Rivista di Diritto SocietarioISSN 1972-9243 / EISSN 2421-7166
G. Giappichelli Editore

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Sez. I – Osservatorio di diritto societario della crisi d'impresa (di Maria Lucia Passador)


SOMMARIO:

Conservazione dell’integrità del patrimonio sociale e crisi d’impresa - 1. Responsabilità verso i creditori sociali: chiave di (ri)lettura - 2. Amministratori e perseguimento dell'“interesse d’impresa”. Cenni alla nozione di patrimonio.– Assente nel disposto degli artt. 2427, 2446, 2447, 2484, che pur dispongono obblighi specifici in capo agli amministratori in relazione rispettivamente all’informativa contabile e perdite rilevanti del capitale, il concetto di “patrimonio sociale” viene poi richiamato, per ben due volte, all’art. 2394, nonché agli artt. 2486, 1° comma, e 2497, indicanti rispettivamente i poteri degli amministratori a seguito dello scioglimento e le circostanze in corrispondenza delle quali si pongono le condizioni di responsabilità della controllante nei riguardi dei creditori della controllata. - 3. Azione di responsabilità ex art. 2394 c.c.: natura e carattere. - 4. “Obblighi inerenti alla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale”: autonomia e dignità propria della previsione ex art. 2394 c.c. - 5. Doveri di “conservazione dell’integrità del patrimonio sociale” nei confronti dei creditori. - 6. Profili di responsabilità nei confronti dei creditori. - 7. Conclusioni. - NOTE


Conservazione dell’integrità del patrimonio sociale e crisi d’impresa

1. Responsabilità verso i creditori sociali: chiave di (ri)lettura

«L’art. 2394, che disciplina la responsabilità degli amministratori nei confronti dei creditori sociali in relazione all’obbligo di conservazione dell’integrità del patrimonio sociale, non ha subito sostanziali modifiche. La riforma si è limitata allo spostamento del terzo comma nel nuovo e successivo art. 2394-bis che disciplina ora in maniera autentica l’azione di responsabilità nell’ambito delle procedure concorsuali, riducendo così l’art. 2394 a soli tre commi» [1]. Nella presente trattazione, dopo aver dato conto della differenza tra l’accezione civilistica e quella giuscommercialistica di “patrimonio”, ripercorsi i dibattiti dottrinali sulla natura ed i caratteri dell’azione di responsabilità ex art. 2394 c.c., evidenziata la difficoltà di delimitare l’ambito di applicazione di nozioni quali “interesse sociale” ed “interesse dei creditori”, si intende affrontare una rilettura della citata norma, contemplandone le implicazioni dovute alla crisi [2]. Invero, la situazione economico-finanziaria degli ultimi anni, che ha condotto sino alla rimodulazione di taluni concetti proprio rispetto alla realtà del c.d. “diritto societario della crisi” [3], impone una rilettura dinamica di detta disposizione, capace di andare oltre il semplice dato testuale e lo statico recepimento del contenuto definitorio delle locuzioni presenti all’articolo in esame. Pur tuttavia, non potendo definire lo stato di crisi in modo analitico ed operativamente verificabile dall’esterno [4], non essendo le “patologie societarie” rientrate entro categorie precise ed individuabili in modo netto [5], presentando l’iter verso la decozione caratteri dinamici, lo scritto sostiene l’autonomia e la dignità proprie della norma medesima, posta a baluardo dei creditori sociali rispetto alle disposizioni che tutelano la società nella sua interezza, in un contesto che ha visto un graduale ridimensionamento della disciplina del capitale sociale [6] quale unico elemento di protezione. Di qui, prestando attenzione prevalente ad un orizzonte geografico nazionale, unitamente a taluni cenni sulla prospettiva enucleata in discipline straniere degne di nota, si affronta il tema dei doveri di conservazione [continua ..]


2. Amministratori e perseguimento dell'“interesse d’impresa”. Cenni alla nozione di patrimonio.– Assente nel disposto degli artt. 2427, 2446, 2447, 2484, che pur dispongono obblighi specifici in capo agli amministratori in relazione rispettivamente all’informativa contabile e perdite rilevanti del capitale, il concetto di “patrimonio sociale” viene poi richiamato, per ben due volte, all’art. 2394, nonché agli artt. 2486, 1° comma, e 2497, indicanti rispettivamente i poteri degli amministratori a seguito dello scioglimento e le circostanze in corrispondenza delle quali si pongono le condizioni di responsabilità della controllante nei riguardi dei creditori della controllata.

Senza dubbio alcuno, soprattutto in virtù della riforma del diritto societario del 2003 [7], è proprio l’organo chiamato all’amministrazione della società ad occuparsi di una serie di compiti specifici [8]. Per la prima volta, essa ha posto l’accento sul “tema della gestione societaria dell’impresa in crisi” [9], prestando così attenzione ad alcune problematiche affrontate nel prosieguo del presente lavoro, in quanto incidenti la tematica oggetto di trattazione. Tra gli altri, l’organo gestorio è chiamato pure ad adempiere ad alcuni compiti posti a tutela dei creditori [10], concentrando in capo a sé una serie di competenze valutative ed un adempimento fedele tanto di obblighi di controllo quanto di oneri informativi [11], ai sensi di quanto disposto dagli artt. 2343, 2343-quater, 2385, 1° com­ma, 2423-bis, 1° comma, 2447 e 2484, 1° comma, rispettivamente in tema di stima di conferimenti di beni in natura e crediti, fatti eccezionali o rilevanti che incidano sulla valutazione, rinunzia all’ufficio per parte degli amministratori, principi cui si deve ispirare la redazione del bilancio, riduzione del capitale sociale al di sotto del minimo legale, scioglimento e liquidazione delle società di capitali [12]. Un comportamento, quello richiesto dalle richiamate disposizioni, che precisa come gli amministratori non siano tenuti a perseguire un interesse sociale unitario [13] operante in forza di un rapporto assimilabile alla figura civilistica del mandato [14] o della gestione del risparmio [15], unicamente imperniato sull' ‘interesse’ [del gerito alla massimizzazione del proprio investimento nell’attività imprenditoriale [16]] e [su]l carattere fondamentalmente doveroso dell’attività orientata alla sua realizzazione” [17]. In altre parole, nel loro agire, gli amministratori sono tenuti a perseguire un “interesse d’impresa”: tale concetto, autenticamente inteso, implica tanto una comprensione profonda, una interiorizzazione dell’interesse inizialmente auspicato dalla compagine sociale [18] quanto una applicazione di principi generali dell’ordina­mento, posti a tutela dello stesso, tra cui si annovera una gestione d’impresa consapevole [19], aggiornata, eventualmente [continua ..]


3. Azione di responsabilità ex art. 2394 c.c.: natura e carattere.

“Nella letteratura già il solo “posizionamento logico” della disposizione concernente la responsabilità degli amministratori verso i creditori sociali, immediatamente successiva all’art. 2393 c.c., determinò, da subito, l’interesse per la catalogazione del­l’a­zio­ne più che per i suoi risvolti disciplinari. […] [F]orse perché […] poco sperimentata, [essa inizialmente] venne esaminata soprattutto nella sua cornice dogmatica” [24]. A lungo, “offrendo numerosi spunti per il confronto scientifico quali la natura dell’azione (diretta o surrogatoria) o il tipo di responsabilità (contrattuale o aquiliana)”, la dottrina ha infatti posto attenzione a tali aspetti dell’azione di responsabilità in esame, portando però con la riforma del 2003 alla ribalta “la questione di tutela dei creditori rispetto alla mala gestio degli amministratori” [25], meccanismo integrativo dei già esistenti “mezz[i] di pressione per garantire una corretta gestione del­l’impresa” [26]. Il proliferare dunque di molteplici tesi sull’ar­go­men­to [27] ha indotto a riflettere sul carattere “anfibiologico” degli argomenti addotti a sostegno delle differenti posizioni [28]. Quanto alla prima, nel corso dei decenni passati, eminenti autori si sono espressi tanto a favore della (oggi preferibile “quanto meno perché l’azione dei creditori non è subordinata all’inerzia della società, così come invece previsto per l’azione surrogatoria dall’art. 2900 c.c.” [29]) natura diretta di tale azione quanto della natura surrogatoria della stessa [30]. Quanto alla seconda, dunque, taluni hanno posto in rilievo il (preferibile) valore contrattuale di tale responsabilità [31], talaltri hanno invece sostenuto la tesi di una responsabilità aquiliana [32]. Una scelta, questa, decisiva “per fissare i confini dei rispettivi oneri probatori” [33]. La posizione “contrattualistica” non merita di essere infatti scartata sulla base del semplicistico rilievo tale per cui non si può parlare di una natura contrattuale della responsabilità soltanto poiché non è presente un contratto tra amministratori e [continua ..]


4. “Obblighi inerenti alla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale”: autonomia e dignità propria della previsione ex art. 2394 c.c.

Così come l’interesse dei terzi creditori acquista piena cittadinanza pure in ambito giurcommercialistico [37], anche l’obbligo di “conservazione dell’integrità del patrimonio sociale” precisato all’articolo in parola pare dunque dover assumere dignità propria nell’ambito dei doveri degli amministratori di società per azioni [38], pure in un orizzonte di lungo periodo [39]. Una dignità autonoma “indubbia” [40], che “induce a ritenere che la responsabilità verso i creditori sociali […] copra certamente un’area più limitata di quella definita dall’art. 2392” [41]. Si deve premettere come “ogni atto d’impresa [rilevi in quanto] atto di disposizione del patrimonio sociale e, quindi, atto suscettibile di essere valutato sotto l’aspetto del pregiudizio al patrimonio della società”. Di qui, risulta essenziale proteggere gli interessi generali non soltanto mediante strumenti pubblicistici, bensì avvalendosi anche di strumenti privatistici [42], capaci di tutelare le istanze creditorie oltre il mero dettato dell’art. 2043 c.c., trovando invero propria declinazione al­l’art. 2394 c.c. In altri termini, la conservazione dell’integrità del patrimonio non può non “essere ricompresa nei doveri di gestione dell’impresa che fanno carico al­l’am­ministratore” [43], tenuto anzitutto al recupero del capitale prestato e, oltre ad esso, al pagamento degli interessi. Il 3° comma, primo periodo, dell’art. 2394 c.c. peraltro sottolinea come la “rinuncia da parte della società non impedisc[a] l’esercizio del­l’azione da parte dei creditori sociali”. La questione, a ben vedere, implica quindi considerazioni ulteriori: secondo alcuni, all’articolo in commento è da attribuirsi una “contrazione della latitudine degli obblighi posti dal legislatore a favore dei creditori rispetto a quelli previsti a vantaggio della società” [44], una “intonazione marcatamente restrittiva” [45], affine ma non perfettamente sovrapponibile al dettato dell’art. 2392 c.c., che già impone agli amministratori di perseguire e massimizzare l’interesse sociale; di più, secondo altri, non solo la gestione che mira al [continua ..]


5. Doveri di “conservazione dell’integrità del patrimonio sociale” nei confronti dei creditori.

L’art. 2380-bis c.c. sottolinea come il compito di amministrazione attenga anzitutto alla figura degli amministratori, i quali svolgono la propria funzione in un orizzonte ampio, comprendente l’insieme degli atti di gestione afferenti l’attività di gestione dell’impresa, e dinamico, in perenne divenire, e parimenti non può non affermarsi con riferimento all’articolo in esame. Soprattutto in una situazione di crisi, dunque, “a rilevare non [è] tanto il mix di capitale proprio e di debito considerato staticamente, quanto il profilo dinamico della sostenibilità finanziaria del rapporto di indebitamento, poiché soltanto in tale prospettiva può rivelarsi l’entità massima del debito ‘sopportabile’ dalla società. […] [È] evidente che il naturale effetto della non ‘sostenibilità’ del rapporto debt/equity non potrà essere che il manifestarsi di tensioni finanziarie (di crescente intensità) e, infine, dell’insolvenza” [70]. Ne deriva come i sostantivi “conservazione”, “integrità” e “patrimonio” debbano essere teleologicamente intesi in detto contesto e declinati in esso, letti dunque rispetto alla finalità della attività gestoria, la quale non lascia trasparire in alcun modo intenti conservativi [71], bensì per se è diretta a produrre reddito mediante utilizzazione e impiego produttivo del patrimonio. “Nessun atto – precisa attenta dottrina – può ritenersi in sé e per sé ‘conservativo’ oppure no, senza collocarlo all’interno del ‘progetto’ che gli amministratori hanno predisposto, progetto ovviamente compatibile con le direttive funzionali imposte dall’art. 2486 c.c.»: le componenti fattuali evidenziano “elevate interrelazioni reciproche, che non possono essere semplicemente recise [ed anzi assumono rilevanza pure] in fase di stima del danno” [72]. Il 1° comma dell’art. 2394 c.c. configura quindi non un mero obbligo al mantenimento del valore relativo alle risorse a qualsiasi titolo immesse nell’impresa [73], ma, seppur contenendo i rischi connessi al­l’esercizio delle relate attività, ad incrementare il valore degli investimenti [continua ..]


6. Profili di responsabilità nei confronti dei creditori.

Ebbene, una “eventuale omissione, da parte dell’amministratore, di quelle cautele, di quelle verifiche o di quelle informazioni preventive normalmente richieste per una scelta di quel genere che può configurare la violazione dell’obbligo di adempiere con diligenza il mandato di amministrazione e può quindi generare una responsabilità contrattuale dell’amministratore verso la società”, come richiama la Cassazione nella sentenza del 28 aprile 1997, n. 3652 [87], non implica necessariamente una compromissione della solvibilità. Per questo si auspica che gli amministratori aspirino sempre alla massimizzazione dell’interesse sociale, anche adottando scelte gestionali onerose [88], fintanto che (i) non si approssimi una “situazione di difficoltà” o stato di pre-crisi d’impresa [89], nel senso di cui all’art. 67, 3° comma, lett. d), legge fall. [90]; (ii) non si approssimi una “situazione finanziaria incompatibile con la prospettiva di continuazione della attività” o stato di crisi, come intesa all’art. 160 legge fall. [91]; (iii) non si realizzi una prevedibile compromissione della solvibilità, ossia una riduzione del patrimonio oltre il livello di parità con il passivo reale [92]-[93]. Quantitativamente, gli amministratori non debbono però sopportare interamente il danno emerso dal complesso delle politiche gestorie condotte, bensì soltanto quello immediatamente discendente dalla inesatta previsione compiuta [94]. Altrimenti detto, “there is a line between acceptable and responsible risk-taking and irresponsible risk-taking, perhaps better designed as foolhardiness”, ossia “there is a time to take high risk (where the success rate is low), such as marketing a new untried product, there are time to take calculated risk, and there are times when few risks should be taken” [95]. Una inesatta previsione, priva di connessione alcuna con la business judgement rule [96], “tutt’altro che inconsuet[a]” nella realtà, in ragione del fatto che spesso i gestori dell’impresa «non appena la condizione finanziaria della società si deteriora e il suo indice di indebitamento aumenta, […] anziché attuare una gestione oculata e conservativa del patrimonio o, se del caso, [continua ..]


7. Conclusioni.

Garantita una conoscenza dettagliata circa la situazione in cui l’ente versa, valutata la strategia da adottare e parametrata ad essa “l’alea dell’at­tività d’impresa [quando] sia stato ‘consumato’ il patrimonio sociale” [119], così bilanciando le due differenti istanze considerate nel corso della trattazione [120], appare dunque evidente come il compito cui l’organo amministrativo è chiamato debba anzitutto focalizzarsi sulla ponderata valutazione di una appropriata ragionevolezza del piano gestorio e, conseguentemente, delle operazioni poste in essere. La norma in esame dunque “definisce implicitamente un delicato punto di equilibrio fra pretese strutturalmente diverse e spesso confliggenti” [121], nella consapevolezza della “indisponibilità (anche) per i soci, per il tramite del filtro degli amministratori, del valore, di fondamentale importanza per i terzi, dell’integrità del patrimonio sociale” [122]. Al contempo, tale organo deve anche saper recepire in modo efficace, completo, puntuale e tempestivo [123] situazioni di crisi e modulare conseguentemente l’assetto organizzativo, tutelando i terzi esterni alla società medesima, i cui diritti ed interessi sono però “coinvolti ed incisi dalla gestione dell’impresa” [124], in modo appropriato e ragionevole [125]. Laddove ex ante le considerazioni degli amministratori risultino astrattamente fondate, la tutela obbligatoria delle pretese non può che ritenersi realizzata appieno; ex post, invece il controllo giurisdizionale volto ad accertare un’eventuale responsabilità dell’amministratore di società in crisi sarà, invece, articolato su un “doppio bina­rio”: da un lato, il controllo della conformità dell’operazione al piano risanatorio; dal­l’al­tra, quello della ragionevolezza, parametrata alla situazione di crisi che si affronta. Alla luce dell’analisi condotta, provata l’estesa portata dell’obbligo di cui al­l’art. 2394 c.c., pare dunque pressoché naturale affermare come proprio nell’obbligo di ragionevole pianificazione e conseguente attuazione di essa a tutela dei creditori si sostanzi il dovere cardinale dell’amministratore di società per azioni in [continua ..]


NOTE