiene dunque di non doversi discostare dall’orientamento precedentemente espresso, qualificando pertanto i finanziamenti della capogruppo come mutui non onerosi concessi alle controllate in corrispondenza di esigenze contingenti legate all’avvio dell’attività, dai quali deriva un effettivo e progressivo diritto alla restituzione.

Alla luce di quanto sopra, la domanda di dichiarazione di nullità della delibera di approvazione del bilancio chiuso al 28.2.2006 della società convenuta deve pertanto essere respinta, non emergendo le denunciate scorrettezze nel­l’iscri­zione della posta in bilancio contestata.

  • VIOLAZIONE DEL PRINCIPIO DI CORRETTEZZA NELLA DISTRIBUZIONE DEGLI UTILI.

Con il secondo motivo di impugnazione le società attrici chiedono la dichiarazione di nullità o l’annullamento della deliberazione del 28 agosto 2006 concernente la destinazione dell’utile di esercizio per violazione dell’art. 23 dello statuto sociale e comunque per eccesso di potere o abuso della regola di maggioranza o, ancora, per mancata esecuzione di buona fede del contratto sociale.

Nella fattispecie in esame, l’assemblea del 28 agosto 2006, avendo approvato un bilancio dal quale risultavano utili per € 7.015.848 ha deliberato di accantonare il 5% a riserva legale (€ 350.792), dì attribuire al Consiglio di Amministrazione, come da statuto, il 2% (€ 140.316); quanto agli utili residui, pari a € 6.524.739, si è disposto di accantonare a riserva straordinaria, come richiesto dallo statuto, € 1.403.169,71; dell’utile ulteriormente residuo, di cui l’assemblea poteva liberamente disporre, € 4.050.000,00 sono stati distribuiti come dividendo ed € 1.071.569,40 sono stati imputati a costituire una riserva straordinaria.

La attrici contestano, pertanto, la decisione effettuata dalla maggioranza, tra l’altro con voto unanime dei presenti, di ulteriormente accantonare, a titolo di riserva straordinaria, la somma di € 1.071.569,40, assumendo che detta riserva avrebbe “ridotto in misura grave la quota di utili destinata a dividendo consentendo al Gigante di proseguire in una ormai stabilita politica di non equa remunerazione dei capitali investiti dalle società Zafrin e Cornice”.

A parere di questo Collegio la tesi degli attori non può essere condivisa per molteplici motivi.

Preliminarmente occorre evidenziare come l’ulteriore accantonamento di riserva straordinaria appaia minimo rispetto agli utili distribuiti (€ 1.071.569,40 vs € 4.050.000,00) considerando che proprio con riguardo agli utili, la cui destinazione era liberamente determinabile dall’assemblea, oltre il 79% è stato distribuito come dividendo. Risulta, inoltre, altresì dimostrata come la politica di equilibrio, seguita dal gruppo Il Gigante, tra accantonamento a riserva e distribuzione di dividendo, non abbia comportato nocumento alla società e ai soci, posto che vi è stato un incremento del dividendo.

Lo statuto della società, peraltro, non prevede che la quota disponibile di utili debba essere distribuita ai soci.

L’interpretazione della norma statutaria (art. 23) fornita da parte attrice poggia sul presupposto che l’accanto­na­mento di utili a riserva sarebbe limitato alla percentuale del 20% indicata nella norma statutaria.

Se, da un lato, risulta enunciato in modo chiaro nello Statuto – art. 23 lett. b) – il vincolo dell’assemblea alla destinazione del 20% degli utili per la costituzione di una riserva straordinaria, dall’altro lato, nulla si dispone – art. 23 lett. d) – in ordine alla facoltà di destinare gli utili rimanenti a qualsiasi riserva.

È infatti, specificatamente prevista la possibilità che gli utili netti, dopo il prelievo del 5% per la riserva legale, del 20% per la riserva straordinaria e del 2% per il compenso agli amministratori, vengano destinati discrezionalmente “secondo le deliberazioni dell’assemblea”, “in tutto o in parte ai soci o per altre destinazioni” (lett. d) art. 23), non potendosi dunque escludere che la quota disponibile sia destinata a coprire una percentuale maggiore di riserva straordinaria, dovendosi ritenere, al contrario, che la previsione del 20% sia da considerarsi il livello minimo inderogabile. L’inciso “altre destinazioni” non è sufficiente a limitare la volontà assembleare nella destinazione degli utili.

Va inoltre considerato l’ulteriore motivo di censura – mosso dalle attrici in conseguenza della delibera assunta relativa all’accantonamento effettuato eccedente il previsto 20% – consistente nel considerare la sopraccitata delibera contraria al principio di correttezza nell’esecuzione del contratto di società.

Giova a tal fine sottolineare che affinché una delibera possa essere ritenuta contraria al principio di correttezza nell’esecuzione del contratto di società, occorre dimostrare “la ricorrenza di un intento fraudolento, da parte della maggioranza, volto non al conseguimento di interessi sociali, ma a danneggiare il singolo partecipante”.

Un simile abuso della maggioranza, in teoria, sarebbe possibile solo nelle ipotesi in cui, nonostante l’esistenza di consistenti utili, non vengano distribuiti dividendi ai soci (vedi sentenza del Tribunale di Milano 13/01/1983 – Pres. Baldi, Est. Rordorf, in Banca Borsa, 1983, II, 329– con la quale oltre 25 miliardi di lire, corrispondenti all’utile di esercizio, erano stati destinati a riserva), assumendo altresì rilevanza la ricorrenza nel tempo della mancata distribuzione di utili. In linea con un consolidato orientamento giurisprudenziale, questo Tribunale – nella già citata sentenza n. 11407 del 29.09.05, resa inter partes – ha sottolineato che, pur se si volesse ammettere l’esistenza di un abuso della maggioranza anche a fronte di una delibera neutra rispetto all’interesse sociale, “...certo difficilmente potrebbe giungersi a muovere detta censura di fronte ad una delibera che, pur contraria ali ‘interesse della minoranza, sia idonei a realizzare un interesse sociale, come nell’ipotesi di incremento dei mezzi finanziari utilizzabili nell’attività imprenditoriale”.

La dottrina, peraltro, sostiene da tempo, conformemente a questo orientamento, l’insindacabilità dell’autorità giudiziaria in merito alla scelta discrezionale, operata dalla maggioranza in ordine alla destinazione degli utili residui, opzione che trova il suo limite naturale nel caso in cui tale operazione vada oltre ogni ragionevolezza e sia compiuta in spregio dei principi di corretta amministrazione. Non essendo, pertanto, ricavabile dall’ordinamento o dallo statuto alcun principio in ordine al preteso giusto equilibrio tra riserve accantonate e utile distribuito, a parere di questo Collegio, il giudice non può, in questo particolare caso ove gran parte degli utili sono stati distribuiti, sindacare il merito di una scelta discrezionale deliberata all’unanimità dei presenti alla riunione assembleare.

I soci impugnanti, per di più, non possono dolersi dell’omessa informativa sull’effettiva necessità di destinare a riserva straordinaria parte degli utili, non avendo preso parte alla riunione assembleare. Pertanto, anche la censura in ordine alla carenza di motivazione del deliberato appare destituita di fondamento.

P.Q.M.

1) respinge le domande formulate dalle società attrici;

2) condanna le società attrici a rifondere le spese di lite, complessivamente liquidate in € 15.000,00 di cui € 282,50 per spese, € 1.669,00 per diritti, € 13.048,50 per onorari, oltre CPA, IVA e rimborso forfetario.

Così deciso in Milano, nella Camera di Consiglio tenutasi il 28/02/08

Il Presidente
Il giudice Relatore
Provvedimento composto e pubblicato con sistema polis.

 

(1-2) I finanziamenti effettuati da chi esercita un’attività di direzione e coordinamento

  
SOMMARIO:

1. Il caso - 2. Lo stato dell'arte - 3. Il commento - 4. Conclusioni - NOTE


1. Il caso

Il Tribunale di Milano è chiamato a pronunciarsi sulla richiesta di annullamento di due deliberazioni assembleari di una società per azioni in quanto viziate sia sotto il profilo del principio di corretta e completa informazione di bilancio sia sotto il profilo della correttezza in sede di deliberazione di distribuzione degli utili. Quanto al primo motivo di impugnazione, i soci attori lamentano un difetto di correttezza e completezza del bilancio della capogruppo a causa della poco chiara descrizione di una posta consistente in finanziamenti effettuati dalla capogruppo medesima a favore di tre società interamente controllate al fine di supportarle nelle «fasi di avvio e di messa a regime dell’attività». Più esattamente, rintracciano la presunta violazione delle norme contabili nella mancata menzione in bilancio della natura postergata dei crediti concessi alle società controllate lamentando inoltre l’inopportunità, sotto il profilo delle scelte di gestione, dell’attività di finanziamento prestata laddove sarebbe stato preferibile effettuare dei versamenti in conto capitale. Per ciò che concerne il secondo motivo di impugnazione, gli attori censurano la decisione della maggioranza di destinare solamente una parte degli utili maturati, a loro dire in misura sproporzionata rispetto all’entità complessiva degli utili medesimi, alla distribuzione tra i soci, privilegiando, al contrario, la scelta di autofinanziamento della società. Queste essendo le vicende dalle quali è scaturita la lite, la Corte ha respinto entrambi i motivi di impugnazione, confermando dunque la legittimità delle deliberazioni impugnate. È da segnalare la circostanza che, con la decisione in commento, il Tribunale di Milano conferma un orientamento espresso nei confronti delle medesime parti tra le quali, a partire dal 2001, sono stati instaurati almeno quattro giudizi, tutti consistenti nell’impugnativa della deliberazione di approvazione del bilancio e di distribuzione dei dividendi e basate, in parte, sui medesimi motivi [1].


2. Lo stato dell'arte

La letteratura in tema di postergazione legale dei finanziamenti effettuati dai soci all’indomani della riforma organica del diritto societario è oggi molto ricca e variegata: essa prosegue quell’opera interpretativa, iniziata e sviluppatasi prima del 2003, che ha visto impegnata la riflessione giuridica nel tentativo di fornire una soluzione ai problemi che costituiscono quell’ampio campo problematico denominato convenzionalmente “finanziamenti dei soci”. La sentenza in esame richiama la nuova disciplina in tema di postergazione legale dettata, come noto, nell’art. 2467 c.c. con riferimento alla società a responsabilità limitata, ed applicabile anche ai finanziamenti infragruppo in virtù del rinvio contenuto nell’art. 2497-quinquies c.c. I giudici si occupano di due profili problematici del fenomeno del finanziamento dei soci: a) del regime contabile di tali erogazioni, innanzitutto nell’ambito del bilancio della società che effettua il finanziamento; b) delle conseguenze della postergazione sulla qualificazione del rapporto giuridico intercorrente tra il socio finanziatore e la società finanziata. Si tratta, in entrambi i casi, di problemi oggetto di grande attenzione da parte della dottrina, specialmente, come può intuirsi, quanto al tema indicato alla lettera b) che, già in epoca anteriore alla riforma societaria, costituiva l’interrogativo principale al quale tentare di fornire una risposta ragionevole [2]. Partendo proprio da quest’ultimo profilo, può rilevarsi che anche oggi, all’indomani della riforma del diritto societario e, quindi, dell’introduzione di una inedita disciplina dei finanziamenti dei soci, le posizioni della dottrina in merito alla “natura” di tali finanziamenti e, più esattamente, alle conseguenze del regime legale della postergazione su di essa, possono inquadrarsi su due opposti fronti, che poi, al loro interno, presentano soluzioni affatto variegate: da un lato, vi è chi ritiene che il regime della postergazione abbia come conseguenza una riqualificazione forzata dell’operazione, pur presentata come prestito e, quin­di, come apporto di capitale di credito, ma da intendersi quale apporto di capitale di rischio con un’assi­milazione, o comunque un avvicinamento, al regime dei conferimenti [3]; in senso opposto, si sottolinea come la scelta [continua ..]


3. Il commento

3.1. I finanziamenti della capogruppo a favore delle società eterodirette Il Tribunale, come anticipato, esclude che il bilancio della convenuta sia viziato per difetto di chiarezza in mancanza della specificazione, alla voce «crediti verso imprese controllate», della regola di postergazione che assisterebbe la riscossione dei crediti medesimi; ed è, questo, il motivo principale di impugnazione della delibera di approvazione del bilancio. Il percorso argomentativo seguito dalla Corte può scandirsi nei seguenti passaggi: a) non esiste un obbligo in capo agli amministratori della società finanziatrice di dare apposita evidenza negli schemi del bilancio della natura postergata del credito acquisito; b) in virtù dell’attuale disciplina del finanziamento dei soci, la postergazione opera in tutti i casi nei quali sia possibile ritenere, indagando la volontà delle parti, che l’operazione di finanziamento preveda il diritto del socio al rimborso; c) non costituisce espressione di un’amministrazione contraria ai principi di corretta gestione societaria ed imprenditoriale la decisione dell’organo amministrativo della capogruppo di effettuare finanziamenti a favore di società controllate. 3.1.1. L’iscrizione in bilancio dei «finanziamenti postergati» Sostiene il Tribunale che, mentre il bilancio della società debitrice deve menzionare la natura postergata dei finanziamenti, lo stesso obbligo informativo non incomberebbe sugli amministratori della società creditrice che d’altronde, nel caso di specie, avevano illustrato chiaramente, sia nella nota integrativa sia nella relazione sulla gestione, quali fossero state le motivazioni dei finanziamenti nonché indicato quali sarebbero stati le modalità ed i tempi dei relativi rimborsi. La legge infatti, sottolinea la Corte, riconosce espressamente l’obbligo, in capo agli amministratori della debitrice di: a) inserire una specifica posta nel passivo dello stato patrimoniale (art. 2424 c.c.) contrassegnata come D.3., «debiti verso soci per finanziamenti», laddove precedentemente alla riforma del 2003 tali debiti sarebbero stati menzionati nella posta generale «debiti verso altri finanziatori» (oggi, D.5.); b) dare conto nella nota integrativa dei «finanziamenti effettuati dai soci verso la società (…) con la separata indicazione di [continua ..]


4. Conclusioni

La sentenza in commento, su questione solo apparentemente marginale, offre lo spunto per giungere alle seguenti conclusioni: a) gli interessi cui le regole in tema di rappresentazione contabile sono preordinati esigono che, nel bilancio della società creditrice ed in quello della debitrice, emerga la sorte postergata del diritto di credito nonché le circostanze finanziarie e/o patrimoniali in presenza delle quali il finanziamento, rispettivamente, sia stato concesso o ricevuto, fungendo esse da presupposto per l’appli­ca­zione del regime legale della postergazione; b) l’indagine sulla volontà delle parti conserva, oggi come ieri, un ruolo centrale nel superamento di uno snodo decisivo nell’ambito del campo problematico “finanziamenti dei soci”, essendo volta a verificare la sussistenza o meno del diritto del socio al rimborso del finanziamento e, conseguentemente, l’assog­gettamento o meno del finanziamento al regime di postergazione legale; c) proprio il diffuso fenomeno dei finanziamenti infragruppo rivela l’esistenza di un interesse dei soci esterni della capogruppo sprovvisto di una tutela dedicata nell’ambito delle misure dettate in tema di direzione e coordinamento; ciò nonostante, una lettura, per così dire «gruppo» orientata, delle norme societarie di derivazione atomistica consente di fornire una risposta a questo bisogno di tutela senza con ciò vanificare l’esercizio virtuoso dell’attività di direzione e coordinamento.  


NOTE
Fascicolo 4 - 2009