Rivista di Diritto SocietarioISSN 1972-9243 / EISSN 2421-7166
G. Giappichelli Editore

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Relazione accompagnatoria allo Schema di progetto di decreto legislativo attuativo della direttiva comunitaria 2005/56/CE (di Redatta dai proff. Giuseppe A. Rescio e Massimo V. Benedettelli  )


  
SOMMARIO:

Artt. 1-2 - Art. 3 - Art. 4 - Art. 5 - Art. 6 - Art. 7 - Art. 8 - Art. 9 - Art. 10 - Art. 11 - Art. 12 - Art. 13 - Art. 14 - Art. 15 - Art. 16 - Art. 17 - Art. 18 - Art. 19 - Art. 20 - Art. 21 - Art. 22 - Art. 23


Artt. 1-2

La disciplina della fusione transfrontaliera nel solo ambito di applicazione minimale strettamente individuato dall’art. 1 della decima direttiva pone il delicato problema della regolamentazione della vicenda – e, in una prospettiva più generale, della coerenza del sistema – nelle ipotesi di fusione transfrontaliera ivi non contemplate. Sebbene non esplicitate nella lettera della disposizione comunitaria, possono dirsi comunque incluse in essa – se interpretata alla luce della ratio dell’intero provvedimento – la fusione tra sole società di capitali vigenti secondo il diritto italiano da cui derivi la costituzione di una società di altro Stato membro e, reciprocamente, la fusione tra società di capitali di un unico altro Stato membro da cui derivi la costituzione di una società di diritto italiano. Oltre a ciò, rimane comunque opportuno che la disciplina qui formulata si estenda, in quanto possibile: (i) alla fusione a cui partecipano società che, ancorché non qualificabili come “di capitali”, risultano pur sempre riconducibili alla fattispecie di cui all’art. 48 Trattato CE, e quindi beneficiarie della libertà di stabilimento(nell’interpretazione patrocinata dalla Corte di giustizia nel caso Sevic), (ii); alla fusione cui partecipano società vigenti secondo il diritto di Stati membri, ancorché non aventi la sede sociale, l’amministrazione centrale o il centro di attività principale nella Comunità europea, e quindi come tali non beneficiarie della libertà di stabilimento, il cui trattamento differenziato potrebbe integrare una ingiustificata discriminazione; (iii) alla stessa fusione con società vigenti secondo il diritto di Stato non membro, sempre che sia verificabile l’ammissibilità della fusione e la praticabilità delle formulate regole procedimentali alla luce degli ordinamenti stranieri coinvolti, di nuovo onde evitare una frammentazione di regimi con il conseguente rischio di trattamen ti irragionevolmente differenziati di fattispecie equivalenti. Non è peraltro sembrato opportuno estendere l’art. 22, relativo alla partecipazione dei lavoratori, al di fuori di quell’ambito comunitario nel quale se ne impone e se ne giustifica l’adozione anche da parte di un sistema che al proprio interno segue diverse modalità di gestione dei [continua ..]


Art. 3

I limiti alle fusioni qui contemplati riproducono e concretizzano quelli contenuti nell’art. 4 della decima direttiva, altresì ricordando la possibilità di opzione concessa agli Stati nazionali per l’esclusione della società cooperativa dalla sua sfera di azione. La non riferibilità del decreto alla società cooperativa a mutualità prevalente di cui all’art. 2512 c.c. tiene conto dei limiti posti alla sua trasformazione, e quindi alla sua partecipazione ad una fusione interna che implichi una trasformazione, dall’art. 2545-decies c.c.


Art. 4

Dall’art. 4 e dal terzo “considerando” della decima direttiva deriva il principio di parificazione della fusione transfrontaliera alla fusione interna per quanto non sia diversamente previsto dal diritto comunitario o dal diritto nazionale, il quale tuttavia può derogare al principio di parificazione solo in quanto ciò sia giustificato da esigenze di interesse generale nell’osser­vanza dei criteri di necessità e proporzionalità. Ciò comporta che, là dove non sia diversamente disposto, al procedimento di fusione transfrontaliera si applicano le norme contenute negli artt. 2501 ss., ed ogni altra rilevante nella fusione interna, quantunque non fossero espressamente richiamate. Nei casi in cui non si rendesse possibile la contemporanea applicazione delle norme dettate in generale per le fusioni interne e più specificamente per le fusioni transfrontaliere dai singoli ordinamenti coinvolti, la necessità di rinvenire un criterio di soluzione dei conflitti nelle fusioni tra società comunitarie porta a privilegiare la scelta che, permettendo di realizzare nel modo più agevole gli scopi indicati nel primo e nel secondo “considerando” della decima direttiva, privilegi le regole procedimentali fissate dall’ordinamento della società derivante dalla fusione. Il terzo comma della disposizione chiarisce che il requisito posto dalla norma materiale di cui all’art. 25, terzo comma, della legge di riforma del sistema di diritto internazionale privato (per cui le fusioni transfrontaliere sono efficaci per l’ordinamento italiano soltanto se poste in essere conformemente alle leggi degli Stati interessati) è da ritenersi a priori soddisfatto in presenza di fusioni poste in essere conformemente alla disciplina del presente decreto; in particolare, ciò porta ad escludere che l’art. 25, terzo comma, l. n. 218/1995 possa giustificare l’applicazione di norme, interne o straniere, diverse da quelle richiamate dal decreto, ovvero il riesame di quanto accertato dalle competenti autorità straniere all’atto del rilascio del certificato preliminare o in sede di controllo della legittimità della fusione.


Art. 5

La disposizione richiama l’applicazione dell’art. 2501-bis c.c. nel caso in cui sia di diritto italiano la società partecipante alla fusione il cui controllo è oggetto di acquisizione, sul presupposto che la norma richiamata esprima un’esigenza di protezione dei soci e dei terzi che sono in rapporto con quest’ultima società. Ove la società partecipante alla fusione il cui controllo è oggetto di acquisizione sia di diritto straniero, sembra coerente con tale impostazione che gli strumenti di protezione siano attivati dall’ordinamento straniero interessato. Anche in quest’ul­timo caso, tuttavia, la disposizione non intende escludere la possibilità che l’ordinamento straniero di uno Stato membro, come conformato dall’ordinamento comunitario, possa ritenersi soddisfatto dal rispetto del sistema di protezione approntato dalla legge italiana con l’art. 2501-bis c.c., quand’anche nelle proprie fusioni interne quell’ordinamento adottasse un atteggiamento più restrittivo nei confronti delle fusioni con indebitamento.  


Art. 6

L’art. 4, comma 2, della direttiva autorizza gli Stati membri ad adottare disposizioni volte ad assicurare una protezione adeguata dei soci di minoranza che si sono opposti alla fusione. Individuato lo strumento di protezione nel diritto di recesso e considerata la ricorrenza dei relativi presupposti già in base alle norme di diritto interno quando dalla fusione derivi una trasformazione o un trasferimento di sede all’estero, la disposizione in oggetto intende comunque equiparare alla trasformazione, in ordine alla sola sussistenza del diritto di recesso del socio, l’ipotesi della fusione a seguito della quale il socio di una società regolata dal diritto italiano si trovi ad essere socio di società regolata dal diritto di altro Stato: e ciò ancorché non dovessero mutare né gli elementi identificativi del tipo sociale né il territorio nazionale in cui è posta la sede statutaria; bensì per la sola ragione della modifica dell’ordinamento regolante il rapporto sociale, con conseguente variazione dello statuto normativo e delle relative fonti di produzione e cognizione.


Art. 7

Agli elementi minimi del progetto comune quali prescritti dall’art. 5 della direttiva vengono qui aggiunti l’indicazione della legge regolatrice delle società partecipanti e di quella derivante dalla fusione, nonché l’informazione sulla decorrenza dell’efficacia della fusione. Il primo aspetto, che non si ricaverebbe dalla sola indicazione della sede statutaria quando il criterio di collegamento applicabile dovesse non dipendere da tale elemento, è di assoluta importanza al fine di verificare l’ammissibilità stessa della fusione e i diritti spettanti a chi ne risulta coinvolto, oltre all’opportunità di procedervi e alle modalità con cui realizzarla. Il secondo aspetto, che non richiede illustrazione nelle fusioni interne poiché derivante pianamente dalle norme contenute nel codice civile, risente del modo in cui i singoli legislatori nazionali competenti in relazione alla società derivante dalla fusione decidono di dare concretamente attuazione alla direttiva in punto di controllo di legittimità sulla realizzazione della fusione ed efficacia della stessa: ne deriva un forte interesse dei soci e dei terzi all’informazione, sin dall’inizio, sul momento in cui la fusione acquisterà quella definitiva efficacia dalla quale non potrà prescindersi nemmeno al cospetto di un vizio di nullità. Poiché tuttavia non è detto che la legge della società derivante dalla fusione consenta di individuare tale momento in modo preciso sin dall’inizio del procedimento, si ritiene sufficiente che il progetto contenga il criterio o la regola attraverso i quali il momento di efficacia sarà a tempo debito determinato.


Art. 8

La disposizione riproduce quanto previsto per la fusione interna dall’art. 2501, comma 4, c.c.


Art. 9

Nel ricordare l’obbligo per l’organo gestorio di ogni società partecipante di illustrare e giustificare la fusione con apposita relazione destinata ai soci e ai lavoratori, la norma da un lato individua il termine di messa a disposizione dei suddetti soggetti in trenta giorni (il conteggio del termine in giorni trenta anzi che in mesi uno è coerente con la scelta operata per la fusione interna in rapporto all’attuazione della terza direttiva), dall’altro – proprio in considerazione dell’interesse protetto e della sua disponibilità da parte di chi ne è portatore – ammette che vi si possa rinunziare con il consenso di tutti i soci e dei lavoratori (o loro rappresentanti) della singola società (di diritto italiano) partecipante. Ciò rappresenta una indubbia opportunità nei casi in cui si riveli vantaggioso per tutti gli interessati procedere con urgenza ad una fusione non altrimenti realizzabile nei tempi richiesti in vista del conseguimento di particolari risultati economici.


Art. 10

La disposizione attua quanto previsto dalla direttiva con riguardo alla relazione degli esperti o dell’esperto comune, con richiamo alle norme interne per quanto alla designazione di tali esperti da parte delle società di diritto italiano partecipanti e loro adattamento nel caso di nomina di un esperto comune. Anche qui si segnala la “traduzione” del termine di un mese in trenta giorni in coerenza con la fusione interna. Sempre dalla direttiva emerge l’ammissibilità di una rinunzia unanime dei soci alla relazione degli esperti: detta rinunzia può limitarsi ad un esonero dalla redazione di una relazione da parte di esperti che comunque vengono nominati per esaminare il progetto e rispondere ad eventuali quesiti e richieste di informazioni e chiarimenti; ovvero può concretarsi nell’esonero dalla stessa nomina degli esperti. A maggior ragione, dunque, deve ritenersi ammessa la rinunzia alla integrale decorrenza del termine di cui sopra, purché vi sia il consenso unanime dei soci nella ricorrenza dell’interesse descritto in sede di commento dell’art. 9.


Art. 11

In coerenza con le opzioni effettuate nella fusione interna, anche per la fusione transfrontaliera l’iscrizione del progetto comune nel registro delle imprese deve essere effettuata nell’ordinario termine di trenta giorni prima della decisione di approvazione: termine tuttavia derogabile con il consenso di tutti i soci, sempre che sia rispettato (o vi sia debita rinunzia anche) al termine da osservare per la messa a disposizione della relazione gestoria, che presuppone l’esistenza del progetto, ai suoi destinatari. La direttiva richiede anche una ulteriore pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale degli Stati secondo la cui legge sono vigenti le società partecipanti alla fusione, la cui ratio, alla luce di quanto si esige venga fatto oggetto di pubblicazione, sembra principalmente orientata al fine di agevolare l’esercizio dei diritti spettanti ai creditori e ai soci di minoranza e, più in generale, di consentire la reperibilità di utili informazioni a tutti coloro che possano essere interessati alla fusione. Per tale ragione, pur nel silenzio della direttiva al riguardo, qui si prescrive che tale pubblicazione venga effettuata prima dell’approvazione del progetto e si aggiunge, ai dati individuati dalla direttiva, l’indicazione della legge regolatrice delle società partecipanti. Infine, nel confermare l’obbligo di deposito presso la sede sociale dei documenti di cui all’art. 2501-septies c.c., si ha cura di precisare che, per quanto alle società partecipanti rette da leggi diverse da quella italiana, la qualità e quantità dei documenti da depositare – con particolare riferimento alla situazione patrimoniale da fusione – va verificata alla stregua di quanto previsto dalle singole leggi interessate.


Art. 12

La disposizione tiene conto sia di quanto discende dalla direttiva sia di quanto previsto per la fusione interna, alla quale in linea di principio occorre parificare la fusione transfrontaliera. Ferma l’ordinaria competenza assembleare per entrambi i sistemi, direttamente alla fonte comunitaria si devono il secondo e il terzo comma; mentre a quella interna si ricollegano il secondo periodo del primo comma, il quarto (quest’ultimo espressamente autorizzato, quanto alla società incorporante, dalla direttiva) e il quinto comma.  


Art. 13

La direttiva (art. 4) rinvia ai diritti nazionali in ordine alla tutela dei creditori sociali e, diversamente da quanto si prevede per i soci di minoranza non consenzienti, non sembra consentire alcuna divergenza rispetto al trattamento a loro riservato nelle fusioni interne. Ciò giustifica il richiamo integrale, con relativo adattamento, delle disposizioni del codice civile sul diritto di opposizione dei creditori: ivi inclusa quella sulla riduzione a metà del termine di sessanta giorni in caso di fusione tra tipi societari non azionari, benché la maggiore complessità e difficoltà (almeno in teoria) di reperire informazioni in lingua comprensibile ai creditori su tutte le società coinvolte in una fusione transfrontaliera, nonché sulle normative applicabili al procedimento e, a fusione conclusa, alla società derivante dalla stessa, avrebbe forse comunque reso preferibile un termine non inferiore a sessanta giorni.  


Art. 14

La disposizione, coerentemente con la fusione interna, in primo luogo conferma la necessità dell’atto di fusione, ancorché la società derivante sia di diritto straniero e tale diritto non richieda l’atto di fusione: ciò perché l’atto di fusione rappresenta un elemento imprescindibile del procedimento di fusione alla stregua della legge italiana, senza di che l’autorità interna non può rilasciare il certificato preliminare richiesto dalla direttiva. D’altra parte, una diversa impostazione, che anticipasse il rilascio del certificato preliminare rispetto al perfezionamento dell’atto di fusione, comporterebbe il serio rischio che, là dove la società derivante fosse di diritto straniero e tale diritto non richiedesse l’atto di fusione, la relativa autorità competente a controllare la legittimità della fusione, riscontrata l’esistenza del certificato preliminare italiano, concluda il controllo con esito positivo e dia efficacia alla fusione in assenza dell’atto. La disposizione ribadisce altresì che, sempre in conformità con il diritto interno, l’atto di fusione deve essere redatto per atto pubblico, e quindi da parte del notaio con le formalità previste per gli atti pubblici dalla legge notarile. È tuttavia possibile che l’atto di fusione sia previsto anche dalla legge straniera regolante altre società partecipanti e/o la società derivante. Ribadita l’essenzialità dell’atto pubblico, nell’eventuale contrasto tra le normative nazionali sull’autorità legittimata e sulle formalità necessarie a tal fine, è coerente con le finalità perseguite dalla direttiva che prevalga la legge della società derivante dalla fusione: ciò spiega perché in caso di derivante italiana si afferma la competenza del notaio di diritto italiano, mentre in caso di derivante straniera si afferma la competenza del notaio o altra autorità a ciò autorizzata dalla legge che la regola, nonché del notaio di diritto italiano in sostituzione (in quanto tale legge lo consenta), in supplenza (in quanto tale legge non imponga la forma dell’atto pubblico) o in aggiunta (potendosi a fini interni ripetere l’atto di fusione, già redatto all’estero, in forma pubblica italiana) [continua ..]


Art. 15

La disposizione individua nel notaio l’autorità deputata a verificare, per quanto attiene alle società di diritto italiano partecipanti alla fusione, l’adempimento regolare degli atti e delle formalità preliminari e l’inesistenza di circostanze ostative alla realizzazione della fusione. In effetti, si tratta di verifica che già il notaio compie nelle fusioni interne in sede di ricevimento dell’atto di fusione. È pertanto del tutto coerente che nelle fusioni transfrontaliere sia il medesimo notaio, che redige l’atto di fusione ovvero che riceve in deposito l’atto redatto all’estero, a rilasciare contestualmente, o comunque senza indugio, il predetto certificato.


Art. 16

Il controllo finale sulla realizzazione della fusione, dalla quale può risultare la costituzione di una nuova società, spetta all’autorità a ciò deputata dalla legge della società derivante dalla fusione. Quando la derivante sia di diritto italiano, anche in tal caso è parso coerente con il sistema di diritto interno individuare tale autorità nel notaio. Ciò favorisce, altresì, la maggiore celerità nel perfezionamento della fusione, poiché il notaio, il quale al momento della redazione dell’atto di fusione fosse già in possesso dei certificati preliminari per le altre società partecipanti, verificata la coincidenza del progetto comune da tutte approvato e redatto l’atto di fusione, è in grado di contestualmente rilasciare il certificato preliminare per la società italiana ed espletare positivamente il controllo finale, provvedendo subito all’iscrizione dell’atto di fusione nel registro delle imprese ai sensi dell’articolo seguente. Solo nel caso in cui l’atto di fusione venga redatto prima che il notaio abbia ricevuto il certificato preliminare e/o il progetto approvato dalle società partecipanti di diritto straniero, il notaio rilascia il certificato preliminare per la società italiana, ma deve attendere di ricevere i documenti di cui sopra al fine di poter esperire il controllo finale e, soltanto allora, far acquisire alla fusione la propria efficacia mediante iscrizione dell’atto di fusione nel registro delle imprese. In quest’ultimo caso tra la redazione dell’atto di fusione e l’espletamento del controllo finale può trascorrere un lasso di tempo significativo e darsi il rischio del verificarsi di una causa che impedisca l’espletamento del controllo da parte del notaio che ha redatto l’atto di fusione. La necessità di ovviare ai pregiudizi che deriverebbero dalla interruzione del procedimento nella fase finale determina la scelta di ricorrere, per il controllo finale e la realizzazione della pubblicità essenziale all’efficacia della fusione, ad altro notaio, presso il quale occorre a tal fine depositare copia dell’atto di fusione.  


Art. 17

La disposizione descrive come, effettuato il controllo finale di legittimità, acquisti efficacia la fusione con società derivante di diritto italiano. L’efficacia dipende dalla iscrizione dell’atto di fusione nel registro delle imprese competente in relazione alla società derivante. Tale forma di pubblicità verrà richiesta dal notaio, pertanto, solo dopo aver effettuato il controllo finale entro il termine di trenta giorni decorrente da quando tale controllo può essere effettuato: non prima dell’atto di fusione, non dopo che gli sia pervenuto l’ultimo documento necessario a tal fine. Se vi sono altre società partecipanti di diritto italiano, si richiede che la pubblicità venga effettuata anche presso il registro delle imprese presso cui sono iscritte quest’ultime e che, conformemente ad un principio codificato nella fusione interna, il deposito effettuato a tal fine debba precedere quello relativo alla società derivante. La pubblicità relativa alle società partecipanti di diritto straniero è stabilita dalla legge che le regola. Per il resto l’efficacia della fusione transfrontaliera è regolata in modo corrispondente a quanto avviene nella fusione interna.


Art. 18

Compete alla legge che regola la società derivante di diritto straniero stabilire, oltre all’au­torità competente ad eseguire il controllo finale, le modalità con le quali la fusione acquista efficacia. L’esecuzione della pubblicità dell’atto di fusione nel registro delle imprese presso cui sono iscritte le società partecipanti di diritto italiano deve effettuarsi non prima che il controllo finale abbia avuto esito positivo: ciò spiega la regola sulla decorrenza del termine per dare impulso alla pubblicità da quando giunge notizia documentata dell’espletamento positivo del controllo finale al notaio che ha redatto o ricevuto in deposito (anche al solo fine di darvi pubblicità) l’atto di fusione. Lo stesso notaio, in quanto sia nota, comunica la data di efficacia della fusione perché se ne dia conoscibilità attraverso il sistema pubblicitario. La cancellazione della società partecipante italiana avverrà, conformemente a quanto prescritto dalla direttiva, una volta che dal registro ove è iscritta sia stata ricevuta notifica dell’efficacia della fusione da parte del registro presso cui è iscritta la società derivante.


Art. 19

Gli effetti della fusione sono già descritti nella definizione di fusione contenuta nell’art. 1; il richiamo dell’art. 2504 bis, comma 1, c.c. ne è un semplice corollario. Per le società partecipanti di diritto italiano viene ovviamente richiamata la norma che dichiara non liberati i soci a responsabilità illimitata dalla responsabilità per le obbligazioni contratte dalle società stesse prima dell’ultima delle iscrizioni dell’atto di fusione nel registro delle imprese (non ha rilievo a tal fine quando venga effettuata la pubblicità prescritta per le società partecipanti/derivante di diritto straniero dalla legge che le regola), se non risulta che i creditori hanno dato il loro consenso. I restanti comma della disposizione corrispondono a precise previsioni della direttiva.  


Art. 20

Confermata la stabilità degli effetti della fusione, una volta acquisita l’efficacia in conformità alle disposizioni che precedono, come prescritto dalla direttiva, si è ritenuto comunque opportuno riaffermare, come avviene nella fusione interna, il diritto al risarcimento del danno derivante in capo a soci e terzi per effetto di una fusione realizzata in violazione delle norme che la disciplinano.


Art. 21

La disposizione attua quanto previsto dalla direttiva in termini di semplificazione della procedura in presenza di società incorporate interamente possedute dalla incorporante; e fa uso della possibilità di estensione della semplificazione, relativamente alla non necessità della relazione degli esperti, nella incorporazione di società possedute almeno al 90%, purché nel rispetto della condizione stabilita nella identica ipotesi di fusione interna: la concessione del diritto al socio non consenziente di liquidare la propria partecipazione sociale al giusto prezzo.  


Art. 22

La disposizione dà attuazione all’art. 16 della direttiva seguendo la tecnica, certamente non commendevole, utilizzata dal legislatore comunitario di rinvio, parziale e con modifiche, alla disciplina introdotta con riguardo alla simile, ma non identica, fattispecie del coinvolgimento dei lavoratori nella Società Europea, di cui al Regolamento (CE) n. 2157/2001, alla Direttiva 2001/86/CE, ed al D. Lgs. 19 agosto 2005, n. 188 con il quale l’ordinamento italiano ha recepito detta direttiva. Si segnala, peraltro, che tale impostazione ha condotto a disciplinare le c.d, “disposizioni di riferimento” per la partecipazione dei lavoratori conformemente a quanto previsto dall’allegato I, parte terza, paragrafo 1, lettera b), del predetto D. Lgs., che si limita a riprodurre pedissequamente la corrispondente disposizione dell’Allegato alla Direttiva 2001/86/CE senza scegliere tra i diversi modelli di partecipazione dei lavoratori lì previsti (elezione, designazione, raccomandazione o opposizione alla designazione di un certo numero di membri dell’organo di amministrazione) quello applicabile in Italia.


Art. 23
Fascicolo 4 - 2009