Rivista di Diritto SocietarioISSN 1972-9243 / EISSN 2421-7166
G. Giappichelli Editore

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Clausola di esclusione e patti parasociali: giurisprudenza tedesca e art. 2473- bis c.c. (nota a BGH, 14 marzo 2005 e BGH, 19 settembre 2005) (di Marco Speranzin)


SOMMARIO:

1. Il caso - 2. Normativa di riferimento - 3. Precedenti giurisprudenziali - 4. Dottrina - 5. Commento - NOTE


1. Il caso

La prima decisione pubblicata concerne la legittimità di una clausola contenuta nello statuto di una GmbH che prevede la possibilità di deliberare l’esclusione di un socio al venir meno di un contratto di cooperazione tra la stessa società ed il socio. La s.r.l. oggetto della controversia gestiva la cooperazione internazionale nella prestazione di (non specificati) servizi ed aveva come soci i singoli partner nazionali, i quali a loro volta erano vincolati alla società da un contratto a tempo indeterminato (che prevedeva la facoltà di recesso con preavviso o per giusta causa dell’una e dell’altra parte). Orbene: la società deliberava di recedere con preavviso dal contratto di cooperazione con il partner spagnolo, e a ciò faceva seguito la decisione di esclusione del medesimo dalla s.r.l., delibera successivamente impugnata dal socio. Il BGH riconosce la legittimità della clausola di esclusione, in quanto ritiene non applicabile al caso concreto la propria giurisprudenza consolidata che sanziona con la nullità le clausole di esclusione non ancorate ad un motivo oggettivo specifico (v. infra, par. 3). La Suprema Corte tedesca osserva che da un lato la delibera di esclusione consegue al venir meno di un contratto di cui è parte la società, e risulta quindi giustificata da tale evento; dal­l’altro lato la decisione circa il recesso dal contratto di cooperazione spetta alla s.r.l., e non al voto determinante di uno dei soci (poiché nel caso concreto nessuno di que­st’ultimi era in grado di esprimere da solo la maggioranza). Pertanto da ciò consegue la liceità della clausola nonché dell’esercizio del diritto di esclusione. Il BGH sottolinea inoltre, in via generale, la strumentalità che la partecipazione sociale (e quindi il contratto di società) può rivestire in determinate ipotesi rispetto ad un altro rapporto contrattuale, sicché una volta risolto que­st’ultimo può legittimamente provvedersi allo scioglimento anche del primo (limitatamente ad un socio). La seconda sentenza in commento costituisce una decisione particolarmente attesa nell’ambiente giuridico tedesco, in quanto nel corso del 2004 erano state pubblicate due sentenze di merito che si erano pronunciate, sulla medesima vicenda, in termini diametralmente [continua ..]


2. Normativa di riferimento

«Il recesso e l’esclusione del socio … Senza questi due istituti il diritto della s.r.l. sarebbe irragionevole e le conseguenze per la prassi assurde». Così, in una delle opere fondamentali di diritto delle società tedesche, si conclude la parte relativa al recesso e l’esclusione del socio nella s.r.l. [1]. Ciò sebbene la legge sulla GmbH non preveda una disciplina specifica dell’esclusione del socio; contempla solo, al § 34, la Einziehung, ossia, propriamente, il riscatto e l’annullamento di determinate partecipazioni sociali per specifiche ragioni previste nel­l’atto costitutivo. Da un lato nella prassi statutaria la clausola di Einziehung viene pertanto utilizzata spesso come strumento di esclusione di un socio [2]; dall’altro la dottrina e la giurisprudenza tedesca riconoscono ulteriormente, in analogia con la disciplina delle società di persone (§ 140 HGB) o con quella dello scioglimento della società (§ 60 GmbHG), la possibilità di deliberare l’esclusione di un socio (Ausschluß o Ausschließung) sia sulla base di specifiche clausole statutarie o parasociali, sia a prescin­dere dall’esistenza di una specifica pattuizione e purché vi sia una giusta causa (aus wichtigem Grund) [3]. Le due sentenze che qui si commentano riguardano questioni in tema di clausole di esclusione (la prima: si tratta propriamente di un caso di Einziehung) o che hanno come effetto l’esclusione (la seconda), e sono di un certo interesse per il lettore italiano in quanto affrontano alcuni profili problematici che anche l’art. 2473-bis c.c. può comportare (v. infra, par. 5). Si occupano entrambe dell’eventuale invalidità per contrarietà all’ordine pubblico e al buon costume di tali clausole ai sensi della nor­ma generale del BGB (§ 138, corrispondente al nostro art. 1418 c.c.); nonché del connesso aspetto della possibile estensione della nullità ad altre clausole (del contratto sociale o parasociale in cui le pattuizioni che legittimano o hanno per effetto l’esclusione sono contenute). Entrambe le sentenze rilevano, inoltre, poiché affermano il principio che la partecipazione sociale può costituire un rapporto accessorio ad (un [continua ..]


3. Precedenti giurisprudenziali

In merito alla prima sentenza non si riscontrano precedenti nell’ordinamento tedesco. Anche la dottrina sottolinea infatti la novità di tale decisione, in quanto per la prima volta la Suprema Corte pone a fondamento della legittimità della clausola la circostanza che l’evento determinante l’esclusione sia frutto di una decisione della società, e che l’assemblea non risulti controllata (sembra: né di diritto, né di fatto) da alcuno dei soci [6]. Con riferimento al caso oggetto della seconda decisione, la giurisprudenza tedesca si era pronunciata, nel corso del 2004 e come accennato, in modo diametralmente opposto. Una sentenza dell’OLG Frankfurt aveva ritenuto la clausola che prevede l’opzione nulla, in quanto contraria all’ordine pubblico e al buon costume [7]. Il socio vincolato dalla pattuizione non sarebbe, infatti, libero di esercitare i diritti sociali in modo autonomo, ma risulterebbe limitato dalla necessità di seguire la volontà del socio di maggioranza che potrebbe anche farne venir meno la qualità di socio, mediante la revoca dell’incarico di amministratore e a seguito dell’esercizio dell’opzione (o della successiva accettazione della proposta irrevocabile di vendita della partecipazione). Il socio di minoranza non sarebbe quindi, secondo la Corte d’Appello, tale, ma sarebbe un «impiegato» del socio di maggioranza. I due negozi (acquisto della quota e opzione) dovrebbero considerarsi pertanto nulli, con conseguente sorgere a carico delle parti degli obblighi restitutori derivanti dalla pronuncia di nullità di entrambi i contratti. Secondo OLG Düsseldorf, invece (sentenza preceduta da una decisione analoga dell’OLG Celle [8]), il complesso delle clausole deve ritenersi valido, in quanto alla luce di una Gesamtschau dell’operazione quest’ultima appare equilibrata: da un lato il socio amministratore ha avuto la possibilità di acquistare la partecipazione nella GmbH ad un valore molto conveniente (il valore nominale) e mantiene la possibilità di rivenderla – a seguito dell’opzione che l’altro socio può esercitare – ad un prezzo predeterminato decisamente superiore; dall’altro il socio amministratore può conseguire nel corso degli anni gli utili (che contribuisce direttamente a produrre in [continua ..]


4. Dottrina

Il primo caso oggetto di questa nota ha sollevato l’in­te­resse della dottrina in quanto viene sancito – come accennato: senza precedenti, seppure non quale unica ratio decidendi – che la mancanza di un socio in grado da solo di esprimere la maggioranza legittima le clausole di esclusione anche in assenza di un motivo oggettivo specifico [13]. Quest’interpretazione tuttavia è stata criticata, in quanto la mancanza di un unico socio di maggioranza non toglie che il socio possa essere soggetto – volendo seguire il tradizionale orientamento del BGH – alla «spada di Damocle» dell’esclusione e quindi non possa esercitare i diritti sociali in modo libero [14]. Del resto nelle decisioni della Cassazione tedesca il presupposto dell’invalidità della clausola di esclusione è sempre stato la mancanza del motivo oggettivo specifico, e non il soggetto cui tale potere è attribuito. La sentenza è inoltre rilevante, come si diceva, per l’affermazione del carattere subordinato che il rapporto societario può rivestire rispetto ad altro rapporto, sicché tale carattere e quindi il collegato rapporto paiono utilizzabili, secondo il BGH, a livello di interpretazione della clausola di esclusione. Con riferimento alla seconda decisione pubblicata, si noti che la dottrina tedesca, per lo più favorevole alla validità delle clausole di esclusione o che hanno per effetto l’esclusione [15], era insorta di fronte alla sentenza del­l’OLG Frankfurt sopra riassunta. In particolare si temeva che la diffusione del principio enunciato nella decisione potesse minare la legittimità di varie clausole contenute negli statuti e nei patti parasociali, tra le quali in particolare le c.d. leaver clauses, inserite nei contratti di acquisizione e di private equity: tali pattuizioni sono volte a regolare lo scioglimento del rapporto tra l’am­mi­nistratore e la società al ricorrere di determinati presupposti [16]. Dal punto di vista giuridico, inoltre, la sentenza dell’OLG Frankfurt si esponeva a penetranti censure; ad esempio quella di ritenere contraria all’ordine pubblico e al buon costume, e quindi nulla, una pattuizione che il giudice considera irragionevole dal punto di vista economico [17]. La sentenza della Suprema Corte qui pubblicata ha invece [continua ..]


5. Commento

Le sentenze qui commentate e gli orientamenti della dottrina e della giurisprudenza tedesche sono d’interesse per il lettore italiano da un lato nella ricostruzione di alcuni problemi posti dalle clausole di esclusione, disciplinate dall’art. 2473-bis c.c. e di frequente introduzione, a quanto risulta, negli statuti di s.r.l.; dall’altro nel­l’a­nalisi del rapporto tra il disposto della norma e i possibili contenuti che possono rivestire i patti parasociali in argomento. Il primo interrogativo è quello della sufficienza di una previsione generale statutaria di esclusione del socio per giusta causa. L’argomento comparatistico – con particolare riferimento alla Germania – farebbe propendere, come visto, per la soluzione positiva; la norma del codice induce invece a concludere in senso diverso («l’atto costitutivo può prevedere specifiche ipotesi di esclusione per giusta causa») [24]. La soluzione potrebbe forse essere differenziata con riferimento alla diversa struttura che presenta in concreto la società: nel caso di struttura personalistica potrebbe ammettersi anche l’esclusione per giusta causa, come si riconosce per le società di persone [25], salvo poi il vaglio giurisprudenziale sulla singola decisione della società [26]. Ciò in virtù di due considerazioni: in primo luogo per il carattere generale che l’istituto dell’esclusione per giusta causa ha raggiunto all’interno della categoria del contratto plurilaterale con comunione di scopo [27]; in secondo luogo perché la necessaria connotazione in termini di giusta causa non consegue dalla specificità dell’ipotesi di esclusione, ma serve per selezionare tra i fatti pertinenti la persona del socio quelli che, in quanto idonei a arrecare pregiudizio alla società, pongono intralcio allo svolgimento dell’attività comune [28]. Nel caso invece di struttura capitalistica della s.r.l. (ove l’esclusione deve essere considerata come extrema ratio [29]) le ipotesi di esclusione, tali da rappresentare una giusta causa, devono invece risultare, come ritenuto dalla dottrina fino a questo momento prevalente, specifiche e dettagliate. Il secondo interrogativo che può sorgere dall’esame delle sentenze pubblicate è quello se i requisiti [continua ..]


NOTE
Fascicolo 2 - 2007