Rivista di Diritto SocietarioISSN 1972-9243 / EISSN 2421-7166
G. Giappichelli Editore

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La cancellazione e l'estinzione delle società nel diritto vivente (di Francesca Angiolini)


SOMMARIO:

1. La cancellazione della società. - 2. Il problema delle passività e delle sopravvenienze e sopravvivenze. - 3. Il fallimento della società cancellata. - 4. I risvolti processuali della cancellazione. - 5. Le recenti pronunce giurisprudenziali. - NOTE


1. La cancellazione della società.

 L’iter giurisprudenziale a cui si è assistito nel corso degli ultimi anni sembra aver contribuito a risolvere gradualmente le problematiche che il momento estintivo delle società genera nell’universo economico. Le statuizioni dei giudici che si sono succedute nel corso del tempo hanno tentato di fornire, con soluzioni talvolta non omogenee e non sempre armoniche, una ricostruzione della disciplina volta a dipanare ogni eventuale e possibile dubbio in materia al fine di una più esatta certezza del diritto. Al fine di comprendere l’assetto attuale appare preliminarmente opportuno procedere per gradi ed evidenziare quale è stato il percorso normativo e giurisprudenziale che sembra aver trovato, attualmente, una definitiva risoluzione nelle sentenze delle Sezioni Unite del 12 marzo 2013 [1]. In particolare, i dubbi suscitati dal fenomeno estintivo sono sempre stati orientati in tre direzioni: in primo luogo sulla sorte delle eventuali passività ed attività residue o sopravvenute alla cancellazione; sulla sorte dei rapporti processuali in corso ed, infine, sul problema del fallimento dell’ente estinto. E le difficoltà sono apparse ancor più evidenti in considerazione della distinzione tra società personali e società di capitali. Dal dettato dell’art. 2312 c.c., infatti, si evince che per le società personali la vicenda estintiva è generata dalla cancellazione ed a questa va riconosciuta, così come all’iscrizione, efficacia dichiarativa, avendo lo scopo di rendere ai terzi opponibile un determinato fatto, che, tuttavia, si deve essere effettivamente verificato. Pertanto, una società di persone non può considerarsi definitivamente estinta in presenza di rapporti giuridici pendenti [2] in quanto la cancellazione non è da sola sufficiente. Al contrario, per le società di capitali, nella disciplina ante riforma, da un lato, la dottrina prevalente riteneva che la cancellazione avesse effetto costitutivo dell’estinzione della società [3] mentre la giurisprudenza, dall’altro, sosteneva che l’effettiva estinzione della società non fosse coincidente con la cancellazione ma solo con la completa definizione dei rapporti giuridici pendenti, al fine di una migliore e completa tutela dei creditori [4]. La riforma delle società di [continua ..]


2. Il problema delle passività e delle sopravvenienze e sopravvivenze.

I problemi maggiori si pongono in quanto dopo la cancellazione non è più possibile rinvenire un patrimonio sociale distinto da quello dei singoli soci e, dunque, i creditori sociali non soddisfatti possono far valere i loro crediti soltanto nei confronti degli stessi sino alla concorrenza delle somme riscosse in base al bilancio finale di liquidazione, ovvero nei confronti dei liquidatori, se il mancato pagamento è dipeso da colpa di questi [8]. La responsabilità dei soci trova una precisa ragione nel fatto che il diritto del creditore non può venir meno definitivamente a causa della cancellazione del debitore [9]. Ed allora gli stessi diventano gli effettivi titolari dei debiti sociali: nelle società di persone la responsabilità illimitata resta tale anche dopo la cancellazione, secondo il dettato dell’art. 2312, venendo anche meno il beneficio della preventiva escussione [10]. Al contrario, i soci di società di capitali continuano a godere di una limitata responsabilità anche dopo l’estinzione della persona giuridica, rispondendo delle c.d. sopravvenienze passive nei limiti dei conferimenti rimborsati [11], delle quote di liquidazione [12] e dei conferimenti non ancora eseguiti [13]. Secondo una prima interpretazione non vi sarebbe successione a titolo universale o particolare nei debiti sociali, poiché l’obbligazione degli ex soci ha un oggetto diverso da quello preesistente in capo alla società, in quanto circoscritta alla quota di liquidazione. Se vi fosse successione nel debito il soggetto che subentra si troverebbe nella medesima posizione del debitore precedente [14]. Se ai soci si riconoscesse la natura di successori universali, inoltre, dovrebbe essere applicata la disposizione contemplata dall’art. 754 c.c. che prevede una deroga al principio generale in tema di solidarietà passiva. Dunque i creditori sarebbero costretti ad agire nei confronti di tutti i soci correndo il rischio dell’eventuale insolvenza di alcuni di essi [15]. La successione a titolo universale non sarebbe, tuttavia, in contrasto con l’attribuzione di singoli beni, nel caso in cui questi vengano assegnati come quota del patrimonio. L’attri­buzione di determinati beni a titolo universale ha una funzione rappresentativa della quota del patrimonio in cui si subentra così da [continua ..]


3. Il fallimento della società cancellata.

Ulteriore e rilevante profilo da considerare è poi quello relativo alla declaratoria di fallimento della società cancellata. Come noto, l’art. 10 legge fall. sancisce che «gli imprenditori individuali e collettivi possono essere dichiarati falliti entro un anno dalla cancellazione dal registro delle imprese, se l’insolvenza si è manifestata anteriormente alla medesima o entro l’anno successivo» [29]. La società cancellata può fallire [30], ma il nuovo dettato fa sì che la cancellazione della stessa produca non solo un effetto estintivo, ma segni anche il dies a quo per calcolare l’anno entro il quale può sopraggiungere la declaratoria di fallimento [31]. Se così non fosse, si potrebbe facilmente aggirare il termine annuale scaduto eliminando la cancellazione [32]. Il mutamento del principio di valutazione ai fini della fallibilità «non potrebbe essere più chiaro: da quello, precorso di effettività (con richiamo forte, per ben due volte, alla concreta cessazione), a quello di pubblicità (dell’iscrizione, presso il registro delle imprese, della cancellazione)» [33]. Inoltre, al fine di individuare i soggetti legittimati a rappresentare la società estinta si può fare riferimento all’art. 12 legge fall. ove è prevista la nomina di un rappresentante da parte degli eredi o del giudice; nel caso di società, dunque, legittimati sarebbero i soci, in qualità di successori [34]. È opportuno ricordare, tuttavia, che per l’imprenditore individuale e per le società cancellate d’ufficio accanto alla cancellazione deve sussistere anche l’effettiva cessazione dell’attività al fine di far decorrere il termine annuale [35]. La norma è evidentemente volta a favore dei creditori i quali sono gli unici, accanto al pubblico ministero, a poter fornire la prova volta a dimostrare che, nonostante la cancellazione, l’attività di impresa non sia cessata e conseguentemente, l’imprenditore sia ancora esposto al fallimento [36]. Ulteriore problema applicativo si pone, inoltre, per le società che non hanno provveduto all’iscrizione in quanto non è chiaro se anche per le stesse possa trovare applicazione la norma di cui all’art. 10 legge [continua ..]


4. I risvolti processuali della cancellazione.

Rilevanti sono anche gli effetti sul piano processuale emersi a seguito dell’avvenuta cancellazione: in tal caso è preferibile operare una distinzione tra l’ipotesi in cui la società viene cancellata prima che venga intrapresa l’azione o quella, al contrario, in cui la vicenda estintiva sopraggiunge nel corso del giudizio. Le difficoltà emergono sia in relazione all’azione dei creditori sociali nei confronti degli ex soci e dei liquidatori, sia quando la società cancellata è parte di un giudizio già incardinato [44]. In riferimento alla prima ipotesi, il legislatore ha stabilito che la pretesa potrà proporsi, nell’anno successivo alla cancellazione della società, mediante atto di citazione da notificarsi nell’ultima sede della stessa (art. 2495, 2° comma, c.c.) [45]. Secondo un orientamento giurisprudenziale nel caso di processi pendenti al momento della cancellazione, il giudizio si interrompe e la riassunzione può avvenire nei confronti dei soci anche attraverso una notificazione collettiva e impersonale [46]. In questo caso, tuttavia, la norma applicabile sembra essere proprio quella generale di cui all’art. 303 c.p.c. e non quella espressamente prevista dal codice civile per le società cancellate [47]. Qualora la società liquidata sia parte in un giudizio in corso, dunque, si verificherà la successione dei soci, ex art. 110 c.p.c., potendo individuare come «altra causa», secondo il dettato normativo, la vicenda della liquidazione [48]. Se la società si estingue vi sarà una conseguente carenza di legittimazione attiva del liquidatore a far valere crediti della società [49]: necessariamente saranno i soci ad avere la rappresentanza processuale e nei loro confronti dovrà proseguire il giudizio [50]. Tale conclusione, tuttavia, non è pacifica: infatti, è stato affermato che se la società viene cancellata nel corso di un giudizio, non si verifica una successione dei soci o dei liquidatori a proseguire un giudizio già incardinato, in quanto potrebbe essere promossa solo una nuova ed autonoma domanda nei confronti dei predetti soggetti ex art. 2495 c.c. In tal caso, evidentemente, ben più gravi saranno le conseguenze negative cui andranno incontro i creditori, ancora più evidenti [continua ..]


5. Le recenti pronunce giurisprudenziali.

Come anticipato, sulle tematiche appena descritte La Suprema Corte si è ripetutamente pronunciata sebbene con modalità non sempre armoniche. Per le società di persone, in un primo momento, si è continuato a sostenere che anche dopo l’iscrizione della cancellazione non si verifica l’evento estintivo sino a quando non sono stati definiti tutti i rapporti ed i giudizi pendenti non perdendo, conseguentemente, la legittimazione processuale a seguito dell’avvenuta cancellazione [52] (peraltro non sono mancate isolate pronunce che hanno condiviso tale impostazione anche per le società di capitali) [53]. Questa posizione era però destinata a mutare. Un primo segnale è giunto, infatti, da una sentenza dei giudici di legittimità che, in linea con pronunce di merito [54], ha affermato anche per le società personali l’efficacia estintiva della cancellazione [55]. Per le società di capitali era stato già riconosciuto l’effetto estintivo della cancellazione, indipendentemente dalla sussistenza di rapporti pendenti, sino ad affermare l’applicazione della norma «anche alle cancellazioni già iscritte nel registro delle imprese» rispetto alla sua entrata in vigore [56]. Peraltro la dottrina ha rilevato come sia incoerente per il sistema riconoscere l’effetto estintivo della cancellazione solo per le società di capitali, in quanto non c’è ragione di ammettere discipline differenti per situazioni analoghe [57]. Ciò andrebbe in contrasto anche con il disegno del legislatore del 1942, volto ad una visione unitaria degli interessi e delle finalità da perseguire. Sebbene sussista un regime pubblicitario differente – che per le società personali è quello dichiarativo mentre per le società di capitali è costitutivo – la finalità della cancellazione sarebbe la medesima in quanto porta, in entrambi i casi, alla eliminazione della società [58]. Le Sezioni Unite della Cassazione, nella triade del 2010 [59], prima hanno fatto propria l’in­ter­pretazione sopra descritta, ma, pochi mesi dopo, hanno fornito una soluzione interpretativa apparentemente contraddittoria. In particolare, è stata riconosciuta l’efficacia estintiva della cancellazione per le società di capitali ed il [continua ..]


NOTE
Fascicolo 2 - 2013