Rivista di Diritto SocietarioISSN 1972-9243 / EISSN 2421-7166
G. Giappichelli Editore

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Investitori e società di revisione dei conti. La tutela penale anticipata (di Stefano Bartone  )


  
SOMMARIO:

1. La tutela specifica e anticipata del risparmio della collettività - 2. Il sanzionamento dell'inganno/inerzia del revisore dei conti nella innovata normativa del reato di falsità di cui all'art. 2624 c.c. italiano - 3. La punibilità della società di revisione oltre ai revisori. L'incidenza dei compliance programs sul grado di responsabilità e sulla entità della sanzione. L'inadeguatezza della sanzione societaria e invece il maggior aggravio della misura cautelare - 4. Il concorso tra i reati di falsità e di corruzione del revisore (art. 174-bis, art. 174-ter, art. 35 legge n. 262/2005) e i reati di aggiotaggio-abusemarket, bancarotta fraudolenta, associazione per delinquere. La 'posizione di controllo' - 5. Il mancato controllo e-o l'inerzia valutati quale condotta attiva! L'anomala interpretazione-integrazione additiva a difesa della fiducia collettiva - NOTE


1. La tutela specifica e anticipata del risparmio della collettività

Sono i bilanci delle società, su cui i revisori sono chiamati ad esprimere un giudizio, che di fatto indirizzano gli interessi economici, le scelte, gli investimenti di risparmio in tutto il mercato finanziario globale. Dalla comunicazione dei bilanci societari e dalla fiducia a loro accreditata dal revisore dei conti (ancor più se strutturato in una società di controllo) vengono ad essere «condizionate» tutte le categorie di investimento: i piccoli risparmiatori, gli azionisti, i creditori attuali ed eventuali, ecc. Si è pertanto sentito cogente per il legislatore, nel caso in cui si verifichi il fallimento di una società che sia stata dapprima «positivamente certificata», il normativizzare le responsabilità sia civili sia penali a carico delle società di revisione contabile e apprestare appropriate tecniche sanzionatorie, atte a prevenire prima che reprimere. I gravi episodi di cronaca quali Parmalat e Cirio sono quantomai eloquenti e sintomatici di essersi potuti realizzare per la mancanza e/o per la falsità del doveroso controllo dei bilanci, o meglio dei «conti» di una azienda. Per lungo tempo, per sanzionare penalmente gli imprenditori, gli istituti bancari, gli intermediari finanziari e i revisori dei conti, la giurisprudenza si è avvalsa della tecnica del reato concorsuale, in forza della norma di espansione delle fattispecie incriminatici monosoggettive, contenuta nell’art. 110 c.p. ital., avvalendosi talvolta anche dell’art. 117 c.p. per il concorso in «reato proprio non esclusivo» (comportante cioè mutamento del titolo del reato inizialmente ascrivibile al c.d. soggetto «estraneo»). In tale ottica, fino al 12 gennaio 2006 (il processo alla Parmalat inizia nel 2003), sono stati chiamati i revisori contabili a rispondere penalmente ma in correità nei reati di bancarotta fallimentare fraudolenta (art. 216 della legge fallimentare) e nel reato di aggiotaggio (art. 501 c.p., melius dal codice penale italiano nomato: «rialzo e ribasso fraudolento dei valori ammessi nelle liste di borsa e negoziabili nel pubblico mercato»). L’andamento dei processi italiani in materia, fino alla sentenza della Prima Sezione Penale del Tribunale di Milano del 18 dicembre 2008 [1] che ha alzato l’entità della pena generalmente inflitta, aveva posto in luce la purtroppo inadeguatezza [continua ..]


2. Il sanzionamento dell'inganno/inerzia del revisore dei conti nella innovata normativa del reato di falsità di cui all'art. 2624 c.c. italiano

In Italia la responsabilità della società di revisione e del revisore dei conti è stata, in contemporanea dei gravi eventi societari e delle innovazioni statunitensi («Sarbanes Oxley Act»), rivista sia ad opera del d.lgs. n. 61/2002, che ha introdotto il nuovo art. 2624 c.c., sia ad opera della legge n. 262/2005, con conseguente abrogazione dell’art. 175 del d.lgs. n. 58/1998 e introduzione delle fattispecie di reato degli artt. 174-bis (falsità) e 174-ter (corruzione). L’art. 2624 c.c. contiene una specifica fattispecie penale con due diversi regimi a seconda della natura del reato: «I responsabili della revisione i quali, al fine di conseguire per sé o altri un ingiusto profitto, nelle relazioni o in altre comunicazioni sociali, con la consapevolezza della falsità e l’intenzione di ingannare i destinatari delle comunicazioni, attestano il falso od occultano informazioni concernenti la situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società, ente o soggetto sottoposto alla revisione, in modo idoneo ad indurre in errore i destinatari delle comunicazioni sulla predetta situazione, sono puniti, se la condotta non ha loro cagionato un danno patrimoniale, con l’arresto fino ad un anno. Se la condotta di cui al primo comma ha cagionato un danno patrimoniale ai destinatari delle comunicazioni, la pena è della reclusione da uno a quattro anni». L’art. 2624 c.c. sostituisce l’abrogata fattispecie penale dell’art. 175 del d.lgs. n. 58/1998 e nella strutturazione a due commi, con riferimento al danno, calibra, al pari di quanto fatto in Italia per il «falso in bilancio», il disvalore del fatto a seconda che la falsa attestazione intenzionale cagioni o meno un danno ai destinatari delle comunicazioni [11]; nella prima ipotesi si è in presenza di una contravvenzione (arresto fino ad un anno) mentre nella seconda ipotesi, ipotesi in cui è stato cagionato il danno patrimoniale, si ha un delitto (reclusione da uno a quattro anni). 2.1. Trasparenza per la tutela dell’investimento del risparmio della collettività e il disvalore penale nella intenzionalità dell’inganno. – Nella fattispecie dell’art. 2624 c.c. la ratio puniendi va individuata nella tutela della pubblica fede, che necessita di veridiche e sincere manifestazioni di scienza e conoscenza ad opera degli [continua ..]


3. La punibilità della società di revisione oltre ai revisori. L'incidenza dei compliance programs sul grado di responsabilità e sulla entità della sanzione. L'inadeguatezza della sanzione societaria e invece il maggior aggravio della misura cautelare

L’art. 25-ter del d.lgs. n. 231/2001 richiama i due commi dell’art. 2624 c.c. e prevede la punibilità anche della società di revisione, oltre che le persone fisiche dei revisori, se il reato in questione viene commesso nell’interesse della società e da amministratori, direttori generali, liquidatori o persone sottoposte alla loro vigilanza. La sanzione pecuniaria per la società di revisione è compresa tra 100 e 130 quote per l’ipotesi contravvenzionale e tra 200 e 400 quote per l’ipotesi delittuosa. Se la società di revisione ha conseguito un profitto di rilevante entità la sanzione pecuniaria verrà aumentata di un terzo. L’entità della sanzione pecuniaria e quindi l’incidenza sulle quote sociali dipenderà sia dalla gravità del fatto che dall’attività di prevenzione. Il grado di responsabilità della società di revisione sarà tanto maggiore quanto meno siano presenti nella struttura societaria i c.d. compliance programs [13] (modelli di organizzazione e gestione anticrimine interni alla società stessa). Il legislatore, pur animato dal prevenire i casi disastrosi di falsa informazione data dalla società di revisione e conseguente errato investimento del risparmiatore, non ha operato in termini sanzionatori efficienti scegliendo la sanzione meramente pecuniaria per le società di revisione dei conti. La normativa del d.lgs. n. 231/2001 che ha inteso sanzionare la responsabilità degli enti collettivi e societari derivante da reato, pur definendo tale responsabilità quale «responsabilità amministrativa» ma affidandone il giudizio al giudice penale, aveva e ha previsto più che efficaci le sanzioni interdittive, quali ad esempio la «interdizione dall’esercizio dell’atti­vità» (art. 9). Purtroppo siffatta sanzione interdittiva non è applicabile alle società di revisione in quanto vi è la preclusione dell’art. 13 dello stesso d.lgs. che statuisce: «le sanzioni interdittive si applicano in relazione ai reati per i quali sono espressamente previste» e altresì ricorrendone alcune specifiche condizioni; orbene, la legge sulla tutela del risparmio ha dimenticato o non ha voluto prevedere le dette sanzioni interdittive. L’art. 25-ter, lett. f) e lett. g) prevede la [continua ..]


4. Il concorso tra i reati di falsità e di corruzione del revisore (art. 174-bis, art. 174-ter, art. 35 legge n. 262/2005) e i reati di aggiotaggio-abusemarket, bancarotta fraudolenta, associazione per delinquere. La 'posizione di controllo'

La imputazione del reato proprio di falsità e di corruzione ai revisori e alle società di revisione non esclude però la possibilità di far rispondere penalmente costoro, a titolo di concorso di reato ex artt. 110 e 117 c.p., anche per i reati di aggiotaggio-abuse market, bancarotta fraudolenta e associazione per delinquere. Non si tratta di una ipotesi di concorso apparente di norme o di reati, risolvibili con il criterio di specialità o di consunzione o di sussidiareità; i valori-beni tutelati dalle rispettive norme incriminatici sono profondamente diversi, salvo eventualmente un cumulo giuridico di pene ai sensi del vincolo della continuazione ex art. 81 c.p. La fattispecie associativa, strutturata quale contrasto all’ordine istituzionale pubblico, si integra nel momento in cui il revisore o il responsabile della società di revisione abbia posto in essere un accordo stabile con almeno altri due soggetti per commettere una pluralità di reati, quali ad hoc l’abuse market. L’attività di falsificazione/alterazione del dato da certificare può causare anche il fallimento e, in un agire/non agire normativo con finalità distrattiva, integrare la bancarotta fraudolenta. Si ha responsabilità concorsuale allorquando si pongono in essere i reati di associazione per delinquere, falso, abuse market, bancarotta fraudolenta. Nella prassi applicativa si è soliti riferirsi allo schema del concorso mediante omissione per poter imputare responsabilità ad amministratori, e soprattutto ai sindaci, e ai revisori i quali, in presenza di un obbligo giuridico derivante dal possesso della qualifica e dal ruolo, non abbiano correttamente vigilato e non si siano attivati per impedire la commissione di reati [14]. In una ottica giudiziaria italiana di crescente esigenza di politica anticrimine ci si è conformati all’obbligo anglosassone derivante dal duty of role, attraverso però il codicistico cpv. dell’art. 40 del codice penale italiano. Ampia discussione riceve in dottrina la «posizione di garanzia», tra tesi risalente alla Rechtspflichtheorie, cioè all’obbligo formale di impedire un evento (da legge, da contratto, da precedente azione pericolosa, la c.d. teoria del trifoglio) e concezione «contenutistico-fun­zio­nale»; e la posizione di garanzia a sua volta si distingue in posizione [continua ..]


5. Il mancato controllo e-o l'inerzia valutati quale condotta attiva! L'anomala interpretazione-integrazione additiva a difesa della fiducia collettiva

Il grande problema, giuridico sostanziale e processuale nonché etico, è rappresentato dalla «inerzia». Ebbene, proprio nel campo della rilevanza o meno di questa nel tipicizzare una condotta di vigilanza e di controllo, riguardante i sindaci ed i revisori di conti, la Corte Italiana di Cassazione ha operato una trasmigrazione di condotta passiva in condotta attiva. Ha apportato alla radice della fattispecie di reato, monosoggettiva o plurisoggettiva o concorsuale, una riprovevolezza tale da sostanziare la stessa condotta, cioè un disvalore di condotta che assume valenza e effettività proprio per evitare un danno, o ancor meglio un pericolo di danno, al popolo dei risparmiatori e degli investitori. Anche se la posizione giurisprudenziale può trovare spiegazione in una ottica di prevenzione e deterrenza, va comunque ricordato che, nella struttura e quindi nel rispetto del principio costituzionale di tipicità, diventa necessario per la configurazione del reato di falsità ex art. 174-bis sia la sussistenza della «intenzione di ingannare i destinatari» e sia, primariamente, la consapevolezza di attestare il falso o di occultare informazioni in modo idoneo a indurre in errore i destinatari. Quindi solo in tale triplice dimensione, e con tali requisiti strutturali, può accogliersi una rilevanza tipicizzante del reato anche nella condotta «inerte» del revisore. Differente discorso va fatto per la configurazione del reato di corruzione ex art. 174-ter legge n. 262/2005, in quanto per integrare siffatto reato basta l’omissione di atti in violazione degli obblighi inerenti all’ufficio. Pertanto in questa seconda ipotesi incriminatrice, di natura sussidiaria, con la interpretazione (o rectius integrazione additiva) data dalla Cassazione al comportamento inerte, può originarsi una maggiore possibilità di imputazione incriminatrice e conseguente imputazione concorsuale. È da augurarsi che, in un prossimo futuro, il legislatore determini gli aspetti monosoggettivi e plurisoggettivi della condotta penale del revisore dei conti unitariamente a quella dei sindaci e amministratori delle società oggetto di «revisione».


NOTE
Fascicolo 4 - 2009