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Il dibattito statunitense sulla business judgement rule: spunti per una rivisitazione del tema
Danilo Semeghini
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Sommario:
1. Premessa - 2. L’articolazione della business judgment rule e i suoi profili consolidati - 3. Il problema principale: il rapporto con il duty of care - 4. (Segue): le ambiguità del dibattito in argomento - 5. Le giustificazioni a livello funzionale - 6. Le incongruenze di tali argomentazioni: il problema dell’avversione al rischio - 7. (Segue): l’influsso delle dinamiche di mercato - 8. Il carattere non risolutivo delle giustificazioni orientate all’efficienza - 9. L’interrogativo sulle ragioni della business judgment rule a livello formale - 10. (Segue): l’inadeguatezza delle giustificazioni prospettate - 11. La dimensione equitativa del diritto giurisprudenziale del Delaware - 12. (Segue): la spiegazione della business judgment rule come contromisura al connotato equitativo dei fiduciary duties e la difficoltà di trasposizione del paradigma dei torts alla responsabilità degli amministratori - 13. Iniziali implicazioni per l’impostazione del dibattito sulla disciplina italiana - NOTE
1. Premessa
Nell’ambito delle problematiche inerenti alla valutazione della responsabilità degli amministratori di società, la c.d. business judgment rule costituisce, come è noto, un punto di riferimento centrale. Il costante richiamo che viene compiuto nelle riflessioni dottrinali 1, così come l’esplicita menzione che si può trovare sempre meno di rado anche nelle sentenze di merito e di legittimità 2, rendono tale formula una sorta di canone acquisito – sebbene non appositamente articolato sul piano positivo – anche nell’ordinamento societario italiano. La sua provenienza dall’esperienza giuridica anglo-americana richiede di mantenere anche una prospettiva comparatistica nell’affrontare le questioni che permangono intorno a questo concetto. In particolare, il diritto applicato e sviluppato nelle Corti dello stato del Delaware, data la sua ben nota preminenza entro l’orizzonte internazionale del diritto societario, rappresenta un termine di confronto continuo e imprescindibile. Non pare, allora, inutile tentare di svolgere qualche considerazione di approfondimento sull’assetto raggiunto nel dibattito intorno alla business judgment rule in quel contesto giuridico. Sebbene, infatti, sia diffusamente conosciuto nei suoi termini essenziali, il quadro offerto sull’argomento dal diritto del Delaware non si presta a una ricostruzione lineare, bensì presenta [continua ..]
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2. L’articolazione della business judgment rule e i suoi profili consolidati
Coerentemente alla sua quintessenziale natura giurisprudenziale, anche nel diritto del Delaware l’articolazione della business judgment rule non è stata cristallizzata a livello legislativo, ma si trova declinata in vari tentativi di formulazione offerti dalla giurisprudenza e dalla dottrina. La frequente ripetizione del concetto attraverso formule non sempre coincidenti costituisce già un primo indicatore della sua problematicità. Come si illustrerà in seguito, infatti, le variazioni verbali che danno specificazione al principio di fondo non rappresentano solo differenze stilistiche, bensì sono spesso il riverbero del principale problema che rimane ancora controverso a livello di impostazione. Tuttavia, se questo risulta con maggiore evidenza nel più ampio orizzonte dell’intero contesto statunitense, il quadro del diritto del Delaware si mostra, in apparenza, relativamente più omogeneo. In particolare, nel caso Aronson v. Lewis la Supreme Court di quello Stato ha sintetizzato le varie enunciazioni della precedente giurisprudenza in una formulazione che è stata da allora assunta come principale – sebbene non esclusivo – punto di riferimento nelle sentenze successive: in essa la business judgment rule è descritta come “a presumption that in making a business decision the directors of a corporation acted on an informed basis, in good faith and in the honest belief that the action [continua ..]
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3. Il problema principale: il rapporto con il duty of care
Il punto della definizione riportata che è invece più esposto a incertezze e discussioni sta nel riferimento alla necessità di valutare se “the directors … acted on an informed basis”. Non è tale espressione a creare di per sé problemi: essa, come già accennato, viene di frequente ripetuta dai giudici e trova corrispondenza anche in altre autorevoli formulazioni 9. Il problema sta, piuttosto, nella questione di vertice cui si riconduce tale espressione. Il riferimento alla necessità di agire in modo informato, infatti, richiama l’altro fondamentale profilo obbligatorio che connota il rapporto fiduciario tra gli amministratori e la società nel contesto di common law, vale a dire il c.d. duty of care. Ma il rapporto con il duty of care costituisce proprio il principale nodo irrisolto in tema di business judgment rule nel contesto statunitense, continuando a essere condizionato da un perdurante margine di ambiguità e incertezza. Al di là delle espressioni verbali, la questione di fondo su cui gli interpreti continuano a dibattere sta nella configurazione di questo rapporto: più precisamente, si discute se la business judgment rule precluda la possibilità di vagliare la condotta degli amministratori sotto il profilo dello standard of care, oppure se essa, al contrario, si limiti a prevedere che il judicial restraint verso le scelte degli amministratori venga meno [continua ..]
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4. (Segue): le ambiguità del dibattito in argomento
In sintesi, un’attenta lettura del diritto giurisprudenziale non consente di stabilire con certezza se, e in che termini, l’articolazione della business judgment rule comprenda anche una componente riconducibile al duty of care. Il problema, tuttavia, va oltre l’aspetto terminologico e, anzi, sostanzialmente ne prescinde, come dimostrano le vicende del diritto del Delaware nell’arco degli ultimi cinquant’anni. In tali vicende, com’è noto, rappresenta uno spartiacque la sentenza più nota e controversa del diritto societario statunitense, Smith v. Van Gorkom, la cui notorietà deriva proprio dall’aver affrontato esplicitamente il rapporto tra business judgment rule e duty of care 13. In precedenza, sebbene l’espressa statuizione dell’esistenza di un duty of care in capo agli amministratori sia maturata nella giurisprudenza in discorso con un certo ritardo rispetto ad altri Stati 14, già in altre occasioni, e da diverso tempo, le Corti di primo e di secondo grado avevano affermato che la violazione di fiduciary duty è integrata anche da un comportamento “grossly negligent” e che gli amministratori devono adottare decisioni informate per beneficiare della judicial deference verso le proprie scelte 15. Tuttavia si era trattato di affermazioni teoriche che non avevano mai condotto a pronunce di condanna di amministratori al risarcimento di danni. La [continua ..]
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5. Le giustificazioni a livello funzionale
Ma gli spunti di maggiore interesse in prospettiva comparatistica appaiono provenire dall’esame dei profili che concorrono a spiegare, sia sul piano funzionale che su quello formale, la conformazione del canone in discorso. Le ragioni di ordine funzionale – che, come è noto, nel contesto statunitense ricevono peculiare considerazione sia nella dottrina che nella giurisprudenza – costituiscono argomento essenziale e condiviso in quasi tutte le innumerevoli opinioni espresse sul tema. Su questo aspetto, le posizioni si differenziano solo per gradazione: mentre chi sostiene una concezione “debole” della business judgment rule come “standard of liability” cerca di contemperare questo tipo di istanze con l’esigenza di non sterilizzare il duty of care degli amministratori 25, chi invece sposa una concezione “forte” dello stesso canone come “abstention doctrine” attribuisce alla prospettiva funzionale importanza dirimente e, proprio in tale prospettiva, ritiene sacrificabile il ruolo svolto dal duty of care 26. Le argomentazioni in proposito sono assai note. Poiché, da un lato, i giudici non hanno competenze ed esperienze adeguate per riesaminare delle decisioni imprenditoriali, per di più spesso complesse, e, dall’altro, la valutazione retrospettiva di scelte aleatorie è inevitabilmente esposta al condizionamento del “senno di poi”, è molto [continua ..]
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6. Le incongruenze di tali argomentazioni: il problema dell’avversione al rischio
I ragionamenti esposti, seppur con diversa enfasi, sono richiamati a fondamento della business judgment rule dalla gran parte degli interpreti, più come dato acquisito che come argomento di discussione. Tuttavia, se analizzati con attenzione, specialmente da un punto di osservazione esterno a quel contesto, essi svelano più di un profilo problematico. Innanzitutto, merita qualche ulteriore riflessione il problema dell’avversione al rischio. Come è noto, la prima contromisura a questo problema viene già tipicamente fornita dall’assicurazione della responsabilità civile. Le c.d. D&O insurance policies, infatti, oltre a essere espressamente contemplate dalla § 145(g) della Delaware General Corporation Law, sono da tempo assai diffuse e vengono normalmente sottoscritte a beneficio di ogni amministratore di società, perlomeno in quelle di significative dimensioni 31. Di per sé, la presenza di tale copertura assicurativa opera a vantaggio sia della società o dei terzi danneggiati, che possono contare su una più sicura possibilità di risarcimento, sia ovviamente degli amministratori, che possono così sottrarsi al pericolo di ingenti esborsi pecuniari e quindi svolgere la propria attività senza il condizionamento di questa preoccupazione. Semmai, come è caratteristico dei rapporti assicurativi, queste polizze possono far sorgere l’opposto [continua ..]
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7. (Segue): l’influsso delle dinamiche di mercato
Alla luce degli ulteriori argomenti in precedenza esposti, si potrebbe però replicare che l’opzione di sterilizzare lo standard of care risulta comunque preferibile, oltre che in ragione di un plausibile scetticismo verso la capacità delle compagnie assicurative di esercitare un efficace ruolo di monitoraggio 39, perché lo stimolo a gestire la società nel migliore dei modi è già offerto, secondo le dinamiche prima descritte, dai meccanismi di mercato. Anche questo argomento, tuttavia, richiede un più approfondito esame. Innanzitutto non va dimenticato, specialmente in prospettiva comparatistica, che alcuni di quei meccanismi postulano la presenza di specifiche caratteristiche del contesto socio-economico, tipiche della public company anglo-americana. In particolare, le prospettive di una possibile “scalata ostile” possono influire, ovviamente, solo sulla gestione di società in cui manca una stabile partecipazione di controllo; inoltre, l’argomento della maggior propensione al rischio degli azionisti, derivante dalla diversificazione degli investimenti, presuppone un mercato finanziario che sia significativamente sviluppato e che consenta anche ai piccoli risparmiatori di accedere, mediante i veicoli di investimento collettivo, ai benefici della diversificazione 40; ma soprattutto – anche a tacere dei crescenti dubbi sulla reale deterrenza, in molti ambiti, delle c.d. sanzioni [continua ..]
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8. Il carattere non risolutivo delle giustificazioni orientate all’efficienza
Le considerazioni fin qui svolte non portano necessariamente a respingere l’opzione di circoscrivere o eliminare lo standard of care mediante l’applicazione della business judgment rule. Esse, però, mettono in evidenza che le giustificazioni sul piano dell’efficienza, solitamente evocate a sostegno di questa soluzione, si rivelano quantomeno non risolutive e meritevoli di più approfondita discussione, spingendo a interrogarsi ulteriormente sui fattori che contribuiscono a determinare questa posizione consolidata. In particolare, alla luce di quanto esposto, solo una completa sfiducia nella possibilità di riuscire, anche imperfettamente, a valutare in modo fondato e coerente la diligenza della condotta degli amministratori, sembra autorizzare l’opzione di rinunciare in partenza a individuare parametri e strumenti di precisazione dello standard of care, per lasciare esclusivamente alle dinamiche interne ed esterne all’impresa il compito di promuovere una gestione diligente. Del resto, come è stato anche di recente osservato, l’incompetenza asserita dagli stessi giudici non impedisce alle Corti di riesaminare nel merito complesse operazioni, sotto la lente del più stringente standard of fairness, nelle controversie relative alle violazioni del duty of loyalty, nelle quali il margine di discrezionalità e opinabilità delle scelte di gestione non è, comunque, del tutto [continua ..]
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9. L’interrogativo sulle ragioni della business judgment rule a livello formale
Appare, altresì, opportuno tornare sulla conformazione assunta dalla business judgment rule, per mettere a fuoco le sue ragioni anche sul piano più strettamente formale. Pure da questo punto di vista, infatti, non si può affermare che il canone in discorso si presti a una spiegazione lineare. Anzi, come talvolta viene rilevato anche nella dottrina statunitense, questo profilo costituisce uno dei suoi tratti più enigmatici 59. Non soltanto, come riportato in precedenza, nella sua definizione più frequentemente ripetuta la business judgment rule viene caratterizzata come presunzione, quando in realtà essa non comporta alcuna inversione dell’onere della prova 60. Ma, soprattutto, dal punto di vista logico, non risulta immediato cogliere perché sia necessaria una “regola” apposita per declinare sul piano giuridico il principio che essa è diretta a realizzare. Come sin qui illustrato, al di là di una generica funzione di riepilogo dei fiduciary duties nella prospettiva dello scrutinio giudiziario, il ruolo specifico della business judgment rule consiste nella demarcazione del confine oltre il quale non si può spingere il riesame delle scelte degli amministratori. Per le ragioni già accennate, questa funzione pone come problema principale la delimitazione della revisione sotto lo standard of care. Ma, se il problema è quello di circoscrivere l’applicazione di [continua ..]
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10. (Segue): l’inadeguatezza delle giustificazioni prospettate
Il quesito posto, dunque, interroga l’impostazione di fondo della business judgment rule, comune alla gran parte delle opinioni espresse in dottrina e giurisprudenza, e si rende soprattutto evidente in relazione alla sua versione “debole” 66 – che è quella, almeno quanto a enunciazioni verbali, più ripetuta nel diritto del Delaware. Se, in tali formulazioni, viene indicata la necessità che, per beneficiare dell’esenzione dal riesame giudiziale, gli amministratori devono aver adottato una decisione informata, viene da chiedersi perché ricorrere alla (impropria) presunzione della business judgment rule e non identificare direttamente il duty of care in quei termini, cercando di precisarne i profili. D’altra parte, se, nell’orientamento più astensionista, la funzione della business judgment rule è solo quella di ridurre lo standard of review al mero controllo della buona fede e dell’indipendenza degli amministratori, allora si tratta semplicemente di un modo opaco e foriero di confusione per obliterare il duty of care e, pertanto, dovrebbe essere più apertamente dichiarato. D’altro canto, si potrebbe comprendere la necessità del doppio passaggio se, per qualche ragione, esso rendesse più agevole la delimitazione del confine in questione. Ma, come si è riportato, a livello sia verbale che concettuale, la business judgment rule – che in [continua ..]
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11. La dimensione equitativa del diritto giurisprudenziale del Delaware
L’interrogativo non pare, dunque, trovare soluzione soddisfacente nelle spiegazioni prospettate. Tuttavia, l’esame di un’altra nota e discussa decisione della Supreme Court offre lo spunto per un’ulteriore ipotesi esplicativa, che sembra dare più adeguatamente ragione dei vari elementi del quadro. Nel caso Cede v. Technicolor 75, un azionista lamentava che gli amministratori di Technicolor avessero violato i loro fiduciary duties nel valutare un’offerta di acquisto delle azioni della società, finalizzata alla successiva fusione con la società acquirente. Nel giudizio di primo grado, la Court of Chancery aveva stabilito che – anche assumendo che il comportamento del board fosse stato gravemente negligente e, perciò, che non potesse beneficiare della protezione della business judgment rule – l’attore non aveva dimostrato che tale inadempienza aveva causato un danno e, di conseguenza, la domanda era stata rigettata 76. Nel giudizio di secondo grado, invece, la Supreme Court ha ritenuto errato il ragionamento del primo giudice, affermando che, se l’attore supera la “presunzione” della business judgment rule dimostrando la negligenza degli amministratori, allora grava su questi ultimi l’onere di dimostrare l’”entire fairness” dell’operazione sotto esame. Conseguentemente, la causa è stata rinviata alla Court of Chancery, [continua ..]
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12. (Segue): la spiegazione della business judgment rule come contromisura al connotato equitativo dei fiduciary duties e la difficoltà di trasposizione del paradigma dei torts alla responsabilità degli amministratori
Sebbene si trovi spesso menzionata nella giurisprudenza e nella dottrina statunitensi, questa caratteristica non pare, tuttavia, mai stata messa esplicitamente in relazione alla business judgment rule. Eppure, l’interrogativo circa la giustificazione di tale canone sul piano giuridico-formale sembra trovare più soddisfacente risposta, se ripensato alla luce di tale aspetto. Nel quadro di un giudizio equitativo, infatti, i fiduciary duties assumono il ruolo di linee direttive di decisione, che certamente orientano il sindacato del giudice, ma che non possono essere assunte come criteri dirimenti per un giudizio definitivo e certo, poiché le esigenze di equità complessiva del caso concreto potrebbero spingere il giudice ad andare oltre la puntuale conformità dei comportamenti a quei criteri. Se questa attitudine, come si è in precedenza osservato, può tornare a vantaggio dell’amministratore – quando, pur in presenza di comportamenti non pienamente conformi ai fiduciary duties, la condanna sarebbe comunque sostanzialmente ingiusta – d’altra parte potrebbe, in teoria, anche volgere a suo sfavore – tutelando la società, ove appaia più giusto far ricadere il pregiudizio sofferto sugli amministratori, pur in presenza di comportamenti formalmente legittimi 88. Ma questa seconda eventualità, per le ragioni sin dall’inizio richiamate, rappresenterebbe un fattore di [continua ..]
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13. Iniziali implicazioni per l’impostazione del dibattito sulla disciplina italiana
Trattandosi di meri spunti di riflessione, come premesso all’inizio, occorrerebbe approfondire ben più a lungo il discorso per individuare a quali approdi possano condurre le considerazioni svolte, sia in riferimento alla business judgment rule nel diritto statunitense, sia rispetto alle analoghe problematiche che si presentano nella disciplina italiana. A quest’ultimo riguardo, però, qualche iniziale implicazione già emerge. A un livello più generale, per esempio, il margine di ambiguità e la ridotta significatività delle enunciazioni che, come si è evidenziato, condizionano i discorsi intorno alla business judgment rule nel contesto statunitense, indicano, innanzitutto, che la facile ambivalenza e genericità dei riferimenti e delle affermazioni, attraverso cui si tenta di dare soluzione giuridica al problema del sindacato giudiziario sulle scelte di gestione, costituisce in realtà parte essenziale del problema. Pertanto, i rilievi svolti suggeriscono prioritariamente di sorvegliare tale pericolo di “avvitamento” del dibattito, che, essendo connaturato al problema sottostante, non può dirsi estraneo nemmeno al contesto italiano. Gli stessi richiami all’esperienza giuridica d’oltreoceano, per esempio, possono richiedere ulteriori precisazioni, dato che, come si è illustrato, quando si fa riferimento al concetto di business judgment rule, si può [continua ..]
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