Rivista di Diritto SocietarioISSN 1972-9243 / EISSN 2421-7166
G. Giappichelli Editore

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Società in accomandita semplice (di Paolo Piscitello)


SOMMARIO:

1. Premessa - 2. La costituzione. La società in accomandita semplice irregolare - 3. La gestione della società. La posizione degli accomandatari - 4. I soci accomandanti. Il fondamento del divieto di immistione - 5. La partecipazione degli accomandanti alla gestione: atti di amministrazione interna ed attività esterna. I poteri di controllo - 6. La violazione del divieto di immistione - 7. Il trasferimento delle quote - 8. Lo scioglimento - NOTE


1. Premessa

La società in accomandita semplice si caratterizza per la presenza di due categorie di soci: gli accomandatari, illimitatamente responsabili, cui è affidata l’ammini­stra­zione della società e gli accomandanti, limitatamente responsabili ed, in linea di principio, esclusi dalla gestione dell’impresa. L’adozione di un siffatto modello mira a consentire la raccolta di capitali da soggetti non interessati a partecipare in prima persona all’amministrazione 1. Nella realtà economica italiana, le società in accomandita semplice hanno una notevole diffusione anche se, in gran parte dei casi, sono società con un numero di soci non elevato; diversamente, in Germania vi sono Kommanditgesellschaften con centinaia di accomandanti che, attraverso il collegamento con una GmbHche assume la posizione di accomandatario (Typenvermischung), consentono di coniugare i vantaggi del regime di amministrazione delle società di persone con la responsabilità limitata. Le modifiche legislative che hanno rimosso gli ostacoli alla partecipazione di società di capitali in società di persone (art. 2361, 2° comma, c.c.) potrebbero determinare anche in Italia la diffusione di un modello analogo e, più in generale, l’impiego delle accomandite quali società operative nell’ambito dei gruppi. L’esistenza di due categorie di soci con una diversa posizione in ordine alla gestione dell’impresa ed alla responsabilità per le obbligazioni sociali è il motivo ispiratore della disciplina di questo tipo di società, cui, per gli aspetti non espressamente regolati, si applicano le norme delle società in nome collettivo, purché compatibili con la regolamentazione specifica (art. 2315 c.c.). Siffatta tecnica legislativa consente di individuare agevolmente il complesso delle disposizioni che regolano la posizione degli accomandatari, ma crea non poche difficoltà nella ricostruzione dei diritti ed obblighi dei soci accomandanti 2. Le deviazioni dal modello normativo della società in nome collettivo riguardano le diverse fasi della vita sociale: costituzione, gestione dell’impresa, trasferimento delle partecipazioni.


2. La costituzione. La società in accomandita semplice irregolare

Per quanto riguarda la costituzione, le differenze di disciplina rispetto alla società in nome collettivo non sono particolarmente rilevanti. La regolamentazione è sostanzialmente analoga, se si eccettuano le regole peculiari stabilite per la formazione della ragione sociale, che deve contenere il nome di almeno uno degli accomandatari (art. 2314 c.c.), mentre è fatto divieto di inserire nella medesima quello dei soci accomandanti. L’inserimento del nome dell’accomandante comporta la responsabilità illimitata dello stesso per le obbligazioni sociali in solido con gli accomandatari (art. 2314, 2° comma, c.c.). Al riguardo, è stato sostenuto che non è possibile conservare nella ragione sociale il nome di un accomandatario il quale, in seguito ad una modifica dell’atto costitutivo, assuma il ruolo di accomandante, sicché in una siffatta ipotesi il socio sarebbe illimitatamente responsabile anche per le obbligazioni sociali sorte successivamente al mutamento di posizione all’interno della società, poiché la permanenza del nome del socio potrebbe trarre in inganno i terzi 3. A ben vedere, tuttavia, non sembra che tale fattispecie differisca nella sostanza da quella in cui si statuisce che la società possa continuare a mantenere nella ragione sociale il nome del socio receduto o defunto, purché vi sia il suo consenso o quello degli eredi (art. 2292, 2° comma, c.c.). Ed analoghi sembrano essere, in tal caso, i rischi che i terzi possano confidare di soddisfarsi sul patrimonio personale di chi non è più socio illimitatamente responsabile. La regolamentazione della società semplice governa altresì i conferimenti (artt. 2253 ss. c.c.) ed a questa si deve – in linea di principio – fare riferimento per la determinazione delle entità conferibili, nonché per la disciplina dei relativi rapporti tra socio e società. È discusso se il conferimento dell’accomandante possa consistere in una prestazione di opera o di servizi. L’impostazione tradizionale ritiene un siffatto conferimento inammissibile; in tale direzione, deporrebbero l’origine storica della società in accomandita semplice, da cui emerge la posizione dell’accomandante come soggetto che effettua un apporto di capitale, nonché la considerazione che, in tal caso, non solo si verificherebbe una [continua ..]


3. La gestione della società. La posizione degli accomandatari

L’amministrazione della società può essere attribuita solo agli accomandatari (art. 2318, 2° comma, c.c.). In assenza di un’espressa previsione dell’atto costitutivo, l’amministrazione spetterà a tutti gli accomandatari in forza della disciplina dettata per la società semplice (art. 2257, 1° comma, c.c.) ed applicabile a tutte le società di persone. È peraltro possibile che i soci optino per un modello organizzativo in cui la gestione sia affidata solo ad alcuni accomandatari. Analogamente alle altre società di persone, gli amministratori possono essere designati sia nell’atto costitutivo che con atto separato. Nel primo caso, si applicheranno in toto le regole contenute nella disciplina della società semplice (art. 2259 c.c.); qualora si scelga il modello organizzativo imperniato sulla nomina per atto separato, sono necessari invece, sia per la designazione che per l’eventuale revoca, il consenso degli accomandatari e l’approvazione degli accomandanti che rappresentino la maggioranza del capitale sottoscritto (art. 2319 c.c.). Per la revoca degli amministratori nominati nell’atto costitutivo, troverà applicazione la disciplina generale dell’art. 2259 c.c. 8. Nell’ipotesi di pluralità di amministratori, anche nella s.a.s. come nelle altre società personali si potrà prevedere un modello di amministrazione disgiunta o congiunta. È stato sostenuto che, in mancanza di un patto espresso, non può trovare applicazione la regola generale della gestione disgiunta. Siffatto modello di amministrazione presupporrebbe necessariamente la decisione di tutti i soci (amministratori e non) sull’opposizione esercitata da uno degli amministratori; decisione cui non potrebbero partecipare gli accomandanti che verrebbero, in tal modo, ad intromettersi nell’amministrazione della società. Di conseguenza, in presenza di una pluralità di accomandatari amministratori, il regime legale sarebbe quello dell’amministrazione congiunta 9. Più affidante appare ritenere che il regime legale continui ad essere quello dell’amministrazione disgiunta che, come noto, consente una gestione agile e decisioni rapide 10; piuttosto, il vero problema sarà quello di stabilire se gli accomandanti possano partecipare alla decisione [continua ..]


4. I soci accomandanti. Il fondamento del divieto di immistione

I tratti essenziali della posizione dei soci accomandanti sono la responsabilità limitata e l’esclusione dalla gestione dell’impresa comune. La scarna disciplina lascia, tuttavia, aperte non poche questioni sia per quanto riguarda la definizione delle regole con cui opera la responsabilità limitata di tali soci, che con riferimento alla posizione degli stessi rispetto all’amministrazione. Sotto il primo profilo, se non sembra revocabile in dubbio che gli accomandanti rispondono limitatamente alla quota conferita (art. 2313, 1° comma, c.c.), è necessario verificare se sussista una responsabilità diretta degli stessi nei confronti dei creditori sociali. La questione ha, invero, rilevanti risvolti applicativi, se si considera che solo se si propende per la soluzione positiva, una volta dichiarato il fallimento della società, i creditori sarebbero legittimati ad agire verso gli accomandanti, mentre se si esclude la responsabilità diretta un’eventuale azione spetterebbe unicamente al curatore fallimentare. Al riguardo, sembra preferibile optare per la soluzione negativa 13. La responsabilità dell’accomandante discende dalla mancata esecuzione del conferimento nei confronti della società, sicché appare ragionevole ritenere che l’unico soggetto legittimato ad agire per l’esecuzione di tale obbligo sia la società. Non va trascurato poi che la tesi che afferma la responsabilità diretta dell’accomandante verso i creditori sociali suscita non poche perplessità, dato che finisce per identificare fenomeni eterogenei quali l’obbligo di conferimento e la responsabilità patrimoniale 14. Più complessa è la definizione delle forme in cui i soci accomandanti possono partecipare alla gestione della società e dei diritti di controllo che spettano agli stessi sull’attività degli accomandatari. La formulazione dell’art. 2320, 1° comma, c.c., ove prevede che i soci accomandanti non possono compiere atti di amministrazione, né trattare affari in nome della società, se non in forza di procura speciale, lascia aperti ampi margini di incertezza in merito alle linee perimetrali dell’intervento di tali soci nell’attività sociale, sicché la definizione delle stesse richiede che si precisino le ragioni del­l’e­sclusione degli [continua ..]


5. La partecipazione degli accomandanti alla gestione: atti di amministrazione interna ed attività esterna. I poteri di controllo

Alla luce di tali rilievi, possono essere risolte le principali questioni relative alle modalità di partecipazione degli accomandanti all’amministrazione dell’impresa. Il coinvolgimento nella gestione può riguardare sia atti di amministrazione interna che l’attività esterna. Per quanto riguarda gli atti di amministrazione interna, è necessario partire dal contenuto precettivo dell’art. 2320, 2° comma, c.c., secondo cui gli accomandanti possono prestare la propria opera sotto la direzione degli amministratori e, se l’atto costitutivo lo consente, dare autorizzazioni e pareri per determinate operazioni nonché compiere atti di ispezione e sorveglianza. Al riguardo, mi sembra che sia permessa solo una collaborazione limitata per quanto riguarda la gestione, in modo da non alterare le caratteristiche strutturali della società in accomandita semplice; pertanto, gli accomandanti possono prestare la propria attività sotto la direzione degli accomandatari. Per contro, sembra di dover dissentire da un’interpretazione dell’art. 2320 c.c. che dilati la categoria dei comportamenti inibiti all’accoman­dante fino a ricomprendervi tutti gli atti che possano avere una qualche influenza sulla gestione della società; piuttosto, sembra ragionevole reputare vietate solo le operazioni di immediata disposizione del patrimonio sociale e, tra gli atti che possono influenzare l’amministrazione (autorizzazioni, pareri ecc.), quelli che configurino un’alterazione dei rapporti tra soci o, in altri termini, della struttura tipologica della società 18. Nella medesima prospettiva, riterrei che la previsione secondo cui l’atto costitutivo può riservare agli accomandanti autorizzazioni o pareri per determinate operazioni (art. 2320, 2° comma, c.c.) non possa giungere a svuotare il potere di gestione degli accomandatari, sicché se può reputarsi legittima la previsione del parere degli accomandanti per tutti gli atti di una determinata categoria (ad es., vendite di immobili), non appare possibile statuire un generale potere di autorizzazione per tutte le operazioni superiori ad un determinato importo 19. Non sembra poi che gli amministratori possano di loro iniziativa rimettere agli accomandanti la decisione in merito all’opportunità o meno di un’operazione, come del resto [continua ..]


6. La violazione del divieto di immistione

L’ingerenza dell’accomandante nell’amministrazione della società comporta una duplice sanzione: la responsabilità illimitata verso i terzi per tutte le obbligazioni sociali e la possibilità di esclusione (art. 2320, 1° comma, c.c.). È discusso se la perdita del beneficio della responsabilità limitata operi anche nei rapporti interni, con la conseguenza che l’accomandante ingeritosi nella gestione debba sopportare una quota delle perdite della società 31, oppure sia limitata ai rapporti con i terzi come sembra essere confermato dallo stesso tenore letterale del­l’art. 2320, 1° comma, c.c. 32. Appare ragionevole ritenere che, nel­l’i­po­tesi in cui la violazione del divieto di immistione sia avvenuta con il consenso degli accomandatari, l’accomandante costretto a pagare i creditori abbia diritto di rivalsa verso gli accomandatari, poiché la sanzione della responsabilità illimitata è disposta solo nei confronti dei terzi 33. La giurisprudenza consolidata afferma che la violazione del divieto di immistione e la conseguente assunzione della responsabilità illimitata per le obbligazioni sociali comportano anche l’estensione all’accomandante dell’eventuale fallimento della società 34. Si tratta, tuttavia, di conclusione che merita di essere rimeditata alla luce del contenuto precettivo dell’art. 147 legge fall., così come modificato dal d.lgs. n. 5/2006. Ed invero, l’espressa esclusione delle società per azioni ed a responsabilità limitata dalle società in cui è previsto il fallimento dei soci illimitatamente responsabili sembra essere indice della volontà del legislatore di limitare l’estensione della procedura alle ipotesi di soci istituzionalmente a responsabilità illimitata e non a coloro che divengono soci illimitatamente responsabili in seguito ad avvenimenti successivi. Inoltre, appare significativo che, almeno nell’ipotesi di violazione del divieto di immistione, il quale inibisce all’accomandante di compiere atti di amministrazione e di trattare o concludere affari (per i quali non abbia ricevuto procura speciale) della società, la responsabilità illimitata di costui assume carattere sanzionatorio analogamente a quanto avviene per i soci unici di s.p.a. e di [continua ..]


7. Il trasferimento delle quote

La differente posizione delle due categorie di soci si riflette sulla regolamentazione del trasferimento delle partecipazioni sociali. La circolazione delle quote degli accomandatari è soggetta alla disciplina prevista per le altre società di persone, per cui, salvo diversa disposizione dell’atto costitutivo, è necessario il consenso di tutti i soci. Per contro, le quote degli accomandanti sono trasferibili per atto tra vivi con efficacia verso la società con il consenso dei soci che rappresentano la maggioranza del capitale (art. 2322, 2° comma, c.c.) e liberamente trasmissibili mortis causa (art. 2322, 1° comma, c.c.). La disciplina della circolazione della partecipazione dell’accomandante lascia irrisolti alcuni problemi di notevole rilievo. Innanzitutto, deve reputarsi che, in assenza del consenso della maggioranza degli altri soci, il trasferimento per atto tra vivi della quota dell’accomandante resti valido, ma inopponibile alla società 35. Si realizzerà pertanto una scissione tra la posizione di colui che resta titolare della quota ed il beneficiario dei risultati economici dell’attività dell’impresa comune; situazione questa che potrebbe risultare non scevra di inconvenienti, dato che è probabilmente necessario attribuire al cessionario il diritto di conoscere dati e notizie in merito all’attività della società 36. Sotto altro profilo, è necessario precisare il regime della partecipazione sociale del socio accomandante nel caso di alienazione a più soggetti o ad una pluralità di eredi. Al riguardo, riterrei che la responsabilità limitata di tali soci non induca ad escludere che, nel caso in cui la quota degli stessi pervenga ad una pluralità di soggetti, la stessa resti indivisa. Ed invero, una diversa soluzione potrebbe alterare il computo delle maggioranze consentendo all’accomandante, attraverso l’alienazio­ne della partecipazione, di realizzare l’ingresso in società di diversi soci di sua fiducia. Pertanto, nell’ipotesi in cui la quota dell’accomandante pervenga inter vivos o mortis causa ad una pluralità di soggetti, questi dovranno esercitare i diritti sociali tramite un rappresentante comune 37. Resta comunque possibile, in presenza del consenso unanime dei soci, il frazionamento della quota in [continua ..]


8. Lo scioglimento

La società in accomandita semplice si scioglie, oltre che nelle ipotesi previste per le società in nome collettivo (art. 2308 c.c.), nel caso in cui rimangano soltanto accomandatari o accomandanti e, nel termine di sei mesi, non sia stato sostituito il socio che è venuto meno (art. 2323, 1° comma, c.c.). Ed invero, essendo le società in accomandita semplice caratterizzate dalla contemporanea esistenza di due categorie di soci, risulta naturale che la disciplina dello scioglimento debba adeguarsi a tale situazione 38. Nel caso in cui vengano a mancare tutti gli accomandatari, gli accomandanti nominano un amministratore provvisorio per il compimento degli atti di ordinaria amministrazione (art. 2323, 2° comma, c.c.); questi non assume la posizione di accomandatario, né risponde illimitatamente per le obbligazioni sociali. Appare preferibile ritenere che amministratore provvisorio possa essere accomandante; in tal caso, infatti, si esula dagli atti di immistione vietati, in quanto la nomina è volta a consentire il ripristino della dualità di categorie tipica della s.a.s.; peraltro, la stes­sa previsione dell’art. 2323, 2° comma, ult. parte, c.c., secondo cui l’ammini­stra­tore provvisorio non assume la qualità di accomandatario, può essere ragionevolmente spiegata solo se si ammette che l’accomandante può essere nominato amministratore provvisorio 39.


NOTE