Rivista di Diritto SocietarioISSN 1972-9243 / EISSN 2421-7166
G. Giappichelli Editore

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Società di fatto e imprenditore occulto (di Giuseppe Ferri jr)


SOMMARIO:

1. La vicenda giudiziaria - 2. Il sistema attuale - 3. La figura dell’imprenditore occulto - 4. Fallimento dei soci occulti e fallimento della società di fatto - 5. Società di fatto ed esercizio collettivo dell’impresa in forma non societaria - 6. Società di fatto e società occulta - 7. Società occulta e imprenditore occulto - Riferimenti bibliografici - NOTE


1. La vicenda giudiziaria

Una recente sentenza della Cassazione, quella del 21 gennaio 2016, n. 1095, ha riportato all’attenzione degli studiosi il tema del fallimento dei soci occulti di società occulta: un tema, questo, che a sua volta si collega a quello, un tempo assai dibattuto, e di recente invece, e per certi versi sorprendentemente, trascurato, del fallimento dell’imprenditore occulto, e, prima ancora, della possibilità di qualificare imprenditore colui che, nel senso che si dirà, è rimasto occulto. L’interesse della sentenza, o, meglio, della vicenda giudiziaria che ad essa ha messo capo (scandita dalla sentenza del Tribunale di Foggia del 12 marzo 2012, n. 28, e da quella della Corte d’Appello di Bari del 31 dicembre 2012, n. 1611), risiede in una sorta di capovolgimento del consueto modo di analizzare l’art. 147, 5° comma, legge fall., a sua volta dipendente dal peculiare problema sollevato dalla fattispecie concreta. A fronte della norma in questione, che, come è noto, regola l’ipotesi in cui “dopo la dichiarazione di fallimento di un imprenditore individuale risulti che l’im­presa è riferibile ad una società di cui il fallito è socio illimitatamente responsabile”, ci si è infatti soliti chiedere se essa possa trovare applicazione, in via analogica o estensiva, anche nel caso in cui, per riprendere le parole della legge, la medesima impresa risulti riferibile ad un soggetto, quello che (in caso positivo) si è soliti qualificare imprenditore occulto, di cui il fallito non costituisca altro che un (mero) prestanome: un interrogativo, questo, tutto incentrato sul “referente occulto” della attività, e che si risolve nella possibilità di applicare la disposizione in esame non soltanto nel caso, espressamente previsto dalla legge, in cui tale attività risulti riferibile ad una società, ma anche qualora il suo referente sia rappresentato da una persona fisica. A venire in considerazione nel caso di specie è, invece, il fallimento originario, cioè quello dichiarato per primo, e, segnatamente, il suo soggetto passivo, che l’art. 147, 5° comma, legge fall. individua, come detto, in termini di “imprenditore individuale”: trattandosi, in particolare, di stabilire se sia possibile applicare analogicamente siffatta disposizione all’ipotesi, non espressamente regolata, [continua ..]


2. Il sistema attuale

In termini del tutto descrittivi e, come si vedrà, in parte anche imprecisi, può dirsi che le regole dettate dall’art. 147 legge fall. in ordine alla tematica, ed all’al­ternativa, società palese-società occulta e, rispettivamente, socio palese-socio occulto, si prestano a formare una sorta di linea logica ordinata sulla base del numero dei soci palesi dichiarati falliti: premesso che si ha riguardo, esclusivamente, a società appartenenti ad uno dei tipi indicati nel 1° comma e, rispettivamente, ai suoi soci illimitatamente responsabili, la disciplina positiva sembra distinguere tra loro tre diverse ipotesi, a seconda che a risultare palesi siano tutti i soci, ovvero soltanto alcuni soci (cioè almeno due, ma non tutti), o, infine, uno solo di essi. Nel primo caso, regolato unicamente dal 1° comma, il fallimento della società, palese, “produce” quello di tutti i suoi soci; nel secondo, a cui trova applicazione il 4° comma, il fallimento della medesima società, anch’essa palese, “produce” quello dei suoi soli soci parimenti palesi, ma i suoi effetti “si estendono”, per quanto solo in forza di una ulteriore, e successiva, sentenza di fallimento, ai soci o al socio occulto; nel terzo, quello ai nostri fini più interessante, non soltanto, e sempre in ragione di una separata sentenza, gli effetti del fallimento del socio palese “si estendono” quantomeno ai soci occulti (o al socio occulto), se non anche, e prima ancora, e sul punto si avrà modo di tornare, alla società occulta sussistente tra il primo e i secondi (o il secondo): ma, indipendentemente dalla risposta che si intenda offrire a tale interrogativo, il fallimento originario finisce, inevitabilmente, per trasformarsi da fallimento in proprio, o, meglio, in veste di imprenditore individuale (o anche, secondo quanto si è detto, collettivo), allora necessariamente in stato di insolvenza, in fallimento in qualità di socio illimitatamente responsabile, non necessariamente insolvente, di società insolvente. Non è il caso di indugiare sugli aspetti processuali delle diverse vicende: basta osservare che è vero che, negli ultimi due casi, alla sentenza di fallimento segue una diversa sentenza, ritenuta priva di efficacia retroattiva, volta ad “estendere” il [continua ..]


3. La figura dell’imprenditore occulto

A questo proposito, appare opportuno fornire qualche precisazione, di ordine poco più che terminologico, in merito alla ricostruzione in esame. Si tratta, in primo luogo, di segnalare che le espressioni (di origine dottrinale, e che peraltro la legge si astiene scrupolosamente dall’utilizzare), tanto suggestive quanto sfuggenti, di imprenditore occulto, come pure di società occulta (ma non, come si dirà, di socio occulto), sono volte non già ad indicare altrettante entità “sconosciute”, delle quali, cioè, si ignori l’esistenza, quanto piuttosto, ed al contrario, un imprenditore, individuale o collettivo che sia, del quale non sia stato speso il nome: è, insomma, la mancata spendita del nome che, in questo contesto, il termine “occulto” è diretto ad evocare; una volta riferito al socio, il medesimo termine assume invece una accezione a ben vedere (sensibilmente) diversa, coerentemente del resto alla circostanza che il fallimento del socio illimitatamente responsabile prescinde del tutto dalla spendita del proprio nome, occulto definendosi in vero il socio l’esistenza del quale risulti ignota al momento del fallimento del soggetto “palese” (sia esso la società ovvero un singolo socio, come nell’ipotesi di cui al quarto e, rispettivamente, al 5° comma dell’art. 147 legge fall.), e che, proprio per tale ragione, non è stato dichiarato contestualmente fallito: come conferma il confronto tra il 4° comma dell’art. 147 legge fall., che (al pari dell’art. 24 del d.lgs. n. 270/1999) fa testualmente riferimento alla sopravvenuta conoscenza della “esistenza”, allora prima igno­rata, di altri soci, e il 5° comma del medesimo l’art. 147 legge fall., ove a non essere nota è non già (o comunque non necessariamente) l’esistenza della società, quanto piuttosto la “riferibilità” alla stessa dell’impresa svolta da chi è stato dichiarato fallito. Più in generale, poi, l’impostazione in esame tendeva, da un lato, a dimostrare che la circostanza, logicamente negativa, della mancata spendita del nome non fosse di per sé sufficiente a precludere non tanto e non solo il fallimento, quanto piuttosto, e prima ancora, l’acquisto della qualità di [continua ..]


4. Fallimento dei soci occulti e fallimento della società di fatto

In primo luogo, si tratta di verificare se il fallimento dei soci occulti, dichiarato ai sensi dell’art. 147, 5° comma, legge fall., e dunque l’estensione ai primi del fallimento di chi si presentava come imprenditore in proprio, presupponga effettivamente il fallimento della società tra i primi ed il secondo: fermo restando che il fallimento della società occulta non si presta comunque ad essere considerato in termini di conseguenza automatica del fallimento del socio “palese”, a ciò ostando l’art. 149 legge fall., che esclude l’idoneità di quest’ultimo a “produrre” il fallimento della società, ma rappresenta piuttosto l’esito di una riqualificazione, da individuale in collettiva, dell’impresa dichiarata insolvente. Non è dubbio (e l’atteggiamento della giurisprudenza, ma anche della dottrina, lo testimonia adeguatamente) che l’approccio per certi versi più naturale per chi legge il testo della disciplina attuale alla luce del sistema originario, come frutto, cioè, di un’evoluzione storica, è quello di ritenere che, per poter affermare il fallimento dei soci occulti, sia non soltanto possibile, ma addirittura necessario dichiarare il fallimento della società occulta, il quale a sua volta, ma in applicazione, si noti, del 1° comma dell’art. 147 legge fall., “produrrebbe” quello dei suoi soci illimitatamente responsabili: tanto più che è la stessa legge a definire chi è stato dichiarato fallito in proprio come «socio illimitatamente responsabile» della società alla quale l’impresa risulti, ma solo successivamente, «riferibile». Una tale soluzione, tuttavia, che, prima dell’introduzione dell’attuale 5° comma dell’art. 147 legge fall., rappresentava un passaggio pressoché obbligato per giungere alla conclusione del fallimento dei soci occulti, una volta inserita nel sistema attuale solleva molti più problemi di quelli che vorrebbe contribuire a risolvere. In primo luogo, infatti, essa non pare coerente con la lettera del medesimo 5° comma, che, se da un lato menziona bensì la società, ma unicamente in veste di referente dell’impresa, non anche di destinatario dell’estensione del fallimento, dal­l’altro richiede espressamente di [continua ..]


5. Società di fatto ed esercizio collettivo dell’impresa in forma non societaria

In realtà, e più radicalmente, poi, potrebbe addirittura ritenersi che, parlando di società in chiave di referente dell’impresa svolta dal fallito, l’art. 147, 5° comma, legge fall. abbia inteso alludere non già alla figura definita dall’art. 2247 c.c., vale a dire alla società in senso tecnico, ancorché costituita per fatti concludenti, quanto piuttosto ad una situazione di mero fatto, impropriamente e riassuntivamente indicata in termini di società, e tutt’al più al contratto, atipico, volto a regolarla, ovvero al rapporto dallo stesso derivante: e cioè alla situazione consistente nell’esercizio in comune dell’impresa da parte di più soggetti, allora soci “tra loro”, più che “della medesima società”, attraverso l’impiego di beni che tuttavia restano di pertinenza di ciascuno di essi. Potrebbe, insomma, ritenersi che la legge abbia inteso avere riguardo ad un fenomeno ben diverso dalla vera e propria società, quella “di diritto”, e che solo in contrapposizione a quest’ultima si presta ad essere definita come “di fatto”, o, meglio, “di mero fatto”, in quanto caratterizzato unicamente dall’attività comune, ma non dagli altri elementi essenziali della figura della società, e comunque privo, oltre che di soggettività giuridica, di autonomia patrimoniale, e per ciò solo inidoneo ad essere dichiarato autonomamente fallito: come in fondo si evince dallo stesso atteggiamento della giurisprudenza, la quale, pur dichiarando il fallimento della società di fatto, non procede poi a ricostruirne il patrimonio, a dimostrazione che la sua dichiarazione, più che rispondere ad effettive esigenze applicative, si risolve in una sorta di ossequio formale a presunte necessità concettuali, in realtà frutto di abitudini a tal punto radicate da risultare pressoché inconsapevoli. Siffatte abitudini si prestano ad essere ricondotte alla convinzione, assai diffusa, che ogni fenomeno di esercizio “di fatto” in comune di un’impresa, e segnatamente di un’impresa commerciale, finirebbe, e per definizione, per assumere la forma di società, ed in particolare quella di società in nome collettivo irregolare e, conseguentemente, per caratterizzarsi, tra l’altro, ma [continua ..]


6. Società di fatto e società occulta

Proprio la diffusa tendenza giurisprudenziale ad estendere il fallimento ai soci occulti, ai sensi dell’art. 147, 5° comma, legge fall., solo dopo aver dichiarato il fallimento della società, di fatto, ritenuta sussistente tra costoro e il soggetto dichiarato fallito suggerisce di proseguire l’analisi, al fine di verificare se la società in questione, per quanto esistente, possa definirsi occulta in senso tecnico, se cioè il suo nome non sia stato in concreto speso, o, meglio, se il nome effettivamente speso non si presti ad essere considerato come la sua ragione sociale: un problema, questo, che nemmeno si porrebbe, o comunque dovrebbe essere risolto in senso negativo, qualora si considerasse l’e­steriorizzazione, vale a dire la spendita del nome, un presupposto necessario ai fini della ricorrenza di una società, nel qual caso, in vero, la stessa espressione società occulta finirebbe per risultare logicamente contraddittoria (al punto che, in questa prospettiva, autorevole dottrina ha mostrato di subordinare alla circostanza che la ragione sociale sia stata comunque spesa, per quanto dai soci occulti e non dal soggetto dichiarato fallito, la possibilità di dichiarare il fallimento di una società, quella tra i primi ed il secondo, allora non più definibile come occulta in senso tecnico). Negare, in astratto, l’essenzialità della c.d. esteriorizzazione, e dunque ammettere, sempre in astratto, la legittimità della figura della società occulta, appare una premessa bensì necessaria al fine di sollevare il problema in esame, ma non sufficiente a risolverlo: trattandosi, a tal fine, di verificare se possa definirsi in concreto occulta una specifica società, quella appunto tra i soci occulti e l’unico socio “palese” di cui all’art. 147, 5° comma, legge fall. Si consideri, al riguardo, che, ai fini della qualificazione di un fenomeno in termini di società, a poter essere ritenuta superflua è, a tutto concedere, la spendita del nome, cioè della ragione sociale, non anche la sua stessa sussistenza: ciò nel senso che, per quanto occulta, la società deve comunque essere dotata di una ragione sociale, risultando difficilmente configurabili società “anonime” o, meglio, “innominate”; qualora si tenti di identificare la ragione sociale della società [continua ..]


7. Società occulta e imprenditore occulto

Del resto, anche ammettendo, diversamente da quanto qui si sostiene, non soltanto che il fallimento dei soci occulti presupponga in ogni caso il fallimento della relativa società, ma che una società siffatta, oltre a risultare sussistente, possa definirsi occulta, anche ammettendo, dunque, il fallimento della società occulta, non può dirsi per ciò solo raggiunta la conclusione del fallimento dell’imprenditore occulto: e ciò non tanto per la ragione, spesso invocata, ma in quanto tale a ben vedere inconferente, che quest’ultimo è legato al prestanome da un rapporto non riconducibile a quello di società, quanto piuttosto per la circostanza che la società occulta assume, rispetto all’impresa ad essa “riferibile”, una posizione del tutto diversa da quella ricoperta nei confronti dell’impresa del prestanome dall’imprenditore occulto; quest’ultimo, infatti, si caratterizza, come detto, non soltanto per l’elemento, negativo, che ricorrerebbe anche nella figura della società occulta, della mancata spendita del nome, ma anche per quello, positivo, del dominio su (o, come detto, della diretta titolarità di) un’impresa esercitata in nome proprio da altri: un profilo, questo, ricostruttivamente e concettualmente assai più rilevante del primo, trattandosi del criterio in base al quale individuare a quale soggetto, diverso dal prestanome, riconoscere la veste di imprenditore indiretto in relazione all’impresa di cui il medesimo prestanome assume il ruolo di imprenditore diretto. Per quanto si enfatizzi la soggettività della società, anche se di fatto (o, meglio, stipulata per fatti concludenti), ed in particolare l’alterità di quest’ultima nei confronti dei suoi soci, e segnatamente di quelli illimitatamente responsabili (un profilo, quest’ultimo, in vero rilevante al fine di “graduare” non già, ovviamente, la soggettività della società di persone, quanto piuttosto appunto la sua alterità, si direbbe la sua distanza, rispetto ai soci, come può ricavarsi dall’art. 2321 c.c.), certo è che la società occulta non può dirsi esercitare sull’impresa del socio illimitatamente responsabile dichiarato fallito (per primo) alcun dominio, e comunque alcun dominio vagamente assimilabile a quello che il c.d. [continua ..]


Riferimenti bibliografici

Sulla teoria dell’imprenditore occulto, v., ovviamente, BIGIAVI, L’imprenditore occulto (Padova, 1954); ID., Difesa dell’“Imprenditore occulto” (Padova, 1962); PAVONE LA ROSA, “La teoria dell’im­prenditore occulto’ nell’opera di Walter Bigiavi”, Riv. dir. civ., 1967, I, 623 [e in Impresa e società. Scritti in memoria di Alessandro Graziani (Napoli, 1968), IV, 1299];ANDRIOLI, voce Fallimento (diritto privato e processuale), in Enc. dir. (Milano, 1967), XVI, 264; BUONOCORE, Fallimento e impresa (Napoli, 1969); ABBADESSA, “Le disposizioni generali sulle società”, in RESCIGNO (diretto da), Trattato di diritto privato, 16, Impresa e lavoro, tomo II (Torino, 1985), II, 5; GALGANO, “Il fallimento delle società”, in Trattato Galgano (Padova, 1988), X; BONSIGNORI, “Gli aspetti processuali”, in Trattato Galgano (Padova, 1988), X; GALGANO, voce Imprenditore occulto e società occulta, in Enc. giur. Treccani (Roma, 1989), XVI; SPADA, voce Impresa, in Dig. disc. priv ., sez. comm. (Torino, 1990), VII, 32, e, quanto al sistema attuale, oltre alla nostra voce Procedure concorsuali (riforma delle), I, Profili sostanziali, in Enc. giur. Treccani (Roma, 2005), XXIV, M. RESCIGNO, “Rapporti e interferenze fra riforma societaria e fallimentare”, in JORIO (diretto da)-FABIANI (coordinato da), Il nuovo diritto fallimentare, tomo II, artt. 104-266 l. fall. (Bologna, 2007), 2120; A. NIGRO, sub 147, ivi, 2168; BELVISO, “La nuova disciplina dell’estensione del fallimento delle società ai soci (art. 147 l. fall.)”, in Studi in onore di Vincenzo Starace (Napoli, 2008), III, 1657; VASSALLI, sub 147, in NIGRO-SANDULLI-SANTORO (a cura di) La legge fallimentare dopo la riforma, Fallimento, Artt. 84-159 (Torino, 2010), II, 1927; A. NIGRO, “La disciplina delle crisi patrimoniali dell’impresa. Lineamenti generali”, in Trattato Bessone (Torino, 2012), XXV; ID., “I soggetti delle procedure concorsuali” e “I presupposti dell’apertura delle procedure concorsuali”, [continua ..]


NOTE