Rivista di Diritto SocietarioISSN 1972-9243 / EISSN 2421-7166
G. Giappichelli Editore

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Gli amministratori indipendenti e gli amministratori di minoranza (di Francesco Chiappetta  )


   
SOMMARIO:

Introduzione: la composizione del Consiglio di Amministrazione - Il voto di lista: genesi e significato. Amministratori indipendenti e Amministratori di minoranza - Gli amministratori indipendenti: profili comparatistici - La nozione e il significato di 'indipendenza' - Il ruolo degli indipendenti nelle riunioni consiliari - Il ruolo in concreto - NOTE


Introduzione: la composizione del Consiglio di Amministrazione

La delicatezza del ruolo proprio del consiglio di amministrazione – sempre più incentrato, quanto meno in prospettiva, su compiti di: definizione e supervisione delle strategie; di verifica della loro attuazione e, in generale, della correttezza dell’operato dei managers; di approvazione delle operazioni «eminenti» – impone la massima attenzione con riferimento alla sua composizione, primo presidio della qualità della attività da svolgere e delle decisioni da assumere. In questo senso, le best practices raccomandano che il consiglio sia composto da soggetti con caratteristiche diverse, portatori di capacità e competenze specifiche, e affermano la necessità che siano presenti esecutivi (amministratori delegati o con incarichi direttivi, membri del comitato esecutivo) e non esecutivi. In particolare, nei sistemi a proprietà azionaria concentrata, vi è per le società quotate l’esigenza di una forte e qualificata presenza nei CdA di amministratori non esecutivi indipen­denti, di guisa, da un lato, di assicurare un monitoraggio effettivo sull’azione degli amministratori esecutivi e, più in generale, sull’andamento della gestione; dall’altro lato, di poter effettivamente dare luogo, sia nei comitati consiliari che nelle riunioni del board, all’assunzione di decisioni trasparenti ed equilibrate, particolarmente attente agli interessi delle minoranze soprattutto nelle materie (es. remunerazione dei managers, operazioni con parti correlate) in cui gli amministratori possono essere indotti a perseguire interessi (propri o altrui) divergenti da quelli propri della società, degli azionisti e, in generale, degli investitori a rilievo sociale [1]. La composizione del board appare, dunque, tema di centrale rilevanza all’interno della concreta ricerca del migliore assetto di corporate governance il quale, come evidente, dipenderà – sotto questo profilo – non soltanto dalla esistenza di un efficiente quadro nor­mativo di riferimento ma anche, e soprattutto, dalla capacità della singola società di decidere l’ampiezza e la composizione «qualitativa» del board tenendo conto delle proprie specifiche esigenze sul piano organizzativo e imprenditoriale, nonché della natura e dimensione della compagine sociale. In primo luogo, la finalità di favorire la migliore [continua ..]


Il voto di lista: genesi e significato. Amministratori indipendenti e Amministratori di minoranza

Il voto di lista è da tempo presente nel panorama societario italiano. Il suo affacciarsi nelle società quotate risale alla legge sulle privatizzazioni (legge n. 474/1994, di conversione del d.l. n. 332/1994) che imponeva alle società privatizzate, il cui statuto contenesse la previsione di limiti al possesso azionario, di introdurre il voto di lista per assicurare che almeno un quinto dei componenti dell’organo di amministrazione fosse eletto dalla «minoranza». Il principio ispiratore delle disposizioni sul voto di lista – inteso come pendant necessario al limite di possesso azionario, a sua volta normalmente correlato all’esistenza nello statuto di poteri speciali esercitabili dall’autorità governativa – era da ravvisarsi nell’esigenza non già di tutelare le minoranze azionarie ma di supportare l’avvio di nuove public companies, accrescendo l’interesse degli investitori, in particolare di quelli istituzionali, stante la possibilità di ottenere una rappresentanza nel board e perciò una vigilanza diretta sull’operato degli amministratori. La successiva estensione, a tutte le società quotate, dell’obbligo di procedere alla nomina degli organi di amministrazione e controllo sulla base di liste di candidati – estensione avvenuta in virtù del d.lgs. n. 58/1998 (TUF) e della legge sulla tutela del risparmio (legge n. 262/2005), nonché del d.lgs. n. 203/2006 – evidenzia invece un chiaro mutamento nel principio ispiratore della figura in esame, trattandosi di strumento di cui il legislatore fa ora uso al dichiarato di fine di assicurare una più efficace tutela agli azionisti estranei al gruppo di comando della società. Vi è da osservare, peraltro, che l’aver generalizzato il voto di lista tout court può prestarsi ad alcuni rischi. Si tratta – è pur vero – di un sistema di voto che, nei sistemi a proprietà concentrata, può essere uno strumento che più di altri garantisce la presenza di amministratori indipendenti (e, si direbbe, «effettivamente» indipendenti). Tuttavia, il binomio voto di lista/amministratori di minoranza non è automaticamente e necessariamente una garanzia di indipendenza. Anzi, gli amministratori di minoranza possono essere (e a volte sono) rappresentanti di interessi particolari delle minoranze [continua ..]


Gli amministratori indipendenti: profili comparatistici

L’indipendenza (degli amministratori), cui si richiama l’art. 147-ter, TUF (e gli artt. 2351 e 2387 c.c.), è in realtà requisito già largamente proprio delle best practices delle società quotate e recepito nelle raccomandazioni del Codice di Autodisciplina il quale definisce, tra l’altro, l’effettivo ruolo degli amministratori indipendenti nel contesto consiliare e la nozione stessa di indipendenza. Può dirsi che quello degli amministratori indipendenti sia uno dei temi sui quali si sono maggiormente rivolte – particolarmente negli ultimi anni – l’attenzione degli operatori e le scelte di governance delle più importanti società quotate. V’è da osservare, tuttavia, che se di certo la figura in esame non può essere considerata come una sorta di panacea ai problemi di governo delle imprese, né come l’unico vero presidio della reputation (né tantomeno della efficiente gestione) dell’impresa, essa costituisce ormai un benchmark di riferimento a livello internazionale. Si è infatti ormai consolidato uno standard di corporate governance che vede la presenza nei consigli di amministrazione di un congruo numero di amministratori indipendenti, ai quali vengono affidati compiti di particolare delicatezza da svolgere anche attraverso la partecipazione ai comitati costituiti all’interno dei consigli (come, in particolare, i comitati per la remunerazione e per il controllo interno). La figura dell’amministratore indipendente nasce negli Stati Uniti dove, a partire dalla fine degli anni settanta e sulla scia di taluni scandali finanziari, si è assistito al cambiamento nel modo di intendere la funzione e la struttura del Board. L’esigenza di assicurare un controllo efficiente dei managers, in presenza di un azionariato disperso e per definizione ininfluente sulla gestione della società, ha condotto alla trasformazione dell’organo di amministrazione da un advisory board a un monitoring board, vale a dire da mero strumento di consulenza del­l’am­mi­nistratore delegato (e degli executives) a organo cui compete sia di sovrintendere al controllo interno della gestione (lavorando in comitati), sia di (contribuire a) delineare le strategie aziendali, i piani industriali e finanziari, di approvare le operazioni rilevanti e quelle con parti correlate (per le quali, cioè, [continua ..]


La nozione e il significato di 'indipendenza'

Sgombrato il campo dall’idea che l’am­ministratore indipendente rivesta esclusivamente un ruolo di contropotere rispetto al mana­ge­ment, esso, peraltro, deve avere rispetto agli altri amministratori «una qualificazione in più». Qualificazione che la Commissione Europea nella Raccomandazione 2005/162/CE del 15 febbraio 2005 (sul ruolo degli amministratori senza incarichi esecutivi), ha individuato nella libertà «da relazioni professionali, familiari o di altro genere con la società, il suo azionista di controllo o con i dirigenti di entrambi, che creino un conflitto di interessi tale da poter influenzare il suo giudizio». In buona sostanza, la Commissione sembra fare proprio l’orientamento secondo cui indipendente è quell’amministratore che non ha dipendenza da coloro che esercitano, o sono in grado di esercitare, il potere all’interno della società. Premesso che non è certo moltiplicando i requisiti che un soggetto deve possedere per essere qualificato indipendente che si assicura la presenza di amministratori «realmente» indipendenti, va sottolineato l’importante sforzo fatto dal Codice di Autodisciplina, che nella nuova edizione individua, attraverso un’elencazione assai analitica [5], i criteri per la definizione di indipendenza, precisando tuttavia, in primo luogo, che l’elencazione non è tassativa; in secondo luogo, che la valutazione di indipendenza si deve basare più sulla sostanza che sulla forma; infine, che i criteri indicati non vanno ritenuti vincolanti indistintamente per tutte le società, che possono invece adottarne di aggiuntivi e specifici, cioè calibrati sulla loro peculiare situazione, ovvero non tenerne conto (ovviamente spiegandone le ragioni). A questo punto non può non notarsi, tuttavia, che il Codice di Autodisciplina definisce il requisito di indipendenza «in negativo». Esso cioè ne delimita la nozione individuando talune più ricorrenti fattispecie il cui verificarsi si presume inconciliabile con la sussistenza del requisito medesimo. Resta dunque da definire, «in positivo», in cosa risieda il proprium dell’indipendenza o, altrimenti detto, quale sia il valore aggiunto di cui l’amministratore indipendente possa dirsi portatore rispetto agli altri amministratori. Al riguardo si può convenire con [continua ..]


Il ruolo degli indipendenti nelle riunioni consiliari

L’amministratore indipendente esplica innanzitutto il proprio ruolo all’interno del consiglio di amministrazione; maggiore è la sfera delle competenze consiliari (es.: esame/approvazione dei piani strategici, industriali e finanziari; del budget annuale; delle operazioni che abbiano particolare incidenza sull’attività della società, ecc.), più ampio e incisivo è ovviamente il contributo che ci si attende dall’ammi­nistratore indipendente, in termini di stimolo del confronto di idee, di formulazione di proposte che vivifichino il dibattito e l’approfondimento all’interno del consiglio di amministrazione, di verifica inoltre che il consiglio stia agendo «in modo informato». Il consigliere indipendente, in altri termini, deve contribuire a «formare» le decisioni consiliari (specie quelle complesse) cosicché queste risultino adeguatamente istruite e ponderate. Insomma, l’essere indipendente se, da un lato, si è detto essere funzione del maggior peso attribuito al valore reputazionale rispetto alle utilità ritraibili dalla carica, dall’altro lato, si misura nella capacità dell’amministratore di concorrere in modo attivo e incisivo nell’assunzione delle delibere consiliari, a partire dalla fase istruttoria (in cui può esigere completezza di dati e di informazioni) per terminare con la decisione finale (di cui può promuovere un’adeguata ponderazione).


Il ruolo in concreto

Vediamo ora, in concreto, che cosa può fare l’amministratore indipendente. a) Profili generali. – In primo luogo, per quanto riguarda il funzionamento del consiglio di amministrazione e, in particolare, lo svolgimento delle relative riunioni, sembra che tra i compiti dell’amministratore indipendente rientrino quelli di verificare: – che la documentazione ricevuta prima di ciascuna riunione sia adeguata e idonea, in relazione alle materie da trattare, ad assicurare una partecipazione efficace ai lavori consiliari; in particolare, che tale documentazione includa tutti gli eventuali pareri di supporto la cui acquisizione sia ritenuta necessaria perché l’organo amministrativo possa deliberare; – che la documentazione sia trasmessa con anticipo adeguato tenuto conto della importanza degli argomenti all’ordine del giorno; – che l’ordine del giorno del consiglio di amministrazione sia sufficientemente analitico, (verificando, ad esempio, che le tematiche di rilievo non siano trattate nel punto «varie ed eventuali»). Ma l’amministratore indipendente può «intervenire» su un altro aspetto assai significativo in punto di organizzazione della gestione sociale, segnatamente quello dei poteri e delle deleghe di gestione. Al riguardo, infatti, dovrebbe valutare: – quali poteri il consiglio di amministrazione abbia delegato e quali poteri conferisca rispetto alle singole operazioni; – come siano stati articolati i poteri per il presidente, per gli amministratori delegati e, eventualmente, per il comitato esecutivo; – se esistano e quali siano i principi guida del sistema delle deleghe; verificando, in seguito, l’effettivo rispetto dei limiti (ad es.: di importo) previsti, ovvero la opportunità di procedere ad una loro revisione. b) Situazioni di potenziale conflitto d’interesse. – Il ruolo degli amministratori indipendenti emerge altresì in riferimento alle operazioni per le quali si versi in una situazione di potenziale conflitto di interesse; tipicamente, nell’ambito dei gruppi, ciò avviene per le operazioni interne al gruppo nelle quali v’è la possibilità che l’esistenza di legami partecipativi o di interessenza, alteri i termini dell’operazione, rendendoli anomali in danno dell’interesse della società; ma analogamente il problema si pone in tutte le [continua ..]


NOTE
Fascicolo 4 - 2009