Rivista di Diritto SocietarioISSN 1972-9243 / EISSN 2421-7166
G. Giappichelli Editore

indietro

stampa articolo indice fascicolo leggi articolo leggi fascicolo


Tutela delle minoranze, interesse sociale e sistemi di controllo (di Paolo Montalenti)


Articoli Correlati: controllo - diritto di voto - assemblea - Consob - società

SOMMARIO:

1.  Premessa - 2. Il concetto di minoranze azionarie - 3.  Controllo-verifica e controllo-potere - 4.  Il controllo-verifica - 5.  Minoranze, sistema di controlli e interesse sociale - 6.  L’interesse sociale: recenti orientamenti - 7.  L’interesse sociale: quasi una conclusione - 8.  Controllo-verifica: minoranze e sistemi di controllo: gli strumenti, oggi - 9.  Segue. L’obbligo dei sindaci di comunicazione alla Consob delle irregolarità riscontrate nell’attività di vigilanza - 10. Controllo-potere: minoranze, partecipazione all’assemblea e diritto di voto: gli strumenti, oggi - 11. Novità legislative. Voto maggiorato e voto plurimo: strumento di rafforzamento del gruppo di comando o possibile strumento di incentivazione delle minoranze? - 12. Quali prospettive? L’iniziativa europea - NOTE


1.  Premessa

Il tema della mia relazione presuppone quantomeno tre convenzioni stipulative: (i) che cosa debba intendersi per minoranze; (ii) in quale accezione debba assumersi il concetto di sistemi di controllo; (iii) quale sia la correlazione tra minoranze e sistemi di controllo sotto il duplice profilo [a] assiologico e [b] normativo-funzionale. Tracciate le coordinate cartesiane ritengo di qualche utilità svolgere una riflessione (alla luce della tipologia della realtà) per verificare (i) se vi siano novità significative nella posizione e nelle condotte degli investitori istituzionali sui mercati finanziari; (ii) quali siano le proposte di intervento legislativo, in particolare a livello di Unione Europea; (iii)  quali possono essere proposte o indicazioni di indirizzo in materia.


2. Il concetto di minoranze azionarie

Il tema delle minoranze, come scrivevano Alberto Mazzoni e Alessandro Cerrai in uno scritto del 1993 sulla Rivista delle Società 1, “è sicuramente uno dei temi più ‘classici’, se non il più ‘classico’, fra quelli che una valutazione d’insieme del diritto delle società per azioni impone di affrontare”. Mi limito ad un’actio finium regundorum, allo scopo – come ho anticipato – di tracciare i confini dell’area problematica in cui inserire il tema del rapporto tra minoranze e controllo. Affronto il tema – in primis – limitatamente alle società quotate anche se questioni non certo residuali si pongono anche nelle società chiuse, in particolare in relazione ad imprese familiari ed alla conseguente, ben nota, dialettica tra gruppi non omogenei e alle imprese a composizione azionaria eterogenea, ad esempio a partecipazione mista pubblica e privata. In secondo luogo ritengo convincimento pressoché unanimemente condiviso che la minoranza azionaria è categoria composita, comprensiva dell’azionista c.d. mi­nimo (l’antico cassettista), del socio industriale con partecipazione di rilievo, dell’in­vestitore finanziario stabile (fenomeno particolarmente rilevante in Italia: penso alle fondazioni di origine bancaria), degli investitori professionali “puri”, quali hedge-fund e simili, degli investitori istituzionali. La figura dell’azionista minimo è un retaggio del passato – si pensi alla stagione dei piccoli azionisti negli anni sessanta – totalmente ininfluente nella dinamica della corporate governance, spesso con rilievo meramente folcloristico: fenomeno insomma degno di studio più di sociologi e psicologi che non dei giuristi, meritevole di tutela proporzionale all’investimento, in particolare quanto al diritto di intervento in assemblea. Gli investitori speculativi operano – legittimamente – in una prospettiva di valorizzazione dell’investimento, fondata su indicatori semplificati e logiche short term che richiedono, al più, presidi di regolarità contabile e di trasparenza informativa. Il fenomeno, tutt’altro che marginale, dell’High Frequency Trading è esempio paradigmatico – e paradossale – di intervento sui mercati finanziari affidato a meri algoritmi [continua ..]


3.  Controllo-verifica e controllo-potere

La materia del controllo è – come noto – oggetto di profonda evoluzione nella concettuologia apicale della Corporate governance, nella prassi operativa, nella disciplina primaria e secondaria, nei codici di autodisciplina e di condotta, dai codici etici alle norme di comportamento di ordini professionali. Ma se ne sono occupati in molti – forse troppi – scritti 3 e mi limito pertanto ad alcuni sintetici riferimenti. Una prima distinzione si impone tra (i) controllo come funzione e strumento di verifica di conformità tra condotte e paradigmi regolatori e (ii) controllo come esercizio mediato del potere d’impresa attraverso il voto.


4.  Il controllo-verifica

Quanto al primo concetto di controllo – cioè il controllo-verifica sul rispetto della legge e dello statuto e, soprattutto, sulla correttezza della gestione – gli assunti che ritengo stiano a fondamento del sistema sono i seguenti: (i) il controllo, in questa accezione, si configura come funzione e non come diritto o facoltà; (ii) il controllo si emancipa da una concezione di mera verifica di conformità ex post per divenire strumento di dialettica cooperativa tra controllori (sindaci, amministratori indipendenti, comitati) e gestori (amministratore delegato, amministratori esecutivi, senior officers) 4; (iii) il controllo come funzione societaria si estrinseca in termini di vigilanza, cioè di supervisione generale e “di sistema”, sull’adeguatezza degli assetti organizzativi dell’impresa; (iv) il controllo come funzione aziendale si configura come controllo in senso proprio e si articola in organigrammi, funzionigrammi e procedure, cioè, in termini normativi, in assetti organizzativi che vedono le funzioni Audit, Compliance, Risk management come “presidio avanzato” del controllo societario; (v) il controllo è, essenzialmente, controllo su report informativi, relazioni, dashboards, audizioni, incontri congiunti; (vi) l’ispezione diretta è dovuta soltanto nel caso di segnali di allerta o di manifesta incompletezza, insufficienza, inattendibilità delle verifiche aziendali; (vii) sindaci – e amministratori – come in altri ordinamenti è espressamente codificato, sono legittimati a fare affidamento su reports, opinions informative ricevute da dirigenti, quadri, professionisti, revisori, soggetti qualificati in genere nei diversi segmenti in cui si articola l’attività d’impresa (cfr. il principio “are entitled to rely”: § 4.02. American Law Institute, Principles of Corporate governance). Quale rapporto hanno le minoranze in relazione alla funzione di controllo?


5.  Minoranze, sistema di controlli e interesse sociale

In estrema sintesi ritengo che le minoranze azionarie, in relazione alla funzione e agli strumenti societari e aziendali di controllo, non siano titolari di un interesse proprio, cioè di un interesse di parte, ma debbano esercitare i diritti loro attribuiti in funzione di un interesse della società al presidio della corretta gestione nel quadro dunque del perseguimento dell’interesse sociale. Sia consentita, dunque, sul punto, una rapida digressione. Il concetto di interesse sociale, in relazione alle regole generali di condotta degli amministratori (mi esprimo in estrema sintesi, rinviando a quanto più ampiamente articolato in altra sede 5) può definirsi come interesse degli azionisti alla realizzazione dell’utile in una prospettiva compositiva delle diverse categorie di interessi in cui si segmenta l’azionariato, ma in ogni caso riconducibile, pur nelle diverse declinazioni, all’interesse al profitto e cioè alla valorizzazione della partecipazione e alla percezione del dividendo. L’interesse sociale come interesse degli azionisti (nei termini ora precisati) è però “integrato” da interessi-altri (di dipendenti, consumatori, comunità di riferimento, stakeholders in generale) che operano o come limite o come “dovere di funzionalizzazione compositiva” degli stessi allo scopo di lucro, o per disposizione legge, o per contratto, o in via di autodisciplina o in base ad una valutazione di costs & benefits.


6.  L’interesse sociale: recenti orientamenti

Il tema è stato recentemente esplorato (con posizioni che mi trovo a condividere in larga parte) da Carlo Angelici 6. Ricollegandosi alle intuizioni anticipatrici di Paolo Ferro-Luzzi, egli denuncia esattamente il dominio, in argomento, di “metafore” cioè di figure retoriche “prive di referenza semantica”: un limite che nel dibattito tradizionale (spesso ipotecato da ragioni ideologiche) è stato particolarmente intenso 7. Del tutto condivisibile è poi l’assunto secondo cui gli interessi degli azionisti sono caratterizzati da “un’ampia eterogeneità” la cui rilevanza è soltanto nella valutazione della loro eventuale extrasocialità. E la questione converge allora verso l’efficienza dell’impresa e la discrezionalità degli amministratori. Sull’assunto che gli “obiettivi che gli amministratori debbono perseguire non corrispondono in concreto a un punto di equilibrio, bensì ad una pluralità” bisogna intendersi. Certamente le strategie per l’efficienza sono variegate e affidate alla business judgment rule; tuttavia, a mio parere, nell’individuarle gli amministratori devono perseguire la composizione di interessi nei termini sopra precisati. Recentemente è stato proposto da Mario Libertini 8 il ricorso, nella nostra materia, allo schema, di derivazione amministrativistica, dell’eccesso di potere. A me pare tuttavia (e concordo ancora con Angelici) che i paradigmi normativi della correttezza, nell’esecuzione del contratto di società, come ha da tempo riconosciuto la Cassazione, nella gestione societaria (arg. ex art. 2403 c.c.) e della corretta gestione societaria e imprenditoriale nei gruppi (art. 2497 c.c.), consentano la formulazione di principi e regole di specificazione tratti anche dalle regole tecniche e aziendalistiche in confini più puntuali, precisi e controllabili di quanto non possa invece prodursi attraverso la trasposizione di una categoria formatasi in un settore ordinamentale diverso e disomogeneo. L’impostazione neo-istituzionalistica è stata (se bene intendo) criticata da Francesco Denozza 9, che ravvisa in essa un’erronea qualificazione antropomorfica del­l’impresa come organismo. Credo che si tratti di una questione semantica. Ove si intendesse equiparare [continua ..]


7.  L’interesse sociale: quasi una conclusione

In conclusione, a mio parere, l’interesse sociale è oggi l’interesse dei soci alla valorizzazione della partecipazione, sotto il profilo e reddituale e patrimoniale, che gli amministratori devono perseguire componendo e omogeneizzando la pluralità di interessi (long term, short term, finanziari, industriali, speculativi, ecc.) delle diverse categorie di azionisti, nel quadro dei limiti, condizionamenti e doveri di finalizzazione giuridicamente rilevanti. Gli amministratori devono cioè perseguire lo scopo di lucro nei confini ad esso imposti o in forza di limiti legislativi (tutela ambientale, sicurezza sul lavoro, ecc.) o in base a vincoli contrattuali (contrattazione aziendale, partecipazione dei lavoratori, ecc.) o in ottemperanza di self-restraint per atto di autonomia negoziale (codici etici, protocolli di protezione degli interessi degli stakeholders, ecc.) oppure ancora in ragione di volontaria adesione a principi di Corporate Social Responsibility, sempreché funzionali all’efficienza dell’im­pre­sa e perciò, in ultima istanza, allo scopo di lucro. In sintesi: la valutazione e il perseguimento anche di interessi-altri è pur sempre profit oriented. L’interesse sociale si declina poi, nella concreta attuazione degli indirizzi strategici in decisioni amministrative, in termini di “interesse dell’impresa” o se si vuole di “interesse aziendale” e cioè in termini di coerenza economica della scelta gestoria rispetto ai piani strategici, finanziari, industriali, commerciali della società o comunque rispetto alle strategie aziendali in cui la singola operazione si colloca. In altri termini: gli amministratori nell’attività di gestione, e cioè nell’attività di decisione delle singole operazioni necessarie per l’attuazione dell’oggetto sociale (cfr. art. 2380-bis, 1° comma), devono valutarne la congruenza con le strategie industriali (ad esempio: investimenti in nuovi prodotti oppure invece focalizzazione sul business storico della società, ecc.) o con le strategie finanziarie (ad esempio: riduzione dell’indebitamento o necessità di cash flow a breve oppure invece investimento di liquidità in eccesso, ecc.) o, ancora, con le strategie commerciali (ad esempio: [continua ..]


8.  Controllo-verifica: minoranze e sistemi di controllo: gli strumenti, oggi

Il rapporto tra minoranze e sistemi di controllo può bipartirsi, sotto il profilo degli istituti normativi, in strumenti diretti e strumenti indiretti. Sotto il primo profilo la possibilità di nominare amministratori di minoranza nel consiglio di amministrazione (art. 147-ter t.u.f.) e conseguentemente, ricorrendo i requisiti di indipendenza, nel Comitato per il controllo e i rischi, può costituire un presidio efficace di stimolo, “monitoraggio”, rafforzamento delle procedure interne di controllo, nelle sue svariate articolazioni operative. Sul terreno applicativo è fondamentale ribadire che il ruolo svolto dalle minoranze in relazione alla funzione di controllo non può perseguire un interesse di parte, bensì deve ispirarsi al miglior soddisfacimento dell’interesse sociale, deve dunque declinarsi in termini di dialettica cooperativa e non già di aprioristica contrapposizione oppositiva: per utilizzare le parole di Alberto Mazzoni, l’istituto non si colloca nello spazio della libertà bensì nel perimetro ben delimitato della funzione. Lo stesso dicasi per l’istituto del sindaco di minoranza (art. 148 t.u.f.), la cui caratterizzazione può al più ravvisarsi in una maggiore indipendenza, non in una connotazione differenziata di poteri e doveri. La previsione poi dell’azione sociale di responsabilità esercitata dalla minoranza (art. 2393-bis) e dal collegio sindacale (art. 2393, 3° comma) – ancora più importante perché non meramente facoltativa, bensì doverosa, in caso di inerzia dei soci – ha allineato il nostro ordinamento agli standard internazionali, ed assume un ruolo di presidio per una corretta gestione con funzione – anche alla luce del­l’esperienza – più di prevenzione e di deterrenza che non sanzionatoria. Si aggiungano la nuova disciplina del conflitto di interessi (art. 2391) e delle operazioni con parti correlate (art. 2391-bis e Reg. Consob 11720/2010). Particolarmente efficace si è, infine, dimostrato l’istituto tradizionale della denuncia qualificata di fatti censurabili ex art. 2408, comma 2°, c.c. e exart. 2409 c.c., che ha dato l’avvio all’emersione di varie criticità nei recenti casi Parmalat e Fondiaria [continua ..]


9.  Segue. L’obbligo dei sindaci di comunicazione alla Consob delle irregolarità riscontrate nell’attività di vigilanza

Il tema merita un serio approfondimento. Mi limito ad alcuni assunti, rinviando ad una più ampia argomentazione svolta in altra sede 11. (i) La norma è posta a tutela dell’informazione del mercato non al fine di provocare un intervento di controllo suppletivo interno alla struttura societaria; (ii) l’istituto si collega cioè alla funzione di presidio della trasparenza informativa cristallizzata nelle norme di cui al 5° comma dell’art. 114 t.u.f.; al 3° comma dell’art. 114-bis; all’art. 115; all’art. 118-bis; all’art. 187-octies; (iii) il concetto di irregolarità deve interpretarsi come sinonimo di violazione di legge e/o regolamenti non già di qualsivoglia anomalia, debolezza, limitatezza procedurale; (iv) le violazioni procedurali devono essere comunicate quando si configuri una vera e propria inadeguatezza degli assetti organizzativi e del sistema di controllo interno, e cioè una violazione del combinato disposto degli artt. 2381, 3° comma; 2392, 2° comma; 2403, c.c. e dell’art. 149, 1° comma, lett. c), t.u.f.; (v) l’obbligo di comunicazione specifica non sorge se le irregolarità sono già state oggetto di comunicazione, ad esempio nella relazione al bilancio exart. 153 t.u.f. o con informazione resa al mercato ex art. 114, 1° comma (informazioni privilegiate) o ex art. 114, 5° comma (richiesta Consob di rendere pubblici notizie e documenti necessari per l’informazione al pubblico); (vi) il concetto di irregolarità va circoscritto alle ipotesi gravi o comunque rilevanti per una valutazione da parte del mercato non per qualsiasi violazione di legge che in un grande gruppo può essere del tutto irrilevante sulla situazione patrimoniale, economico-finanziaria della società e/o sulla correttezza gestionale.


10. Controllo-potere: minoranze, partecipazione all’assemblea e diritto di voto: gli strumenti, oggi

Il problema del “controllo” delle minoranze attraverso il voto si pone in termini assai diversi. Il voto non ha vincoli di funzionalizzazione, neppure all’interesse sociale, ferma restando l’impugnabilità della delibera ex art. 2373, 1° comma e – come scrisse Alberto Mazzoni – fatto salvo il rimedio dell’abuso del diritto: l’abus de minorité è tema esplorato, non solo oltralpe. In questo quadro si collocano diversi strumenti introdotti, sui due diversi piani, dal legislatore. L’istituto più significativo è lo strumento “premiale” della maggioranza dei due terzi dei soci presenti o rappresentati nell’assemblea straordinaria (cfr. art. 2369 c.c.). La partecipazione significativa può esprimersi – in termini di potere – come minorité de blocage: la prassi ci consegna alcuni casi significativi. Altri incentivi alla partecipazione sono rappresentati dall’istituto della record date, introdotto proprio su pressione degli investitori istituzionali, – pur con luci ed ombre – e dell’informativa preassembleare (art. 127-ter t.u.f.), che, come ho avuto già modo di argomentare 12, può essere una forma di razionalizzazione dei riti stantii del dibattito in assemblea, nonché il diritto di chiedere l’integrazione del­l’or­dine del giorno e presentazione di nuove proposte di delibera (art. 126-bis) e il tradizionale diritto di convocazione dell’assemblea su richiesta dei soci (art. 2367 c.c.). Si aggiungano l’istituto ad oggi ancora da noi sottoutilizzato del voto per corrispondenza o in via elettronica (art. 127 t.u.f.) e l’istituto, ancorché riformato in attuazione della direttiva SHR, delle deleghe di voto (art. 135-novies ss. t.u.f.).


11. Novità legislative. Voto maggiorato e voto plurimo: strumento di rafforzamento del gruppo di comando o possibile strumento di incentivazione delle minoranze?

Come è noto la legge 11 agosto 2014, n. 116 ha introdotto il voto maggiorato, e cioè il “premio di fedeltà” su ispirazione dal modello francese, e il voto plurimo, sulla scia di altri ordinamenti europei (e d’oltreoceano) anche per le PMI (ex art. 1, 1° comma, lett. w-quater 1),  t.u.f.) di nuova quotazione. L’intervento legislativo si collega sistematicamente all’istituto introdotto nel 2010 in attuazione della direttiva SHR della maggiorazione del dividendo (art. 127-quater) che peraltro non mi risulta ad oggi aver avuto attuazione pratica. Rinviando ad un altro scritto dedicato al tema 13, osservo che se la funzione primaria dei nuovi strumenti ora introdotti appare il rafforzamento del gruppo di controllo, soprattutto il voto maggiorato potrebbe rappresentare un incentivo al­l’in­vestimento long term in coerenza, come dirò poco oltre, con le proposte formulate in sede europea. Per contro, poiché il voto maggiorato è inderogabilmente correlato all’apparte­nenza delle azioni per almeno 24 mesi, cioè per un termine minimo ma senza limiti massimi, è possibile – nell’interesse, ad esempio, del socio fondatore – prevedere la maggiorazione condizionata all’appartenenza delle azioni per un periodo superiore, in limiti di ragionevolezza e di proporzionalità, ad esempio di 5 anni, sì da caratterizzarlo più come Enhancement Control Mechanism che come strumento di “fidelizzazione” delle minoranze verso un investimento long term.


12. Quali prospettive? L’iniziativa europea

Vi sono margini di miglioramento? Come dicevo all’inizio, la sfida attuale può ravvisarsi nella necessità di una maggiore propensione ad investimenti long term e delle iniziative europee per incentivarla con strumenti regolatori ad hoc. Dall’andamento dei mercati finanziari e, più precisamente, dalle strategie d’in­­ve­­stimento dei principali investitori istituzionali emerge la necessità di strategie maggiormente indirizzate verso obiettivi più di lungo termine, rispetto all’epo­ca delle “locuste”, di uno sviluppo esponenziale dell’attività dei proxy advisors, di un confronto più sistematico e puntuale con gli amministratori sulle strategie gestionali. Si fa strada il convincimento che il tema del ruolo delle minoranze azionarie qua­­lificate sulla corporate governance ha assunto dimensioni e declinazioni innovative rispetto al passato. I dati sulla situazione attuale non sono in effetti confortanti. Il rapporto del Council Working Party del 6 maggio 2014 segnala che il general turnoutnelle assemblee dei soci è pari in media al 60% in Europa di contro all’81% negli Stati Uniti e al 74% in Giappone, che il voto dissenziente è pari al 2-3%, che il livello di diretto coinvolgimento nelle strategie delle società non è molto elevato, anche se i responsible investors rappresentano il 39% e che il periodo medio di detenzione delle azioni è di 8 mesi. Per queste ragioni l’Unione Europea ha formulato la Proposta di Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio di modifica della Direttiva 2007/36/CE relativamente all’incoraggiamento dell’impegno a lungo termine degli azionisti e della Direttiva 2013/34/UE in merito a taluni elementi della relazione sul governo societario, del 10 aprile 2014 14. L’obiettivo generale è «contribuire alla sostenibilità a lungo termine delle Società dell’UE, creare condizioni propizie per gli azionisti e migliorare l’esercizio transfrontaliero del diritto di voto accrescendo l’efficienza della catena dell’inve­stimento azionario al fine di contribuire alla crescita, alla creazione di posti di lavoro e alla competitività della UE». Si indicano altresì i seguenti obiettivi [continua ..]


NOTE