Rivista di Diritto SocietarioISSN 1972-9243 / EISSN 2421-7166
G. Giappichelli Editore

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Sui limiti alla modificabilità a maggioranza dello statuto di una s.r.l.: questioni “più o meno” risolte in tema di clausole di prelazione, esclusione e drag-along (nota a Trib. Milano, 22 dicembre 2014)


TRIBUNALE DI MILANO, decr., 22 dicembre 2014 – Perozziello Presidente – Consolandi Giudice – Vannicelli Giudice – Giardino dei Ronchi s.r.l.

Società – Società di capitali – Modifiche dello statuto – Decisioni che coinvolgono diritti individuali dei soci – Quorum assembleari – Insussistenza del principio di necessaria unanimità – Modificabilità a maggioranza dello statuto

(Artt. 2252, 2368, 2468, 2479, 2479-bis c.c.)

 Non è possibile riconoscere, alla stregua del diritto vigente, un principio generale di “necessaria unanimità” in relazione a tutte quante le decisioni comunque idonee a “coinvolgere diritti individuali dei soci”, altrimenti riducendo il fenomeno societario al solo profilo contrattuale, senza tener conto della peculiare rilevanza che, a seguito della sottoscrizione del contratto sociale, il conseguente vincolo associativo “per l’esercizio in comune di un’attività economica” viene ad assumere nelle società di capitali, governate dall’opposto principio di ordinaria modificabilità a maggioranza dello statuto sociale. (1)

 Società – Società di capitali – Modifiche dello statuto – Decisioni che coinvolgono diritti individuali dei soci – Quorum assembleari – Modificabilità a maggioranza dello statuto – Tutela del singolo – Diritto di recesso

(Artt. 2252, 2368, 2437, 2473, 2479, 2479-bis c.c.)

Alla stregua del diritto vigente, può essere ravvisata una generale tendenza chiaramente rivolta a privilegiare, nella dialettica endosocietaria, il profilo dei “vincoli” associativi derivanti dalla (libera) scelta di adesione al contratto sociale, in vista (e naturalmente nei limiti) della più efficace realizzazione della causa del contratto sottoscritto, tendenza in cui lo spazio di autodeterminazione del singolo socio pare trovare tutela logicamente correlativa attraverso ampio riconoscimento di un diritto di recesso, piuttosto che nella attribuzione di un potere di veto di per sé suscettibile di alimentare tensioni anche improprie tra i soci, fino a forme di c.d. abuso di minoranza. (2)

Società – Società a responsabilità limitata – Limiti alla circolazione delle partecipazioni – Clausole statutarie – Clausola di prelazione – Modifiche statutarie – Quorum assembleari per modificare la clausola di prelazione – Modificabilità a maggioranza

(Artt. 2437, 2469, 2479, 2479-bis c.c.)

Pur non essendo espressamente riconosciuta, in materia di s.r.l., l’ammissibilità di una modifica a maggioranza della clausola di prelazione prevista nell’atto costitutivo originario, a fronte della previsione del diritto di recesso, in caso di introduzione, modifica o rimozione (evidentemente a maggioranza) di vincoli di intrasferibilità o mero gradimento (art. 2469, comma secondo), un analogo potere da parte della maggioranza dovrà a maggior ragione essere riconosciuto in ipotesi di vincoli più limitati, come quello derivante dalla clausola di prelazione. (3)

Società – Società a responsabilità limitata – Limiti alla circolazione delle partecipazioni – Clausole statutarie – Clausola di prelazione – Clausola di prelazione impropria – Modifiche statutarie – Quorum assembleari per modificare la clausola di prelazione – Modificabilità a maggioranza

(Artt. 2355-bis, 2437, 2469, 2479, 2479-bis c.c.)

Alla conclusione circa la modificabilità a maggioranza di una clausola di prelazione statutaria dovrà giungersi anche nel caso in cui, in alternativa all’esercizio della prelazione al medesimo prezzo indicato dall’offerente, si preveda, in determinate circostanze, la possibilità di ricorrere ad un terzo arbitratore (così detta clausola di prelazione impropria). (4)

Società – Società a responsabilità limitata – Clausole statutarie – Clausola di esclusione – Modifiche statutarie – Quorum assembleari per introdurre la clausola di esclusione – Introducibilità a maggioranza in statuto – Legittimità

(Artt. 2473-bis, 2479, 2479-bis c.c.)

Non pare revocabile in dubbio l’ammissibilità di una introduzione “a mag­gio­ran­za” di una clausola di esclusione, volta a disciplinare una situazione in cui possa venire a trovarsi in futuro qualsiasi socio, che sia inerente ad esigenze di gestione dell’ente societario, in funzione della migliore realizzazione della causa di un contratto tipicamente segnato dal peculiare rilevo della persona del socio, secondo quanto previsto dall’art. 2473 bis c.c., salva la puntuale verifica della effettiva corrispondenza delle previsioni volute ai limiti espressamente indicati dal legislatore. (5)

Società – Società a responsabilità limitata – Circolazione delle partecipazioni – Clausole statutarie – Clausola di drag-along – Modifiche statutarie – Quorum assembleari per introdurre la clausola di drag-along – Introducibilità a maggioranza in statuto – Legittimità – Medesima posizione dei soci

(Artt. 2437-sexies, 2479, 2479-bis c.c.)

Riconosciuta l’inerenza funzionale della clausola di trascinamento alla esecuzione del contratto sociale della s.r.l., secondo la prospettiva di migliore realizzazione del­l’investimento effettuato, e correlativamente il potere della maggioranza di introdurla in statuto, ai fini della sua introducibilità, pare dirimente che tutti quanti i soci vengano a trovarsi nella medesima posizione rispetto all’evento futuro di una possibile cessione totale a terzi, ad esclusione dunque di qualsivoglia vantaggio o peso attribuito a singoli soci. (6)

Società – Società a responsabilità limitata – Circolazione delle partecipazioni – Clausole statutarie – Clausola di drag-along – Modifiche statutarie – Quorum assembleari per introdurre la clausola di drag-along – Introducibilità a maggioranza in statuto – Legittimità – Equa valorizzazione della partecipazione della quota

(Artt. 2437-ter, 2473, 2479, 2479-bis c.c.)

La mera eventualità che avvenga un ricorso ad una libera contrattazione delle condizioni di inserimento della clausola di covendita forzosa tra “tutti” i soci, in virtù dell’attribuzione di un potere ex lege alla maggioranza assembleare di introdurla in statuto, solleva una esigenza di correlativa tutela parimenti ex lege in favore del soggetto eventualmente dissenziente, atta a riequilibrare il rapporto tra le parti direttamente interessate, rappresentato dall’equa valorizzazione della quota. (7)

 

Omissis

Si discute della iscrivibilità o meno presso il Registro delle Imprese della delibera assembleare assunta da GIARDINO DEI RONCHI srl in data 28.4.14 per la modifica dello Statuto Sociale con voto favorevole della unanimità dei soci presenti, rappresentativi di una maggioranza pari al 90% del capitale sociale – a fronte del rifiuto opposto dal notaio rogante di “procedere al deposito ed iscrizione della delibera in oggetto” (come da comunicazione 9.5.14 in atti) e al conseguente ricorso proposto dagli amministratori al Tribunale ai sensi dell’art. 2436, comma 3°, c.c.

Come si legge nel verbale di assemblea la delibera approvata risulta formulata in due punti distinti:

I.A) “In primo luogo” modifica dello Statuto (“anche per un adeguamento alle novità legislative in tema di libro soci e organo di controllo”) in ordine a: modificazione del riferimento ai libri sociali intendendosi ora al Registro delle Imprese; modifica della clausola di prelazione; inserimento della clausola sulle modalità di liquidazione delle partecipazioni del socio receduto o escluso; modifica degli articoli che fanno riferimento al Collegio Sindacale;

II.A) “In secondo luogo” introduzione di una clausola di covendita “al fine di recepire quanto già convenuto nei vigenti patti parasociali”.

Nella specie (come emerge dal verbale di assemblea e poi dalle memorie depositate nel corso del presente procedimento) emerge un rilevante punto di controversia sul rilievo per cui alcune delle modifiche proposte “coinvolgono diritti individuali dei soci limitando tra l’altro la circolazione delle partecipazioni stesse ed imponendo contestualmente obblighi che incidono sulla valorizzazione delle partecipazioni e che non possono essere assunte a maggioranza” – con riferimento in particolare alle modifiche statutarie in tema di “prelazione statutaria”, “esclusione del socio”, “patto di covendita”.

Proprio sulle tre menzionate clausole ritiene il Collegio di dover fermare la propria attenzione (naturalmente nei limiti dovuti di un controllo di legalità e non di merito), escludendo immediatamente di poter ravvisare alcun profilo di problematicità in relazione agli ulteriori punti toccati dalla delibera assembleare.

Esaminando quindi le diverse questioni in rilievo si osserva quanto segue.

In via di principio il Collegio ritiene innanzitutto di dover escludere la possibilità di riconoscere alla stregua del diritto vigente un principio generale di “necessaria unanimità” in relazione a tutte quante le decisioni comunque idonee a “coinvolgere diritti individuali dei soci” (secondo l’am­plissima configurazione dei rilievi proposti dal socio di minoranza).

L’assunto, nella sua assolutezza, pare inaccettabile laddove finisce per ridurre il fenomeno societario al solo profilo contrattuale (secondo il modello personalistico segnato dall’art. 2252 c.c.) senza tenere conto della peculiare rilevanza che, a seguito della sottoscrizione del contratto sociale, il conseguente vincolo associativo “per l’e­sercizio in comune di una attività economica” viene ad assumere nelle società di capitali governate dall’opposto principio di ordinaria modificabilità a maggioranza dello statuto sociale, vincolo ab origineliberamente accettato dai singoli aderenti al patto quale condizione costitutiva ed insieme limite necessario di specifici diritti propriamente inerenti la acquisita qualità di socio. In tal senso di una assoluta intangibilità di diritti soggettivi dei soci da parte dell’assemblea parrebbe in realtà potersi parlare solo con riferimento ad eventuali diritti “indisponibili” che agli stessi possano far capo, mentre per il resto si tratterà piuttosto di procedere ad una attenta ricostruzione delle regole di governo dell’ente sociale, di fonte sia pattizia che legale, che possano reputarsi legalmente accettate con l’adesione al patto sociale – secondo consuete problematiche di certezza del diritto.

Muovendo da tali premesse si può allora ricordare (con attenta dottrina) che già in passato (Cass 660/78) la S.C., richiamando il potere del­l’assemblea di decidere a maggioranza lo scioglimento anticipato della società, aveva avuto oc­casione di sottolineare da un lato la palese eccezionalità del principio unanimistico nel governo societario, dall’altro l’impossibilità di ravvisare nel sistema un principio di assoluta intangibilità da parte della maggioranza di diritti anche essenziali del socio quali addirittura lo stesso diritto al mantenimento della propria partecipazione nella società. Se l’intera materia relativa al rapporto tra posizione individuale del socio e potere di maggioranza ha indiscutibilmente conosciuto nel tempo un vivace dibattito dottrinario e giurisprudenziale secondo linee di riflessione anche fortemente divaricate, pare tuttavia di poter dare ormai per acquisito che la riforma del 2003 abbia profondamente inciso sui termini della questione con riferimento a tutte quante le società di capitali, da un lato limitando i diritti di impugnazione del socio, dall’altro offrendo espressamente ampio ed inequivoco riconoscimento dei poteri di maggioranza in tutte quante le principali fattispecie in cui era emersa controversia in tema di c.d. “diritti soggettivi dei soci”, come in tema di revoca dello stato di liquidazione, trasformazione eterogenea, inserimento in statuto di una clausola compromissoria (per fermarsi a disposizioni direttamente riferibili alla disciplina della srl qui di specifico interesse). Si tratta in tal senso di una tendenza chiaramente rivolta a privilegiare nella dialettica endosocietaria il profilo dei “vincoli” associativi derivanti dalla (libera) scelta di adesione al contratto sociale in vista (e naturalmente nei limiti) della più efficace realizzazione della causa del contratto sottoscritto, una tendenza in cui lo spazio di autodeterminazione del singolo socio pare trovare tutela logicamente correlativa attraverso ampio riconoscimento di un diritto di recesso piuttosto che nella attribuzione di un potere di veto di per sé suscettibile di alimentare tensioni anche improprie tra i soci fino a forme di cd abuso di minoranza.

In simile ottica, così individuato tra le linee ispiratrici della riforma un marcato favore verso la ricerca di forme di massima funzionalità dei processi decisionali a salvaguardia della dimensione eminentemente collettiva e necessariamente dinamica del fenomeno societario (a fronte di una predeterminazione inevitabilmente incompleta del programma di azione oggetto della stipula del contratto iniziale), per l’interprete rimane evidentemente sul tappeto il problema di fondo di individuare all’interno del sistema una convincente linea di confine capace di fissare i termini essenziali di una simile rinnovata dialettica singolo-maggioranza, adeguata alla dimensione delle problematiche menzionate e insieme più idonea a soddisfare (per quanto possibile) ovvie esigenze di certezza delle posizioni giuridiche scaturenti dal contratto di società.

Il problema risulta evidentemente di particolare complessità in tema di s.r.l., a fronte del riconoscimento normativo di una amplissima facoltà discrezionale dei soci nel dettare la disciplina di funzionamento degli enti costituiti, secondo modelli di riferimento (spiccatamente capitalistici o all’opposto eminentemente personalistici) anche molto diversi tra loro, così da imporre inevitabilmente peculiare attenzione alle concrete determinazioni di volontà che, soprattutto a partire dall’1.1.04, abbiano segnato la conformazione dei singoli statuti. E tuttavia, anche in tema di s.r.l., pare possibile individuare in materia una linea guida tracciata dal legislatore e di agevole riconoscibilità (per quanto rilevante rispetto ad esigenze di certezza del diritto) rappresentata dalla espressa limitazione della necessità di consenso di tutti i soci (peraltro anch’essa “salvo diversa disposizione dell’atto costitutivo”) ai soli fini della “attribuzione a singoli soci di particolari diritti”, lasciando per contro ampio spazio al principio maggioritario laddove si tratti invece di disciplinare l’astratta posizione giuridica immediatamente correlata alla mera titolarità di una quota del capitale sociale (salvi naturalmente i profili strettamente inerenti il rispetto del principio costitutivo della responsabilità limitata dei soci).

Al riguardo è appena il caso di sottolineare infine come esuli naturalmente dal presente campo di indagine, esclusivamente incentrato sull’e­sa­me di astratte fattispecie delineate in sede statutaria, ogni valutazione in tema di eventuali abusi nel concreto esercizio di poteri formalmente da riconoscere ex lege.

Alla luce di tali considerazioni di fondo pare possibile passare ad affrontare le specifiche questioni in rilievo nella vicenda in esame.

  1. a) Modifica alla disciplina del patto di prelazione.

Per questa parte non pare revocabile in dubbio l’ammissibilità di una modifica a maggioranza di una clausola di prelazione prevista nell’atto costitutivo originario già sulla scorta dell’orien­tamento giurisprudenziale prevalente nel regime precedente la riforma del 2003, quale convincimento formulato sul presupposto per cui “è giocoforza ritenere che con l’inserimento della clausola di prelazione nell’atto costitutivo si sia inteso attribuire a detta clausola, al pari di qualsivoglia altra pattuizione riguardante posizioni soggettive individuali dei soci che venga iscritta nello statuto dell’ente, anche un valore rilevante per la società, la cui organizzazione ed il cui funzionamento l’atto costitutivo e lo statuto sono destinati a regolare” (Cass. 7614/96).

Nel regime attuale è invece espressamente la formulazione dell’art. 2437, comma 2°, c.c. a fissare con chiarezza (in materia di spa) un principio di generale ammissibilità della introduzione, modifica o rimozione di vincoli alla circolazione delle azioni “a maggioranza” a fronte della espressa previsione di una facoltà di recesso in favore dei soci dissenzienti. Ad analoga conclusione si ritiene qui di dover pervenire in tema di srl a fronte della previsione di analoga tutela prevista ex art. 2469, comma 2°, c.c. in ipotesi di imposizione (evidentemente “a maggioranza”) di vincoli di “intrasferibilità” o di “mero gradimento”, sulla convincente considerazione che analoga posizione giuridica (di potere di maggioranza) debba a fortiori essere riconosciuta in ipotesi di introduzione di vincoli più limitati (come in particolare si evidenzia in motivazione della massima 31/04 del Consiglio Notarile di Milano).

Sotto diverso profilo non pare d’altro canto di poter ravvisare alcuna violazione di disposizioni inderogabili di legge nella peculiare disciplina introdotta laddove, in alternativa all’esercizio della prelazione al medesimo prezzo indicato dall’offerente, si prevede la possibilità di ricorso ad un arbitratore “qualora il prezzo richiesto sia ritenuto eccessivo da uno qualsiasi dei soci”, tenuto conto che si fa riferimento ad un esperto nominato dal Presidente del Tribunale tenuto a determinare il valore della quota “tenendo conto del suo valore di mercato utilizzando un criterio patrimoniale reddituale”.

Al riguardo pare sufficiente osservare che:

  1. i) in via generale la dottrina ha tradizionalmente riconosciuto la piena validità ed efficacia di clausole di prelazione cd “impropria”, quale quella in esame, limitandosi a sottolineare l’es­igenza che il prezzo offerto per l’esercizio della prelazione “risulti almeno pari a quello determinato ai sensi dell’art. 2437terc.”;
  2. ii) in tema di s.r.l. la previsione espressa di cui all’art. 2469 c.c. si limita ad attribuire (ex lege) un mero diritto di recesso addirittura in ipotesi di formale intrasferibilità della partecipazione ovvero di imposizione di un vincolo di gradimento senza “condizioni e limiti” (situazione cui la dottrina ha riconosciuto equiparabile quella di previsione di un prezzo di cessione “vile” in ipotesi di clausola di prelazione cd “impropria”: v. sul punto massima n 86 – 15.11.05 del Consiglio Notarile di Milano secondo cui “sono efficaci le clausole … che attribuiscano il diritto di esercitare la prelazione per un corrispettivo, diverso da quello proposto dall’alienante, determinato concriteri tali da quantificarlo in un ammontare anche significativamente inferiore a quello che risulterebbe applicando i criteri di calcolo previstiin caso di recesso. In tale ipotesi al socio che dovrebbe subite tale decurtazione spetta, ai sensi del­l’art. 2469, comma 2°, c.c., il diritto di recesso”);

iii) la clausola introdotta nella fattispecie concreta sostanzialmente si limita in realtà a richiamare criteri di legge per la liquidazione della quota in ipotesi di recesso, secondo alternativa espressamente prevista ex art. 2355 bis c.c. in tema di s.p.a. (così da far escludere in ogni caso la possibilità di ravvisare nella fattispecie concreta ipotesi di indebito sacrificio imposto al socio sottoposto all’esercizio della prelazione).

  1. b) Introduzione di clausola di esclusione

In questo caso è la stessa tipicità della clausola, ex art. 2473 bis c.c., a segnalare con chiarezza il riconoscimento da parte del legislatore della piena inerenza di previsioni in materia a legittime esigenze di gestione dell’ente societario in funzione della migliore realizzazione della causa di un contratto tipicamente segnato dal peculiare rilievo della “persona” del socio. Da tale rilievo anche la conseguente necessità di una previsione atta a circoscrivere e giustificare adeguatamente una eventuale decisione di esclusione proprio in stretta correlazione alla menzionata funzione, nell’interesse di ciascuno dei soci non già come singolo ma piuttosto quale astratto titolare di una quota di partecipazione al capitale sociale.

In tal senso, in linea con le considerazioni svolte in premessa, non pare revocabile in dubbio l’am­missibilità di una introduzione “a maggioranza” di clausole in materia volte, nel perseguimento di un interesse comune di tal fatta, a disciplinare una situazione in cui possa venire a trovarsi in futuro qualunque socio, salva piuttosto puntuale verifica della effettiva corrispondenza delle previsioni volute ai limiti espressamente indicati dal legislatore.

Proprio sotto tale profilo il Collegio ritiene di dover escludere l’ammissibilità della clausola di cui all’art. 10 lett. 1b dello statuto per cui viene chiesta l’omologa (ipotesi in cui “il socio, senza il consenso degli altri soci, eserciti per conto proprio o altrui un’attività contraria con quella della società ovvero svolga o tenti di svolgere comunque attività che, di fatto, ostacoli quella sociale e/o ponga in essere atti tali da ostacolare o differirne i contenuti realizzativi alle iniziative immobiliari sociali rispetto a quanto formalmente deliberato dagli organi sociali competenti e/o le renda comunque più gravose e/o dissimili, il tutto direttamente o a mezzo di soggetti interposti”).

Nella specie ritiene in particolare il Collegio che, pur al di là della peculiare macchinosità della formulazione letterale, si debba necessariamen­te prendere atto di una estrema genericità della previsione approvata, quale assolutamente incompatibile con la particolare rilevanza degli interessi in gioco – tanto più a fronte della connotazione propriamente punitiva che la clausola in parola verrebbe chiamata a svolgere, come emerge anche dalla correlata previsione di cui art. 10 punto 6 dello statuto di riduzione in tale ipotesi del prezzo di rimborso della quota, e che come tale impone una chiara predeterminazione dei tratti distintivi della fattispecie di esclusione ipotizzata.

  1. c) Introduzione di clausola di covendita.

Nella nuova formulazione approvata dall’as­sem­blea di GIARDINO DEI RONCHI lo statuto sociale espressamente prevede che:

“Qualora i soci titolari nel complesso tra loro di una partecipazione sociale non inferiore al 76% del capitale sociale votante comunichino per iscritto agli altri soci l’intenzione di trasferire a terzi la propria quota di partecipazione, gli altri soci, per il caso in cui non esercitino il diritto di prelazione agli stessi spettante …, saranno obbligati a cedere, se così richiesto dal terzo acquirente nel contesto dell’offerta formulata, la propria partecipazione sociale al terzo acquirente agli stessi termini e condizioni cui saranno cedute le quote di partecipazione rappresentative del 76% del capitale sociale, sì che il terzo offerente divenga titolare dell’intera partecipazione della società”.

Si tratta dunque di clausola certamente estranea al modello tipico delineato dal codice, per cui in questo caso si pone, in primo luogo, un problema di astratta ammissibilità di una tale previsione statutaria (con i peculiari effetti che l’inserimento in Statuto comporta) sotto un profilo di eventuali limiti alla autonomia privata desumibili ex lege.

A fronte della constatazione empirica della crescente fortuna che previsioni di tal fatta stanno incontrando nella esperienza concreta, la questione è stata fin qui affrontata soprattutto in riferimento agli statuti di spa e in tal sede ritenuta (abbastanza) agevolmente superabile in ritenuta analogia ora alla disciplina dei limiti alla circolazione delle azioni (in questo caso estensivamente interpretata come disciplina di limiti alla “disponibilità” delle azioni) ora (in maniera forse più convincente) all’ampio riconoscimento offerto ex art. 2437sexies c.c. alla ammissibilità di ipotesi statutarie di soggezione di azioni ad un potere di riscatto al di fuori di fattispecie non espressamente predeterminate ex lege. In materia di srl il problema appare più complesso a fronte dell’as­sunto di principio della “centralità della posizione del socio” su cui viene a conformarsi l’assetto tipico della disciplina di legge, secondo una variegata articolazione che vede da un lato il più ampio riconoscimento del potere dispositivo dei soci nel dettare le regole di vita dell’ente, dall’al­tro la fissazione di limiti certamente inderogabili di predeterminazione e soprattutto di giusta causa alla (pure prevista) possibilità di esclusione forzata del socio.

A parere del Collegio l’ispirazione di fondo della disciplina, in una materia che non tocca in alcun modo la posizione di terzi, deve ragionevolmente far prevalere una lettura di stretta interpretazione dei limiti imposti alla autonomia privata, secondo adeguata ponderazione dei profili di possibile analogia o differenza riscontrabili nelle diverse fattispecie concrete. In tal senso pare qui dirimente che una clausola di covendita quale quella in esame viene evidentemente a spostare l’attenzione dall’interesse alla diretta ese­cuzione del progetto imprenditoriale sotteso alla costituzione della srl verso profili di carattere più propriamente speculativo o comunque a valorizzare all’interno del contesto dato uno specifico ed ulteriore interesse a garantire migliori condizioni di realizzazione dell’investimento effettuato – secondo opzione di fondo cui pare di dover senz’altro riconoscere piena legittimità a fronte della ampia apertura del “modello s.r.l.”. Ma nel momento in cui si riconduce così la ragione costitutiva di una simile previsione statutaria alla tutela di un interesse al disinvestimento, quale anch’esso ricompreso nella causa del contratto di società, allora si deve prendere atto di una significativa distanza di una tale fattispecie da quella tipica della “esclusione” disciplinata ex lege (invece strettamente funzionale ad esigenze di governo della fase più strettamente attuativa/imprenditoriale del contratto sociale), una fattispecie in realtà (quella di covendita nei termini di cui alla delibera in parola) che piuttosto pare richiamare il generale potere della maggioranza assembleare di disporre lo scioglimento della società attraverso liquidazione dei beni sociali invece che delle quote.

Proprio una tale considerazione apre la strada all’esame del secondo corno del problema sul tappeto, relativo al tema della necessità o meno del consenso unanime dei soci per l’introduzione di una simile clausola in statuto.

Nella specie l’assemblea pare voler giustificare la rivendicata validità ed efficacia della delibera in questione quale “conferma” di un patto parasociale in precedenza asseritamente sottoscritto da tutti i soci (ivi compreso il socio persona fisica che, allo stato, risulterebbe detenere la propria quota di partecipazione attraverso la società fiduciaria formalmente dissenziente), ma si tratta di prospettazione non convincente laddove (al di là della ammissibilità o meno in questa sede degli accertamenti in fatto che l’assunto presuppone) si risolve evidentemente nella non condivisibile pretesa di attribuire efficacia reale all’im­pe­gno assunto con la sottoscrizione del patto parasociale in parola.

Piuttosto, una volta riconosciuta l’inerenza funzionale della clausola in esame alla esecuzione del contratto sociale (come detto secondo una pienamente legittima prospettiva di migliore realizzazione dell’investimento anche attraverso predeterminazione di forme di risoluzione di eventuali, magari anche “improprie”, opportunistiche, tensioni tra i soci), pare qui dirimente (in linea con le premesse di fondo sopra tracciate) che tutti quanti i soci vengano a trovarsi nella medesima posizione rispetto all’evento futuro di una possibile cessione totale a terzi, ad esclusione dunque di qualsivoglia vantaggio o peso attribuito a singoli soci – richiamando in tal senso spunti di riflessione già elaborati in relazione alle vicende per certi versi analoghe inerenti la disciplina del riscatto azionario (v. in particolare la nota pronuncia Trib. Perugia 25.6.08 che in motivazione espressamente riconosceva l’am­mis­sibilità a maggioranza di un vincolo obbligatorio di covendita “allorquando tutti i soci siano posti nella medesima posizione, non apparendo ammissibile … riscatti di azioni che siano riferibili solo ad uno o ad alcuni soltanto dei soci …”, con la successiva opportuna puntualizzazione e verifica in fatto di cui Corte d’appello Perugia 31.1.13; v. anche la massima 99/07 del Consiglio Notarile di Milano secondo cui i) “La soggezione di azioni o categorie di azioni al riscatto può essere stabilita, oltre che in sede di atto costitutivo, anche con successiva modifica statutaria, purché consti, ove si tratti di attribuire tale carattere ad azioni già in circolazione, il consenso dei titolari di tali azioni” – con riferimento letterale, pare di intendere, ad ipotesi di assoggettamento alla disciplina del riscatto solo di “alcune” delle azioni in circolazione, con l’introduzione cioè di una nuova “categoria” di azioni, in linea con le indicazioni scaturenti dalla Dir. CEE 77/91; ii) Le azioni riscattabili possono essere invece previste con delibera assembleare adottata con le maggioranze normalmente richieste per le modificazioni dello Statuto qualora: … c) la riscattabilità sia prevista quale condizione in cui qualsiasi azione può incorrere al verificarsi di particolari situazioni e – al momento dell’inserimento – nessuno degli azionisti si trovi in tali situazioni (ad esempio qualora sia previsto che il riscatto possa operare in caso di superamento di una determinata soglia di possesso azionaria e nessuno degli azionisti possieda, al momento dell’inserimento, quella quota)”.

Profilo ulteriore da affrontare in materia risulta infine quello relativo alla necessità o meno di salvaguardare un principio di cd “equa valorizzazione della quota” del socio “forzato” alla cessione.

Sul punto il Collegio ritiene di poter fare utile riferimento alla valutazione affermativa espressa dal consiglio Notarile di Milano con la massima 88/05 già richiamata da Tribunale di Milano 1.4.08 (in materia in questo caso di disciplina del diritto di riscatto).

Non si ignora al riguardo l’emergere di una ampia diversificazione di posizioni e anzi l’op­posto (autorevole) orientamento prevalso con il definitivo lodo arbitrale 29.7.08 nella medesima vicenda di cui al menzionato precedente Trib. Milano, con ampio favore della dottrina. Si tratta piuttosto di rilevare come la presente vicenda processuale consenta di affrontare la questione secondo una prospettiva parzialmente diversa da quella dei precedenti sopra richiamati, facendo anche emergere profili decisori che forse non avevano trovato in precedenza adeguato risalto.

In particolare:

  1. i) si verte qui in materia di omologa di modifiche statutarie e dunque ci si pone in una prospettiva di valutazioneex anteche non lascia spazio ad opportunistiche contestazioni ex post proprie di un conflitto contenzioso ma al contrario offre fin da subito ai soci un punto di riferimento certo su cui orientare le proprie determinazioni;
  2. ii) soprattutto, all’interno di tale contesto si muove da una premessa in diritto di legittima introducibilità a maggioranza di una clausola di covendita forzata, secondo una prospettiva dunque che vede fortemente limitata l’autonomia negoziale dei singoli soci.

È proprio quest’ultima considerazione che, facendo apparire meramente eventuale il ricorso ad una libera contrattazione delle condizioni di inserimento della clausola tra “tutti” i soci in virtù dell’attribuzione di un potere ex lege alla maggioranza assembleare, solleva nello stesso tempo una esigenza di correlativa tutela parimenti ex lege in favore del soggetto eventualmente dissenziente atta a riequilibrare il rapporto tra le parti direttamente interessate (come appunto in relazione alla vicenda in esame). Si tratta in definitiva di prendere atto che, secondo l’ispirazione della riforma del 2003, le previsioni in tema di equa valorizzazione delle quote (espressamente richiamate in materia di diritto di riscatto, di esclusione statutaria, di imposizione di limiti alla circolazione delle azioni e delle partecipazioni), come già l’ampia previsione di facoltà di recesso, ben lungi dal porsi come disposizioni di carattere eccezionale, risultano piuttosto espressione di un principio generale di necessario contemperamento dell’accresciuto potere attribuito alla mag­gioranza assembleare e come tale possono-devo­no reputarsi suscettibili di ampia applicazione ana­logica.

Alla stregua delle menzionate considerazioni il Collegio ritiene, per i motivi così esposti, che i vizi rilevati in relazione alla introduzione della clausola di esclusione (limitatamente all’ipotesi di cui all’art. 10 punto 1b) ed alla clausola di covendita (in relazione alla mancata previsione di meccanismi di equa valorizzazione delle quote in una fattispecie concreta di introduzione della clausola a maggioranza) non consentano di autorizzare l’iscrizione della delibera di modifica statutaria in esame.

P.Q.M.

Visto l’art. 2436 c.c.

Il Tribunale rigetta il ricorso in esame.

SOMMARIO:

1.  Il caso - 2.  La normativa di riferimento. Le modifiche dello statuto sociale: unanimità e maggioranza ancora una volta a confronto - 3. Gli orientamenti di dottrina e giurisprudenza. Modificabilità della clausola statutaria di prelazione - 4.  (Segue). Introduzione della clausola statutaria di esclusione durante societate - 5. Il commento. Le clausole di drag-along: fattispecie e funzioni - 6.1. (Segue). L’introduzione in statuto delle clausole di drag-along: giurisprudenza e dottrina sul confronto tra maggioranza e unanimità - 6.2. (Segue). L’orientamento della pronuncia sul tema del quorum necessario all’intro­duzione in statuto della clausola di drag-along - 7. (Segue). La clausola di drag-along e il principio di equa valorizzazione della quota - NOTE


1.  Il caso

Con il decreto in commento, il Tribunale di Milano ha rigettato il ricorso promosso ex art. 2346 c.c., 3° comma, dagli amministratori della società Giardino dei Ronchi s.r.l. per ottenere l’iscrizione nel registro delle imprese di una delibera assembleare modificativa dello Statuto sociale della medesima, assunta con il consenso unanime dei soci partecipanti all’assemblea, rappresentativi di una maggioranza pari al 90% del capitale sociale, a fronte del rifiuto manifestato dal notaio rogante di procedere al deposito di essa nel registro delle imprese e di richiederne contestualmente l’iscrizione, ritenendo non adempiute le condizioni imposte dalla legge. I profili di problematicità, riscontrati dal Collegio all’interno della delibera assembleare in oggetto, emergono esclusivamente con riferimento all’approvazione a maggioranza delle modifiche statutarie, comportanti la modificazione o l’introduzione delle clausole di “prelazione statutaria”, “esclusione del socio” e “patto di covendita” [1]. All’interno di questa pronuncia il Tribunale di Milano ha in primo luogo sviluppato delle premesse concettuali generali, riassumibili nella non rintracciabilità, all’interno del sistema delle società di capitali, del principio di assoluta intangibilità della posizione di membro della compagine societaria da parte della maggioranza assembleare, pur dove essa incida su “diritti anche essenziali del socio quali addirittura lo stesso diritto al mantenimento della propria partecipazione nella società”. Ne deriva conseguentemente il corollario della non “necessaria unanimità” dei consensi in sede assembleare in relazione alle decisioni comunque idonee a coinvolgere tali diritti. Coerentemente con quanto detto in precedenza, al Giudice milanese non pare revocabile in dubbio la modificabilità a maggioranza di “più limitati” vincoli al diritto “alla circolazione delle partecipazioni sociali”, quali la “clausola di prelazione”, anche “impropria”. In terzo luogo, il Collegio si è espresso in ordine alla non omologabilità della delibera assembleare, nella parte relativa all’in­troduzione della clausola di esclusione prevista dall’art. 10, lett. 1b dello Statuto sociale di nuova formulazione [2]. E ciò [continua ..]


2.  La normativa di riferimento. Le modifiche dello statuto sociale: unanimità e maggioranza ancora una volta a confronto

È necessario partire dal tema, affrontato in via per così dire “pregiudiziale” dal Tribunale di Milano nel decreto in commento, concernente il quorum necessario per introdurre, alterare o eliminare clausole del contratto sociale o dello statuto di una s.r.l., che secondo l’ampia configurazione dei rilievi proposti dal socio di minoranza “coinvolgono diritti individuali dei soci limitando tra l’altro la circolazione delle partecipazioni stesse ed imponendo contestualmente obblighi che incidono sulla valorizzazione delle partecipazioni e che non possono essere assunte a maggioranza”. Secondo il Tribunale di Milano, come supra anticipato, se fosse necessario il consenso di tutti i soci per fondare delibere comunque idonee ad incidere sulle suddette posizioni soggettive dei membri della compagine societaria, in virtù di un principio di “assoluta intangibilità” delle stesse da parte della maggioranza assembleare, di cui potrebbe legittimamente parlarsi solo in riferimento ad eventuali diritti “indisponibili”, si ridurrebbe il fenomeno societario al solo profilo contrattuale, secondo il modello delle società di persone, laddove invece una volta intervenuta la sottoscrizione del contratto sociale, nel sistema delle società di capitali il vincolo associativo così creato “per l’eser­cizio in comune di un’attività economica” sarebbe dominato dall’opposto principio di ordinaria modificabilità a maggioranza. Ciò, a detta dei giudici, vale anche quando si tratti di incidere su diritti “soggettivi dei soci, come in tema di revoca dello stato di liquidazione, trasformazione eterogenea, inserimento in statuto di una clausola compromissoria” ovvero “essenziali (…), quali addirittura lo stesso diritto al mantenimento della propria partecipazione nella società”. È evidente il richiamo alla teoria, per nulla esente da critiche, sui così detti “diritti individuali del socio”, in principio elaborata da certa parte della dottrina “per delimitare il potere collettivo rispetto ai soci e quindi per individuare i limiti da parte della maggioranza, a tutela delle minoranze” [5]. Nonostante gli sforzi teorici di rinvenire talune situazioni giuridiche intangibili all’interno del fenomeno associativo, “nel [continua ..]


3. Gli orientamenti di dottrina e giurisprudenza. Modificabilità della clausola statutaria di prelazione

Il decreto in commento si conforma al­l’orientamento maggioritario, già anteriore alla riforma, concernente il tema dei quorum richiesti per l’introduzione, modificazione e rimozione delle clausole di prelazione presenti nello statuto della società [12]. Dottrina e giurisprudenza avrebbero sostenuto che variazioni contenutistiche di preesistenti clausole di tal specie fossero deliberabili in virtù di una manifestazione anche sempli­cemente maggioritaria del consenso da parte dell’assembleastraordinaria [13]. Orientamento che, nel regime attuale, secondo il Tribunale, avrebbe trovato formale riconoscimento in materia di s.p.a., in quanto, come emerge espressamente da una lettura coordinata degli artt. 2355-bis e 2437 c.c., ricorrerebbe una «generale ammissibilità della introduzione, modifica o rimozione di vincoli alla circolazione delle azioni “a maggioranza” a fronte dell’espressa previsione di una facoltà di recesso in favore dei soci dissenzienti». Altrettanta chiarezza non si riscontra, invece, in seno alla disciplina generale del recesso in materia di società a responsabilità limita. Il giudice milanese è giunto però alla medesima conclusione prevista a livello codicistico in tema di società per azioni, riprendendo la motivazione alla massima n. 31 del Consiglio Notarile di Milano, sul­l’introduzione o rimozione di limitazioni alla circolazione di partecipazioni di s.r.l. (artt. 2469 e 2473 c.c.). Secondo quest’ul­tima, posto che il diritto di recesso, in caso di potenziale contrapposizione tra interesse generale ed interesse particolare, costituisce uno strumento a tutela della minoranza, teso ad equilibrare il principio della prevalenza della volontà maggioritaria [14], la circostanza che il suddetto diritto sia previsto in ipotesi di assoluta intrasferibilità della quota o di sottoposizione del trasferimento a mero gradimento, presupporrebbe l’intro­du­cibilità a maggioranza delle clausole predette. Da qui l’argumentum a fortiori in base al quale vincoli meno severi alla circolazione, come quello di prelazione, potranno essere introdotti o rimossi, “se lo statuto non prevede diversamente, con il quorum deliberativo che lo statuto stesso – ovvero, in mancanza, la legge – genericamente dispone per [continua ..]


4.  (Segue). Introduzione della clausola statutaria di esclusione durante societate

Il Tribunale, nel decreto analizzato in questa sede, ricorda come l’art. 2473-bis, che consente all’atto costitutivo di prevedere «specifiche ipotesi di esclusione di giusta causa» del socio di s.r.l., si inserisca nel disegno riformatore, volto a consentire all’au­to­nomia statutaria di plasmare in concreto il modello organizzativo voluto, attraverso una colorazione di matrice spiccatamente personalistica, “in funzione della migliore realizzazione della causa di un contratto ti­picamente segnato dal peculiare rilievo della ‘persona’ del socio” [16]. “L’individuazione delle fattispecie che de­terminano l’esclusione è demandata in toto all’atto costitutivo. Devono essere però rispettati i principi della specificità delle ipotesi di estromissione e della giusta causa. Il primo assicura al socio la conoscenza in via preventiva delle condizioni al verificarsi delle quali potrebbe venire provocata la sua espulsione e rimuovere il rischio di comportamenti opportunistici da parte della società (…). Il filtro della giusta causa è funzionale a calibrare il potere di esclusione alla meritevolezza dell’interesse servito e all’attinenza di questo al rapporto societario; si evita così che tale potere possa essere trasformato in un arbitrario strumento di allontanamento si soci ritenuti scomodi” [17]. Sotto quest’aspetto, nel caso trattato il Tribunale di Milano ha ritenuto inammissibile la clausola di cui si era chiesta l’o­mologa, difettando la stessa del primo dei requisiti a cui supra si è fatto riferimento, essendo priva di una sufficiente specificità stante l’“estrema genericità della previsione approvata”. Laddove, invece, proprio i risvolti per così dire “punitivi” che il socio avrebbe subito in occasione della sua e­stro­missione dalla s.r.l., risvolti rappresentati dalla riduzione del prezzo di rimborso della quota (art. 10 punto 6 dello statuto), avrebbero a maggior ragione sottolineato e fatto emergere l’esigenza di “una chiara predeterminazione dei tratti distintivi della fattispecie di esclusione ipotizzata”. Coerentemente con le premesse svolte in precedenza, a fronte della rilevanza e funzione organizzativa a cui sarebbero preposte in astratto le clausole di esclusione, [continua ..]


5. Il commento. Le clausole di drag-along: fattispecie e funzioni

E veniamo ora alla parte più interessante del decreto in commento, quella riguardante l’ammissibilità della clausola di drag-along o di trascinamento, così come formulata dalla modifica statutaria di cui è stata richiesta l’omologa al Tribunale. Queste ul­time, come hanno giustamente osservato i giudici, costituiscono previsioni che hanno trovato una grandissima fortuna ed applicazione nella prassi societaria, specie all’in­terno degli statuti delle s.p.a. “chiuse”. Esse, quasi sempre coordinate con il diritto di prelazione, si collocano, assieme ai patti di accodamento o di tag-along, nel più ampio genus delle clausole di co-vendita, le quali non conoscono, nel nostro ordinamento, una nozione di fonte legislativa ed uno statuto di carattere generale. “(…) La letteratura scientifica straniera le definisce exit strategy; di conseguenza, appare (…) corretto ricondurle anche nel nostro ordinamento alla disciplina dell’exit societario, il cui fondamento economico risiede rispettivamente, per l’exit attivo, nell’intento di evitare che il socio resti prigioniero della società, mentre per l’exit passivo, specularmente, nell’intento di evitare che la società resti prigioniera di una minoranza scomoda” [19]-[20]. L’inserimento nello statuto di una s.r.l. delle clausole di drag-along, come ha giustamente evidenziato il decreto in commento, “viene evidentemente a spostare l’at­ten­zione dall’interesse alla diretta esecuzione del progetto imprenditoriale sotteso alla costituzione della s.r.l. verso profili di carattere più propriamente speculativo o comunque a valorizzare all’interno del contesto dato uno specifico ed ulteriore interesse a garantire migliori condizioni di realizzazione dell’investimento effettuato – secondo opzione di fondo cui pare di dover sen­z’al­tro riconoscere piena legittimità a fronte della ampia apertura del ‘modello s.r.l.’ ”.


6.1. (Segue). L’introduzione in statuto delle clausole di drag-along: giurisprudenza e dottrina sul confronto tra maggioranza e unanimità

La pronuncia tocca un tema delicatissimo, il tema concernente l’introducibilità a maggioranza o all’unanimità di meccanismi di tal fatta nel contesto statutario, costituendo questo il secondo precedente in materia. Lo stesso Tribunale (Trib. Milano, 24 marzo 2011), infatti, si era espresso sul punto in un passato relativamente recente, optando per una soluzione discorde rispetto a quella veicolata dai giudici nel caso di specie [21]. Il Tribunale di Milano nel 2011 aveva assunto una posizione quasi “partenalistica” a salvaguardia del socio di minoranza potenzialmente trascinabile. I giudici, nel loro iter argomentativo, avrebbero implicitamente sostenuto “l’esistenza di un diritto soggettivo del socio a mantenere la propria qualità, che rappresenterebbe un limite estrinseco al principio maggioritario, in tal modo aderendo a quella teoria che riduce il fenomeno societario al solo profilo contrattuale” [22]. Come si è già sottolineato in nota 29, il drag-along non sarebbe stato assimilato a quella tipologia di clausole il cui effetto consiste nel sottoporre la circolazione delle partecipazioni a “particolari condizioni” o a meri “vincoli”, alla cui rimozione o introduzione, salvo lo statuto non disponga diversamente, consegue il diritto del socio, che non abbia espresso voto favorevole, di recedere dal vincolo sociale (art. 2437, 2° comma, lett. b), c.c.). Esso, infatti, darebbe impulso, seppur forzatamente, alla circolazione, consistendo “nel limite posto al­l’e­sercizio della facoltà di mantenere immutato l’investimento e conservare la qualità di socio” [23]. Il suddetto meccanismo, implicante l’attribuzione in capo al socio di mag­gioranza di un potere di vendita forzosa delle partecipazioni di minoranza, sarebbe apparso, allora, più “vicino” (pur con le innegabili differenze strutturali) alla fattispecie delle azioni riscattabili, prevista dall’art. 2437-sexies c.c. [24]. Analogamente a que­st’ul­tima, non ricompresa tra le modifiche statutarie disponibili dalla maggioranza e comportanti il diritto di recesso, l’intro­duzione della clausola di drag-along sarebbe dovuta avvenire con il consenso unanime dei soci, ed in particolare del socio trascinato: “altrimenti venendosi a rimettere nelle mani solo di [continua ..]


6.2. (Segue). L’orientamento della pronuncia sul tema del quorum necessario all’intro­duzione in statuto della clausola di drag-along

Nella pronuncia in commento secondo i giudici, posta “l’inerenza funzionale della clausola in esame alla esecuzione del contratto sociale”, e dunque “la legittima introducibilità a maggioranza di una clausola di covendita forzata” [31], ciò che risulterebbe in concreto dirimente ai fini della legittimità di una modifica a maggioranza avente un simile tenore [32], sarebbe la circostanza per cui “tutti quanti i soci vengano a trovarsi nella medesima posizione rispetto all’e­ven­to futuro di una possibile cessione totale a terzi, ad esclusione dunque di qualsivoglia vantaggio o peso attribuito a singoli soci”. Il Tribunale, invero, non ha fornito una motivazione articolata sul punto, limitandosi a riprendere un precedente abbastanza noto del Tribunale di Perugia, e la Massima n. 99 del Consiglio Notarile di Milano. Questi ultimi, si erano espressi sul tema del riscatto azionario, giungendo alla conclusione per cui, durante societate, sarebbe sempre consentito alla maggioranza di inserire in statuto una clausola, in virtù della quale la riscattabilità di ciascuna azione verrebbe a dipendere dal verificarsi di situazioni in cui, allo stato attuale, non versi alcuno degli soci (ipotesi assimilabile alla clausola analizzata), mentre sarebbe inibito convertire partecipazioni già in circolazione in azioni riscattabili, se non con il consenso del titolare di queste [33]. A mio avviso, nonostante la scarsa esaustività sul punto del provvedimento che qui si annota – forse dovuta alla “superfluità” del tema rispetto alla decisione finale sulla delibera assembleare, che appariva condannata ad una morte sicura anche soltanto con riferimento ai “difetti” della clausola di esclusione e alla mancanza di meccanismi di equa valorizzazione della quota trascinata (vedi nel prossimo paragrafo) – l’atteg­gia­mento, che emerge dalla pronuncia, sem­­­­bra conforme all’orientamento in base al quale è sempre nel potere della maggioranza introdurre in statuto una clausola di drag-along, con i quorum richiesti per le modifiche statutarie, ma al contempo essa maggioranza dovrà constare dell’appro­va­zione di tutti quei soci che in concreto risultino “trascinabili” [34].


7. (Segue). La clausola di drag-along e il principio di equa valorizzazione della quota

Ultimo profilo affrontato dalla delibera in questione risulta, infine, quello relativo alla necessità o meno di salvaguardare un principio di c.d. “equa valorizzazione della quo­ta” del socio “forzato” alla cessione. In passato il Tribunale di Milano, con l’or­­dinanza del 31 marzo 2008, si era espresso con parere favorevole in relazione alla questione così posta, in quanto la legittimità dell’introduzione della clausola siffatta, anche laddove fosse stata approvata con il consenso unanime dei soci, sarebbe dipesa dall’osservanza di determinate condizioni, tra cui “l’equa valorizzazione della partecipazione del socio di minoranza, al quale dovrebbe essere offerto almeno il valore stabilito a norma dell’art. 2437-ter, comma 2 e 4”, non dovendo l’obbligo di dismissione tradursi, di fatto, in un danno per il socio di minoranza [35]. Il prezzo ricavabile dall’applicazione dei criteri stabiliti in materia di recesso avrebbe rappresentato, così, il floor minimo inderogabile, tale da garantire una valorizzazione equa della partecipazione trascinata [36]. In mancanza, la clausola statutaria sarebbe stata nulla poiché contraria a principi inderogabili del­l’or­di­na­mento (artt. 24 e 42 Cost.), stante l’ef­fetto espropriativo della differenza tra il valore effettivo della partecipazione e il valore convenzionalmente fissato per il trasferimento [37]-[38]. Si ricordi, invece, che il Lodo arbitrale del 29 luglio 2008 (così detto Lodo Mazzoni) non aveva richiesto il requisito dell’equa valorizzazione della partecipazione “trascinata” ai fini della validità della clausola, ma lo aveva recuperato ex post nell’affermazione in base alla quale il socio non sarebbe stato vincolato a vendere per un prezzo che non avesse soddisfatto quanto la legge richiede in ipotesi di recesso o riscatto [39]-[40]. Il Tribunale di Milano, nel decreto in commento, analizza la questione da un’an­go­lazione parzialmente diversa rispetto a quella dei precedenti supra richiamati. La prospettiva è quella del giudice che, posto dinnanzi ad una clausola non ancora entrata nel conflitto contenzioso tra le parti, è chia­mato ad esprimere ex ante una valutazione circa la validità della clausola di nuova [continua ..]


NOTE