Rivista di Diritto SocietarioISSN 1972-9243 / EISSN 2421-7166
G. Giappichelli Editore

indietro

stampa articolo indice fascicolo leggi articolo leggi fascicolo


Claudio D´Alonzo, È inesistente la delibera assunta con il solo voto di soggetti non legittimati a partecipare all'assemblea (nota a Trib. Bari, 9 dicembre 2005) (di Claudio D'Alonzo)


Tribunale di Bari, sezione IV, 9 dicembre 2005, n. 2679

Napoleone, Presidente – Montaleone, Estensore

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato in data 18.10.2004 la U., premesso in punto di fatto:

  • di essere socio unico della A. s.r.l., e di operare in Italia attraverso la propria controllata, la quale, dotata di capitale e finanziamento da parte della stessa U. nella misura di oltre 17 milioni di Euro, aveva acquistato la proprietà di terreni siti nel territorio dei comuni di S. (VV), T. (CZ) e B. (VV) e, una volta ottenute tutte le concessioni ed autorizzazioni necessarie, aveva provveduto, per mezzo di ditte appaltatrici, a costruirvi sopra una centrale idroelettrica;
  • che la centrale, ormai da tempo sostanzialmente completata, mancava ancora della realizzazione di un bacino di contenimento delle acque che avrebbe consentito di raggiungere la capacità produttiva di energia elettrica prevista nel piano industriale della U. approvato dai propri azionisti;
  • che alla U., trovandosi nell’impossibilità di reperire ulteriori finanziamenti in Germania, e non avendola A. mezzi propri per poter sostenere i costi per la costruzione del bacino di contenimento, la E.V. s.r.l., prospettò la possibilità di ottenere un finanziamento da parte di un pool di banche;
  • che l’ipotesi di finanziamento prospettata dalla E.V. richiedeva alla U. quale condizione principale per poter negoziare detto finanziamento nell’interesse di A., quella di concludere inizialmente un accordo di trasferimento del controllo da parte della U. su A. alla E.V.; successivamente, quale altra con­dizione per ottenere il finanziamento, U. avrebbe dovuto costituire in pegno il 100% delle proprie quote della A. a favore del­la E.V.;
  • che in data 17 febbraio 2003,la U., a mezzo del proprio amministratore unico Walter Felix B., e la E.V., nelle persone dell’amministratore unico Angelo S. e del dr. Cipriano L., sottoscrivevano una scrittura privata con la quale le parti fissavano i termini per il trasferimento del controllo della A. alla E.V.;
  • che successivamente, in data 2 aprile 2003, il B., in rappresentanza della U., sottoscriveva un contratto di costituzione di pegno che prevedeva tra gli altri, l’obbligo del debitore pignoratizio (U.) di “non modificare il capitale sociale della società senza il consenso del creditore pignoratizio (E.V.); di informare il creditore pignoratizio di ogni assemblea dei soci e di ogni decisione dei soci da prendersi anche senza la convocazione dell’assemblea, e di adoperarsi in modo tale che il creditore pignoratizio potesse in ogni momento far valere i propri diritti su questo contratto”;
  • che contemporaneamente alla sottoscrizione del contratto di pegno era stata sottoscritta tra le parti una convenzione secondo cui il contratto di pegno non avrebbe avuto effetto (“dare corso legale …”), se il finanziamento non fosse stato erogato entro il 30 aprile 2003;
  • che il finanziamento non era mai stato erogato;
  • che in data 2 aprile 2003 l’amministratore unico pro tempore della A., F. Anna provvedeva ad iscrivere il contratto di pegno nel libro soci della A., nonostante detto contratto, non fosse mai stato iscritto nel registro delle imprese, non recasse le firme autenticate delle parti contraenti, e fosse comunque inefficace in quanto il finanziamento non era stato ancora erogato;
  • che, convocata l’assemblea della A. per il giorno 18 febbraio 2004, con la sola presenza del creditore pignoratizio, veniva nominato un nuovo amministratore di sua fiducia nella persona del sig. Giovanni Giuseppe L.;
  • che alla data dell’assemblea del 18 febbraio 2004, non era stata ancora eseguita alcuna formalità necessaria perché il creditore pignoratizio potesse presenziare a detta assemblea, né tanto meno addirittura perché potesse esprimere il voto per la nomina del nuovo amministratore unico;
  • infatti, solo in data 24 febbraio 2004,la A. e non la E.V. – creditore pignoratizio – aveva provveduto ad inviare con trasmissione telematica alla Camera di Commercio di Bari il contratto di pegno non autenticato, perché quell’ufficio procedesse alla sua iscrizione nel registro delle imprese;
  • che la data di iscrizione del pegno nel registro delle imprese quindi era successiva alla data in cui si era tenuta l’as­sem­blea di ben 6 giorni;
  • che inoltre, in occasione di una visura sul patrimonio immobiliare della A.,la U. era venuta, per caso, a conoscenza del fatto che la A. s.r.l., in persona del rappresentante legale pro tempore sig. Giuseppe Giovanni L., amministratore nominato dalla E.V. nell’assemblea del 18.2.2004, aveva ceduto la centrale idroelettrica ed i terreni di proprietà della A. alla G.E.T. s.r.l., per atto notarile pubblico a rogito del notaio dott. F., in Bari, numero repertorio …).

Tanto premesso conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale Civile di Bari la E.V. S.r.l. e la A. S.r.l. per sentir accogliere le seguenti conclusioni:

“Voglia l’Ecc.mo Tribunale adito, ogni contraria istanza, deduzione o eccezione respinta, previo accertamento dell’inop­po­nibilità del pegno alla A., dichiarare nulla la delibera di assemblea della A. s.r.l. in data 18.2.2004 in quanto inesistente, nonché nulla o annullabile la delibera assembleare che ha autorizzato l’organo amministrativo della A. a cedere l’intero patrimonio immobiliare della società. Voglia l’On. Tribunale adito condannare la E.V. alla rifusione delle spese, competenze ed onorari del presente giudizio”.

Si costituivano in giudizio le società convenute deducendo nel merito la piena legittimità delle delibere impugnate, in quanto non in contrasto con alcuna norma imperativa, e pertanto perfettamente valide ed efficaci.

Concludevano pertanto per il rigetto della domanda con vittoria di spese ed onorario di giudizio.

Scambiate dalle parti le memorie di replica e controreplica, ai sensi degli artt. 6 e 7 D.Lvo 5/2003, fissata l’udienza di discussione collegiale, precisate le conclusioni da parte dei procuratori delle parti, la causa è stata ritenuta per la decisione ai sensi dell’art. 16, co. 5°, D.Lvo 5/2003.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente va preso atto che tutte le questioni preliminari, svolte in via di eccezione dalla convenuta E.V. s.r.l. e definitivamente formulate nelle note conclusionali di rito ex art. 10, co. 1°, D.Lvo 5/2003, sono palesemente infondate e pertanto meritevoli di reiezione.

 

Dell’inapplicabilità del rito societario

La E.V. s.r.l. al punto b) della memoria di replica, ex art. 7, comma 1, del D.Lvo 5/2003, del 9.02.2005, e nella memoria ex art. 7, comma 2, del D.Lvo 5/2003, del 18.03.2005, ha rilevato l’inapplicabilità del rito societario al caso di specie “per mancanza di connessione tra la richiesta di nullità della delibera assembleare della A. s.r.l. del 18.02.04, nonché della delibera che ha autorizzato l’organo amministrativo della A. a cedere l’intero patrimonio immobiliare della società e la richiesta di accertamento dell’inopponibilità del pegno all’A.”.

È bene ribadire, preliminarmente, che oggetto del presente giudizio è l’accertamento della nullità, inesistenza e/o annullabilità delle due delibere adottate della A. in data 18.02.2004 con cui è stato nominato amministratore il sig. L. e in data 24.06.2004 con cui è stata autorizzata la cessione della centrale idroelettrica e dei terreni sottostanti.

Prima facie irrilevanti risultano pertanto tutte le argomentazioni svolte dalla società convenuta in tema di connessione.

Infatti alla domanda principale si applica espressamente il rito societario ai sensi dell’art. 1 lett. a) del D.Lvo 5/2003, in quanto riguarda rapporti societari in senso lato, i quali, ormai per orientamento dottrinale invalso, comprendono, fra gli altri, le “cause di impugnazione delle deliberazioni dell’assemblea e del consiglio di amministrazione (…) delle società, delle mutue assicuratrici e delle società cooperative, delle associazioni in partecipazione e dei consorzi” ai sensi dell’art. 50-bis, n. 5, c.p.c., comprese le impugnazioni dei bilanci e delle deliberazioni di esclusione dei soci.

Va evidenziato inoltre che anche in relazione alla domanda incidentalmente spiegata dall’attrice di inopponibilità e/o inefficacia del contratto di pegno alla A. si applica il nuovo rito societario.

Infatti, alla luce del disposto normativo di cui all’art. 1, lettera b) del D.Lvo 5/2003, pur a tralasciare per assurdo la evidente connessione, il rito societario si applica espressamente anche alle controversie inerenti “il trasferimento delle partecipazioni sociali, nonché ad ogni altro negozio avente ad oggetto le partecipazioni sociali o i diritti inerenti”, tra le quali rientrano per certo la costituzione di pegno sulle quote.

Orbene, sebbene si tratti di materie che chiaramente esulano dal concetto di organizzazione societaria, nella lettera b), il riferimento al trasferimento delle partecipazioni sociali si arricchisce con la nozione di “ogni altro negozio avente ad oggetto le partecipazioni sociali e i diritti inerenti”.

La formula, come tale, potrebbe sembrare ultronea, atteso che tali ‘negozi’ e ‘diritti’ potrebbero agevolmente farsi rientrare nel contesto dei ‘rapporti societari’ di cui alla lettera a), ma, ad abundantiam, il legislatore delegato evidentemente ha ritenuto di legare alle controversie ruotanti intorno al trasferimento delle partecipazioni sociali, tutte quelle inerenti a negozi che hanno ad oggetto partecipazioni sociali, ovvero diritti discendenti da partecipazioni sociali.

Pertanto l’eccezione va disattesa.

 

Della nullità dell’atto di citazione per indeterminatezza del­l’edictio actionis

Nella memoria di controreplica, notificata in data 21 marzo 2005 e depositata in cancelleria in data 24.03.2005, la E.V. s.r.l. ha eccepito, per la prima volta nel presente giudizio, la nullità dell’atto di citazione per indeterminatezza dell’edictio actionis, fondandola sulla “mancata indicazione della delibera impugnata, nonché dei motivi e delle ragioni di illegittimità della delibera impugnata”.

L’eccezione è tardivamente proposta e in ogni caso, nel merito, destituita di fondamento.

Infatti come correttamente dedotto dall’attore la domanda di nullità dell’atto di citazione risulta inammissibile e tardiva, in quanto formulata solo nella memoria di controreplica ex art. 7, comma 2 del D.Lvo 5/2003, essendo il convenuto già incorso nella relativa decadenza con la produzione della sua seconda memoria difensiva ex art. 7, comma 1, D.Lvo 5/2003.

Infatti l’eccezione di nullità andava proposta già in comparsa di costituzione e risposta, primo atto utile per replicare alla pretesa azionata dall’attore.

In ogni caso anche a voler prescindere da ciò, nel merito, l’ec­cezione di controparte è comunque infondata.

Infatti l’art. 164 comma 4° c.p.c. in tema di nullità della citazione stabilisce che “la citazione è altresì nulla se è omesso o risulta assolutamente incerto il requisito stabilito nel n. 3) del­l’art. 163 ovvero se manca l’esposizione dei fatti di cui all’art. 4) dello stesso articolo”.

L’atto di citazione è quindi nullo se uno degli elementi indicati nella citata norma è omesso o assolutamente incerto, circostanza non ricorrente nel caso di specie.

Invero da una sommaria lettura del libello introduttivo non risulta incerto quale fosse la delibera impugnata.

Infatti dal tenore letterale dell’atto si evince chiaramente che la U. ha inteso impugnare, ab origine, l’unica delibera assembleare che ha autorizzato la vendita della centrale idroelettrica alla G.E.T. s.r.l.

Inoltre che non sussistessero dubbi sulla determinatezza della delibera impugnata, è dimostrato anche dallo stesso comportamento processuale di parte convenuta che in sede di comparsa di risposta, consapevole della delibera di riferimento, ha dedotto: “Conclusivamente, la U. avrebbe dovuto impugnare, ex art. 2377 c.c. anche tale deliberazione, nei 90 giorni dalla data di deliberazione, trattandosi di atto per il quale non è previsto il deposito nel Registro delle Imprese”.

Sul punto inoltre appaiono conferenti e dirimenti le circostanze dedotte dall’attrice nella terza memoria di replica ex art. 7, comma 3, del D.Lvo 5/2003, del 06.04.2005 a cui si rimanda.

Parte convenuta lamenta inoltre, sempre in relazione all’ec­cezione sulla indeterminatezza della edictio actionis, che la U. non abbia indicato i motivi di illegittimità della delibera impugnata.

Anche tale circostanza è infondata; infatti l’attrice ha ampiamente motivato l’impugnativa della delibera di vendita della centrale del 24.6.2004 sin dall’introduttivo atto di citazione dove, a pagina 20, si legge: “per tutti i motivi esposti nel punto precedente, detta deliberazione deve ritenersi …”.

Orbene il punto precedente a cui la U. si riporta integralmente per sostenere l’impugnativa di tale delibera va da pagina 9 a pagina 19 dell’atto di citazione, trattandosi evidentemente di una tecnica di redazione per relationem.

Pertanto anche quest’eccezione, tardivamente proposta, va disattesa.

 

Della proposizione di domanda nuova da parte della U.

Nella memoria di replica del 09.02.05 al punto a), e successivamente nella memoria di controreplica del 18.03.05 sub b 3), la E.V. s.r.l. ha sollevato l’eccezione preliminare di domanda nuova, in riferimento alla domanda della U. di declaratoria di inefficacia del contratto di pegno.

Invero la richiesta di declaratoria di inefficacia della scrittura privata di pegno avanzata dalla difesa della società attrice non costituisce domanda nuova, ma in base alla costruzione data dal legislatore al nuovo rito societario, risulta conseguenza diretta delle difese svolte da parte convenuta laddove, a pag. 5, della comparsa di costituzione, ha sostenuto che “il contratto di pegno del 02/04/2003 è perfettamente valido ed efficace”, argomentando tale affermazione nelle successive pagine del­l’atto.

Del resto, già nell’atto di citazione la questione dell’ineffi­cacia del contratto de quo era stata sollevata in riferimento alla convenzione contenente la condizione sospensiva dello stesso, stipulata in pari data, con la quale le parti avevano statuito che il pegno “non avrebbe avuto corso legale” se il finanziamento promesso da E.V. non fosse stato erogato entro il 30 aprile 2003 (cfr. in tal senso pagg. 4, 5, 20 e 21 dell’atto di citazione).

Pertanto la domanda relativa alla pronuncia di declaratoria di inefficacia della scrittura privata, che si aggiunge alla richiesta di accertamento dell’inopponibilità della stessa alla U., è da ritenersi rituale ai sensi dell’art. 6, comma 2, del D.Lvo 5/2003, in quanto conseguenza diretta delle difese presentate dalla E.V. s.r.l.

 

Del Merito

 

a) Inesistenza, nullità, annullabilità delle delibere assembleari del18 febbraio 2004 e del 24 giugno 2004

In punto di fatto, per brevità, ci si riporta a quanto analiticamente dedotto dalle parti negli atti di causa.

Tuttavia vanno evidenziati i punti salienti della vicenda:

a) In data 2 aprile 2003la U.sottoscriveva a favore della società E.V. contratto di pegno sulle quote della A., con il quale venivano costituite in pegno il 100 % delle quote detenute da U. in Uncinale (cfr. doc. 3 allegato al fascicolo di parte attrice).

b) Le firme di sottoscrizione del contratto di pegno non venivano autenticate da alcun notaio; l’accordo, inoltre, tale contratto era sottoposto, con scrittura privata sottoscritta in pari data (cfr. all. 4 al fascicolo di parte attrice), alla condizione sospensiva dell’effettiva erogazione del finanziamento promesso da E.V. entro la data del 30 aprile 2003.

c) In data 2 aprile 2003 l’atto, non autenticato nelle firme e non preventivamente depositato presso il registro delle imprese, veniva iscritto dall’amministratore unicopro temporedella A., Anna F., nel libro soci della società, in violazione di quanto previsto dall’art. 2470 c.c., in tema di trasferimento di quote sociali.

d) Per il giorno 18 febbraio 2004 veniva convocata dallo stesso amministratore unico un’assemblea della A.

e) Dal verbale di assemblea (all. 6 fascicolo di parte attrice) si evince inequivocabilmente che presso la sede legale della società erano presenti, muniti di delega da parte del socio unico U., gli avvocati Francesco A.F. (del Foro di Milano) e Renato G. (del Foro di Bari), l’avvocato S., la cui partecipazione era stata espressamente richiesta dalla F. in qualità di presidente del­l’assemblea, nonchéla E.V., in qualità di creditore pignoratizio; su parere dell’avvocato S., il presidente dell’assemblea della A., ha ritenuto di non ammettere alla partecipazione il socio unico U., e, su espressa richiesta del creditore pignoratizio E.V., ha escluso i delegati della U., aprendo la riunione con la sola presenza del creditore pignoratizio E.V., che ha così provveduto a nominare come nuovo amministratore di propria fiducia il sig. Giovanni Giuseppe L. (cfr. in tal senso tenore deliberato assembleare in atti).

f) In data 24 febbraio 2004, su delega della A. (e non del creditore pignoratizio, che ne aveva interesse), veniva inviata alla Camera di Commercio di Bari la copia del contratto di pegno non autenticato nelle firme affinché lo stesso fosse iscritto nel Registro delle Imprese di Bari.

g) Il 27 febbraio 2004,la Cameradi Commercio di Bari effettuava l’iscrizione richiesta.

h) La U.,avendo di fatto perso il controllo della Uncinale, presentava in data 29 giugno 2004 ricorso al Giudice del Registro di Bari per ottenere la cancellazione dell’illegittima iscrizione del contratto di pegno de quo dal registro delle imprese (cfr. doc. 11 allegato al fascicolo di parte attrice).

i) Successivamente anche il Conservatore del Registro delle Imprese, accortosi delle cennate irregolarità, presentava un au­tonomo ricorsoex 2191 c.c. per richiedere la cancellazione d’ufficio dell’iscrizione del pegno sulle quote della A..

j) Frattanto, in data 24 giugno 2004 l’assemblea della A., con il voto favorevole del creditore pignoratizio, E.V., aveva deliberato la vendita della centrale idroelettrica di sua proprietà e di tutti i terreni circostanti appartenenti alla società G.E.T. s.r.l. (GET), con sede in Parma.

k) In ordine all’avvenuto atto di cessionela GET, come rilevato dalla società attrice ai punti 14 e 15, pagg. 7 e 8, dell’atto di citazione (cfr. in tal senso doc. 7, 8, e 9 allegati), nonché alle pagg. 2 e 3 delle memorie di replica dell’11.01.2005, a cui si rinvia per completezza, era stata la principale ditta appaltatrice della A. per la costruzione della centrale idroelettrica.

l) Non può esimersi dal rilevare il collegio che, come correttamente dedotto e provato da parte attrice, trala GETed E.V., sussistevano chiari collegamenti interpersonali: infatti, amministratore della GET era tal Nunzio S., fratello di Angelo S., amministratore di E.V., il quale in data 6 luglio 2004 (atto depositato solo in data 23 luglio 2004) ha venduto il 39% delle proprie quote in GET al fratello Nunzio S. (cfr. in tal senso doc. 8 e 9, visure della E.V. e della GET allegate al fascicolo di parte attrice).

m) Pertanto evidente appare la circostanza che la strumentale cessione di quote fra i fratelli S. è avvenuta solo successivamente all’assemblea del 24.06.2004, laddove con il voto di E.V. è stata deliberata la vendita dell’intero patrimonio di proprietà della.

n) In data 20 luglio 2004, solo quattro giorni dopo la notifica ad A. e E.V. del ricorso presentato da U. al Giudice del Registro per ottenere la cancellazione del pegno, è stato stipulato l’atto di compravendita, a rogito del notaio F. di Bari, tra A. e GET, in cui è stato ceduto definitivamente l’intero patrimonio della A. (cfr. in tal senso doc. 7 allegato al fascicolo di parte attrice).

o) Dopo pochi giorni, in data 29 luglio 2004, è stato stipulato un contratto preliminare di vendita trala GETe la P. r.l., con sede in Parma, avente ad oggetto la cessione a quest’ulti­ma società del medesimo patrimonio immobiliare appartenuto sino a 10 giorni prima alla A. (cfr. in tal senso doc. 1 della memoria di replica per la U.).

p) Tale contratto preliminare è stato regolarmente trascritto il successivo 30 luglio 2004 (cfr. in tal senso doc. 2 della memoria di replica perla U.).

q) In data 24 agosto 2004, il Giudice del Registro di Bari, accogliendo la domanda della U., ordinava, con decreto motivato, al Conservatore del Registro delle Imprese di Bari di procedere alla “cancellazione della iscrizione in data 24.02.2004, prot. Ba/2004/10568 relativo all’atto di costituzione di pegno sulle partecipazioni della A. s.r.l., effettuata dalla U. in favore della E.V. s.r.l. con contratto in data 2.4.2003” (cfr. in tal senso doc. 13 allegato al fascicolo di parte attrice).

r) Il provvedimento del Giudice del Registro veniva confermato a seguito di provvedimento di rigetto da parte del Tribunale di Bari, in composizione collegiale, del reclamo proposto da E.V. ed A. (cfr. in tal senso doc. 4 della memoria di replicaex 6 della U.).

s) In data 29 dicembre2004, inottemperanza al decreto del Tribunale di Bari del 8 novembre 2004, il conservatore del Re­gistro delle Imprese di Bari ha provveduto a cancellare il pegno sulla totalità della quote della A., consentendo alla U. di esercitare nuovamente il diritto di voto in assemblea.

t) A seguito di ciò, il 24 gennaio 2005, l’assemblea dei soci della A., con il voto della U., ha revocato il signor L. e nominato come nuovo amministratore unico il sig. Walter Felix B.

u) Il 02 febbraio 2005 la nomina del nuovo amministratore è stata iscritta nel Registro delle Imprese (cfr. in tal senso visura allegata in atti) e, con memoria di replicaex 7 D.Lvo 5/2003 si è costituito in giudizio il nuovo difensore dell’A., che ha dichiarato di prestare espressa acquiescenza alle domande proposte dalla società attrice, sua controllante.

Succintamente così esposti i fatti e le circostanze che hanno condotto E.V., in qualità di creditore pignoratizio, a partecipare e a votare nell’assemblea del 18.02.04, e nonostante le argomentazioni addotte da E.V., appare evidente che la delibera di nomina dell’amministratore unico, sig. Giovanni Giuseppe L., sia da considerarsi inesistente ai sensi degli artt. 2379 e 1418 c.c. e non debba invece ricadere nella categoria dell’an­nul­labilità, come ritenuto da parte convenuta.

Il legislatore, introducendo la riforma del diritto societario con il D.Lvo 17 gennaio 2003, n. 6, ha inteso, in ragione della novellata ratio legis a cui è stato informato l’intero sistema, “derubricare” (per dirla con rilievo penalistico) numerose ipotesi classiche di nullità delle delibere assembleari, frutto di anni di elaborazione giurisprudenziale, in ipotesi di annullabilità ex art. 2377 c.c., sottoponendo il regime della loro impugnabilità al rigore della decadenza dei 90 giorni entro la data della delibera in caso di delibera non soggetta ad iscrizione, ovvero, in caso contrario, dalla data di iscrizione nel registro delle imprese.

La novella legislativa, il cui intento è ben specificato nella relazione al D.Lvo 6/2003 nel paragrafo dedicato all’assemblea, ha voluto chiaramente restringere i casi di nullità delle delibere, per garantire maggiormente la certezza delle stesse nel­l’am­bito societario a tutela della società e dei terzi.

L’art. 2377 c.c., in tema di annullabilità delle deliberazioni, così come novellato, prevede espressamente che “la deliberazione non può essere annullata:

a) per la partecipazione all’assemblea di persone non legittimate, salvo che tale partecipazione sia stata determinante ai fini della regolare costituzione dell’assemblea a norma degli artt. 2368 e 2369 c.c.;

b) per l’invalidità di singoli voti o per il loro errato conteggio, salvo che il voto invalido o l’errore di conteggio siano stati determinanti ai fini del raggiungimento della maggioranza;

c) per l’incompletezza o l’inesattezza del verbale, salvo che impediscano l’accertamento del contenuto, degli effetti e della validità della deliberazione”.

Nell’ambito del su richiamato dettato normativo sembrerebbe ricadere la fattispecie relativa al caso specifico in cui, la presenza ed il voto di persone non legittimate sia stato determinante ai fini del raggiungimento del quorum costitutivo o deliberativo previsto dallo statuto o dalla legge: le delibere così adottate non sarebbero più nulle, come nella previgente normativa, ma annullabili ai sensi dell’art. 2377, comma 4°, 1) e 2).

Orbene, compito dell’interprete è, a questo punto, stabilire se possa sensatamente ritenersi che, a seguito dell’intervento le­gislativo la categoria dell’inesistenza delle delibere sia totalmente scomparsa dal nostro ordinamento.

Sul punto si è registrato un acceso dibattito in dottrina tanto che è stato ritenuto: “la pretesa di “eliminare per decreto” una categoria giuridica (pur se soltanto frutto di un orientamento giurisprudenziale o dottrinale) pare, invero, quanto meno velleitaria, nella misura in cui un orientamento giurisprudenziale rappresenta, comunque, uno dei criteri di lettura della realtà giuridico-economica, al pari di una norma di legge: sicché questa può “costringere” quello a rivedere determinate concezioni, ma difficilmente a rinnegarle. Non vi è dubbio, allora, che la riforma del 2003 costringerà l’interprete a “rivedere” la categoria dell’inesistenza ed a strutturarla con più rigore e con minori margini di opinabilità” (S. Sanzo, Il nuovo diritto societario, in Commentario, diretto da S. Cottino, Zanichelli, 2004, p. 609, in particolare p. 610).

A sostegno della permanenza e della configurabilità della categoria dell’inesistenza, anche a seguito dell’entrata in vigore del D.Lvo n. 6 del 2003, si è espressa da ultimo anche M.P. Ferri (in commento alla sentenza della Corte di Cassazione n. 1148 del 23.01.2004, edita in Le Società, n. 6 del 2004, e citata a pag. 18 della memoria di replica dell’11.01.05), la quale ha osservato come “la pronuncia in esame, confermando sul punto il costante orientamento della giurisprudenza, ha ritenuto che la mancanza di un elemento costitutivo della fattispecie procedimentale che conduce all’adozione della delibera assembleare – tale da impedirne l’inizio ovvero da interromperne lo svolgimento – determini l’inesistenza della deliberazione così assunta dall’assemblea della società, “per l’inadeguatezza strutturale e funzionale rispetto alla fattispecie normativa”. Il vizio procedimentale dà luogo ad una fattispecie che non è in alcun modo riconducibile ad una delibera assembleare imputabile all’ente: la delibera rappresenta infatti l’atto finale di un complesso procedimento, nel quale la mancanza di uno degli elementi costitutivi impedisce di identificare come tale la deliberazione (apparentemente) assunta.”

In merito a fattispecie analoghe a quella oggetto del presente giudizio, in cui tutti i soggetti che hanno partecipato all’assem­blea non erano in alcun modo legittimati a farlo, la S.C. di Cassazione si è pronunciata più volte, chiarendo definitivamente che la delibera “adottata con il voto (eventualmente) determinante dei soci non legittimati, è annullabile, ma non inesistente, diversamente dall’ipotesi in cui, all’assemblea, abbiano partecipato, esercitando il diritto di voto, esclusivamente i soci non legittimati” (cfr. in tal senso n. 2053 del 10.03.1999).

“Il difetto di legittimazione all’intervento … di tutti i partecipanti, manca la possibilità stessa di configurare la costituzione dell’organo assembleare e la manifestazione della volontà sociale e, la delibera medesima va ritenuta affetta da giuridica inesistenza, deducibile in ogni tempo dagli interessati” (cfr. in tal senso Cass. Civ. 835/1995; 1768/1986 ed altresì 6340/ 1981).

Va, pertanto, anche alla luce del dettato riformista, qualificato inequivocabilmente come ipotesi d’inesistenza il caso in cui il diritto di voto in seno all’assemblea sia stato esercitato esclusivamente da soggetti non legittimati.

Invero, questa è la situazione che si è verificata nell’assem­blea del 18 febbraio 2004 della A., alla quale ha presenziato e votato unicamente E.V., iscritto nel libro dei soci in virtù di un atto di costituzione di pegno sulle quote sociali, assolutamente illegittimo, inefficace ed inopponibile alla società, per tutti i motivi innanzi esposti in parte espositiva sub q) -s).

Infatti, nel caso della delibera assembleare in commento l’unico soggetto (E.V.) che ha presenziato e votato non era legittimato a farlo, mentre gli unici soggetti legittimati, ovvero i rappresentanti della U., non sono stati ammessi a presenziare e, addirittura, sono stati allontanati dai lavori assembleari dal presidente dell’assemblea.

Un ulteriore elemento interpretativo, dirimente e decisivo, soccorre in favore della tesi della nullità radicale e quindi dell’inesistenza della delibera assembleare in questione.

 “Perché l’organo assembleare possa intendersi validamente costituito occorre verificare che l’elemento indefettibile della fattispecie, vale a dire la presenza dei soci nell’adunanza, possieda i requisiti di rappresentatività stabiliti dagli artt. 2368 e 2369 c.c. e che il relativo diritto di intervento risponda alle condizioni dell’art. 2370 c.c.” (cfr. in tal senso Corte appello Milano, 31 gennaio 2003).

Dalla giurisprudenza di merito è stato ritenuto inoltre, in diverse circostanze che “la delibera assembleare assunta in violazione di norme di legge è semplicemente annullabile, e non già nulla, quando le norme da essa violate sono dettate a tutela non già di interessi generali, ma a tutela dell’interesse dei soci o di gruppi di soci” (cfr. in tal senso ex plurimis Tribunale Roma, 14 maggio 2003).

La società convenuta ha dedotto che, nel caso di specie, il negozio costitutivo del pegno è stato redatto per iscritto; il pegno è stato annotato nel libro dei soci; il creditore pignoratizio ha già esercitato i diritti amministrativi inerenti la qualità di socio; sicché, il negozio – perfettamente valido ed efficace – correttamente è stato iscritto nel registro delle imprese.

Orbene, non v’è dubbio che, in generale, ed ai sensi dell’art. 2800 c.c., debbono dirsi sufficienti la forma scritta e la certezza della datazione dell’atto con cui il debitore accetta la prelazione: ciò, ai fini dell’opponibilità della garanzia ai creditori del terzo debitore costituente il pegno ovvero ai creditori del terzo datore del pegno, mentre tra le parti la validità del negozio non è subordinata alla ricorrenza di particolari requisiti formali. (Cass., sez. II, 15 dicembre 1999, n. 14070, in Giust. civ. Mass., 1999, 2537).

Tuttavia in tema di costituzione di pegno su partecipazioni societarie, la giurisprudenza ha chiarito che la nozione di “atto di trasferimento” di cui al previgente art. 2479 c.c., novellato nel vigente art. 2470 c.c., deve ritenersi comprensiva di qualsivoglia negozio che comporti la possibilità di un soggetto di essere iscritto nel libro dei soci, e quindi anche del negozio che trasferisca l’esercizio dei diritti amministrativi inerenti la qualità di socio.

In particolare, la costituzione in pegno delle quote di una s.r.l. deve essere iscritta nel registro delle imprese affinché possa essere opposta alla società, non essendo sufficiente a tale fine che il pegno sia iscritto nel libro soci della società (cfr. in tal senso Trib. Paola, 9 marzo 2002, in Gius, 2002, 1885).

Il trasferimento delle quote della società a responsabilità limitata è poi opponibile ai terzi solo se e in quanto sia stato iscritto nel registro delle imprese, ai sensi dell’art. 2193 c.c. (cfr. in tal senso Trib. Padova, 14 aprile 2003, in Gius, 2003, 1912).

Pertanto, sia ai fini della opponibilità dell’atto alla società sia ai fini della sua opponibilità nei confronti dei terzi, l’atto deve essere iscritto nel registro delle imprese.

Orbene, la necessità del deposito presso la Camera di Com­mercio dell’atto costitutivo del pegno, al fine dell’iscri­zione nel registro delle imprese, fa sì che si renda necessario l’intervento del notaio nella redazione dell’atto (cfr. in tal senso Trib. Milano, 18 ottobre 1999, in Giur. comm., 2001, II, 495; nonché Trib. Bologna, 26 ottobre 1995, in Foro it., 1996, I, 3796).

In sostanza, ai fini della iscrizione nel registro delle imprese, e secondo l’iter procedimentale scaturente dal novellato art. 2470 c.c., l’atto costitutivo del pegno dev’essere redatto in forma pubblica, ovvero mediante scrittura privata avente sottoscrizione autenticata.

Nel caso di specie, non v’è dubbio che l’iscrizione sia avvenuta in data 24 febbraio 2004, tardivamente (rispetto alla deliberazione impugnata) ed illegittimamente (in quanto successivamente cancellata con provvedimento del Giudice del Registro confermato definitivamente con decreto del Tribunale di Bari, in composizione collegiale, dell’8.11.2004), in forza di una scrittura privata non autenticata, e quindi in palese violazione dell’iter procedimentale innanzi indicato.

Ciò posto, e in relazione alla ratio legis della normativa in commento (posta a tutela della trasparenza nella cessione di partecipazioni e nella composizione della base sociale delle società di capitali in virtù della L. 310/93) sia pur con riguardo ai limiti del sindacato operabile sulla illegittimità e/o nullità dell’atto, si è ritenuto spetti al Conservatore prima, e al Giudice del Registro delle imprese, poi, il medesimo potere di verifica della corrispondenza tipologica dell’atto da iscrivere a quello previsto dalla legge, tramite un controllo di legittimità formale, posto a tutela di interessi generali, limitato alla rilevazione di quei vizi di validità individuabili “prima facie”, e tali da rendere l’atto non corrispondente al tipo normativo (cfr. in tal senso Trib. Catania, 26 novembre 2001, in Giur. comm., 2002, II, 464).

Condivisibile appare quindi quell’orientamento restrittivo, ad avviso del quale il sindacato degli organi preposti al registro delle imprese investe esclusivamente il riscontro delle condizioni estrinseche e di mera legalità dell’atto (individuazione del tipo normativo, competenza dell’Ufficio; autenticità delle sottoscrizioni; astratta iscrivibilità dell’atto; imputabilità dello stesso alla società; idoneità della documentazione prodotta), senza involgere alcun accertamento in ordine alla validità od alla veridicità delle circostanze indicate nell’atto di cui viene richiesta l’iscrizione (cfr. in tal senso Trib. Napoli, 28 gennaio 2000, in Giur. napoletana, 2000, 165).

Evidente appare allora l’inesistenza della delibera assembleare in commento, in quanto assunta in violazione di norme di legge dettate a tutela di interessi generali, e non già a tutela dell’interesse dei soci o di gruppi di soci.

A conforto di tale tesi sovviene inoltre l’invalso orientamento della S.C. di Cassazione: “La nullità delle delibere dell’assem­blea delle società per azioni, prevista dall’art. 2379 c.c. nelle ipotesi di impossibilità ed illiceità dell’oggetto, ricorre solo in caso di contrasto con norme dettate a tutela dell’interesse generale, trascendente quello del singolo socio, e dirette ad impedire una deviazione dallo scopo essenziale economico-pra­tico del rapporto societario, mentre la violazione di norme poste a tutela di soci o gruppi di soci è ridotta alla ipotesi di annullabilità” (cfr. in tal senso Cassazione civile, sez. I, 15 novembre 2000, n. 14799).

Pertanto a fronte delle evidenti ed inconfutabili argomentazioni che precedono, la delibera del 18 febbraio 2004 è da ritenersi inesistente, con tutte le conseguenze prodotte dalla de­claratoria in ordine agli effetti “ex tunc” .

Da ciò consegue logicamente che anche la delibera assembleare della A. s.r.l del 24 giugno 2004, con cui è stata autorizzata la cessione della centrale idroelettrica e dei terreni sottostanti, è da ritenersi inesistente.

Infatti, l’amministratore pro tempore, “sine titulo”, della A., Gio­vanni Giuseppe L. (nominato, come visto, con delibera da considerarsi inesistente e, conseguentemente, radicalmente nulla ab origine) in data 20 luglio 2004 ha ceduto l’intero patrimonio immobiliare della A. alla GET, in conformità al deliberato assembleare del 24 giugno 2004, in cui ha presenziato e votato unicamente E.V., iscritto nel libro dei soci in virtù di un atto di costituzione di pegno sulle quote sociali, assolutamente illegittimo, inefficace ed inopponibile alla società.

Orbene, per tutti i motivi innanzi esposti, a causa dell’inop­po­nibilità del contratto di pegno alla A. ed ai terzi per illegittima iscrizione nel libro soci prima, e nel registro della imprese poi, nonché per il mancato invio della convocazione dell’as­sem­blea alla U. (circostanza non contestata da parte convenuta), anche la delibera di assemblea del 24.06.04 deve ritenersi inesistente e, per l’effetto radicalmente nulla, ai sensi degli artt. 2379 e 1418 c.c.

 

  1. b) Inefficacia e inopponibilità del contratto di pegno del 2 aprile 2003

Alla luce del su esposto corredo argomentativo, non v’è chi non veda come la domanda incidentale di declaratoria di inefficacia della scrittura privata di pegno del 02.04.2003 sia fondata e pertanto meritevole di accoglimento.

Va ribadito sul punto che la scrittura di pegno sottoscritta tra la U. ed E.V. il 2 aprile 2003 ed avente ad oggetto la totalità della quote della A., era sottoposta alla condizione sospensiva che entro il 30.04.03 fosse erogato il finanziamento promesso da E.V. ad A.

Invero tale condizione non si è mai verificata, circostanza questa mai contestata da parte convenuta.

Anzi tale circostanza, è stata ulteriormente rafforzata dalle dichiarazioni confessorie della convenuta che a pag. 7 della memoria di controreplica del 13.12.2004, ha riconosciuto espressamente che “la concessione edilizia n. 1/2000, necessaria per l’esecuzione dei lavori di costruzione del bacino di contenimento era scaduta sin dal marzo 2003 sostenendo che tale circostanza precludeva a monte alla società “E.V. S.r.l.” la possibilità di perfezionare i contratti di finanziamento per la costruzione del bacino di contenimento”.

Per espressa ammissione di E.V., pertanto, il contratto di pegno era inefficace ab origine!

Pertanto ritenuta l’inefficacia e l’inopponibilità nei confronti della A. del contratto di pegno de quo, va dichiarata l’inesi­stenza delle delibere assembleari della medesima società adottate in data 18 febbraio e 24 giugno 2004.

Le spese di giudizio seguono la soccombenza per la società convenuta, mentre nei confronti della A., attesa l’intervenuta acquiescenza, vanno integralmente compensate.

P.Q.M.

Il Tribunale, definitivamente pronunciando sulla domanda come in atti proposta dalla U. nei confronti della E.V. s.r.l. nonché nei confronti della A. s.r.l., disattesa ogni ulteriore istanza deduzione ed eccezione, così provvede:

  1. rigetta tutte le eccezioni svolte in via preliminare dalla E.V. s.r.l.;
  2. nel merito, in accoglimento della domanda, ritenuta l’i­nef­ficacia e l’inopponibilità nei confronti della A. s.r.l. del contratto di pegno intervenuto in data 2 aprile 2003 trala U.e la E.V. s.r.l., dichiara inesistenti e, per l’effetto, radicalmente nulle, ai sensi degli artt. 2379 e 1418 c.c. le delibere assembleari della A. s.r.l. adottate in data 18 febbraio 2004 e 24 giugno 2004;
  3. condannala E.V.s.r.l. alla refusione delle spese di giudizio che liquida in € 35.000,00 (trentacinquemila), di cui € 25,000.00 per onorario, oltre IVA e CAP come per legge;
  4. compensa le rimanenti spese di giudizio nei confronti della A. s.r.l.

Così deciso in Bari nella Camera di Consiglio della IV sezione civile del Tribunale di Bari il 28.11.2005.

 

 

 

 

 

 

 

Trib. Bari, 9 dicembre 2005, n. 2679

Presidente Napoleone A. – Relatore Monteleone M.

U.E.E. A.G. c. E.V. s.r.l., A.I. s.r.l.

 

Società – Società a responsabilità limitata – Pegno su quote – Assemblea – Soggetti legittimati – Invalidità – Inesistenza ( artt. 2377, 2379 c.c.)

 

È inesistente la delibera assunta con il solo voto di soggetti non legittimati a partecipare al­l’assemblea

SOMMARIO:

1. Il caso - 2. Le questioni - NOTE


1. Il caso

La pronuncia in commento affronta nuovamente il tema dell’inesistenza delle delibere assembleari di società di capitali. La vicenda vede coinvolte la società U.E.E. A.G., socia unica della A.I. soc. a resp. lim., e la E.V. soc. a resp. lim., le quali stipulavano un contratto di pegno sulle quote della società controllata, al fine di ottenere un finanziamento da parte di un pool di banche; il contratto, le cui firme non erano autenticate, era sottoposto alla condizione sospensiva dell’effettiva erogazione del finanziamento stesso. Il finanziamento non veniva però mai erogato, rendendo il contratto inefficace. Tuttavia, all’assemblea della A. I. soc. a resp. lim. partecipava e votava esclusivamente il rappresentante del creditore pignoratizio. Il Tribunale di Bari, investito della vicenda, ha statuito che è inesistente la delibera assunta unicamente con il voto di soggetti non legittimati a partecipare all’assemblea, giacché manca la possibilità stessa di configurare l’esistenza dell’organo assembleare e quindi della volontà sociale.


2. Le questioni

IL SISTEMA ANTE RIFORMA.Il Tribunale di Bari, nel vigore della legge attuale, si è pronunciato in favore dell’inesistenza di una delibera assembleare. Il sistema previgente individuava l’assemblea come la riunione in un unico contesto di luogo e di tempo dei soci di una società. Le delibere assembleari, assunte rispettando i procedimenti previsti dal legislatore e dall’atto costitutivo, erano valide e vincolavano al loro rispetto anche i soci assenti e dissenzienti, ossia coloro i quali non avevano partecipato alla formazione della volontà sociale; in questo modo la volontà espressa dalla maggioranza si imponeva su quella della minoranza dissenziente. Tuttavia, la vincolatività delle delibere incontrava un limite nel necessario rispetto della legge e dell’atto costitutivo, sicché erano invalide le delibere che non ne erano prese in conformità. Il tema dell’invalidità si esauriva, per espressa previsione legislativa, sul piano dell’annullabilità e della nullità, disciplinate rispettivamente dall’art. 2377 c.c. e dal­l’art. 2379 c.c. La formulazione delle due norme aveva portato la maggioranza degli interpreti ad affermare che l’annullabilità fosse la regola mentre la nullità l’ecce­zio­ne [1], dal momento che quest’ultima poteva essere fatta valere solo nei casi in cui la delibera avesse avuto un oggetto impossibile o illecito. Si rendeva così necessario un coordinamento tra le due norme e si arrivò alla conclusione che quando la non conformità alla legge riguardava il procedimento assembleare, la conseguenza era l’annullabilità, mentre era nulla la delibera tesa a modificare o ledere un diritto indisponibile del socio ovvero che non fosse conforme all’ordine pubblico o ai principi generali dell’ordinamento. Inoltre, le differenze tra i due tipi di invalidità attenevano anche al procedimento di impugnazione. Le delibere annullabili potevano essere impugnate dagli amministratori, dai sindaci e dai soci assenti o dissenzienti entro tre mesi dalla data della deliberazione o, se questa era soggetta ad iscrizione nel Registro delle Imprese, entro tre mesi dall’i­scri­zione stessa. Al contrario, per le deliberazioni nulle a causa di illiceità o impossibilità dell’oggetto si applicavano le disposizioni degli [continua ..]


NOTE
Fascicolo 2 - 2007