Rivista di Diritto SocietarioISSN 1972-9243 / EISSN 2421-7166
G. Giappichelli Editore

indietro

stampa articolo indice fascicolo leggi articolo leggi fascicolo


La responsabilità della capogruppo per la violazione del duty of care: note a margine di Okpabi v. Royal Dutch Shell Plc (di Maria Vittoria Zammitti)


Il contributo si propone di analizzare una recente pronuncia della Supreme Court of Justice inglese (Okpabi v Royal Dutch Shell Plc) avente ad oggetto il tema della responsabilità di una società capogruppo per la condotta abusiva delle sue subordinate. La corte si chiede, in particolare, se e a quali condizioni una società inglese a capo di un gruppo multinazionale sia titolare di un duty of care nei confronti di soggetti gravemente lesi dalle negligenze delle proprie subordinate oltreoceano.

Nonostante la sentenza si soffermi maggiormente sulle questioni preliminari oggetto di summary judgment, essa fornisce spunti per una rinnovata riflessione sul contenuto e i limiti del duty of care che, al ricorrere di determinate circostanze, può sorgere in capo alla capogruppo nei confronti dei tort creditors delle società a lei subordinate.

Liability of the parent company for violation of the duty of care: comments on Okpabi v. Royal Dutch Shell Plc

The paper examines a UK-Supreme Court of Justice decision (Okbapi v. Royal Dutch Shell Plc) concerning the liability of a parent company for the abusive conducts of its subsidiaries. The Court explores whether and in what circumstances the UK-domiciled parent company of a multi-national group of companies may owe a common law duty of care to individuals who allegedly suffer serious harm as a result of alleged systemic health, safety and environmental failings of one of its overseas subsidiaries as the operator of a joint venture operation.

Although the decision focuses on preliminary issues of summary judgment, it provides inputs to a renewed reflection on the duty of care upon the parent company to protect the subsidiary’s tort creditors.

Keywords: Multinational groups – Parental liability – Duty of care Summary judgment.

Le valutazioni della Corte d’Appello in sede di summary judgment devono riguardare esclusivamente le effettive possibilità di successo della richiesta di risarcimento dei danni avanzata dagli attori. La responsabilità della capogruppo per le condotte abusive della subordinata costituisce una “pure question of fact” e dunque meritevole di essere approfondita in un procedimento di merito. (Omissis) I Introduction 1. This is a jurisdiction appeal which raises the question of whether the claimants have an arguable case that a UK domiciled parent company owed them a common law duty of care so as properly to found jurisdiction against a foreign subsidiary company as a necessary and proper party to the proceedings. 2. A similar issue was addressed in the recent Supreme Court decision of Lungowe v Vedanta Resources plc [2019] UKSC 20; [2020] AC 1045. It might reasonably have been expected that the guidance provided by that decision would resolve this appeal without the need for a hearing. That proved not to be the case, but Vedanta is very relevant to both the procedural and the substantive issues raised on this appeal. 3. The appeal concerns two sets of proceedings, the Ogale proceedings and the Bille proceedings. In the Ogale proceedings the appellant claimants are a Nigerian farming and fishing community of approximately 40,000 individuals in Rivers State, Nigeria. The claim is brought by the leadership of the Ogale Community, namely the King, HRH Emere Godwin Bebe Okpabi, and the Council of Chiefs, suing both for themselves and in a representative capacity on behalf of the people of the Ogale Kingdom. In the Bille proceedings the appellant claimants are 2,335 individuals who live in the Bille Kingdom, a remote riverine community in Rivers State, Nigeria. 4. The claims allege that numerous oil spills have occurred from oil pipelines and associated infrastructure operated in the vicinity of the appellants’ communities. The appellants allege that these oil spills have caused widespread environmental damage, including serious water and ground contamination, and have not been adequately cleaned up or remediated. It is said that as a result of the spills, the natural water sources in the appellants’ communities cannot safely be used for drinking, fishing, agricultural, washing or recreational purposes. 5. The appellants’ case is that the oil spills were caused by the negligence of the pipeline operator, the second respondent, The Shell Petroleum Development Company of Nigeria Ltd (“SPDC”), a Nigerian registered company. It operated the oil pipelines and ancillary infrastructure on behalf of the unincorporated joint venture between the state-owned Nigerian National Petroleum Corporation (“NNPC”), Total E&P Nigeria Ltd (formerly Elf Petroleum Nigeria Ltd and a subsidiary of Total, “Total E&P”), Nigerian Agip Oil Company (“NAOC”, a [continua..]
SOMMARIO:

1. Il caso e le questioni processuali - 2. La responsabilità della capogruppo da esercizio abusivo del controllo - 3. I requisiti per l’emersione del duty of care nella giurisprudenza inglese - 4. Il duty of care e la tutela dei creditori c.d. involontari - 5. Il caso - NOTE


1. Il caso e le questioni processuali

Il caso oggetto della sentenza in commento consente alla Supreme Court of Justice inglese di tornare su tematiche ricorrenti nell’ambito di mercati globalizzati e dominati da imprese multinazionali, che riguardano principalmente la ricerca di forme di responsabilizzazione del potere economico della grande società e di regole e limiti cui sottoporlo. I fatti da cui origina la pronuncia, del resto, ripropongono dinamiche ormai note, che coinvolgono gruppi di imprese transnazionali e attengono al loro modo di operare nel mercato, specialmente in luoghi con deboli legislazioni a tutela degli stakeholders e sistemi giudiziari spesso arretrati [1]. La vicenda ha coinvolto il gruppo Shell e, in particolare, la Royal Dutch Shell Plc (RDS), con sede nel Regno Unito e la Shell Petroleum Development Company of Nigeria Ltd (SPDC), situata in Nigeria e controllata dalla prima, per delle ingenti fuoriuscite di petrolio da alcuni pozzi petroliferi di proprietà di SPDC, collocati nei pressi del luogo di abitazione di una comunità di pescatori e contadini nigeriani (la Ogale Community). Questi ultimi, rappresentati dal re della comunità (HRH Emere Godwin Bebe Okpabi), hanno agito in giudizio dinnanzi la High Court of Justice inglese contro entrambe le società – SPDC, ritenuta direttamente responsabile dei fatti lesivi, e RDS in qualità di capogruppo – chiedendo il risarcimento dei danni subiti, in quanto le suddette perdite avevano causato consistenti danni ambientali, tra cui la contaminazione delle acque e dei terreni circostanti [2]. Il caso ha posto alcune questioni preliminari, da una parte, circa l’inquadra­mento della disciplina sostanziale da applicare alle fattispecie concrete e, dall’altra, circa la sussistenza della giurisdizione in capo ad una corte inglese nel caso di un’azione di risarcimento proposta da cittadini nigeriani non solo nei confronti una società inglese (la capogruppo), ma anche nei confronti di una società nigeriana e per fatti compiuti in Nigeria [3]. Gli attori chiedevano invero di poter agire anche contro SPDC in quanto “necessary or proper party”, ai sensi del § 3.1 (3) del Practice Direction 6B [4]. È possibile fin da subito notare la complessità dell’onus probandi che grava sugli attori: da lato, invero, dovranno dimostrare l’esistenza di un preesistente dovere della capogruppo [continua ..]


2. La responsabilità della capogruppo da esercizio abusivo del controllo

La questione preliminare della sussistenza di un “arguable case” si intreccia inevitabilmente con quella di merito relativa all’esistenza in capo alla società capogruppo RDS di una responsabilità nei confronti di soggetti non direttamente collegati a quest’ultima, ma incidentalmente lesi da attività abusive poste in essere da una società ad essa subordinata [16]. Come noto, nel gruppo di imprese sussiste il rischio di una dissociazione tra l’imputazione formale delle condotte d’impresa e la titolarità del potere di indirizzo di tali condotte [17], in quanto, pur rimanendo ferma la spendita del nome delle società autonomamente considerate all’interno dei propri rapporti obbligatori, esse si trovano sotto l’indirizzo e l’influenza, talvolta dominante, di un altro soggetto presso cui vengono allocati i poteri di alta amministrazione [18]. Posta l’assenza di soggettività giuridica autonoma del gruppo d’imprese [19], in caso di fatti lesivi conseguenti a decisioni assunte a livello centrale, i terzi danneggiati potranno agire soltanto nei confronti di chi si è reso direttamente responsabile delle lesioni [20]. E ciò risulta maggiormente problematico quando le società subordinate, incaricate della produzione o di parti di essa e materialmente responsabili dei danni, sono sottocapitalizzate e non possono far fronte alle richieste di risarcimento avanzate dai soggetti danneggiati [21]. Si è posta allora l’esigenza di individuare forme di tutela di tali soggetti che consentano di agire contro chi assume l’effettivo esercizio della direzione comune dell’impresa e cioè, in caso di gruppo di società, nei confronti della capogruppo. I casi di responsabilità della capogruppo per la condotta abusiva delle società subordinate sono stati affrontati in modo eterogeneo dalle corti inglesi. Per molto tempo, invero, sia le parti che i giudici si sono concentrati sull’esistenza di un rapporto di controllo tra la società che direttamente ha commesso l’illecito e la sua capogruppo, tale per cui quest’ultima potesse essere chiamata a risarcire i danni conseguenti (quanto meno) in concorso con la prima. La più antica delle tecniche a tal fine elaborate dai giudici dei paesi di common law, è il piercing the corporate veil, [continua ..]


3. I requisiti per l’emersione del duty of care nella giurisprudenza inglese

Un’ulteriore dottrina che, al pari dell’Assumption of Responsibilty, dovrebbe superare la stretta prova del controllo, è quella del duty of care, in base alla quale l’esistenza di un rapporto di subordinazione tra parent corporation e subsidiaries, determina l’emersione in capo alla prima di un particolare dovere di cura, nei confronti non solo delle società a sé subordinate, ma anche nei confronti degli stakeholders di queste ultime. La dottrina del duty of care ha radici antiche: già nella prima metà del secolo scorso, infatti, Lord Atkins, nel famoso caso Donoghue v. Stevenson [27], si interrogava sulle condizioni al ricorrere delle quali potesse sorgere un duty of care, chiedendosi quali fossero i confini tra le esigenze della morale pubblica e quelle della legge e, in particolare, dove individuare i limiti dell’alterum non laedere. In quella occasione veniva elaborato il c.d. neighbour test, in base al quale, al fine dell’imposizione di una responsabilità da violazione del duty of care, era necessario che il danno fosse prevedibile e che vi fosse una sufficiente vicinanza (proximity) tra le parti [28]. Poiché il test era risultato eccessivamente vago, in una pronuncia successiva [29] la House of Lords ha riconosciuto la possibilità alla parte convenuta di provare l’assenza di una propria responsabilità per atti e operazioni giustificate da “policy considerations” [30]. Anche questo test è stato poi superato dalla sentenza relativa al caso Caparo Industries v. Dickman [31], nella quale la Supreme Court ha applicato nuovamente i requisiti della foreseableness e della proximity del neighbour test, aggiungendo però un elemento ulteriore e cioè che fosse “reasonable” per la Corte condannare la parte convenuta per la violazione di un duty of care. Nonostante l’apparente vaghezza del suo contenuto [32], il test Caparo è quello che più di frequente è apparso nelle pronunce relative ai casi di responsabilità della capogruppo per gli atti delle subordinate [33]: anche la High Court of Justice, in primo grado, e la Court of Appeal, nel caso Okpabi v. Royal Dutch hanno applicato tale test, chiedendo ai creditori (da fatto illecito) di SPDC di fornire la prova dell’esercizio abusivo della direzione comune da parte di RDS, tale da rendere [continua ..]


4. Il duty of care e la tutela dei creditori c.d. involontari

Oltre alla verifica della sussistenza di un duty of care della capogruppo, si è reso parimenti necessario stabilire l’estensione di tale dovere di cura e individuare i soggetti nei confronti dei quali si esplica. Infatti, nei casi, come quello in esame, in cui i danneggiati non hanno apparentemente alcun legame con la società capogruppo che hanno citato in giudizio, da cui si trovano anche geograficamente distanti, è necessario chiedersi, da una parte, se chi esercita un’attività d’impresa è chiamato ad un duty of care a contenuto più ampio di quello richiesto a ciascun individuo e, dall’altra, se tra i destinatari di tale dovere possano essere ricomprese categorie di soggetti che non subiscono direttamente le conseguenze delle scelte altrui [40]. Dal primo punto di vista, a partire dal caso Vedanta, i giudici inglesi, nell’ap­plicare il duty of care alle grandi società, hanno tentato di individuarne un contenuto tipico in relazione all’esercizio dell’attività d’impresa, che induca gli operatori del mercato ad assumere misure effettive di tutela dei propri stakeholders. Nella sentenza in commento, ad esempio, la Corte Suprema, seppur solo di passaggio, ha individuato la responsabilità degli organi della capogruppo “for the safe condition and environmentally responsible operation of Shell’s facilities and assets”, sottolineando così l’onere di chi esercita l’attività di direzione e coordinamento di monitorare la sicurezza dei luoghi di lavoro e le policies volte alla tutela dell’ambiente. Si noti, inoltre, che le Corti inglesi sono pervenute a soluzioni diverse circa l’estensione e il contenuto del duty of care anche in relazione al tipo di danno arrecato ai terzi: nei casi in cui sussiste un rischio di danno alla salute, è spesso stato applicato un ampio dovere di cura nei confronti di chi rischia di essere danneggiato, anche in assenza di una previa relazione con l’altra parte. Al contrario, per quanto attiene a danni puramente economici, è probabile che il duty of care sia più ristretto e si estenda solo nei confronti di coloro i quali la società sapeva o avrebbe dovuto sapere facevano affidamento sulla correttezza delle condotte d’impresa [41]. Per quanto attiene, invece, all’estensione del duty of care, fin dalla [continua ..]


5. Il caso

Come anticipato, la Suprema Corte inglese, nella pronuncia in esame, è stata chiamata a verificare se la Corte d’Appello avesse errato nella valutazione dei fattori e delle circostanze che avrebbero potuto determinare l’esi­stenza di un duty of care in capo alla società capogruppo ma, ancor prima, se corretta sia stata la scelta di ritenere il caso privo di “a real prospect of success” e dunque non meritevole di proseguire in un giudizio di merito. I giudici hanno scelto di affrontare solo incidentalmente la questione della sussistenza del duty of care e della sua violazione da parte della capogruppo, non sottraendosi, come visto, a valutazioni sul merito, ma concentrandosi maggiormente sulle suesposte questioni preliminari oggetto di summary judgment. Ad opinione della Supreme Court, il principale errore della Court of Appeal è stato quello di analizzare il materiale probatorio, conducendo di fatto un “mini-trial”. Le valutazioni del secondo grado di giudizio in sede di summary judgment, invece, avrebbero dovuto riguardare solamente le effettive possibilità di successo della richiesta di risarcimento dei danni avanzata dagli attori: si legge invero che “This was not a trial of a preliminary issue. It was not for the judge to make ‘findings’” e che il giudice d’appello avrebbe dovuto sottolineare che oggetto del giudizio fosse “the arguability of the claim”. Nell’accogliere l’appello e chiedere la riforma della sentenza di secondo grado, i giudici della Corte Suprema hanno precisato che la responsabilità della capogruppo per le condotte abusive della subordinata costituisce una “pure question of fact” e dunque meritevole di essere approfondita in un procedimento di merito. Tale procedimento consentirebbe peraltro la necessaria analisi dei documenti e delle prove nella disponibilità delle parti, in modo che venga garantita una piena disclosure dei fatti rilevanti. Del resto, già le prove fornite dalle parti in sede di summary judgment avevano anticipato la possibilità che nuovi elementi sarebbero emersi nel giudizio di merito [47], erroneamente negato dai giudici di Corte d’Appello.


NOTE