Rivista di Diritto SocietarioISSN 1972-9243 / EISSN 2421-7166
G. Giappichelli Editore

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Autonomia organizzativa e decisioni dei soci nelle s.r.l. artigiane (di Aurelio Mirone)


SOMMARIO:

1. Le decisioni dei soci nella s.r.l. artigiana e la riforma delle società di capitali - 2. Profili di coerenza «esterna» del regime speciale previsto per le s.r.l. pluripersonali - 3. La tesi della maggioranza costitutiva: critica - 4. La tesi della maggioranza deliberativa: critica - 5. La tesi della maggioranza di controllo: critica - 6. Conclusione: La tesi della maggioranza semplice - NOTE


1. Le decisioni dei soci nella s.r.l. artigiana e la riforma delle società di capitali

Le s.r.l. artigiane pluripersonali [[1]] sono caratterizzate, a norma dell’art. 5, 3° comma, legge 8 agosto 1985, n. 443 [[2]], da un particolare regime interno – previsto al fine di accedere al relativo albo provinciale [[3]] – che prevede due requisiti speciali: lo svolgimento «prevalente» del lavoro personale, anche manuale, nel processo produttivo da parte di una maggioranza numerica dei soci (c.d. «soci artigiani»); e la detenzione della «maggioranza del capitale sociale e degli organi deliberanti» da parte dei medesimi soci [[4]]. Con particolare riferimento agli assetti organizzativi interni delle società in questione, condizionati dalla forte incertezza sulla effettiva portata dei requisiti previsti dalla legislazione speciale, la riforma del diritto societario apre due versanti di riflessione: un primo, relativo alle disposizioni che potrebbero essere utilmente recepite a vario titolo negli statuti delle società artigiane, conformemente alle loro caratteristiche socio-economiche; il secondo, relativo ai possibili effetti sull’interpretazione delle norme speciali, con riguardo proprio al requisito della detenzione della «maggioranza (…) degli organi deliberanti». In relazione al primo aspetto, occorre evidenziare come la riforma del diritto societario abbia innovato significativamente la materia delle decisioni dei soci nelle società a responsabilità limitata, apportando una serie di modifiche di rilievo che, pur non determinando uno stravolgimento sistematico dell’impianto codicistico [[5]], portano a compimento un processo di progressiva emancipazione della disciplina rispetto allo schema delle s.p.a., in direzione di una relativa semplificazione del procedimento deliberativo e di un maggiore coinvolgimento dei soci nelle decisioni comuni. Tali istanze sono già presenti nel modello legale, ma possono essere sensibilmente accresciute mediante il ricorso all’autonomia statutaria. Molte delle novità introdotte dalla riforma possono rivestire un interesse diretto anche per le società artigiane, che sono caratterizzate, per ciò che interessa in questa sede, almeno da due specifici profili: il primo è quello della partecipazione diretta ed indispensabile della maggioranza numerica dei soci artigiani nel processo produttivo [[6]]; il secondo, quello della [continua ..]


2. Profili di coerenza «esterna» del regime speciale previsto per le s.r.l. pluripersonali

Fatte queste premesse, non appare di particolare utilità passare in rassegna tutte le innovazioni della riforma in materia di decisioni dei soci e verificarne di volta in volta la conformità con lo schema delle società artigiane. E ciò, anche perché le stesse società artigiane possono avere caratteristiche empiriche molto diverse, in relazione sia all’entità del capitale sociale, sia alla ripartizione del capitale fra soci artigiani e non, sia ancora al numero dei soci, in termini assoluti e in termini relativi nel rapporto fra le due «classi». Può essere invece di maggiore interesse, perché incide direttamente sul regime speciale artigiano, approfondire il significato e la portata precettiva del richiamato e controverso art. 5, 3° comma, che impone ai soci artigiani di detenere «la maggioranza del capitale e degli organi deliberanti», limitando in questa sede l’analisi alle decisioni dei soci [[14]]. Occorre allora premettere alcune considerazioni di ordine generale. Va infatti rilevato che l’art. 5, 3° comma, non impone esplicitamente il requisito della complessiva preminenza del lavoro sul capitale investito, previsto in via generale per le società artigiane dall’art. 3, 2° comma. E anche in tale ottica, si ritiene da parte di alcuni che il requisito del possesso maggioritario da parte dei soci artigiani abbia lo scopo di tradurre sul piano societario il requisito fondamentale di ogni impresa artigiana, e cioè la preminenza del lavoro sul capitale [[15]]. Sul punto, però, occorre precisare che la prevalenza endosocietaria della componente artigiana non sembra poter sostituire integralmente il requisito generale della prevalenza del lavoro artigiano sul capitale, inteso sul piano dell’impresa, secondo quanto previsto dall’art. 3, 2° comma. E ciò, in primo luogo, perché gli schemi giuridici di acquisizione delle prestazioni lavorative dei soci non sono necessariamente quelli societari, e tanto meno quelli del conferimento d’opera (peraltro vietato prima della riforma del diritto societario, all’epoca dell’introduzione della s.r.l. artigiana pluripersonale) [[16]], con la conseguenza che la prevalenza nel lavoro può essere garantita mediante apporti che non sono valorizzati a capitale; e che possono essere qualificati «artigiani» [continua ..]


3. La tesi della maggioranza costitutiva: critica

Occorre adesso individuare l’esatto significato e le conseguenze applicative della formula prevista dal­l’art. 5, 3° comma, nella parte in cui prevede che i soci artigiani detengano la maggioranza degli organi deliberanti della società, e pertanto certamente anche nelle decisioni dei soci a norma dell’art. 2479 c.c. [[28]]. Ed infatti, se in relazione all’organo amministrativo la norma intende chiaramente imporre che la maggioranza numerica degli amministratori sia composta da soci artigiani, meno agevole è intendere quale sia il significato della disposizione relativamente alle decisioni di competenza dei soci, visto che la maggioranza del capitale dovrebbe assicurare automaticamente la disponibilità della maggioranza dei voti in assemblea, a meno di ritenere – come si vedrà – che la norma abbia (per lo meno anche) la funzione di vietare clausole che alterino in modo rilevante il rapporto di proporzionalità fra partecipazioni e diritti di voto. Ora, secondo una prima lettura, la normativa avrebbe l’intento di assicurare l’effettivo predominio della maggioranza artigiana nell’organo assembleare, o comunque nei meccanismi decisionali di pertinenza dei soci, in modo da garantire una posizione di effettiva autosufficienza deliberativa, e da riservare invece ai soci di capitale un ruolo meramente complementare. Questa tesi presenta due varianti. Secondo una prima interpretazione, che potremmo definire come “tesi della maggioranza costitutiva”, la norma imporrebbe che le decisioni dei soci siano sempre assunte in presenza di una maggioranza autosufficiente di soci artigiani; e che pertanto le assemblee sociali non possano validamente costituirsi senza il rispetto di tale condizione preliminare [[29]]. La tesi non appare condivisibile, per le seguenti ragioni. In primo luogo, la norma sembra fare riferimento sul piano letterale ad un requisito oggettivo, rappresentato dalla «detenzione» di una quota di maggioranza relativa dei voti complessivamente disponibili in astratto [[30]], senza avere riguardo alle condizioni di fatto ed alle modalità concrete di esercizio dei poteri da parte dei soci [[31]]. In secondo luogo, la tesi comporterebbe un onere particolarmente grave per le società artigiane, che dovrebbero necessariamente introdurre una clausola di tal genere, al fine di impedire la regolare [continua ..]


4. La tesi della maggioranza deliberativa: critica

Per una seconda variante [[35]], che potremmo definire come «tesi della maggioranza deliberativa», la norma non inciderebbe sui meccanismi di regolare costituzione degli organi sociali, ma intenderebbe vietare l’adozione di clausole statutarie che impediscano alla componente artigiana di godere in ogni sede di una maggioranza deliberativa autosufficiente, o che per altro verso facilitino anche in via di fatto l’acquisizione di un ruolo prevalente da parte della minoranza di capitale. Le conseguenze applicative della tesi [[36]] sarebbero le seguenti. In primo luogo, risulterebbero incompatibili con il regime artigiano quei quorum costitutivi e deliberativi rafforzati, che non consentano di fatto alla maggioranza artigiana di essere autosufficiente in sede ordinaria e straordinaria [[37]]. In secondo luogo, dovrebbero vietarsi, per ragioni simmetricamente opposte, i quorum deliberativi di seconda convocazione, che permettano anche solo di fatto alla minoranza non artigiana di adottare decisioni sociali grazie all’assenza di alcuni soci artigiani. Anche questa lettura si scontra con alcune obiezioni che appaiono decisive. In primo luogo, la marginalizzazione dei soci non artigiani, i quali non potrebbero contrattare in sede statutaria alcun quorum di blocco, neanche su decisioni di fondamentale importanza (si pensi ad aumenti di capitale, trasformazioni, alienazioni e conferimenti di azienda), rischierebbe di scoraggiare la partecipazione alle società artigiane e risulterebbe incongruente con il fatto che invece nelle s.a.s. i soci accomandanti non soffrono in alcun modo di siffatte limitazioni [[38]]. In secondo luogo, anche in questo caso la formale autosufficienza della maggioranza non potrebbe impedire la formazione di maggioranze occasionali fra soci di capitale e soci artigiani, con la conseguenza che bisognerebbe a questo punto, per coerenza, negare carattere artigiano a società che risultino di fatto controllate in maniera stabile da una maggioranza «mista», formata in prevalenza da soci di capitale, con ciò nuovamente ostacolando la dialettica interna, assegnando eccessivi poteri di veto alle singole componenti della maggioranza artigiana e determinando infine una grave complicazione delle procedure amministrative di accertamento della qualifica artigiana. Infine, per quanto riguarda i quorum «di seconda [continua ..]


5. La tesi della maggioranza di controllo: critica

Seconda una ulteriore lettura, meno rigida, la norma richiederebbe, sempre al fine di consentire l’iscri­zione nell’albo, che la maggioranza artigiana rimanga in grado di esercitare congiuntamente una «direzione unitaria» sulla società [[42]], e pertanto che le sia per lo meno garantita l’autosufficienza deliberativa nelle decisioni di tipo ordinario, previste dall’art. 2479, 2° comma, nn. 1), 2), e 3), c.c., con ciò assicurando il regolare dispiego dell’attività sociale anche in situazioni di conflitto con la minoranza di capitale. Si propone pertanto di assimilare la figura in questione con la nozione di «controllo» prevista in via generale dall’ordinamento azionario nell’art. 2359 c.c., che denota anch’essa una condizione meramente potenziale, con riferimento almeno al controllo «di diritto», che rappresenterebbe la figura più vicina alla fattispecie in questione. Di conseguenza: sarebbero legittimi quorum deliberativi rafforzati per le deliberazioni straordinarie; sarebbe vietato un rafforzamento dei quorum per le materie ordinarie, tale da incidere sulla autosufficienza deliberativa dei soci artigiani; si porrebbe infine un problema di compatibilità con il regime speciale di quei patti parasociali trasversali che siano tali da sovvertire stabilmente il predominio artigiano nei procedimenti decisionali, come i sindacati di voto a maggioranza con presenza dominante dei soci di capitale. Anche la tesi della maggioranza come «maggioranza di controllo» si presta però ad alcune obiezioni. In primo luogo, potrebbe rilevarsi che l’esercizio di una influenza dominante nella sola assemblea ordinaria, cui tradizionalmente si attribuisce rilievo decisivo ai fini del controllo in relazione ai corrispondenti poteri di nomina degli amministratori [[43]], riveste senz’altro un peso minore nel complessivo assetto delle società artigiane, visto che l’organo gestionale deve essere in ogni caso composto in maggioranza da soci artigiani a norma dello stesso art. 5, 3° comma [[44]]. Ulteriori obiezioni gravano poi sull’idea che la normativa speciale possa ritenersi volta ad assicurare l’autonomia e la autosufficienza dei soci artigiani ai soli fini delle decisioni ordinarie e con esclusione di quelle straordinarie. Deve infatti rilevarsi che, a [continua ..]


6. Conclusione: La tesi della maggioranza semplice

Occorre pertanto esplorare una ultima possibilità, che assegna al requisito della detenzione maggioritaria il significato più vicino al tenore letterale della norma. L’art. 5, 3° comma, sembra accontentarsi infatti di un assetto generale degli organi sociali, in cui la base artigiana abbia una condizione di prevalenza relativa, anche se non necessariamente il predominio e l’autosufficienza. Potrem­mo definire questa posizione come «tesi della maggioranza semplice». Il requisito della partecipazione maggioritaria negli organi deliberanti avrebbe in tal senso un duplice effetto. Da un lato, di imporre che la maggioranza degli amministratori, indipendentemente dal regime (collegiale, congiuntivo o disgiuntivo [[54]]) che si sceglie, sia costituita da soci artigiani [[55]]. E dall’altro, visto che nel sistema legale il requisito della partecipazione maggioritaria assicura già la detenzione della maggioranza in assemblea, di vietare l’adozione di clausole che incidano sul principio di proporzionalità del voto, fino ad assicurare alla minoranza di capitale una maggioranza dei voti nelle decisioni dei soci. Con la complessiva finalità di garantire che, in ogni sede decisionale, il peso degli artigiani sia prevalente rispetto a quello degli altri soci, e senza che ne conseguano ulteriori limiti in relazione alla possibilità di introdurre in via statutaria quorum costitutivi e deliberativi rafforzati. D’altra parte, sia nel sistema previgente, che nel sistema attuale [[56]], è rimasto dubbio – e non importa in questa sede quale sia l’interpretazione preferibile – se l’autonomia statutaria possa introdurre limitazioni al diritto di voto [[57]] o altri meccanismi statutari che deroghino in qualche misura al principio di proporzionalità del voto. Infine, con riguardo al sistema attuale, è dubbio – anche se prevale la tesi negativa – se lo statuto possa attribuire a singoli soci diritti speciali in ordine a decisioni di tipo non amministrativo [[58]]. Ed allora, non si può escludere che la norma abbia la funzione di stabilire che, indipendentemente dai limiti generali – a loro volta variabili con l’evoluzione del regime codicistico – nelle s.r.l. artigiane non sono consentite clausole che deroghino al principio di proporzionalità, o [continua ..]


NOTE
Fascicolo 2 - 2007