Rivista di Diritto SocietarioISSN 1972-9243 / EISSN 2421-7166
G. Giappichelli Editore

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L'amministrazione nelle società artigiane a responsabilità limitata (di Pierpaolo M. Sanfilippo)


SOMMARIO:

1. Su un caso di paradigmatica «relatività» della fattispecie alla disciplina: dallo statuto dell'impresa agevolata a quello di diritto privato dell'impresa artigiana - 2. Prevalenza dei soci artigiani negli «organi deliberativi» e voice dei soci capitalisti - 3. Fonte di nomina e legittimazione passiva alla carica gestoria - 4. Competenze gestorie ai soci e «cautele» statutarie - 5. Amministrazione monocratica e società di due soci. L’amministrazione pluripersonale: quorum statutari e deleghe amministrative - 6. Figure di amministrazione congiuntiva, disgiuntiva e mista: per un'interpretazione aderente al «modello» della società artigiana - 7. Equilibri «diacronici» dell'organo amministrativo: clausole simul stabunt simul cadent e di supplenza - 8. Revoca degli amministratori, horror vacui ed esercizio di libertà statutaria - NOTE


1. Su un caso di paradigmatica «relatività» della fattispecie alla disciplina: dallo statuto dell'impresa agevolata a quello di diritto privato dell'impresa artigiana

Si prenderà in esame il tema dell’amministrazione delle società artigiane nella forma delle s.r.l., tentando di evidenziare quali conformazioni statutarie, tra quelle oggi consentite per tale tipo societario, siano compatibili con i requisiti di applicabilità dello statuto «agevolato» dell’impresa artigiana, come definito dalla vigente legge-quadro per l’artigianato e dalla relativa legislazione agevolativa di settore. E tuttavia, prima ancora di avviare ogni considerazione sul tema, non essendo quel regime normativo il solo a correlarsi alla qualifica di una società come impresa artigiana, è da credere lecito almeno enunciare l’interrogativo se la relativa fattispecie sia unica ovvero plurima in ragione della disciplina da applicare. È difatti a tutti noto come la materia abbia sempre oscillato tra il campo delle leggi agevolative dell’impresa c.d. artigiana e quello della legge commerciale e, segnatamente, per l’impresa artigiana esercitata nella forma societaria, con riguardo alla questione, per un verso, della esentabilità dalla disciplina delle procedure concorsuali (art. 1 legge fall.) [**], per altro verso, del riconoscimento del privilegio per i crediti dell’impresa artigiana (art. 2751-bis, n. 5, c.c.). E la sensazione, invero, è che, solo passando dalla disaggregazione delle fattispecie rispetto cui rilevano i profili disciplinari della società artigiana, se ne possa avviare un’appropriata riconsiderazione, tentando per così dire una actio finium regundorum fra le materie che lo intersecano [[1]]. Che il tema dell’amministrazione di un’impresa artigiana esercitata nelle forme del tipo società a responsabilità limitata incontri, a seguito della riforma societaria, un terreno normativo profondamente rinnovato è constatazione di immediata evidenza, non potendo non avere la disciplina di diritto comune che pregnanti ricadute su quella di diritto speciale. Suole riconoscersi, infatti, che le società artigiane sono «società speciali» la cui fattispecie è più ricca di quella generale, presentandone tutti i requisiti più alcuni qualificanti, con la sicura conseguenza che, per tutto quanto non dispone la normativa speciale, va in linea di principio applicata quella generale [[2]]. Si tratta [continua ..]


2. Prevalenza dei soci artigiani negli «organi deliberativi» e voice dei soci capitalisti

Lasciato il campo delle sensazioni sistematiche che suscita la materia, passando ad esaminare la materia dell’amministrazione oggetto di questo intervento, si orienterà il piano di osservazione sui requisiti di accesso alla disciplina dell’artigianalità, tentando di vedere quali conformazioni statutarie, oggi disponibili per le s.r.l., siano compatibili con quei requisiti; non senza peraltro segnalare quando la materia si presti a diverso ordine di considerazioni su altri piani di disciplina. Alla materia dell’amministrazione la normativa speciale sull’impresa artigiana agevolata, già nella formulazione della legge del ’56, prestava un’attenzione per così dire implicita: da un lato, nella definizione di imprenditore artigiano, richiedendone la titolarità, oltre che della direzione del processo produttivo, anche e più in generale della gestione d’impresa [art. 1, 1° comma, lett. c), e art. 2, legge n. 860/1956; artt. 2 e 4, 1° comma, legge-quadro n. 443/1985]; d’altro lato, nell’ammettere forme di agevolazione per i consorzi misti tra imprese artigiane e della piccola industria, esigendo che le prime fossero non solo numericamente preponderanti, ma detenessero la «maggioranza negli organi deliberanti», e dunque pure in quelli gestori (art. 6, 3° comma, legge-quadro) [[32]]. Nel consentire l’esercizio dell’impresa artigiana agevolata anche nella forma societaria, venivano quindi individuati tipi nei quali, pur in presenza di soci non-artigiani, il governo dell’impresa rimaneva per definizione in mano ai soci artigiani: così, per la società in nome collettivo, prevedendosi la maggioranza dei soci artigiani in un tipo ove ogni socio è naturaliter amministratore [[33]]; per l’acco­mandita semplice, richiedendosi la necessaria qualità di artigiano per ciascun accomandatario [[34]]. L’apertura verso i tipi di capitali, com’è noto, interveniva solo con una novella del ’97, a seguito dell’introduzione nell’ordinamento della s.r.l. con unico socio. Ed è significativo come tale apertura avvenisse solo rispetto al modello unipersonale, valutando verosimilmente il legislatore non meritevole di agevolazione quell’impresa che, esercitata nelle forme di una società di capitali [continua ..]


3. Fonte di nomina e legittimazione passiva alla carica gestoria

Considerando sotto questa luce i singoli profili in tema di amministrazione, con riguardo alla fonte della nomina, si pone anzitutto il problema se, per conservare la qualifica artigiana, la società debba contemplare sistemi di nomina che lascino ai soci artigiani la scelta di tutti gli amministratori, pure quindi di quegli amministratori che eventualmente non rivestano la qualità di socio artigiano. Ove simile assetto si ritenesse necessario per accedere alla disciplina dell’artigianalità, esso non sarebbe all’evidenza di per sé garantito dal modello legale delle s.r.l., trovando applicazione la regola (dispositiva) che fissa, quale quorum costitutivo, la metà del capitale sociale e, quale quorum deliberativo, la maggioranza assoluta del capitale intervenuto (art. 2479-bis, 3° comma, c.c.) [[49]]; assetto che non sarebbe neppure assicurato da un’elevazione statutaria del quorum costitutivo legale, giacché detto quorum potrebbe bene integrarsi con il concorso dei soci minoritari capitalisti assieme ad alcuni soci artigiani, che superino se non l’inerzia, la «disorganizzazione» mostrata dalla restante componente artigiana; salvo che si prevedano quorum così elevati da non fugare però il rischio di stalli decisionali [[50]]. La via per garantire il nostro assetto passerebbe, allora, più opportunamente, dall’attribuzione ai soci artigiani del potere di nomina quale diritto particolare (art. 2468, 3° comma, c.c.) [[51]]. E tuttavia, la definizione di tal sorta di diritti particolari sulla nomina di tutti gli amministratori da parte della sola componente artigiana, per quanto ammissibile nel tipo s.r.l. [[52]], a ben vedere, potrebbe disincentivare non poco la partecipazione alla società artigiana del socio capitalista: basti pensare al ruolo sistematico di vigilanza e di controllo sulla correttezza gestoria garantito a quel socio da chi ricopra la carica di amministratore, e in significativa maggior misura rispetto all’esercizio spesso estemporaneo dei pur incisivi ma «costosi» strumenti di controllo forniti al socio dal nuovo modello legale (art. 2476, 2° comma, c.c.) [[53]]. Se si vuole allora rifuggire da impostazioni radicali, non sembrano invero da respingere quelle conformazioni statutarie dei sistemi [continua ..]


4. Competenze gestorie ai soci e «cautele» statutarie

È tuttavia noto come resti aperto in materia di s.r.l. il dibattito su quali ambiti dispongano gli statuti nel trasferire ai soci competenze gestorie proprie dell’organo di amministrazione, o, con alternativa forse mal posta [[54]], sulla stessa possibilità di sopprimere l’organo amministrativo medesimo. A voler seguire la tesi più liberale, nelle s.r.l. artigiane, allora, gli statuti potrebbero attribuire ai soci tutte o quasi le competenze gestorie. Ora, a prescindere dalle conseguenze di simile scelta statutaria in punto di procedimento deliberativo nell’adozione delle decisioni gestorie, come pure sul regime di responsabilità [[55]], deve considerarsi che tale assetto aprirebbe alla possibile sottrazione del governo dell’impresa alla categoria dei soci artigiani, giacché – come già notato – le maggioranze nelle decisioni dei soci, alla stregua dei quorum legali, potrebbero ben formarsi secondo coalizioni miste, in ipotesi anche senza il concorso della volontà della maggior parte dei soci artigiani. Ma che il governo dell’impresa non resti stabilmente nelle mani dei soci artigiani è ipotesi, come si è visto, senz’altro da scartare, ovvero da fugare tramite accorte configurazioni statutarie che rendano in ogni caso determinante, nelle materie gestorie demandate ai soci, il concorso di volontà dei soci artigiani. E la via più tranquillante sarebbe ancora una volta data dall’attribuzione di diritti particolari riguardanti l’amministrazione, quali autorizzazioni e pareri vincolanti, onde ricondurre alla disponibilità dei soci artigiani quanta parte del governo dell’impresa sia in ipotesi sottratta dallo statuto al­l’or­gano di amministrazione [[56]]. Non sembra, peraltro, che occorra in materia instaurare rigidi automatismi, negando la qualifica artigiana a quella s.r.l. il cui statuto preveda diritti particolari sull’amministrazione a favore di soci non-artigiani, nella misura in cui tali diritti siano funzionali all’aggregazione di capitale di rischio da parte di chi intenda partecipare all’iniziativa solo a patto di posizioni forti in ordine a talune scelte gestorie anche decisive per le sorti dell’investimento: sul punto occorrerà ritornare oltre parlando del requisito della prevalenza nell’organo di [continua ..]


5. Amministrazione monocratica e società di due soci. L’amministrazione pluripersonale: quorum statutari e deleghe amministrative

Ricorrendo, secondo il modello legale, un organo, titolare della funzione amministrativa e distinto dai soci in quanto tali, la libertà statutaria incontrerà comunque alcuni limiti perché la s.r.l. mantenga la qualifica artigiana. E così, nonostante si sia in generale sostenuta l’introducibilità nelle s.r.l. di un quorum costitutivo consiliare meno elevato di quello legale della maggioranza dei consiglieri in carica, e finanche la con­­­figurabilità di una clausola che neghi la necessità di un quorum costitutivo consiliare [[58]], non pare anzitutto che, in presenza di un consiglio composto anche da amministratori di minoranza, terzi o soci capitalisti, si possa poi sottrarre alla componente artigiana il ruolo prevalente ad essa spettante secondo la disciplina speciale. Il già ricordato e ben poco perspicuo testo della legge ha dato peraltro luogo all’enunciazione di tesi piuttosto singolari, insoddisfacenti perché finiscono per impedire alle società artigiane persino di «alleggerire» l’organizzazione corporativa secondo le opportunità date dallo stesso modello legale comune. E infatti, non si vede come si possa dubitare dell’ammissibilità dell’amministrazione monocratica nella società artigiana [[59]]: se è questo un assetto per così dire tipologicamente compatibile con l’im­presa dimensionalmente ridotta, alla quale tendenzialmente si rivolge pur sempre la legge-qua­dro, non si comprende per quale ragione una società artigiana non possa fruirne, sol perché nella forma della s.r.l.; semmai, il requisito della prevalenza dei soci artigiani nei c.d. «organi deliberanti» indurrà a ritenere necessaria la qualità di socio artigiano in capo all’amministratore unico [[60]]. E ricorrendo una società di due soci [[61]], non sarà certo indispensabile istituire un consiglio di amministrazione con voto prevalente in capo al socio artigiano, bastando all’uopo che quest’ultimo venga nominato amministratore unico. In presenza di un’amministrazione pluripersonale composta non esclusivamente da soci artigiani, il vero problema è quello di intendere sino a qual punto quella parte maggioritaria dei soci la cui attività lavorativa è assorbita [continua ..]


6. Figure di amministrazione congiuntiva, disgiuntiva e mista: per un'interpretazione aderente al «modello» della società artigiana

L’aggravamento della complessità dell’organizzazione dell’amministrazione è tanto più significativo oggi, consentendo la riforma societaria di riprodurre nel tipo s.r.l. i modelli di amministrazione delle s.n.c., senz’altro più congeniali ad un’impresa dalle dimensioni artigiane: il regime di amministrazione disgiuntiva e quello di amministrazione congiuntiva [[65]]. Là dove lo statuto adotti quest’ultimo regime, il principio-limite della libertà statutaria è sempre quello di ovviare a che possa attribuirsi un generale potere di veto ad un amministratore che non rivesta la qualità di socio artigiano. Così, non sarebbe conforme alla disciplina speciale della società artigiana quella s.r.l. che adotti l’amministrazione congiuntiva all’unanimità, in presenza anche di un solo amministratore che non sia socio artigiano [[66]], o che adotti la forma congiuntiva a maggioranza con quorum «impeditivi» disponibili da parte di amministratori non-artigiani [[67]]. Mentre appariranno compatibili quei sistemi misti di amministrazione, che coinvolgano tutti gli amministratori con il metodo congiuntivo, limitatamente alle operazioni di primario interesse per l’investimento dei soci capitalisti [[68]]. Rispetto al regime dell’amministrazione disgiuntiva, l’esigenza che la componente artigiana resti prevalente nell’organo amministrativo potrebbe prima facie lasciare perplessi sulla compatibilità di tale scelta statutaria con la qualifica artigiana della società, segnatamente là dove ricorrano amministratori non-artigiani [[69]]: è vero che tale modello consente sì l’opposizione in capo a ciascun amministratore con diritto d’interpellare i soci [[70]], nella cui decisione dovrebbe prevalere in via tipica la componente artigiana, titolare della maggioranza del capitale sociale [[71]]; ma è noto come tale medesimo modello nelle s.r.l. trovi diversi profili di disciplina incerti, con riguardo vuoi al ricorrere o meno di un obbligo di informazione preventiva degli altri amministratori [[72]], vuoi, su altro piano, al metodo per raccogliere la maggioranza in sede di decisione sull’opposizione [[73]]. Ed è chiaro che, ove questi profili venissero risolti [continua ..]


7. Equilibri «diacronici» dell'organo amministrativo: clausole simul stabunt simul cadent e di supplenza

È palese che esigenze di effettività del requisito della prevalenza della componente artigiana nel­l’am­ministrazione impongano di mantenere gli equilibri «diacronici» fra le diverse componenti del­l’organo, là dove vengano meno uno o più amministratori, nella misura in cui quegli equilibri possano risultare compromessi. E se è dubbio che l’istituto della cooptazione possa applicarsi agli amministratori di s.r.l., tanto più se nominati per scelta di soci titolari di diritti particolari [[81]], nella nostra materia la riserva della legittimazione passiva agli artigiani per la componente prevalente dell’organo di amministrazione potrebbe suggerire l’introduzione di clausole simul stabunt simul cadent che sanciscano la decadenza del consiglio nel caso di sopravvenuto sovvertimento di quel rapporto di prevalenza [[82]]. È chiaro come anche qui si possano riproporre i dubbi sulla portata della clausola simul stabunt, già presenti prima della riforma nelle s.p.a., e segnatamente sulla efficacia immediata della clausola, con decadenza del consiglio e contestuale trasferimento dei poteri gestori al collegio sindacale. E tuttavia, la presenza non necessaria di quest’ultimo organo nelle s.r.l. minori, al di là della percorribilità di una soluzione che nelle s.r.l. ricalchi quella oggi propria delle s.p.a., ripropone il problema di possibili e finanche critiche soluzioni di continuità negli equilibri della compagine gestoria, prima che si provveda alla sostituzione. I termini della questione non destano tuttavia allarme, se solo si pensa alla chiusura tipica della compagine e alla agilità delle decisioni dei soci, rispetto a quelle assembleari di una società azionaria. In ogni caso, là dove si neghi efficacia immediata alle clausole simul stabunt nelle s.r.l., l’arma­mentario dell’autonomia statutaria dispone di uno strumento che può essere all’uopo utile, per ovviare a soluzioni di continuità degli equilibri nella composizione dell’organo di amministrazione, come quello della nomina di supplenti [[83]]; supplenti che subentrerebbero immediatamente al venir meno di un amministratore, così garantendo quegli equilibri.


8. Revoca degli amministratori, horror vacui ed esercizio di libertà statutaria

Un’ultima notazione con riguardo al tema della revoca, tema già in generale ben icasticamente definito quale uno dei «buchi neri» della nuova disciplina della società a responsabilità limitata [[84]]. Dinanzi all’horror vacui che il modello legale della nuova s.r.l. desta sotto diversi aspetti all’in­ter­prete, e segnatamente anche con riguardo ai diversi sistemi di amministrazione offerti alla disponibilità degli statuti [[85]], è noto come si stia facendo strada l’idea che l’oscillazione del discorso analogico tra la disciplina delle società di capitali e quella delle società personali possa fermarsi ancorandosi alla disciplina del tipo s.p.a., almeno sin quando lo statuto della singola s.r.l. non abbia adottato una serie di regole, fra cui quelle di nomina, di stampo «personalistico», che rendano invece più confacente il richiamo alla disciplina dei tipi personali [[86]]. Ora, accogliendo tale criterio ermeneutico, nella nostra materia è agevole propendere per l’applicazione analogica della disciplina dei tipi personali, più consona al modello «personalistico» delle s.r.l. artigiane, che vedono riservata ad una data categoria di soci la prevalenza nell’amministra­zione. Ma è parimenti noto come, anche a voler seguire questo criterio, rimangano in generale comunque aperte non poche questioni sotto diversi profili di disciplina [[87]]. E così, quand’anche si ritenesse che la carica di amministratore di una s.r.l. artigiana debba godere di un minimo di stabilità, e dunque sia suscettibile di revoca solo per giusta causa a pena di inefficacia, rimarrebbe comunque il problema di individuare la regola (maggioritaria o unanimistica) per procedere alla revoca stessa [[88]]; e si riproporrebbe ancora il quesito se, una volta assunta la deliberazione di revoca, e contestate dal revocato le motivazioni alla base della giusta causa, i soci revocanti debbano o meno agire giudizialmente, per ottenere una sentenza di accertamento della giusta causa [[89]]. Si ponga ora il caso che lo statuto non abbia definito una regola per procedere alla revoca e che questa si identifichi in quella (dispositiva) di maggioranza. Non può sfuggire come la posizione del­l’am­ministratore mostrerebbe ben [continua ..]


NOTE
Fascicolo 2 - 2007